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Il Procuratore aggiunto di Napoli, responsabile della sezione Reati ambientali, dott. Aldo De Chiara - uno che di abusi se ne intende - ha bollato il Piano Casa come “condono mascherato”. Ma si è sbagliato. E’ vera macelleria urbanistica. Eppure le affermazioni perentorie dell’assessore Cundari, responsabile dell’urbanistica regionale, avevano fatto sperare in qualcosa di meno indecente. Appena il 1° aprile di quest’anno, all’esito dell’intesa Stato-Regione, l’assessora dichiarava: “sono stati esclusi dagli interventi tutti gli edifici abusivi, i centri storici e le aree vincolate di ciascuna Regione, a tutela delle specifiche caratteristiche architettoniche, ambientali e paesaggistiche". Poi, il 14 luglio, rincarava la dose: “Grande attenzione è stata dedicata alla tutela del paesaggio: gli ampliamenti e le ristrutturazioni non sono consentiti nelle zone vincolate - in particolare sulle coste marine, lacuali e fluviali.” Pensate un po’: le avevamo creduto.

E avevamo sperato che il “piano-casa” della Campania, arrivato buon ultimo nel panorama nazionale, avrebbe potuto riscattare almeno l’immagine – se non la sostanza – di una Regione che si è distinta per la peggiore gestione dell’ambiente e in cui spariscono (dati Legambiente), inghiottiti da asfalto e cemento, 9333 ettari di terreno all’anno, pari a oltre 25 ettari ogni giorno. La plenipotenziaria dell’urbanistica regionale, messa lì dai Verdi (o presunti tali), avrebbe pur dovuto capire qualcosa di paesaggio, ambiente e urbanistica, visto che, tra l’altro, occupa la cattedra di Politica dell'Ambiente della Federico II. E l’altro cofirmatario della legge – l’assessore pluridecorato Forlenza, docente universitario, magistrato amministrativo, già capo di vari gabinetti ministeriali - avrebbe pur dovuto saper confezionare un testo appena decente. Né una cosa, né l’altra. La legge, sgangherata e scritta male, ma con approvazione bipartisan e il voto contrario dell’IdV, diffonderà, in tutto il territorio regionale – isole comprese - le logiche costruttive proprie dell’abusivismo. Come la peste si propagherà nelle città e nelle campagne, farà crescere i tumori dell’abusivismo e incrementerà la rendita fondiaria di chi le leggi ha già violato. Ma gli assessori, nonostante il misfatto o a cagione di questo, girano come madonne pellegrine a propagandare il Piano Abusi, davanti a platee gremite da tecnici avviliti, umiliati dalla politica, allo stremo e perciò disposti a trangugiare qualsiasi porcheria faccia loro sbarcare il lunario.

La legge di deroga (sembra un ossimoro), diversamente da quanto impunemente sostenuto dalla Cundari, si applicherà nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico che – come si sa – non è un vincolo di inedificabilità. E si applicherà anche agli edifici condonati o per i quali sia stata semplicemente presentata una domanda di condono dall’esito ancora incerto, purché i fabbricati abusivi siano indicati (si ignora a quale data) come prima casa. Consentirà, con un semplice permesso di costruire - e dunque sottraendo ai comuni la possibilità di indirizzare le scelte urbanistiche - di trasformare gli immobili industriali decotti in residenze, uffici, negozi. A parità di volumetria, dispensando, cioè, a piene mani rendita fondiaria.

Il Piano Casa targato Cundari/Forlenza, ne ha per tutti, è una strenna di Natale per palazzinari: si potrà incrementare del 35% la volumetria degli immobili residenziali da demolire, del 20% quella delle casette da ampliare, del 50% quella dei complessi industriali (magari costruiti con contributi pubblici o acquisiti dallo Stato per un tozzo di pane) da riconvertire. E coloro che non possono ampliare i propri immobili? Tranquilli, ce n’è anche per loro. Sarà possibile variare la destinazione d’uso “da volumetria esistente non residenziale a residenziale”, magari anche trasformando i box realizzati con la Tognoli, già in deroga agli strumenti urbanistici. Ben oltre “la deroga come regola” temuta e teorizzata da Vezio de Lucia, la regione Campania codifica oggi la deroga della deroga. C’est plus facile. Ma la chicca - quella che fa gongolare il consigliere PD Carpinelli – è la possibilità, anche qui, in deroga a tutto, di variare la destinazione d’uso delle pertinenze agricole dei già falsi fabbricati rurali.

“Mi sono battuto fortemente – ha confessato Carpinelli - per agevolare l’approvazione di questa norma ad edilizia zero, che senza sprecare nemmeno un metro di terreno agricolo, consentirà di realizzare nuove abitazioni e nuove opportunità di sviluppo economico per tante famiglie proprietarie di immobili edificati in zona agricola. Con questo provvedimento si chiuderanno molte vertenze tecnico – legali e diversi fabbricati attualmente sequestrati dalla magistratura, potranno rientrare in uso dei legittimi proprietari.” Più che condono mascherato, è, dunque, un condono palese. Irrituale ma palese, peraltro a costo zero e dichiaratamente rivolto a disinnescare la sacrosanta azione di contrasto all’abusivismo posta in essere dalle Forze dell’Ordine e dalla Magistratura a tutela del territorio. Non mancano, poi, concetti del tutto nuovi, come – ad esempio – la possibilità di ampliare (questa volta in deroga alla fisica) gli immobili con opere interne e, infine, la trasformazione, in deroga a tutti i vincoli - perfino di quelli introdotti dal Piano Urbanistico Territoriale della divina costiera – delle “strutture di allevamento animale” (anche pollai e porcili, dunque) ricadenti nell’area del “Provolone del Monaco”. Una specie di zona franca in nome del provolone. Potremmo chiamarla Provolonia, istituita con una legge “ad provolam”, “ad casĕum”, direbbero i puristi. A quando le deroghe urbanistiche per il caciocavallo silano, la ricotta di bufala, il fico del Cilento, il cipollotto nocerino o il carciofo di Paestum?

L’ineffabile Legislatore regionale, tutto preso dalla foga cementifera, non ha valutato che gli ampliamenti concessi riverbereranno negativamente sul dimensionamento dei piani regolatori e sul già drammatico deficit di standard urbanistici. Gli effetti sul territorio già martoriato della regione Campania saranno devastanti. Gli ampliamenti si faranno ovunque e comunque, e non saranno distinguibili da quelli abusivi, anche perché la tanto sbandierata qualità architettonica non è in alcun modo garantita e resta, dunque, una pia illusione. “Questa regione aveva bisogno di ricontestualizzare il territorio” – ha sentenziato l’assessore Forlenza. Cosa significhi davvero (e se significhi qualcosa) non è dato comprendere. Ma, detto, con aria severa, da un grand commis, giurisperito e pluridecorato, fa accapponare la pelle.

Ferdinando Formisano, capo dell’ufficio tecnico comunale, allarga le braccia: «Progetti di bonifica? Solo per sentito dire. Si è fatta la pulizia ordinaria di alcuni alvei che è competenza della Provincia. Ma la manutenzione è rarissima. C’era un progetto del Genio civile di Napoli per interventi su tutti i valloni, importo 10 milioni, con fondi del commissariato di governo e Protezione civile. La sovrintendenza ai Beni ambientali l’ha bocciato».

È una storia di progetti mancati, quella della frana assassina di Casamicciola, dell’ordinaria manutenzione mai fatta, di costoni disboscati dagli incendi, gli stessi da cui si sono staccati i massi. Intanto oggi il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo presenterà in consiglio dei ministri un decreto legge per un piano straordinario per la difesa del suolo dal dissesto idrogeologico. E ricorda che ad Ischia era stato finanziato nel 2006 un intervento per la stabilizzazione del costone tufaceo in località Castiglione e Cafiero per l´importo di 259 mila euro. Lavori che non sono stati mai avviati».

Antonio Piro, dipendente dell’Ufficio tecnico comunale, ricorda che a Cava Fontana «che confluisce nella zona dove è passata la frana, si è fatta una bonifica 10 anni fa, poi però si è riempita di nuovo di detriti. Magari dentro ci buttano anche l’immondizia, materiali da risulta, bombole del gas, termosifoni». Si affaccia al balcone: «Vede quegli alberi bruciati? Da lì si è staccata la parete».

Giuseppe Conte, ingegnere, capogruppo Pd all’opposizione, urla al vento. Dal 2007 denuncia la mancata manutenzione dei costoni, «l’ultima volta dieci giorni fa in consiglio. Mi hanno pure detto che porto sfortuna». Mostra il faldone con un progetto per il risanamento dei costoni e recupero degli alvei Sinigallia, Negroponte e Fasaniello, connessi alle antiche fonti termali del Gurgitiello, in piazza Bagni, epicentro della colata di fango. «Erano interventi per l’ingabbiamento dei massi e opere di ingegneria naturalistica, è finita che hanno rifatto la strada con i basoli». La relazione geologica che accompagna quel piano di risanamento lo dice chiaro e tondo, che a monte di piazza Bagni, zona termale per eccellenza, «parallelamente a via Tresta, la valle si presenta stretta e ricolma di detriti che in alcuni tratti impediscono il naturale deflusso delle acque».

Che si è fatto nel tempo per evitare la catastrofe? «Per questa zona mai nulla. L’amministrazione l’ha abbandonata», accusa un geologo, Aniello Di Iorio, «per le opere di protezione alla cava di Pozzillo si sono trovati fondi comunitari gestiti dalla Regione».

Davanti alle "Terme Manzi", una delle più antiche, le ruspe spalano fango e detriti e tronchi di castagno recisi. C’è chi fruga nella melma per recuperare oggetti perduti e gli speleologi esplorano il canale delle acque che corre sotto la strada, alla ricerca di altri punti di ostruzione. A piazza Bagni si è rischiata la strage. Perché in cima alla salita chiamata via della Lava c’è la scuola più grande, l’istituto per ragionieri "Mattei", frequentato da sei, settecento alunni, che proprio martedì, per fortuna, era chiuso per disinfestazione.

Lo stabilimento balneare è stato inaugurato a luglio e per ora è raggiungibile solo via mare. Si chiama ‘Spiaggia del Fuenti’ ed è gestito dalla famiglia Mazzitelli, proprietaria di quel che fu l’Hotel Amalfitana. Più famoso come Mostro del Fuenti, il simbolo di tutte le devastazioni della costa campana e italiana, raso al suolo nel 1999 dopo un contenzioso trentennale.

Lo stabilimento balneare è il primo passo di un progetto di riqualificazione della costa di Vietri sul Mare, compromessa dall’abbattimento dell’ecomostro, che lasciò in eredità un brullo cratere più brutto persino dell’albergone distrutto. Ricordate? L’hotel di sei piani, 34mila metri cubi di cemento, ultimato nel 1971 e presto chiuso per una storia di licenze concesse e poi stracciate, per decenni al centro del mirino di una dura campagna degli ambientalisti. Conclusa d’imperio dal ministro verde dell’Ambiente Edo Ronchi, che ne decretò e ottenne la demolizione. Riuscendo lì dove per l’ecomostro dell’Alimuri di Meta, finora, si è fallito.

Eppure le due vicende hanno diversi punti in comune. Anzitutto, entrambi gli ecomostri non erano abusivi nel senso classico della parola. Lo sono diventati ‘dopo’. Nacquero, infatti, con regolari licenze edilizie. Poi annullate. Una follia, direte, concedere i permessi per edificare nel ventre dei costoni. Ma così fu. All’Amalfitana-Fuenti la licenza venne rilasciata nel 1968. Per l’albergo dell’Alimuri, cinque piani di cemento nel tratto di litorale tra Meta e Vico Equense, l’autorizzazione risale al 1962. Sono gli anni del saccheggio delle coste. Poi emergeranno le magagne. La licenza dell’Amalfitana-Fuenti viene revocata per sempre dal Consiglio di Stato del 1981 e inutilmente la giunta regionale guidata dal Dc Antonio Fantini concede nel 1990 il condono, invalidato da Soprintendenza e Ministero. La famiglia Mazzitelli si arrende nel 1998, quando il Consiglio di Stato conferma una sentenza del Tar e rigetta l’ultima domanda di condono. Mentre la licenza dell’Alimuri viene revocata dalla Regione nel 1975 perché in contrasto con il Programma di Fabbricazione. Ma il Tar Campania nel 1979 ed il Consiglio di Stato nel 1982 annullano gli atti adottati dalla Regione. Nel 1986 i lavori sono definitivamente bloccati dal Comune di Vico Equense perché si rendono necessari lavori di consolidamento del costone roccioso retrostante: piovono massi sui solai, uno buca un paio di piani.

Le analogie finiscono qui. Il Fuenti, infatti, era un albergo ultimato e operativo: ha vissuto tre anni, dal 1977 al 1980, poi la Protezione Civile lo ha utilizzato per ospitare i terremotati, fino alla definitiva chiusura del 1984. L’Alimuri è rimasto incompiuto: è solo uno scheletro di cemento armato, corroso dal mare e dalle intemperie.

La differenza più evidente, ovviamente, è che il Fuenti è stato abbattuto. Mentre il rudere dell’Alimuri resiste da 42 anni. Inoltre, il Fuenti è stato tirato giù a spese dei proprietari. Invece, secondo il protocollo promosso il 19 luglio 2007 dal ministro dei Beni Culturali Francesco Rutelli e finora inattuato, per demolire lo scempio dell’Alimuri e rimettere in sicurezza il costone, lo Stato e la Regione dovrebbero versare una consistente quota, superiore a quella dei privati. E nell’accordo si concede ai titolari la possibilità di realizzare un albergo di uguale cubatura in un’altra zona di Vico Equense.

In Campania, infatti, esistono i mostri ‘cattivi’ e i mostri ‘buoni’. Il Fuenti era senz’altro ricompreso tra i cattivi. Ed è stato incenerito senza tanti riguardi. L’Alimuri invece è un mostro buono, e se proprio bisogna ucciderlo, va fatto con dolcezza per poi farlo risorgere altrove. “Due pesi e due misure, dunque – scrisse nel 2007 Marco Demarco, direttore del Corriere del Mezzogiorno, giornale che sulla questione ha condotto una lunga campagna stampa – perché? C’entra qualcosa il fatto che il mostro di Alimuri sia di proprietà di Anna Normale, giovane imprenditrice e moglie dell’assessore regionale (all’epoca, oggi è europarlamentare, nda) Andrea Cozzolino”?

Risposte convincenti non ce ne sono e in assenza di queste, sottolineamo che la parentela non c’entra niente. Però ci chiediamo: come è andata a finire col Fuenti? Cosa è stato permesso ai Mazzitelli in cambio della demolizione dell’ecomostro amalfitano, compiuta a loro spese? Una lunga e laboriosa conferenza dei servizi con le istituzioni pubbliche e le associazioni ambientaliste si è conclusa nel marzo 2004 con un progetto di rinaturalizzazione e restauro paesaggistico dell’area – chiamato ‘Parco del Fuenti’ – dal costo superiore ai 22 milioni di euro, che non concede molto al cemento e alla speculazione. Si prevede uno stabilimento balneare (pronto), dei vigneti, un giardino mediterraneo che dalla roccia arrivi fino alla spiaggia, innesti di ginestre, ulivo, corbezzolo e lentisco, ovvero la stessa vegetazione divelta quando il promontorio venne sbancato. Mentre dentro il basamento dell’albergo, salvato dalla demolizione, si vorrebbero allestire il ristorante e il centro fitness. E anche se i lavori procedono molto lentamente, l’accordo ha strappato parole lusinghiere al presidente di Legambiente Campania, Michele Buonomo: “Se una volta per forza di cose eravamo contrapposti alla proprietà, ora siamo al loro fianco in piena sintonia, condividendo il progetto del Parco del Fuenti. Un percorso fatto insieme, grazie anche alla lungimiranza di imprenditori che hanno saputo con coraggio investire e realizzare un progetto ecocompatibile”.

A una distanza ancora ragionevole dalla prossima campagna elettorale per le regionali, che tenderà a ricondurre critiche e riflessioni a più innocue polemiche di matrice politica, è forse ancora possibile tentare un valutazione minima delle politiche per il territorio che la Regione ha messo in campo.

In maniera molto sintetica, visto lo spazio ovviamente contingentato di questo articolo, si può fare riferimento a tre grandi famiglie di strumenti di intervento, attraverso i quali ricostruire in maniera strumentale le opzioni (o le retro-opzioni) che la Regione Campania ha utilizzato per intervenire, tutelare o pressare sul territorio.

Le tre famiglie sono: i progetti integrati legati alla programmazione di indirizzo e cofinanziamento comunitario; la pianificazione di area vasta; leggi, normative e regolamenti in materia urbanistica ed edilizia.

Sulle speranze (e, spesso, sulle credenze) legate al ruolo della prima famiglia di strumenti (in gran parte denominati Pit, Progetti integrati territoriali), si è scritto parecchio e la fase di cosiddetta "sperimentazione", durata almeno una decina d´anni, ha consentito di procrastinare continuamente una stima seria dei processi e degli esiti. Ora che alcune prime valutazioni indipendenti e sostenute da dati statistici sufficienti sono state elaborate, sta emergendo che, a fronte di una metodologia severa imposta dall´Unione europea (qualità dei progetti, priorità selezionate, concentrazioni di risorse in programmi di massa critica adeguata, attivazione di partenariato istituzionale e sociale, documentazione dei risultati in maniera rigorosa), gli esiti sono stati per lo più effimeri in termini fisici, clamorosi in termini di flussi finanziari finiti in mille rivoli e mille tasche, inconsistenti dal punto di vista di uno sviluppo duraturo legato ai territori, e si sono conseguentemente chiusi con valutazioni fittizie e furbe, consegnate a una Unione europea che non ha saputo e voluto verificare.

L’unico esito positivo è stato quello di indurre all´apprendimento e all’innovazione la farraginosa macchina burocratica regionale che ha indubbiamente acquisito dimestichezza con pratiche amministrative meno obsolete e grossolane. A questa famiglia, è bene ricordarlo, appartengono anche i nuovi programmi Piu, come quello già partito sul centro storico di Napoli, che si spera utilizzino l´esperienza dei fallimenti passati.

Il secondo gruppo di strumenti, e cioè quelli che fanno riferimento alla pianificazione di area vasta, si identifica in particolare con i Piani territoriali di coordinamento provinciale e il Piano territoriale regionale. Nonostante l’enorme mole di lavoro e di speranze, nessun piano provinciale è stato mai approvato da quando, a partire più o meno dal 2000, le varie province hanno cominciato a elaborare questo tipo di piano. Non c’è riuscita nemmeno la Provincia di Napoli che, arrivata quasi alla fine del processo, ha visto un cambio di maggioranza che rischia di rendere improduttivi i circa 1,5 milioni di euro che si sono spesi, negli ultimi 8 anni, per la redazione del piano. A essere approvato definitivamente, invece, è stato, nel 2008, il Piano territoriale regionale (Ptr). E non è un caso.

Priva di un disegno chiaro su che cosa la Campania dovrà essere nel medio-lungo periodo, la Regione ha approvato l´unico piano che non creava problemi. Il Ptr infatti è un piano di indirizzi, poco cogente, fatto di visioni, scenari e cartografie sufficientemente generiche e poco chiare, utili per consentire infinite interpretazioni e tali da non garantire alcun orizzonte solido verso il quale si sarebbero potuti densificare i contrasti interni alla stessa maggioranza. L´unico elemento positivo del Ptr sono le allegate Linee guida per il paesaggio, un insieme di indirizzi e di prescrizioni che, a partire da una conoscenza puntuale dell´intero territorio regionale, costituiscono uno sfondo argomentato che difficilmente potrà essere messo in discussione, se non dalla poca cogenza del Ptr stesso.

L’ultimo gruppo di strumenti che in queste due legislature di centrosinistra ha "lavorato" sul territorio è quello delle leggi e delle norme. Esse ruotano tutte attorno alla nuova legge urbanistica regionale 16/2004. Una legge che offre spunti di innovazione (generalmente copiati da leggi di altre Regioni), molti punti di inammissibile incertezza (come quella di non prevedere per i piani comunali la suddivisione in parte programmatica e parte operativa, come hanno fatto quasi tutte le altre Regioni d’Italia), e un generale impianto ibrido che manifesta il fatto di essere stata scritta da legulei e non da tecnici urbanisti, rendendola "edibile" ma certamente un´occasione persa per fare qualcosa di più.

Ma la politica regionale per il territorio, quella vera, ha il suo snodo nella legge 19/2001 che (utilizzando simulazioni ingenue, facili da individuare) liberalizza la materia edilizia e fornisce un grimaldello eccezionale per demolire i vincoli paesaggistici, delegando la loro essenza a controlli che non ci sono, all´etica del privato, alla benevolenza del mercato. Con questa legge, ad esempio, la giunta di Antonio Bassolino ha reso edificabile l´intera Penisola sorrentina. Esclusi i centri storici e le aree di tutela integrale (Zt 1 e Zt 9 del Put), circa il 20 per cento del territorio, è in pratica possibile sbancare dovunque la Penisola (come nei fatti si sta facendo) nel restante 80 per cento per realizzare al posto di noceti e oliveti mega-parcheggi interrati che, al netto del metro di terreno in copertura, sono costruzioni a tutti gli effetti che rendono l’area di sedime irreversibilmente compromessa alla pari di un edificio di 10 piani. Si può discutere su altri strumenti e su altre leggi, ma che questo scempio sia l’eredità più solida lasciata al territorio dalle ultime stagioni della politica regionale, è indubbio. E tutto questo in attesa di vedere quello che succederà col "piano casa".

Insomma, un quadro poco confortante, perché fatto di cose effimere, fragili e poco funzionali in termini di promozione dello sviluppo, nei casi migliori, palesemente contro il territorio e a favore della speculazione, in quelli peggiori. L’ultimo anno di tempo è forse poco per mutare il segno di questa tendenza, ma probabilmente dei correttivi sono possibili, per lenire, almeno nel limitato campo urbanistico, il peso di una così poco confortante eredità.

Duramente criticato dalle Assise di Palazzo Marigliano il piano casa della regione Campania. Secondo Carlo Iannello, professore di diritto dell’Ambiente alla Sun, "con questo disegno di legge si affiderebbe, di fatto, il governo del territorio alla proprietà fondiaria, vanificando la pianificazione urbanistica comunale". Luigi De Falco – segretario regionale di Italia Nostra – ha affermato "che si tratta di una disciplina incostituzionale, in quanto non esclude dal suo ambito di applicazione tutte le zone soggette a vincolo paesistico". Per Vezio De Lucia "questa è la peggiore legge che la Regione Campania potesse fare".

Secondo l’ex assessore all’urbanistica del comune di Napoli, siamo in presenza di un disegno di legge inaudito: gli articoli 5 e 6 devono essere del tutto eliminati. Secondo De Lucia gli effetti di questo disegno di legge sarebbero esiziali non solo per il governo del territorio e per il paesaggio, ma addirittura per l’occupazione: la possibilità di modificare la destinazione d’uso degli edifici (art. 5) rappresenterebbe per le industrie, anche per quelle produttive, un incentivo a dismettere le attività industriali, licenziando i lavoratori e riconvertendo i volumi in edilizia residenziale: "Questa operazione – ha ribadito De Lucia - consentirebbe alle imprese di realizzare profitti immensi a danno dei cittadini e dei lavoratori".

Sul piano casa della Regione Campania, v. su eddyburg

Il disegno di legge sul cd. piano casa proposto dalla giunta regionale mette una pietra tombale sull’assetto urbanistico delle città.

Innanzitutto, questa normativa non esclude dal suo ambito di applicazione tutte le zone soggette a vincolo paesistico: sono solamente i vincoli di inedificabilità assoluta a impedirne l’applicazione. Dove è scritto nel disegno di legge che l’ampliamento non è possibile in ogni area sottoposta a vincolo paesistico? Manca pertanto una disposizione chiara del tipo «nei centri storici e nelle aree sottoposte a vincolo paesistico non si applica la disciplina della presente legge».

Inoltre, effetti ancora più dirompenti di quelli contenuti negli art. 3 e 4 del testo approvato in Giunta (i quali disciplinano, rispettivamente, l’ampliamento, in deroga alla pianificazione urbanistica, della volumetria degli edifici del 20% e del 35% ) provengono dall’art. 5 comma 4 ossia dalla possibilità di modificare, sempre in deroga alla pianificazione urbanistica, la destinazione d’uso degli edifici e di effettuare interventi di sostituzione edilizia a parità di volumi. Chiaramente questa disposizione si applica ad attività industriali rendendo possibile la riconversione in edilizia residenziale degli spazi attualmente utilizzati (o inutilizzati, si pensi alle attività dismesse) dalle imprese. Senza nessuna verifica dell’impatto di scelte di tale tipo sul contesto sociale e ambientale, si introduce una possibilità che vanifica d’un colpo la stessa funzione urbanistica. Per voluntas principis trasformazioni rilevanti dell’assetto urbanistico delle nostre città sono operate senza che vi sia la men che minima percezione degli effetti (potenzialmente devastanti) sulle città e sulla vita quotidiana dei cittadini.

Quali esiti, in una città come Napoli, potrebbe avere una disciplina di questo tipo? La trasformazione delle ex aree industriali potrebbe essere gestita in deroga alla pianificazione urbanistica. Si pensi a Napoli est, ma non solo. Si vanificherebbero, così, le più rilevanti decisioni urbanistiche adottate dalla città di Napoli. Il governo del territorio passerebbe dalla mano pubblica a quella dei privati proprietari delle aree.

Inoltre, siamo sicuri che questa normativa non si applichi nei centri storici? Gli interventi che prevedono l’ampliamento ne sono esclusi: La sostituzione edilizia a parità di volume, invece, non lo è, almeno in modo chiaro. La normativa è scritta male, anzi malissimo. È così piena di difetti e di ambiguità che si potrebbe sostenere l’applicabilità della disciplina sulla modifica di destinazione d’uso a parità di volume (art. 5, comma 4) anche ad edifici ricadenti nei centri storici per i quali la pianificazione comunale prevede invece l’abbattimento.

La critica che generalmente viene condotta contro questi provvedimenti, ossia che maschererebbero un condono anticipato, non coglie dunque nel segno. Gli effetti di questa legge sarebbero molto più devastanti di quelli di un condono. Le deprecabilissime leggi sul condono si limitavano a ratificare (entro certi limiti) l’esistente, per fare cassa (non senza incentivare, almeno sulla carta, un rafforzamento del rigore per il futuro). Senza nemmeno la giustificazione di fare cassa, la giunta regionale propone una legge che mina l’idea stessa di pianificazione urbanistica, concretandosi in una completa abdicazione dell’urbanistica pubblica a favore della più completa deregulation. Una legge che nella sostanza tradisce il compito che la costituzione ha –inopportunamente, stando a questo disegno di legge – affidato alle regioni denominato «governo» del territorio.

E’ un errore richiamare, a partire dalla crisi dei rifiuti in Campania, un nuovo conflitto tra Berlusconi e la magistratura o, se piace di più, tra la magistratura e Berlusconi. Magari, si trattasse soltanto di questo. L’affare a Napoli è molto più contorto di questa semplificazione lineare. Lo si comprende soltanto se si è consapevoli che il collasso di Napoli non nasce da un accidente occasionale. E’ il frutto marcio di una cattiva politica e di una pessima amministrazione che, del tutto prive di una "cultura del risultato", hanno trasformato la raccolta dei rifiuti e il ciclo industriale del loro smaltimento in un’occasione per distribuire reddito e salario a una società stressata e assegnare profitti a poteri criminali ingordi e a imprese private senza scrupoli. Con l’evidente utilità – per la politica – di amalgamare un «blocco di potere» corrotto (dal professionista al "pregiudicato") che, in cambio del saccheggio di quelle risorse pubbliche, ha assicurato consenso accettando di vivere in un progressivo, inarrestabile degrado igienico-sanitario.

Ne è nata una spirale diabolica: la cattiva gestione della cosa pubblica ha provocato «l’emergenza». «L’emergenza», altra cattiva gestione. E ancora «emergenza» e ancora cattiva gestione in un gorgo il cui esito è oggi sotto gli occhi di tutti. E tuttavia, anche nella procura di Napoli, è facile incontrare più d’un pubblico ministero disposto ad ammettere che le frasi (intercettate) di Marta Di Gennaro – il braccio destro di Bertolaso agli arresti domiciliari da martedì – sono le parole «sofferte» di un funzionario dello Stato che deve scegliere tra il male e l’orribile per far fronte all’emergenza, pur nella consapevolezza che le «ecoballe» sono un «mucchio di merdaccia» (perché non lavorate, non inertizzate), che la discarica di Macchia Soprana è «una vera schifezza» (perché vi finisce anche quel che, tossico e pericoloso, non dovrebbe finirci).

Come interrompere questo avvitamento? Con un decreto che ha valore di legge ordinaria, il governo ha "spento" qualche principio costituzionale per rafforzare la sua decisione e l’operatività della task force affidata a un sottosegretario/commissario straordinario. L’esecutivo ha la convinzione, non campata per aria, che a Napoli e in Campania ci sia uno «stato d’eccezione» che legittima un «vuoto del diritto» e la sospensione delle norme perché le decisioni necessarie ad evitare la crisi non possono essere determinate più né dalle norme né dal diritto, ma soltanto dalla gravità dell’emergenza. Accade così che, per la sola Campania, non ci sarà alcuna differenza tra rifiuti e rifiuti tossici o pericolosi perché si agirà in deroga alle leggi e alle normative europee. Nasce un ufficio giudiziario a competenza regionale che elimina «il giudice naturale» con la centralizzazione in capo al procuratore di Napoli dell’esercizio dell’azione penale e delle indagini preliminari. Sono ridimensionati i poteri del pubblico ministero e della polizia giudiziaria, cui è vietato il sequestro preventivo d’urgenza delle discariche irregolari o pericolose. Si condiziona l’intervento preventivo della magistratura a «un quadro indiziario grave» e non, come avviene in Italia, alla «sufficienza indiziaria». Si crea, come dicono i magistrati, un "procuratore speciale" con il compito di proteggere il lavoro "sporco" e urgente del "Commissario del Governo" che già ha nelle mani la direzione di tutte le autorità pubbliche (polizie, prefetti, questori, forze armate, gli altri poteri competenti per materia).

Ci sono delle ragioni sufficienti per questa straordinarietà, è sciocco o irresponsabile negarlo. Le leggi e il diritto delimitano una condizione di normalità. Qui di "normale" non c’è più nulla. Se non si trovano, nei prossimi mesi, sei, sette capaci «buchi» dove stipare, quale che sia la sua pericolosità, tutta l’immondizia della regione non raccolta e quella che continua a produrre, ricorderemo a lungo l’estate del 2008 come la stagione di una catastrofe sanitaria molto poco europea.

A questa ragione di Stato si oppone un’altra ragione altrettanto ostinata. L’eccedenza autoritaria dei provvedimenti del governo riduce, per i campani, alcuni diritti garantiti dalla Costituzione. Se «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge», articolo 3 della Carta, i campani saranno meno eguali, avranno meno dignità sociale. Ciò che è «tossico» altrove, in Campania non lo è. Ciò che altrove è considerato «pericoloso», qui non lo sarà. Le regole di tutela ambientale e salvaguardia e controllo sanitario qui non saranno in vigore. E ancora, appare «inaccettabile», come ha scritto su queste pagine Stefano Rodotà, la manipolazione del sistema giudiziario. «Il governo si sceglie i magistrati che devono controllare le sue iniziative. Viene aggirato l’articolo102 della Costituzione, che vieta l’istituzione di giudici straordinari o speciali. Vengono creati nuovi reati di ampia interpretazione che finiscono per restringere il diritto di manifestare liberamente. La garanzia dei diritti costituzionalmente garantita è degradata. La legalità costituzionale è complessivamente incrinata». Per di più – anche questo sarebbe sciocco e irresponsabile negarlo – è proprio vero che questo diritto «speciale», non alimenti ancora, come è già accaduto, quella cattiva gestione che finora ha prodotto soltanto guai e nuove emergenze?

Come si vede, non abbiamo dinanzi il consueto conflitto tra i governi di Berlusconi e la magistratura. La controversia è più intricata e mette in contrasto l’urgente necessità di agire per risolvere, nel brevissimo periodo, una crisi che può diventare un cataclisma e il dovere di garantire, protetto dall’indipendenza della magistratura, il diritto alla salute che, violato, potrebbe produrre nel medio/lungo periodo danni al cittadino e disgrazie per la democrazia non più lievi di quelle prodotte dall’emergenza di oggi. Non c’è spazio per gli estremismi ideologici. Occorre pragmatismo e responsabilità. E una faticosa mediazione che, tenendosi alla larga dalle forzature corporative e dalle eccedenze autoritarie, sappia risolvere – oggi – la catastrofe napoletana senza pregiudicare – per il domani – la Costituzione e regole del gioco di una democrazia.

In un generale silenzio e nel torpore colpevole di chi dovrebbe controllare e non lo fa, la Penisola Sorrentina, da paesaggio-simbolo delle bellezze italiane, sta pericolosamente assurgendo a caso-studio di come, in un territorio tutelato, sia possibile approvare norme tanto incredibili quanto vessatorie per il paesaggio e remunerative per l’investimento privato, che viene di fatto trasformato nella vera priorità delle azioni amministrative.

In pieno accordo con buona parte della burocrazia e della politica regionale, i Comuni sorrentini stanno infatti procedendo ad ambigue varianti ai Piani Regolatori e ad approntare decine di altri strumenti di deregulation urbanistica, trasformando in regola quello che dovrebbe essere eccezione e in regolamentare ciò che altrimenti sarebbe considerato abuso.

Incapaci di pensare a percorsi di sviluppo nuovi e sostenibili, i Comuni pagano in “moneta urbanistica” i propri servizi sociali, le manutenzioni, l’illuminazione, le scuole, i lavori pubblici ordinari e soprattutto lo sproporzionato numero di dipendenti a bassa produttività: si cerca di fare cassa con gli sbancamenti per i box, con gli oneri di urbanizzazione, con gli introiti dei permessi a costruire.

Come ha affermato un amministratore sorrentino, parafrasando uno che comandava più di lui: «Quando sento parlare di piano paesistico mi viene voglia di mettere mano alla pistola». Intanto, il nuovo Piano Regolatore adottato a Sorrento, consente di costruire persino nelle Zone di tutela ambientale 1B del PUT (il piano paesistico della Penisola Sorrentina) e la magistratura è già dovuta intervenire per le continue irregolarità riscontrate nei colossali cantieri per garage interrati.

A Meta di Sorrento non hanno messo mano alla pistola, ma al Piano Regolatore. Con una delibera dei primi mesi di quest’anno sì è proceduto ad una variante che riscrive le Norme Tecniche di Attuazione del Piano, progettato da Vezio De Lucia, limandole e smussandole nei punti più fastidiosi e trasformando con un arzigogolo lessicale e una giravolta giuridica, la speculazione di pochi privati in “attrezzature di interesse generale”. Sono stati cassati, così, indici di fabbricabilità, altezze massime, rapporti di copertura tra costruito e aree libere, ecc. Il tutto in un grande preludio alla realizzazione di sterminati parcheggi interrati, negozi, bar, chioschi e via costruendo, per garantire «il sostegno economico all’iniziativa privata», concludendo con l’incredibile affermazione che queste costruzioni «sono consentite in tutto il territorio comunale». Infine, in un eccesso di protervia, al comma 7 dell’art.24 delle nuove Norme, si stabilisce che “Nell’ambito della pianificazione esecutiva potranno essere individuati ulteriori spazi ad integrazione delle quantità reperite in sede di pianificazione generale, senza che ciò costituisca variante al Piano Regolatore”. Come a dire: il Piano Regolatore serve a chi non si sa regolare, e a Meta si sanno regolare benissimo. L’ultima parola, comunque, tocca alla Provincia di Napoli, il mese prossimo.

A Vico Equense, la città dell’Alimuri, dove l’aggiro delle regole urbanistiche e paesistiche è un divertissement col quale si misura la capacità, l’efficienza e l’utilità dei tecnici, si è inventato il garage pertinenziale “satellite”. Dopo aver fatto costruire da un’impresa privata le solite centinaia di box auto al di sotto di una grande piazza nel centro cittadino, il comune ha organizzato un sorteggio per la vendita dei box pertinenziali a prezzo calmierato. La norma sulla pertinenzialità prevede che ogni acquirente dovrà apporre un vincolo pertinenziale, appunto, con l’abitazione di proprietà. La ratio della norma è quella di fornire un posto auto alle abitazioni che ne sono sprovviste e, sempre secondo questa ratio, tutti i comuni stabiliscono una distanza ragionevole tra il box e l’abitazione, mediamente 500 metri. Ebbene, il Comune di Vico Equense ha dilatato questa distanza a tutto il territorio comunale (tra i più estesi della Campania). Decine di fortunati residenti sul Monte Faito si sono visti assegnare il loro garage pertinenziale a molti chilometri da casa, ma a poche centinaia di metri dal mare, mentre chi abita nella piazza dove sono stati costruiti i box non ha goduto di nessuna priorità e continuerà a mettere l’auto per strada. Un criterio assurdo e comico, che consente il massimo agio e potere contrattuale all’imprenditore privato e ai politicanti in cerca di consenso spicciolo e che sta per essere adottato per decine di parcheggi interrati in approvazione al Comune.

A fronte di queste enormità, la Regione Campania, nonostante le nuove disposizioni del Codice Urbani-Rutelli, preferisce glissare, e con uno scarno comunicato apparso pochi giorni fa sul suo sito internet precisa che «la competenza all’esercizio delle funzioni amministrative attive, volte al rilascio delle autorizzazioni ed all'irrogazione delle sanzioni in materia paesaggistica, resta ancora in capo ai Comuni», almeno fino al prossimo anno.

O al prossimo comunicato.

Certo ognuno ha i guai suoi, ma a quanti si dicono giustamente preoccupati per la vittoria dei giorni scorsi di Milano, vorremmo ricordare che in Campania con la prossima (e ultima, per grazia di Dio) tornata di aiuti comunitari, pioveranno entro il 2013 oltre 14 miliardi di euro, una bella sommetta, sufficiente a metter su un almeno un paio di Expo, o una nuova ricostruzione in Irpinia.

Si tratta di una partita importante, e infatti Bassolino ha ultimamente dichiarato che il principale motivo delle sue mancate dimissioni è proprio la necessità di completare la programmazione dei fondi strutturali.

Cosa intenda fare la Regione di tutti questi soldi è scritto nel documento strategico, redatto prima dell’ultima crisi dei rifiuti, tutto basato su un rosario di slogan tra il suggestivo e il tautologico (“La Campania si fa bella”, “Il mare bagna la Campania”), che nei giorni tristi che stiamo vivendo suonano in verità un po’ sinistri.

Poche righe sono dedicate al contrasto della criminalità (che secondo il Sole24Ore controlla il 32% del Pil regionale), mentre la crisi dei rifiuti viene sbrigativamente spiegata con l’opposizione delle popolazioni locali agli inceneritori.

Ad ogni modo, la novità principale, rispetto al precedente periodo 2000-2006, è la concentrazione del 60% delle risorse su una trentina di grandi progetti, per evitare finanziamenti a pioggia. Nulla di male naturalmente, se i progetti rappresentassero risposte appropriate alle molteplici crisi strutturali che attanagliano la regione.

Invece, forse proprio in ossequio all’emergenza in corso, il criterio di compilazione della lista è quello che gli analisti di politiche pubbliche chiamano scherzosamente garbage can (bidone della spazzatura), sarebbe a dire che tutto fa brodo, purché si faccia in fretta.

Con il risultato che i fondi per uscire dall’emergenza rifiuti sono stati inseriti sotto dettatura della Commissione europea, mentre quelli per bonificare i lacerti di Campania felix martoriati dai rifiuti tossici sono stati affannosamente recuperati in extremis, dopo che Coldiretti ha gettato sul tavolo una petizione con 100.000 firme.

Naturalmente, ogni riferimento al Piano territoriale regionale ed alla programmazione settoriale è accuratamente evitato, anzi la pianificazione vigente viene considerata il più fastidioso ostacolo allo sviluppo, come le rocce vaganti che Odisseo deve scansare nella sua perigliosa navigazione.

Alla fine, in un tragico errore di prospettiva, l’unico obiettivo esplicitamente indicato da Bassolino è quello della capacità di spesa, in barba a regole vincoli procedure, perché altrimenti si perdono i fondi, e qui il ricordo non può non andare al CAF e all’aria frizzante che tirava negli anni ‘80, prima dello scoppio di Mani pulite.

Esattamente il contrario di quanto sommessamente dichiarato dal ministro Bersani, secondo il quale, in assenza di obiettivi chiari, è meglio lasciar perdere e darsi una calmata, così almeno si evitano ulteriori danni.

Caro direttore, è ancora convinto il presidente della giunta regionale, Bassolino, che l'iniziativa dell'Auditorium a Ravello, promossa da De Masi, presidente dell'omonimo Festival, e sostenuta pervicacemente dalla Regione Campania, costituirà una posta attiva del bilancio della sua carriera politica?

Diversi segnali fanno pensare il contrario. Anni orsono De Masi ha «abbagliato» Bassolino pronunciando un nome: Niemeyer! Al grande architetto brasiliano De Masi aveva infatti commissionato il disegno per un progetto di un Auditorium a Ravello. Nessuno però aveva detto a Niemeyer, che è ormai vicino alla soglia dei cento anni e non poteva venire a Ravello, che la localizzazione panoramica del sito prescelto per l'Auditorium era in contrasto con la normativa del piano urbanistico territoriale della costiera sorrentino-amalfitana. Si doveva operare una variante al Put, ma la procedura era lunga e poi si creava un precedente. No problem. Lo strumento dell'accordo di programma ha consentito di bypassare il Put per dare corso a quella che Bassolino considerava una impresa culturale memorabile.

È stato anche superato l'ostacolo di una sentenza del Tar di Salerno (agosto 2004), che accoglieva un ricorso di Italia Nostra. Il Consiglio di Stato (maggio 2005) senza entrare nel merito e ribaltare la sentenza del Tar, ha respinto il ricorso di Italia Nostra per un vizio formale. Ormai sta per iniziare la costruzione dell'Auditorium. Tuttavia il Festival di Ravello, nato in omaggio a Wagner, dà segni preoccupanti di stanchezza: la Walkiria, programmata per il 21 luglio scorso, è stata cancellata: meno di cento prenotazioni! «Il pubblico — ha affermato sconsolatamente De Masi in un comunicato — ama Wagner sempre di meno». E questo avviene d'estate. Cosa succederà d'inverno?

Hanno espresso il loro scetticismo sull'Auditorium Roberto De Simone e Gioacchino Lanza Tomasi perché nessuno può immaginare che il pubblico vada d'inverno ad ascoltare musica nelle brume di Ravello. La realtà è diversa. Come tutti sanno, meno Bassolino: gli albergatori di Ravello da tempo chiedono legittimamente di restare aperti tutto l'anno, e quello che si sta per costruire a Ravello è un centro-congressi. Una struttura destinata a ospitare congressi di categorie professionali. A questo punto De Masi ha tutto l'interesse a trasferirsi altrove prima che Bassolino si accorga di aver sostenuto un'iniziativa che non ha nulla di culturale. Anzi è una mistificazione. L'opzione prioritaria di De Masi sarebbe il Teatro San Carlo di Napoli recentemente commissariato. Infatti sono comparse sulla stampa alcune sue proposte per «risanare» il San Carlo, proposte che fanno trasparire la sua viva aspirazione di sostituire il soprintendente Lanza Tomasi. Nella convinzione peraltro di poter contare sui tradizionali appoggi politici, per cui passerebbe in terzo ordine la circostanza che la sua competenza musicale è tutta da dimostrare, mentre è riconosciuta a livello internazionale quella di Lanza Tomasi.

Sono indotto ora alla conclusione che segue dopo aver constatato la serietà delle indagini senza remore sui rifiuti condotte dalla magistratura di Napoli. Che succede invece a Salerno? Giace da ottobre 2006 presso la procura della Repubblica salernitana un esposto-denuncia della presidenza nazionale di Italia Nostra contro l'ormai avviata costruzione dell'«Auditorium» di Ravello. Infatti è ancora valida la sentenza del Tar di Salerno, che ha proclamato forte e chiaro: la struttura in quel sito è illegale, quindi abusiva. Sollecitiamo pertanto il procuratore della Repubblica di Salerno, Apicella, a dare impulso e concludere senza remore le indagini prima che l'opera venga illegittimamente realizzata.

L’autore è Presidente di Italia Nostra, sezione di Napoli

Uno sfregio dopo l’altro. Ma non paga nessuno

Enzo Ciaccio – Il Mattino, 21 agosto 2007

Abusi a destra, abusi a sinistra. E abusi in alto. E pure in basso. La terrazza crollata sugli scogli di Conca dei Marini era (ed è) letteralmente circondata da altri manufatti abusivi: eccoli, sono ancora lì, sgarri criminali alla natura, illeciti in mezzo agli illeciti, a mezzo passo dalla tragedia. Via i grandi teli, quelli che - con la scusa di proteggere i limoni - occultavano i cantieri fuorilegge. Ora resta la nuda pietra. E luccicano i sigilli, simbolo del «fermi tutti» e di uno Stato che non ce la fa ad arrendersi. Si tratta di costruzioni illegali messe sotto sequestro nei mesi scorsi dalla magistratura di Salerno dopo le indagini pazientemente effettuate via mare dagli uomini della Guardia di Finanza guidati dal capitano Alessandro Furnò e coordinati da Napoli dal comandante della sezione navale che ha giurisdizione fino a Sapri, il maggiore Giacomo D’Amico. Gli uomini delle Fiamme gialle, che fanno parte del Reparto operativo aeronautico e navale guidato dal colonnello Senese, hanno individuato in quell’area, durante i mesi scorsi, un grande solarium in cemento armato annesso a un Bed and breakfast già attivo, la nuova ala di una villa preesistente con conseguente realizzazione di nuove camere in cemento a pochi metri dal mare, una costruzione bloccata quando i lavori di rifinitura erano ancora allo stadio iniziale, un’altra villetta situata più in alto, quasi sulla strada nazionale, rispetto alla terrazza crollata. Tutto abusivo. Tutto illegale. Tutto ad altissimo rischio, pietre e cemento rubati senza criterio alla montagna sfregiata. E chi se ne importa del piano regolatore (di cui non si ha traccia) o dei vincoli della Soprintendenza (che invece esistono e restano rigorosi). Tutto sotto sequestro, con tanto di sigilli nella speranza (purtroppo assai vaga) che in tempi accettabili sarà possibile giungere a un dibattimento che consenta la sentenza. Già, ma perchè - allora - le forze dell’ordine che sono riuscite a intervenire su queste strutture illegali, stoppandone la realizzazione, nulla hanno potuto per impedire che fosse installata quella terrazza in legno di pino poi crollata seminando lacrime e lutti? Braccia allargate, di chi si sente sconsolato. Lasciano intendere gli uomini delle Fiamme gialle: «Possiamo intervenire laddove riusciamo a vedere lavori in corso. E cantieri in azione. Poco o nulla possiamo fare di fronte a una anonima terrazza in legno, di cui non conosciamo storia e connotati. Indagare? Senza elementi, è davvero complicato». Tranne il famoso Fuenti, quell’hotel abusivo diventato alla fine degli anni ’90 emblema, simbolo e fotografia di tutti gli illeciti perpetrati in Campania, nessuna struttura illegale è mai stata abbattuta qui in Costiera. Si procede a colpi di sequestro: finora ventidue, da parte delle Fiamme gialle, in questo 2007 che continua. 88 le persone denunciate, conferma Legambiente che ha studiato il fenomeno. Una cifra da brividi, 53 milioni di euro, il valore degli immobili giudicati illegali. A colpi di sequestro. Ma a ritmi burocratici che procedono al passo di lumaca. In compenso, fioccano le prescrizioni. Per scadenza di termini. E le sanatorie, che si succedono a grappoli, come ciliege avvelenate. E gli abbattimenti? Niente. Non una sola pietra dell’enorme villaggio illegale è stata buttata giù come imporrebbe la legge. Omissione inquietante. E scandalosa, visto che si parla di una delle coste più belle del mondo. I motivi di tale impotenza? Tanti. E da approfondire, perchè proprio nell’assenza degli abbattimenti si fonda, secondo gli operatori più attenti, il diffuso senso di impunità che divampa tra chi specula. «Un’impunità - sussurrano esponenti delle forze dell’ordine - che incentiva nuovi abusi e rende il fenomeno quasi ingovernabile nonostante la crescente opera di repressione». Fa notare il maggiore Giacomo D’Amico: «La costiera è lunga venti miglia. Coste alte, coperte da una fitta vegetazione. Abbiamo scovato abusi che perfino da mare risultavano quasi invisibili. A parte i famosi teloni dei limoneti, chi fa illecito ha imparato a mimetizzare perfettamente il cantiere fino a confonderlo con la montagna. Solo occhi esperti sanno guardare oltre quel che appare. Oggi? Il fenomeno mi sembra in una fase di stallo. Però state certi che, finita l’estate, riprenderanno a sfregiare la montagna. Segnalazioni di abusi? Dalla gente ce ne arrivano a valanga. E spesso ci spediscono pure le foto». Ravello è il paese più tartassato, almeno stando al numero dei cantieri sequestrati. Colpa delle sue frazioni, pare, difficilmente controllabili. Segue Amalfi, nella triste classifica. Poi Positano, dove però si annidano tanti «delitti perfetti», cioè illeciti così ben occultati che nessuno riuscirà mai a scoprire. Conca dei Marini e Furore seguono a breve distanza. «Dei tredici Comuni di Costiera - fanno notare gli uomini delle Fiamme gialle - solo pochi sono dotati di piano regolatore». Niente regole, dunque. Ciò in un’area tra le più appetite, dove un metro quadro di terreno ex agricolo arriva a costare diecimila euro. Niente regole, e - dove ci sono - facili da eludere. E così anche una piccola casetta sotto i limoni, costruita alla men peggio da piccole ditte di paese che trasportano gli attrezzi di notte a dorso di mulo o di asinello, qui si trasforma in un business da nababbi. Milionario. Anzi, ultra-milionario. E insaziabile. (1/continua)

I sigilli, l’abbandono. E lo sfregio raddoppia

Enzo Ciaccio – Il Mattino, 22 agosto 2007

«Tra il ’96 e il 2000, col sindaco di Eboli Gerardo Rosanìa, abbattemmo quasi cinquecento costruzioni abusive che avevano deturpato la pineta. Non fu facile: subimmo minacce di ogni sorta. Per alcuni giorni il litorale di Salerno venne tappezzato di manifesti ingiuriosi. Eppure, buttammo tutto giù nonostante le proteste. Da allora, nella pineta fra Battipaglia e Eboli, a nessuno più è venuta voglia di erigere case abusive». Illegalità in costiera: quest’anno i carabinieri di Amalfi hanno denunciato 190 persone, di cui 24 anche perchè avevano violato i sigilli. 105 sono finora i cantieri sottoposti a sequestro. «Fenomeno in crescita», fa sapere il capitano Enrico Calandro, che comanda la compagnia di Amalfi. «Ma di abbattimenti - aggiunge amaro - non si intravede traccia». «Già, in costiera non si abbatte. E ciò, oltre che l’ambiente, danneggia anche i Comuni che vedono intaccato il loro diritto-dovere di pianificare il territorio»: il sostituto procuratore Angelo Frattini si occupa di reati ambientali dal 1993. In questi anni ha maturato la convinzione che bisogna abbattere con determinazione tutto quel che è fuorilegge. Abbattere, senza se e senza ma. «È l’unico modo efficace - avverte - per combattere la tentazione agli abusi». Perciò ricorda con foga la famosa (e riuscitissima) operazione di Eboli, dove il Tar, il tribunale amministrativo regionale, non concesse neppure una sospensiva. E racconta: «A buttar giù i manufatti illeciti dovrebbero essere soprattutto le amministrazioni comunali, che la legge mette in condizione di poter agire seguendo un iter molto più rapido rispetto a quello giudiziario, oberato da troppe pratiche e assillato dai tempi di prescrizione che, per questi reati, sono molto ridotti». I sindaci però si giustificano: spiacenti, non è così semplice. Abbiamo pochi vigili urbani. Le sospensive incombono. E non abbiamo i soldi per abbattere. Il magistrato sorride. È una polemica garbata, però mica inedita: «I Comuni - fa sapere - possono attingere a fondi regionali. E poi, se non ricordo male, il sindaco di Eboli non ebbe remore a far ricorso a un mutuo pur di procedere agli abbattimenti. Si tratta peraltro di spese per le quali ci si può poi rivalere su chi ha commesso l’abuso». Discussioni a parte, resta un appuntamento: alla ripresa di settembre la procura di Salerno chiederà ai sindaci della costiera di partecipare, insieme alla prefettura e alle forze dell’ordine, a una riflessione comune sui temi dell’abusivismo. Così come a Salerno è stato già fatto per la lotta all’inquinamento del mare, si intende avviare un confronto serrato con i primi cittadini sul che fare, quando e come. Aggiunge Frattini: «Nutriamo molta fiducia nel satellite che la Regione Campania farà partire tra poco e nel progetto di legge che accentua le sanzioni e individua nuove ipotesi di reato. Però vorremmo capire a quale sorte sono destinati tutti quei manufatti che, sequestrati da anni, giacciono abbandonati come ruderi negli angoli più suggestivi della costiera». Già, i ruderi fuorilegge. Un obbrobrio nell’obbrobrio. Da Maiori e Minori, sulle colline e a ridosso del mare. Fino a Vietri, dove a otto anni dall’abbattimento (unico esempio, peraltro realizzato tutto a spese dei proprietari) del famoso hotel Fuenti resta un enorme buco osceno a offendere la montagna sventrata. Brutto. Orrendo. Peggio di quel che era stato costruito. Spiega Maria Teresa Mazzitelli, proprietaria del Fuenti: «Dopo aver abbattuto, stiamo lavorando al consolidamento dei costoni. Abbiamo ottenuto autorizzazione da ben diciannove fra enti e associazioni, ma finalmente il nostro progetto è esecutivo: dove c’era il Fuenti sorgerà un’enoteca, un ristorante, una zona benessere. Tutto nel rispetto dei luoghi e nell’ottica di mantenere viva la tradizione eno-gastronomica campana. Al posto della ex discoteca, invece, sorgerà un hotel a cinque stelle. Quando? Entro il 2009. E speriamo che di noi si cominci finalmente a parlare in positivo». Lontano dalla costiera, ma con l’occhio disincantato di chi conosce la materia, l’urbanista Guido D’Angelo commenta: «Abbattere? Non abbattere? Mi chiedo perchè nessuno ricordi una norma del 1987, quella che impone ai Comuni, dopo novanta giorni dalla mancata demolizione di un manufatto abusivo, di acquisire la sua proprietà al proprio patrimonio disponibile. Se la norma fosse applicata, i Comuni della Costiera risulterebbero da tempo ricchissimi proprietari di innumerevoli beni immobili. Che potrebbero affittare. O addirittura vendere al miglior acquirente». (2. Continua)

Quelle ruspe bloccate dal vortice dei ricorsi

Enzo Ciaccio – Il Mattino, 23 agosto 2007

Il record? Non appartiene ai titolari di una casa-vacanze di Praiano (duemila abitanti, due vigili urbani più uno stagionale) che, tra il 2004 e il 2006, si sono beccati (fonte: dati comunali) nove sequestri, dodici ordinanze di demolizione e tre denunce per violazione di sigilli. Il risultato? La casa-vacanze, grazie alla fitta ragnatela di sospensive, sanatorie e richieste di condono, è oggi in piena, «legittima» attività, lieta di ospitare - bed and breakfast - turisti più che soddisfatti che promettono di ritornare. Norme bislacche, comunque la si pensi, se alla fine producono simili paradossi. A quella casa-vacanze, il Comune è stato costretto a rilasciare pure il certificato di agibilità. Commenta il sindaco, Gennaro Amendola: «Se mi fossi astenuto, avrei commesso reato. Insomma, chi ha ragione qui in costiera deve spesso arrendersi alle assurdità». Costiera dei miracoli. O dei prodigi all’incontrario. Dove abbattere un abuso è ritenuto un’utopia. «Essendo di Amalfi, non ho mai fatto vacanze», ha scritto con tenerezza Gaetano Afeltra, innamorato dei suoi luoghi. I magistrati più impegnati criticano i sindaci, i sindaci più sensibili si difendono criticando le norme. Sullo sfondo, un immobilismo legislativo che, secondo molti primi cittadini, mummifica l’esistenza dei 36mila residenti nei tredici Comuni, castigandoli in un groviglio di vincoli che invece di aiutare gli onesti si rivelano spesso indistinti, anacronistici e in contraddizione fra loro. «Abbattere? Non scherziamo: prima della sentenza del consiglio di Stato - dice Antonio De Luca, sindaco di Amalfi - chi ricorre alle ruspe rischia di finire incriminato. Propongo di riformare la legge: quelli che rubano, mica possono far ricorso al Tar. Dunque, si impedisca a chi commette abuso di invocare la sospensiva. Insomma, per me va cambiata la norma. Ed è una questione di pura volontà politica». «Sì - concorda Gennaro Amendola, il sindaco di Praiano - però occorre anche snellire le procedure: nel mio municipio giacciono più di mille pratiche di condono. Negli ultimi cinque anni, ne abbiamo esaminate 400. Duecento si sono trasformate in condoni. Ma è una faticaccia. Il tempo medio dell’iter di una pratica è di otto mesi, cioè un’eternità. Qui in costiera chi commette un abuso sa di avere a disposizione almeno tre anni di tempo prima di essere chiamato a risponderne. Un ricorso al Tar si discute non prima dei due anni. In sei anni da sindaco, non sono riuscito a effettuare nemmeno una demolizione. Ho avviato tre importanti procedimenti di abbattimento, ma il Tar me li ha bloccati. Ci vuole una politica sovracomunale, propongo che la Regione costituisca un Commissariato straordinario per le demolizioni in costiera. Altrimenti, i casi come quello della succitata casa-vacanze o dell’hotel Tritone sono destinati a moltiplicarsi». L’hotel Tritone? Perchè questo esempio? E che vuol dire? Spiega il sindaco Amendola: «Quella struttura, dal 1996 a oggi, ha incassato ben diciannove ordinanze di demolizione, ma senza alcun esito. È lui il vero recordman della Costiera: tra i soci, di minoranza, c’è anche il consigliere regionale e presidente della commissione per la riforma dello statuto, Salvatore Gagliano, che è stato anche sindaco qui a Praiano per sei anni». «Diciannove ordinanze? Ah sì? Non credevo che fossero tante. A me sembra un numero esagerato. Mi scusi, ma mi viene proprio da sorridere...». Lui, il consigliere Gagliano, non appare turbato dalle accuse e dalle cifre. Nè sorpreso: «Anzi - spiega - me lo aspettavo: a Praiano oggi c’è un sindaco comunista che ce l’ha con me, e non solo perchè sono schierato con Alleanza nazionale». Scusi, ma diciannove ordinanze di demolizione sembrano davvero tante. O no? «Tutti gli alberghi e le case della zona vivono simili condizioni, cioè sono in perenne diatriba per le sanatorie o i condoni. Il Tritone ha storia antica, c’è da cinquant’anni. Dunque: 19 ordinanze in 50 anni. Mi pare una media accettabile. Non scherzo. Di sicuro, è più bassa rispetto a quel che possono vantare tante altre strutture che operano in zona». Insomma, è dunque questa la «normalità» in costiera? «No no, attenzione: sto dicendo che la storia dell’hotel Tritone è legittima al 90 per cento. E che quella di tanti manufatti edificati nei dintorni è al 90 per cento illegittima. Perciò, non mi scandalizzo. Nè faccio demagogia. La Regione usi una buona volta i poteri che ha. Se si decide di abbattere, si abbatta tutto quel che c’è di illecito. A cominciare, per esempio, dall’abitazione del papà dell’attuale sindaco di Praiano». Come si dice? Chi è senza peccato... «Qui in Costiera, mi creda, nessuno è senza peccato». E incalza, Gagliano. Sorridendo: «Vogliamo parlare dell’Auditorium a Ravello? O dell’approdo turistico previsto a Praiano in zona 1 A, cioè in un’area inedificabile? C’era perfino il parere favorevole della Sovrintendenza, che in troppi considerano vangelo. Era stato già appaltato, l’ho fatto bloccare. La verità è che sette anni fa, da sindaco, ho adottato il piano regolatore. Forse è questo che dà fastidio». (3.Continua)

Da rudere a villa in una notte

Enzo Ciaccio – Il Mattino, 24 agosto 2007

L’abuso più subdolo è quello fra le mura di casa. Perchè è invisibile. Da terra, da mare, da cielo. È meno che un’ombra. Che inganna, imbroglia, gioca a nascondino. «Un mese fa abbiamo sequestrato un immobile di 180 metri quadri. Valore: un milione di euro. I proprietari avevano ottenuto il sì alla ristrutturazione, ma solo per 36 metri quadri. Tutto il resto, era puro arbitrio»: il capitano Enrico Calandro comanda la compagnìa dei carabinieri di Amalfi. Fra un blitz e l’altro, qui sulla costa dei pirati, racconta di operai che scendono ai cantieri di notte a dorso di asinello, di cantieri in cui si lavora di sabato e di domenica, da mezzanotte all’alba, di manovali che alla vista delle forze dell’ordine se li mastica il buio e li ritrovi voilà al primo sole fra i vigneti, impupazzati da contadini, a far finta di vendemmiare. Formichine aumm aumm. Termiti devastanti. Maghi nell’uso delle cariche esplosive. E dei martelli pneumatici, con cui squarciano la roccia calcarea per rubacchiare spazi alla natura. Ma quale analisi del suolo. Ma quale progetto. E ben conoscono le vie di fuga, fra limoneti e terrazze, camaleonti di mezza costa dalla pelle color montagna. Godono di complicità. Di silenzi. Di protezione. «Eppure - spiega il capitano - trattasi di piccole ditte locali, di poveracci senza pretese però abilissimi a tirar su quattro mura in fretta e furia. Meglio se dotate di palestra, piscina e solarium sugli scogli». «Sì, ma la verità è che qui siamo imbalsamati - contesta Antonio De Luca, sindaco di Amalfi - ai miei concittadini è vietato dotarsi perfino dell’ascensore che conduce al cimitero. Per poter riparare un pavimento, debbono aspettare 70 giorni. Se c’è infiltrazione, ci si allaga». De Luca è come un fiume in piena. E denuncia: «Sono il proprietario dell’hotel dei Cappuccini: per ottenere il sì al restauro conservativo ho impiegato dieci anni. Tempi da incubo, è normale che si diventi abusivi. Mi vietano di costruire le strade interpoderali, costringendo gente anziana a non poter uscire di casa. Dicono no pure ai parcheggi in roccia. Però il ministro Pecoraro Scanio in costiera viene in elicottero. Croazia, Grecia, Spagna: lì vigono legislazioni meno ossessive. Spiegatemi: perchè - se affitto una villa ad Amalfi - non può essere dotata di piscina? Quale sarebbe il reato? Con simili vincoli, non sarebbe stato possibile costruire nemmeno il Duomo». C’è chi ha calcolato che un’opera pubblica in costiera ha bisogno di sedici autorizzazioni per poter partire. Troppe. E magari mancano quelle più efficaci. A non mancare invece sono le contraddizioni. Il sindaco De Luca racconta che ad Amalfi per i parcheggi in roccia c’è il no della Regione Campania e il sì della Sovrintendenza. Per la strada alternativa al centro storico, invece, c’è il sì della Regione e il no della Sovrintendenza. «Io mi sento crocefisso - confessa Domenico Marrone, che il sindaco lo fa a Positano - ho impiegato quattro anni per completare l’ultimo abbattimento, svuotando le casse comunali. Alcune procure sequestrano i servizi igienici delle case illegali rendendole inabitabili: perchè qui ciò non accade? D’inverno, quando gli abusivi impazzano, posso contare su cinque vigili. Spesso, con i riposi, in servizio ce ne sta uno solo». Vincoli eccessivi? «Sì - ammette Marrone - ma grazie ai piani particolareggiati farò presto in modo che sia meno difficile effettuare i piccoli ampliamenti. Lo sa che nel mio paese ci sono cooperative edilizie che aspettano il via libera da trent’anni?». «Il vero nodo - spiega Alfonso Giannella, sindaco di Vietri - per me è nei piani regolatori. Quando esistono, sono troppo vecchi. Il nostro conta dieci anni, va aggiornato». Nove chilometri quadrati, sette grandi frazioni, novemila abitanti: a Vietri operano undici vigili urbani, e pazienza se d’estate la popolazione cresce di tre volte. È a Vietri che nacque l’hotel Fuenti, è qui che fu abbattuto. Sindaco, a quando la riqualificazione dell’area? «Spero al più presto. Quella montagna ferita suscita angoscia e rabbia». «Io ce l’ho con i condoni: rappresentano una vera e propria istigazione a delinquere - sbotta Raffaele Ferraiuolo, ex sindaco di Furore e presidente della Comunità montana - basta col perdonismo, dunque. Dateci più tecnici e ben preparati. A Furore, 900 abitanti in collina, siamo finalmente riusciti a frenare l’esodo verso le Americhe, la Germania, l’Inghilterra. Grazie al turismo, che finalmente decolla. Attenti, vi dico: il non fare nulla, in una zona rurale, può generare più abbandono e disastri di chi commette abusi. Sarebbe utile un ente intermedio, capace di fare da cerniera tra Regione e Comuni: ma che fatica farsi ascoltare». «A me - confessa Gennaro Amendola, il sindaco di Praiano - preoccupa il fenomeno delle case-vacanza: proliferano clandestine, sfuggendo ai controlli urbanistici, fiscali e sociali. Perciò non esistono più case da destinare alle giovani coppie. E non parliamo delle ville in affitto: si va dai 4mila euro a settimana fino a cifre inimmaginabili». «No, non mi va affatto - dice il sindaco di Ravello, Paolo Imperato - che se la prendano tutti con noi primi cittadini. Rivisitiamo le norme, acceleriamo le procedure. Ma per favore, distinguiamo i diversi gradi di abuso. Altrimenti, sparando nel mucchio, restiamo tutti in balìa del caos». (4. Fine. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 21, 22 e 23 agosto)

«Adesso serve uno choc. L'Unesco vada via dalla Costiera»

Intervista a Vezio De Lucia di Gabriele Bojano – Corriere del Mezzogiorno, 21 agosto 2007

«Gli appelli alla fine non servono molto. C'è bisogno di qualcosa di più, di uno scatto di coscienza collettivo. Ma anche di uno choc forte, il nostro Paese ormai reagisce solo di fronte a cose clamorose. Ecco, anche revocare alla Costiera amalfitana il riconoscimento Unesco di Patrimonio Mondiale dell'Umanità secondo me può essere utile. Perchè l'Unesco deve continuare a tutelare un bene che le istituzioni pubbliche non mostrano di apprezzare? Anzi, mi auguro proprio che ciò succeda. Come dicevano i latini: oportet ut scandala eveniant, è necessario che gli scandali avvengano».

Di fronte alla tragedia annunciata del crollo della terrazza abusiva di Conca dei Marini, Vezio De Lucia non può non sottolineare lo sdegno e l'amarezza per tutto ciò che in questi anni non è stato fatto per la tutela ambientale della Costiera amalfitana e sorrentina. C'è sconforto dall'alto della sua esperienza di urbanista sensibile alle ragioni del territorio che diventa rabbia quando parla da redattore di un piano urbanistico territoriale per la Costiera rimasto per 20 anni perfetto sulla carta.

Professore, lei dieci anni fa firmò con altri intellettuali un appello per salvare la Costiera dall'abusivismo edilizio

«Già, sono trascorsi dieci anni e purtroppo nel frattempo la situazione è peggiorata, l'abusivismo si è sviluppato con un ritmo vertiginoso ».

Di chi è la colpa?

«C'è latitanza da parte di Regione, Provincia e Comuni che dimostrano assoluta insensibilità verso questo territorio. Se ne infischiano tutti, questa è la verità. Devono succedere i disastri come quello di Conca perchè si ponga finalmente mano ad una riflessione».

Eppure non fu lei a redigere nel 1987 il Piano Urbanistico Territoriale che aveva tra gli obiettivi il no secco all'abusivismo edilizio visto come fenomeno criminale?

«Sì, è stato l'unico approvato con legge regionale, nel 1987, due anni dopo la legge Galasso. Era un piano paesistico rigorosissimo, perfetto. Prevedeva anche interventi alternativi alla viabilità, come la realizzazione di funicolari».

Mai attuato?

«No, la politica che avrebbe dovuto realizzarlo e sostenerlo con un'azione continua di controllo e di repressione si è ben guardata dall'attuarlo. Basti pensare che ancora oggi la maggioranza dei comuni della Costiera è priva di piano regolatore. È mancata la volontà precisa di operare in questa direzione, anzi non si è persa occasione per derogare da quel piano».

È un'accusa ben precisa la sua. Può farci un esempio che dà la dimensione di questa deregulation?

«Il caso più clamoroso è l'albergo realizzato a Pozzano, a Castellammare, al posto del cementificio».

Un mostro come quello di Alimuri?

«Non mi parli di Alimuri, per cortesia. Quella è una falsa repressione, è un'opera che andava demolita e basta. La strada della compensazione va a sostegno della proprietà, degli interessi peggiori».

Torniamo agli abusi edilizi in Costiera. Qui non è la criminalità organizzata a costruire...

«Non cerchiamo sottigliezze sociologiche, crimini sono gli abusi nel Napoletano, espressione diretta della malavita, crimini sono quelli compiuti in Costiera dai professionisti con l'aura di persone apparentemente rispettabili. Anzi, questi sono ancora più gravi».

E perché?

«Perché è grave vedere come ci sguazzano in queste situazioni la società borghese e i ceti professionali».

Riproporrebbe oggi un appello per la tutela della Costiera?

«È probabile che si rifaccia, anche se alla fine gli appelli non servono molto. Ci vorrebbe invece uno scatto di indignazione da parte della società civile, una reazione collettiva di rifiuto ad accettare la devastazione di un bene comune di tale importanza ».

Qualcuno teme che dopo il disastro di Conca la Costiera possa perdere il riconoscimento di Patrimonio Unesco. È possibile?

«Mi auguro che succeda una cosa del genere. C'è bisogno di uno choc forte per reagire. Troppo poco gli interventi dei carabinieri e di qualche magistrato. E anche voi della stampa potete fare di più».

In che modo?

«Se ci fosse un martellamento quotidiano, non un'azione affidata solo al fatto di cronaca, a quella che Antonio Cederna definiva 'notiza, maledetta notizia'. Ecco, mi piacerebbe una rubrica fissa: 'vediamo cosa succede in Costiera'».

«L'abuso edilizio? Per la borghesia ormai è un vanto»

Intervista a Diego Marmo di Antonio Fiore – Corriere del Mezzogiorno, 22 agosto 2007

NAPOLI — «E' dagli anni Sessanta che sento dire che in Campania il pericolo è rappresentato dalla criminalità organizzata. Il che è sacrosanto, ci mancherebbe. Ma non vorrei che tutto questo tuonare contro la camorra ci impedisse di accorgerci che abbiamo a che fare anche con una criminalità delle persone cosiddette "perbene", e che comunque non hanno niente a che fare né con la macro né con la microcriminalità». L'intervista con l'urbanista Vezio De Lucia sul tema degli abusi edilizi pubblicata ieri sul «Corriere del Mezzogiorno » sollecita le riflessioni di Diego Marmo, capo della Procura di Torre Annunziata: «Sì, è vero. Soprattutto in Costiera l'abuso è commesso non certo dai clan ma da albergatori, oppure da professionisti che hanno lì la seconda o terza casa e che la utilizzano a fini speculativi, non certo abitativi».

Tutte persone considerate «rispettabili», dice De Lucia.

«Certo. Ma bisogna tener conto che tutti questi reati non possono essere il "do di petto" di un singolo, ma nascono da accordi, amicizie, disattenzioni, connivenze».

Connivenze con chi?

«E' evidente: con la pubblica amministrazione. Andiamo: luoghi come la Costiera sorrentina o amalfitana dovrebbero e potrebbero essere guardati a vista e monitorati ogni giorno».

E infatti, tra breve tutta la Campania sarà sotto il costante monitoraggio del satellite, non la farà franca nemmeno un tramezzo abusivo.

«Come se in Costiera occorresse il satellite. Basta una barchetta per perlustrare il litorale, o una passeggiata a piedi per accorgersi delle centinaia di abusi. Né si tratta di abusi "arrangiati", tirati su in fretta, in qualche caso si tratta addirittura di costruzioni di un certo pregio, fatte quasi per farsi notare. E'evidente, dunque, che tutto ciò non può realizzarsi senza una rete di...»

Di omertà?

«Chiamiamola una rete di disattenzione. Anche perché questi edifici, una volta realizzati, hanno bisogno di acqua, di elettricità. E certo i proprietari non possono connettersi da soli, ma hanno ovviamente bisogno di entrare in contatto con la pubblica amministrazione per stipulare i necessari contratti».

Mi faccia qualche esempio di amministrazioni «distratte».

«Il sistema è molto esteso. Ma basterebbe cominciare a fare più attenzione ai dettagli: che so, evitare che nel tale Comune la carica di assessore all'edilizia sia ricoperta proprio da un geometra molto attivo nel campo delle costruzioni... Ma mi preme soprattutto esprimere una preoccupazione: non vorrei che appelli nobilissimi e apprezzabili come quelli recenti del cardinale Sepe o del prefetto Pansa vengano utilizzati dalla borghesia come alibi: tutti uniti contro il pericolo criminalità organizzata (che esiste eccome), ma poi ognuno continua a farsi i fatti propri. Sono il primo a battere le mani al cardinale Sepe quando invita la classe dirigente a uscire dai palazzi: ma facciamolo per stigmatizzare il comportamento delle persone cosiddette "perbene", altrimenti è pura retorica».

Lei sta dipingendo una borghesia perennemente dedita all'abuso edilizio.

«Guardi che l'abuso edilizio è solo una parte delle illegalità che vengono quotidianamente commesse "insospettabili", e che mai potrebbero essere ascritte alla categoria "camorrista". Solo per parlare dei casi più recenti di cui il mio ufficio si è occupato, basta citare l'inquinamento ambientale causato dalle autobotti cariche di rifiuti speciali che hanno sversato direttamente a mare a Piano di Sorrento: gli autori erano tutte persone incensurate, senza alcun legame con la malavita come la intendiamo comunemente. E le piccole fabbriche dove si lavora il pomodoro che scaricano i loro rifiuti nelle fogne collettive? Sono tutte di artigiani incensurati, mica di sanguinari boss. E il caseificio di Agerola che usava il cemento per dare colore e consistenza alla ricotta? E i ristoratori che congelano, scongelano e ricongelano i prodotti non utilizzati? Altro che camorristi. E le morti bianche, un flagello ormai quotidiano? Morti di camorra? No. Conseguenze atroci di una serie di reati che, purtroppo, non scandalizzano più nessuno. E che spesso non vengono percepiti come "colpe" né da chi li commette, né da chi li apprende dai giornali o dalla tivù».

Così l'abusivismo è vissuto e giudicato come un peccato veniale.

«Lei è ottimista. Uno che riesce a farla franca e a tirare su una bella casa con vista panoramica vede aumentare la considerazione attorno a sé. Viene ammirato come una persona furba, intelligente, uno che ci ha saputo fare. Una volta, con uno che aveva commesso una illegalità, i bravi borghesi evitavano persino di prendere un caffè. Adesso, invece, chi infrange la legge è circondato dalla stima e dal rispetto generale».

Anche perché quasi mai gli abusi vengono individuati in tempo. E ancor più di rado vengono puniti. Un caso eclatante e «esemplare » alla rovescia è il recente accordo tra Stato, Regione e privato sull'ecomostro di Alimuri, che ha suscitato molti dubbi e perplessità per le troppe "garanzie" offerte a chi l'abuso lo ha commesso. E intanto l'ecomo stro resta lì, alla faccia di chi ne chiede l'abbattimento immediato come segno di «tolleranza zero» verso simili reati contro l'ambiente.

«Su Alimuri abbiamo in Procura un fascicolo aperto poiché la vicenda ricade nel territorio di nostra competenza, dunque non posso esprimere opinioni. Posso solo dire che i tempi della magistratura non coincidono con quelli della politica. O con quelli che dovrebbero essere i tempi della politica».

«Sono fenomeni dolosi e basta, è in azione una banda di criminali». Qualcosa deve aver convinto il sindaco di Montecorice, Flavio Meola. «L´altroieri notte sono partiti quattro o cinque focolai contemporaneamente». Come dargli torto. Lo scempio comincia sulla statale 18, la strada dei caseifici e dei mucchi di sterpaglie e rovi a cui nessuno fa manutenzione. Benvenuti nel Cilento. Anzi, forse è meglio che ci torniate l´anno prossimo. Un´estate di roghi l´ha distrutto, e si comincia a vedere proprio da qui. Bruciati i punti più panoramici di Agropoli, fuoco alle porte di Santa Maria di Castellabate, fiamme sulla collina del Cenito, la spina dorsale di Punta Licosa che corre lungo la strada provinciale che collega San Marco di Castellabate a Ogliastro, fino a Case del Conte, Ripe Rosse. E ieri pomeriggio anche a Teggiano e a Pollica, sul Monte Stella, sono intervenuti un elicottero e un Canadair. Intanto i carabinieri e la Forestale vanno in perlustrazione a cercare tracce dei piromani, ma al momento, niente di nuovo: la Procura di Vallo della Lucania ha aperto un´inchiesta.

Il Cenito è stata la miccia che ha dato fuoco a Vallone Alto e Licosa. Al posto di querce, olivi, ettari di macchia mediterranea, rovine fumanti proprio sulla provinciale, la strada che nel Parco del Cilento - dove niente si potrebbe costruire - in quest´ultimo anno detiene il record dell´edilizia. Un enorme supermercato, melense villette in stile pseudo-rurale, scheletri di case che sorgeranno in pochi giorni e molto altro. Due anni fa era verde ovunque. Anche di questo si è parlato nella riunione straordinaria che si è tenuta ieri mattina nella sede di Vallo della Lucania dell´ente Parco del Cilento, alla quale hanno partecipato il commissario Giuseppe Tarallo, il vicepresidente della giunta regionale Antonio Valiante, l´assessore all´Agricoltura della Regione Andrea Cozzolino, il commissario del parco del Vesuvio Amilcare Troiano, il responsabile del Coordinamento territoriale ambientale Angelo Marciano e i sindaci dei comuni colpiti dagli incendi. «Intensificare la vigilanza è la priorità delle priorità, per evitare altre giornate di fuoco», dice Cozzolino. Eppure il parco aveva speso anche soldi per la vigilanza. Enzo Durazzo, proprietario di un ristorante, indica le torrette di avvistamento sulla collina del Castelsandra, un punto strategico per la prevenzione degli incendi: «Le hanno installate dieci anni fa, ma non ho visto mai nessuno salirci». Giovanni Brondi, bresciano in vacanza, fa un paragone con la Corsica: «Hanno camionette sparse nel verde con personale che tiene d´occhio il territorio con un binocolo. Quando danno l´allarme, il Canadair arriva in dieci minuti». «Sono arrivati in tanti - prosegue un altro ospite della tenuta di Licosa - ma purtroppo nessuno li coordinava». In qualche caso l´ha fatto chi era in vacanza. Come l´ingegnere Gino Sperandeo, che ha guidato i soccorritori a Vallone Alto indicando possibili bocche d´acqua: «Non ne esistono se non nelle proprietà private e si potevano usare solo quelle di chi possedeva un serbatoio perché l´acqua mancava. Nel parco non ci sono neppure i percorsi: molti erano costretti a fermarsi». La sorveglianza è un problema tragico che nessun parco nazionale sente come questo: proprio vicino al cancello che segna il confine del percorso naturalistico Vallone Alto-Punta Licosa, c´è chi si sta costruendo la casa con discesa al mare dietro una recinzione di edera finta. Dopo aver cementato sulla spiaggia demaniale, ha piazzato una roulotte dove poi ha coperto e ha costruito un terrazzamento con pali di pino come a Furore, dove nei giorni scorsi è crollata proprio una pedana del genere. All´assessore competente sono arrivate varie denunce, ma il lungo e furbo lavoro degli abusivi continua indisturbato.

Il Day after del Cilento ha visto anche il governatore Bassolino di nuovo al telefono con Bertolaso e con il prefetto Pansa, che coordina i prefetti della Campania, questa volta per chiedere i rinforzi nel Vallo di Diano: i gravi roghi di Teggiano, Padula e dintorni. Il dramma degli incendi ha toccato la costa ma anche l´interno: tre persone sono state ricoverate per intossicazione ieri a Perito; si erano rifiutate di lasciare l´abitazione al momento dell´allarme. Continuano i disagi: 20 famiglie di Montecorice hanno passato la notte in una scuola. In tutto il territorio colpito chi aveva preso in affitto casa ha dormito in albergo. Molti hanno trascorso la notte con i loro cani in macchina. La Statale 267 è stata chiusa più volte in giornata per la caduta di massi dalle colline.

Assalto alle coste: in una regione come la Campania che detiene il primato di infrazioni nel ciclo del cemento, dalle cave abusive alla costruzione di immobili anche in prossimità delle spiagge (nel 2006 erano 1166 le infrazioni, 1509 le persone denunciate e 470 i sequestri), è proprio nella «divina» Costiera amalfitana - da 10 anni patrimonio dell’umanità sotto tutela dell’Unesco - che si registra una vera e propria febbre abusiva da ricondurre in gran parte all’altissimo valore degli immobili che secondo il rapporto annuale Gabetti da queste parti si attesta tra i 15mila e i 20mila euro al metro quadro. E mentre la Regione di recente è corsa ai ripari dotandosi di un satellite spia capace di segnalare gli abusi nel giro di 48 ore, il rosario di cifre del rapporto Ecomafia 2007 di Legambiente documenta la triste realtà. Il trend è negativo. La Guardia di Finanza di Salerno nel 2005 ha sequestrato 45 cantieri abusivi per un valore di 24 milioni di euro e ha denunciato 119 persone. Nel 2006 i sequestri sono saliti a 47, per un valore di 33 milioni e i denunciati sono diventati 150. E dopo i primi mesi del 2007 si è già a 56 sequestri, con 200 persone denunciate. Ci sono ville ad Amalfi, Vietri, Ravello, Furore e Positano, come quella sequestrata a maggio alla società Ipa srl e in uso a Franco Zeffirelli: secondo gli inquirenti una delle tre eleganti ville che compongono il complesso era stata costruita completamente sul demanio. Mentre proprio a Conca dei Marini è stato sequestrato uno stabilimento balneare con tanto di teleferica per raggiungere la strada. Ci sono poi tre complessi alberghieri, uno sempre a Conca dei Marini, l’Hotel Santa Rosa, laddove nel ’700 sarebbe nata la sfogliatella a opera delle suore del monastero: più di 4mila metri quadrati di superficie sono finiti nel mirino delle Fiamme gialle che hanno emesso dieci avvisi di garanzia perché in una struttura come quella sottoposta a vincolo non sarebbe sufficiente una semplice dichiarazione d’inizio attività. Gli altri due alberghi si trovano a San Marco di Castellabate nel Cilento e sulla litoranea di Pontecagnano. Non si stupisce di quanto accade oggi a Conca la parlamentare dei Verdi Grazia Francescato: «Territorio sfasciato. Conosco bene la Costiera amalfitana, lì sono stati compiti tanti piccoli ”omicidi”, così li chiamo. Si è costruito senza la benché minima attenzione verso le più elementari regole. E invece proprio lì e dal Sud in generale bisognerebbe invertire quella tendenza nazionale che vede l’Italia maglia nera in Europa quanto alla manutenzione del territorio. Bisogna capire che la prima grande opera pubblica da fare è proprio questo genere di manutenzione. Il territorio è sfasciato». Stessa musica dall’assessore regionale all’urbanistica Gabriella Cundari, che insiste sull’aspetto della sicurezza: «Ogni abuso ha un duplice effetto negativo: è in sé una violazione delle regole, ma comporta anche una ricaduta dal valore incalcolabile per l’incolumità delle persone, perché nei fatti sono proprio i manufatti abusivi a sfuggire ai controlli. Anche per questo ad inizio d’anno la Regione ha avviato la sperimentazione del satellite spia: a settembre avremo il primo rilievo su tutti i 551 comuni della Campania e metteremo in condizione i comuni di verificare ciascuno sul proprio territorio gli eventuali abusi finora non noti. È un primo passo importante». Mentre il capogruppo dei Verdi in Consiglio regionale Stefano Buono chiede che «la maggior parte dei fondi europei 2007-2013 siano spesi proprio per contrastare gli abusi e contro il dissesto idrogeologico».

Chi può accorgersi di una pedana di legno grezzo spuntata nottetempo sulla roccia? Si difendono così i sindaci della costiera amalfitana, mentre chiedono più risorse e più mezzi nell’agosto funestato dalla paura dei crolli, e delle terrazze killer. Tuttavia l’estate 2007 aveva segnato il boom degli abusi edilizi, lo testimoniano anche le dettagliate relazioni dell’ultimo rapporto di Legambiente, Mare Monstrum 2007, che eleggono la Campania ed in particolare quella costa amata dai vip di ogni generazione come «enorme cantiere all’aperto». «La colpa è di tutti», ribatte il sindaco di Amalfi, Antonio De Luca. «Da un lato c’è la carenza di controlli. Dall’altro una normativa troppo rigida e afflittiva. Che vieta tutto e, di fatto, lascia fare tutto».

«È stata la stagione del boom di terrazzi, solarium, piscine, coperture, bar e centri benesseri, completamente fuorilegge, sorti da un giorno all’altro nei comuni di Ravello, Furore, Amalfi, Conca», denuncia il presidente regionale della Campania di Legambiente, Michele Buonomo. Su questi crinali a picco sul mare, borghi entrati nel glamour del turismo internazionale, arrivò esattamente 10 anni fa il riconoscimento dell’Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità: anniversario sfregiato dalla sciagura e dalle continue offese all’ambiente. Spicca, nelle ore dell’inchiesta sul disastro di via Smeraldo, la storia di una singolare "distrazione" che riguarda proprio Conca: ben 4500 metri quadri di giardini e di suolo superprotetto dai vincoli di Stato su cui una società americana stava costruendo un albergo quattro stelle, con annessa beauty farm. È stata la Guardia di Finanza di Salerno a bloccare quell’operazione pochi mesi fa, con sigilli disposti dalla Procura su un affare stimato in 30 milioni di euro. Sei gli indagati eccellenti, tra funzionari e professionisti del Comune e della Soprintendenza ai beni ambientali di Avellino e Salerno: sotto inchiesta per aver concesso autorizzazioni che mai avrebbero potuto essere rilasciate. «Una storia davvero emblematica», spiegano al Comando provinciale delle Fiamme Gialle di Salerno. «Anche perché per far posto a piscina, solarium ed altro erano stati sbancati terreni, giardini e realizzati volumi su volumi».

«Un enorme cantiere abusivo a cielo aperto. In costiera amalfitana, ed in generale sulle riviere della Campania siamo come nel far-west, chi arriva pianta la sua bandierina, che sia cemento, o legno fradicio o pali insicuri che sorreggono una pedana, non importa. Le istituzioni se ne accorgono solo quando ci scappa il morto», sottolinea ancora il referente campano di Legambiente. Buonomo ricorda: «Nei primi cinque mesi dell’anno i sequestri sono stati 22, per un valore di oltre 53 milioni di euro. Significa che ogni cantiere sequestrato quest’anno valeva mediamente poco più di 2,4 milioni di euro, con buona pace dell’abusivismo di necessità». Un’emergenza confermata in pieno dai dati più recenti della Guardia di Finanza di Salerno, le cui pattuglie sono intervenute, negli ultimi 6 mesi, su 25 realizzazioni fuorilegge, denunciando oltre 60 persone. Quasi tutti erano abusi realizzati da strutture alberghiere a cinque stelle o da piccole imprese del turismo. I Verdi annunciano battaglia e Tommaso Pellegrino della Federazione dei Verdi sottolinea: «Urge un monitoraggio attento, aggiornare gli allarmi alle aggressioni di ieri e di oggi che sono state arrecate all’ambiente».

«Ho visto le immagini della terrazza-solarium e del resto della villa: emerge un uso sconsiderato e spericolato della roccia. Probabilmente abusivo, si vede una piccola piscina, tavole di legno per prendere il sole...». Vezio De Lucia, urbanista ed ex assessore al Comune di Napoli e profondo conoscitore della costiera amalfitana, è indignato ma non sbigottito da quanto accaduto a Conca dei Marini. E critica la Regione Campania: «Non ha imposto ai comuni i piani regolatori né l’applicazione delle norme vigenti per la repressione dell’abusivismo».

Professore De Lucia, il crollo sugli scogli poteva trasformarsi in una tragedia più grave.

«Purtroppo me lo aspettavo. Si tratta di interventi realizzati al di fuori di ogni controllo dell’attività edilizia».

La struttura crollata era abusiva. Ci sono altre costruzioni nella costiera amalfitana che sono affette da soluzioni fai-da te?

«Tutta la costiera amalfitana è affetta da fenomeni di questa natura. È una delle aree più pregiate del mondo e dotata di un Piano urbanistico territoriale (Pup) approvato con legge regionale nel 1997 molto rigoroso».

E allora come mai questo scempio?

«Il Pup non è mai stato coerentemente applicato. Moltissimi comuni della costiera, sicuramente Ravello, sono tutt'ora sforniti di un piano regolatore. Tutto viene risolto con soluzioni fai da te, nell’assoluta mancanza di controlli».

Di chi sarebbero le responsabilità?

«La responsabilità è dei Comuni e della Regione Campania. E sono enormi».

Si spieghi meglio.

«La Regione Campania ha esercitato poteri sostitutivi nel comune di Ravello per la costruzione del famigerato Auditorium ma non mi risulta che abbia esercitato alcun potere sostitutivo per obbligare i Comuni della costiera amalfitana a fare i piani regolatori, esercitare i poteri di controllo sull'attività edilizia ed applicare le norme vigenti sull’abusivismo».

Una pioggia di decreti di «vincolo archeologico» sul territorio sidicino: un deciso stop alla cementificazione selvaggia. Si tratta, infatti, di un provvedimento rivolto a ben ventiquattro proprietari terrieri ed emanato a difesa di altrettante zone ora sotto tutela del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Le copie del decreto, fatte recapitare ai cittadini interessati nella giornata di ieri e di oggi, risultano prodotte in data 25 giugno e recano in maniera puntuale tutti gli elementi utili all’identificazione dei lotti immobili vincolati. Una decisa, quanto attesa reazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Napoli e Caserta nei confronti della minaccia, sempre più concreta, di un’azione di cementificazione selvaggia iniziata dai permessi a costruire rilasciati per circa 80 edifici destinati allo svolgimento di «attività produttive». Azione conseguente anche alle denunce contenute nell’inchiesta de «Il Mattino». Si contano, poi, per lo meno, altre cento licenze edilizie concesse a vario titoli per immobili destinati ad uso abitativo privato, molti dei quali addirittura già ufficialmente messi in vendita. A vergare le relazioni tecniche-storiografiche che, assieme ai fogli catastali, sorreggono tutta la documentazione necessaria, il direttore regionale Stefano De Caro, il direttore archeologico Francesco Sirano e la soprintendente Maria Luisa Nava. Un’ancora di salvezza per il parco Archeologico del Teatro di Teanum Sidicinum e per il Santuario di «Iuno Popluna»: i due emblemi della storicità del territorio. A cura della stessa soprintendenza, i ventiquattro decreti (verso cui è comunque ammesso ricorso) verranno trascritti presso l’Agenzia del Territorio - servizio pubblicità immobiliare - e avranno efficacia anche nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo. Questo significa innanzitutto che non sarà più possibile, per esempio, costruire nelle immediate vicinanze dell’eccezionale complesso architettonico pubblico imperiale (Teatro, Anfiteatro, Terme, Templi), una delle grandi risorse della città. Il provvedimento fa perno su molte e fondate motivazioni, decreti legislativi, regolamenti dello stesso Ministero e considerazioni circa i resti archeologici rinvenuti sui vari fondi oggi come oggi essenzialmente agricoli. Ma, appare comunque innegabile, come tra le sollecitazioni maggiormente rilevanti, possano essere a buon diritto annoverate quelle segnalazioni poste in essere da diverse associazioni presenti sul territorio, da Italia Nostra e Mente-Natura dalle Proloco di Teano al Wwf, il Touring club e Masseria Felix, accompagnate dalla decisa posizione assunta agli inizi del 2007 dal Comune di Teano ed espressa per il tramite del Sindaco Raffaele Picierno e dell’Assessore all’Urbanistica Gian Paolo D’Aiello.

Sventrato e poi raso al suolo con un braccio meccanico alto 24 metri e guidato da una pinza demolitrice del genio militare. E' iniziato ieri lo smantellamento del quartiere abusivo, spuntato dal nulla in pochi mesi, lo scorso anno, nella cittadina di Casalnuovo, alle porte di Napoli. Ad assistere al «funerale» delle proprie abitazioni un nutrito gruppo di cittadini truffati dalla ditta Visagi di Domenico Pelliccia, che rimasti senza casa hanno tentato fino all'ultimo di impedire gli abbattimenti. Il ricorso che hanno presentato al Tar è stato bocciato giovedì. Una donna ha anche preso per mano il figlio ed è sgattaiolata dentro l'edificio, il numero 8 di via Vecchiullo. Ha opposto resistenza rifiutandosi di abbandonare il suo appartamento, ma è stata portata via dalle forze dell'ordine.

Sono 57 le famiglie vittime di una mega truffa scoperta all'inizio dell'anno. Un affare enorme in cui è coinvolta parte della classe dirigente locale, comprese le forze dell'ordine, la Finanza, i vigili urbani, i tecnici del comune che hanno fornito i timbri per gli attestati di condonabilità degli immobili, i notai che hanno apposto le firme per legalizzare le compravendite, le banche che hanno concesso i mutui. Un giro di connivenze gestito dalla camorra edilizia, dove il pubblico si mescola agli affari loschi dei privati tramite aziende dalla faccia pulita e che ha permesso di costruire 230 mila metri cubi di edifici, 81 palazzi, 450 appartamenti e una ventina di villette a schiera alla luce del sole, senza che nessuno muovesse un dito. Compreso il sindaco di centrodestra Antonio Manna, che dopo tre mesi dalla scoperta era stato costretto a presentare le dimissioni, salvo ritirarle 30 giorni dopo. Così ieri quando è arrivato a Cesarea per assistere alla demolizione è stato pesantemente contestato e insultato dai cittadini.

L'inchiesta è nelle mani del pm Adolfo Izzo della procura di Nola che un paio di settimane fa ha recapitato le prime 20 richieste di rinvio a giudizio, per un totale di 110 capi d'imputazione che vanno da reati di falso per soppressione di atti pubblici, falso ideologico, truffa aggravata e costruzione abusiva. Ora si dovrà trovare una soluzione alternativa per gli ex-abitanti che in buona fede si sono anche indebitati per ottenere quattro mura in cui vivere e che nel processo saranno considerati parte lesa.

Le istituzioni locali garantiscono che si occuperanno della cosa, ma ieri è stata la giornata della soddisfazione per aver riportato la legalità a Casalnuovo. L'azione più imponente di repressione contro l'abusivismo mai compiuta in Campania. Antonio Bassolino, il presidente della regione, l'ha considerata un'operazione di grande valore per cui la regione ha investito oltre un milione di euro: ce ne vorranno altri quattro di milioni per buttare giù l'intero rione abusivo. Anche il ministro dell'ambiente Pecoraro Scanio ha definito gli abbattimenti una vittoria e una promessa mantenuto una promessa: «Dobbiamo far passare il messaggio della tolleranza zero verso gli abusi edilizi». Soddisfatta Legambiente che però tramite il suo presidente Michele Buonomo ha ricordato come la situazione nella regione sia sempre più drammatica: «Interi quartieri costruiti senza una sola licenza edilizia - ha spiegato - Giunte comunali che si compongono e si scompongono a seconda dell'adesione o meno agli interessi degli speculatori, addirittura enti locali che collocano loro strutture in immobili abusivi, territori divenuti ormai un mostro di cemento illegale». Secondo le stime dell'associazione nel 2006 si è viaggiato alla media di 16 case abusive al giorno, per un totale di circa 6000, con la costiera amalfitana e la provincia di Napoli capitale della cemento connection.

Da Casalnuovo però i rappresentanti del centrodestra fanno sapere di non voler essere etichettati come la cittadella illegale. «Questa operazione è stata pubblicizzata troppo - dice Paolo Proto, consigliere comunale - Il recupero di questa area quanto costerà? Sarà il cittadino a pagare». Sta di fatto che i suoi abitanti hanno già pagato lo scempio del territorio affidato ai propri rappresentanti politici.

Oltre a essere incredibile in sé, la vicenda di Casalnuovo sembra esserlo anche per la reazione piuttosto tiepida che ha suscitato al livello politico e istituzionale. È vero che lo scempio è stato bloccato e che sono in corso le indagini della magistratura, ma resta l'impressione che per la classe dirigente campana questo disastro edilizio costituisca né più né meno che uno dei tanti incidenti politico amministrativi di cui è piena la storia di questa regione e su cui non varrebbe la pena scaldarsi troppo. Sicuramente in qualunque altra parte del paese — a eccezione naturalmente delle altre regioni meridionali, dove purtroppo storie come questa sono frequenti — l'edificazione abusiva di 71 edifici in una piccola cittadina avrebbe scatenato un terremoto politico e istituzionale, con il commissariamento de l comune, l'espulsione del sindaco dal partito di appartenenza, la dura condanna dei vertici delle istituzioni locali e avvisi di garanzia per tutti coloro che direttamente o indirettamente avrebbero partecipato al succoso banchetto. Qui invece non è accaduto nulla del genere, salvo modesti e cauti commenti di circostanza da parte di qualche leader politico locale.

Come se si fosse trattato di una villetta tirata su abusivamente in qualche amena località balneare.

Insomma, ciò che colpisce in questa assurda storia è la sproporzione tra la gravità del fatto e la tiepida reazione del mondo politico che, in fondo, della questione non sembra essere né sorpreso né indignato. E non è da escludere che questo clima politico di prudente valutazione preluda a qualche soluzione accomodante, grazie alla quale la storia potrebbe finire per chiudersi senza colpe né colpevoli.

L'assessore all'Urbanistica della Provincia di Napoli, Francesco Moccia, osservava qualche giorno fa su questo giornale come, ad esempio, la « accu rata drammatizzazione » in atto del problema degli incauti acquirenti degli appartamenti incriminati, rischi di aprire « l'autostrada delle intese, delle sanatorie, delle varianti e di tutti quegli espedienti che mettono una toppa al mal fatto » .

Come si spiega questa tiepida reazione? Si spiega col fatto che fenomeni come questo di Casalnuovo non rappresentano una novità per la Campania. Sono decenni, infatti, che la grande periferia napoletana è devastata da un abusivismo edilizio che forse non ha precedenti nella storia del nostro paese, e sono decenni che il mondo politico vi assiste più o meno passivamente. E sono sempre decenni che storie assurde come questa vedono coinvolti amministratori locali « distratti » , forze dell'ordine sonnolente e presenza di capitali d'ignota provenienza, il tutto in un micidiale scambio in cui si rinuncia alla legalità in cambio di voti. D'altronde i dati di Legambiente parlano chiaro: in Campania 61 mila casi di abusivismo nell'ultimo decennio, per un valore di 4,5 miliardi di euro. Perché mai, allora, dovrebbe indignarsi la nostra classe dirigente, visto anche che in vent'anni non ha mosso un dito per arginare questo disastro? « Ci sono in questa storia » , ha osservato Fabrizio Geremicca su questo giornale, « tutti gli ingredienti della cemento connection: omertà, collusioni e interessi della criminalità organizzata » .

E ciò spiegherebbe anche come un sindaco regolarmente eletto dai suoi cittadini possa avere la sfrontatezza di dire che della faccenda lui era del tutto all'oscuro. Dal suo punto di vista il maxi abuso è questione che riguarda strettamente i meccanismi clientelari e spesso illegali di cui vive la politica. Non sarebbe, quindi, una questione che riguarda i cittadini, ai quali perciò si può dare qualunque insensata, grottesca e provocatoria spiegazione.

Radiografia degli abusi in città il record tra Pianura e Soccavo

Roberto Fuccillo – la Repubblica, ed. Napoli, 2 marzo 2007

Oltre 1300 pratiche, quasi 200 mila metri cubi, per un valore di circa 350 milioni. Eccolo qui il fatturato dell´abusivismo a Napoli, per il solo 2006. Fotografato dall´osservatorio apposito del Comune e rielaborato, in alcune sue parti, da uno studio effettuato dal gruppo consiliare di An, che ne ha presentato ieri le risultanze. L´infestazione colpisce ovunque. Il record è a Pianura-Soccavo, con quasi 70 mila metri cubi nuovi. Segue la periferia nord di Piscinola, Chiaiano e Marianella, con oltre 45 mila metri cubi. Sono anche le aree di elezione della speculazione: qui è infatti altissimo sia il rapporto fra superficie e numeri di interventi (circa 150 metri quadrati a operazione) sia il rapporto fra cubature e superfici.

Insomma è qui che si costruisce massicciamente, mentre altrove si possono trovare spazi meno estesi e cubature inferiori, per un quadro più compatibile anche con l´abusivismo minore della piccola soprelevazione o della copertura della veranda. Colpisce però che persino nel centro della città, la Municipalità I, si registrino 5000 metri cubi illegali.

«Spuntano manufatti come funghi anche all´Arenella o a Posillipo, a via Manzoni e a Marechiaro», spiega Andrea Santoro. Un mercato lucroso assai. Pietro Diodato ha calcolato che il valore a prezzo di mercato di questi manufatti si aggira sui 350 milioni. Il record è dalle parti di Miano-Secondigliano, con 80 milioni. Seguono i 75 di Pianura-Soccavo e i 50 di Barra-Ponticelli e di Chiaiano-Piscinola. Situazione grave, che spinge An a censurare anche l´operato dell´amministrazione. Dice Diodato: le pratiche accumulate con il condono, ancora in attesa di risoluzione, indicano che dal ‘94 al 2003 si sono avuti circa mille abusi l´anno. I 1318 registrati nel 2006 sono un peggioramento».

Un flagello contro cui si combatte con armi spezzate. «Gli abbattimenti si contano sulla punta delle dita - dice Luciano Schifone - e poi si tollera troppo che le opere arrivino allo stadio finale, bisognerebbe intervenire prima, quando si vedono gli sbancamenti o le prime fondamenta». Poi c´è anche le beffa, perché gran parte degli abbattimenti vengono fatti in danno, o meglio a spese del Comune salvo incerta rivalsa a posteriori. An si chiede anche se non sarebbe un miglior deterrente l´acquisizione al patrimonio pubblico dell´immobile piuttosto dell´abbattimento. Ma Diodato apre anche un altro vaso di Pandora: «Pendono oltre 2300 ordinanze di ripristino dello stato precedente dei luoghi, e ne sono state eseguite solo 13». Insomma la repressione non funziona, e Diodato chiede inquieto: «Perché i sigilli vengono violati dopo la scadenza del termine per lo sgombero? Chi controlla le violazioni? Quanto tempo passa fra le segnalazioni dei cittadini e i controlli? C´è davvero la sensazione che le imprese, sempre le stesse, godano anche di coperture e siano forti di una dettagliata conoscenza degli ingranaggi del meccanismo di controllo del Comune».

Ecco il trucco di Casalnuovo

Daniela D’Antonio – la Repubblica, ed. Napoli, 2 marzo 2007

Oggi il gip della Procura di Nola ascolterà il costruttore Domenico Pelliccia e il suo tecnico di fiducia Giovanni Raduazzo, i primi due arrestati per lo scempio urbanistico di Casalnuovo. Sono accusati di truffa aggravata, reati urbanistici e falso in atto pubblico. Aspettando i risultati dell´interrogatorio, nella cittadina sono aperte le scommesse su quale sarà il prossimo palazzo abusivo. E in molti puntano su un indirizzo: via Zicarlo, alle spalle della scuola elementare "Viviani", vicino alle giostre e alla caserma dei carabinieri. Lì sorge una grande baracca di lamiera che, si vocifera in paese, nasconderebbe addirittura delle fondamenta degne di un palazzo di cinque piani. Voci, non c´è dubbio, ma la baracca c´è ed è su suolo agricolo. Una piccola (e tipica) storia di Casalnuovo per raccontare uno dei trucchetti più amati dagli speculatori. Un metodo semplice: dalla sera alla mattina sorge una anonima baracca. Ciò che conta, almeno nella prima fase, è il perimetro giacché i proprietari con grande premura si preoccupano si commissionare un rilievo aereo da allegare a una eventuale richiesta di sanatoria. Una immagine dove difficilmente si potrà stabilire l´altezza della costruzione mentre saranno evidenti le misure del perimetro. La baracca alta quattro o cinque metri, così, come per miracolo, a tempo debito si trasformerà in un palazzo alto trenta metri.

L´altro trucco molto in voga è quello del cambio di destinazione d´uso: nelle maglie del piano regolatore si trovano spazi "d´oro" a disposizione di chi vuole costruire. Centinaia di uffici, così, diventano "civili abitazioni" grazie a un generoso cambio di destinazione. Possibile che sia questo il motivo per cui vicino al cinema Megamagic stanno costruendo migliaia di metri quadrati per ospitare una serie di "ostelli della gioventù"? Al momento i lavori sono fermi per problemi burocratici. Ma, giurano in paese, riprenderanno presto. Appena si saranno calmate le acque.

Provincia, allarme degli esperti: nei cd le foto delle opere illegali

Enzo Ciaccio – Il Mattino, 20 febbraio 2007

«I cd contenenti le mappe? Sono a disposizione gratuita da più di due anni, ma finora solo alcuni fra i sindaci della provincia di Napoli hanno sentito il bisogno di consultarli. Eppure, è proprio guardando le immagini satellitari contenute nei cd che è possibile rendersi conto di quali e quante costruzioni abusive esistano sui territori di propria competenza». Rocco Mari e Vincenzo Guerra sono il responsabile e l’ex responsabile del Sit, il «sistema informativo territoriale», un progetto che, coordinato dall’assessore all’Urbanistica Moccia, la Provincia di Napoli presieduta da Dino Di Palma da anni cura tramite una convenzione stipulata con Telespazio. Nella regione più martoriata d’Italia, qui dove l’abusivismo genera devastazione, morti e rovine, da anni i «primi cittadini» - grazie al progetto Sit - hanno la possibilità di avere sotto gli occhi lo scenario dettagliato e concreto degli illeciti perpetrati in loco. Foto scattate dal satellite. Aggiornate e raffrontate nel tempo. Perciò, precise. Illuminanti. Inequivocabili. E invece? E invece, niente. O quasi. La maggior parte dei sindaci, sebbene più volte sollecitata dall’Ente locale, non solo non si affretta a dotarsene per imbastire una strategia di interventi, ma non si reca nemmeno a visionarle per curiosità. Per poi magari stra-giurare, come spesso avviene quando si scoperchia un grande abuso, di «non averne mai saputo nulla». Un’omissione allarmante, questa dei sindaci. Che sembra dirla lunga sulla reale volontà di combattere, nell’hinterland napoletano, l’orrenda piaga delle case fuorilegge. «Tenga presente - ammettono Mari e Guerra - che la consultazione delle immagini presuppone la conoscenza di tecniche non elementari, di cui alcuni uffici tecnici sono sprovvisti. È anche vero, però, che il Formez svolge ottimi corsi di aggiornamento». Al quinto piano di via don Bosco, grandi monitor per visionare le mappe. Raccontano Mari e Guerra: «Oggi spesso ci convocano come testimoni nei processi su opere abusive. Tutto iniziò cinque anni fa con un progetto commissionato dal Comune di Acerra. Lo scopo era soprattutto di natura fiscale. Poi, abbiamo lavorato con la procura di Torre Annunziata. E con la procura di Nola, che alla fine ha scoperchiato il bubbone dei rioni fuorilegge di Casalnuovo». Sì, ma come si lavora? Qual è il metodo? La risposta: «Sovrapponiamo immagini scattate dall’alto in epoche diverse e raffrontate con le cartografie e le carte catastali di cui abbiamo disponibilità». Aggiunge Guerra: «Il punto di partenza più efficace è una foto storica del luogo. Avuta quella, e se essa è un’immagine nitida, gran parte del lavoro è fatto. Ma attenzione: non sempre quel che appare nella foto corrisponde al vero. A volte, per esempio, i dati catastali sono aggiornati anagraficamente ma non graficamente. O viceversa. Prima di sentenziare che trattasi di abuso, perciò, e per evitare errori bisogna attuare tutte le verifiche più accurate». Non solo. Perché i risultati siano blindati, bisogna - anche e il più possibile - tenere aggiornate le immagini. Perché la realtà cambia. E quella dell’abusivo non è mai uguale a se stessa. Raccontano Mari e Guerra: «Affinché il satellite fotografi il territorio provinciale occorrono quindici giorni. Senza nuvole che oscurino la vista. È un lavoro delicato. Da mesi l’ufficio sta lavorando a una orto-foto a colori, scala uno a cinquemila, cioè a una immagine ad altissima risoluzione scattata dall’aereo ma molto più dettagliata di quelle satellitari. Per intenderci, si vedono i camion a grandezza di macchinine giocattolo. È un lavoro di aggiornamento esteso a tutta la Campania, commissionato dalla Regione. Sarà pronto entro cinque mesi: in questi giorni si stanno collaudando le immagini del Salernitano». Trattasi di un lavoro complesso, operativamente realizzato in tandem da due società specializzate, la Rpa di Bologna e la Stereocarto spagnola. I caratteri? Gli esperti assicurano: «Dall’alto, si giunge a mettere a fuoco perfino una baracca di tre metri per tre». Perciò: abusivi, tremate. Siete finalmente sotto tiro. Sempre che i sindaci si decidano a consultare le mappe. La mappa aggiornata, appunto, ci fa sapere che dal 1988, nella provincia di Napoli (4 milioni di anime su un territorio pari a un decimo di quello campano), l’incremento edificatorio risulta pari al 35 per cento. Le concessioni edilizie - nello stesso lasso di tempo - non hanno superato il 5 per cento o giù di lì. Indovinate, dunque, quanti sono stati gli abusi. (1 - continua)

Così 45mila vani illegali hanno ferito il Vesuvio

Enzo Ciaccio – Il Mattino, 21 febbraio 2007

Nola. Una procura efficiente, che amministra 33 Comuni. Un presidio ben guidato. E animato da quindici bravi magistrati. Che però, per colpa della carenza di mezzi, da novembre non riescono a registrare tutte le notizie di reato. L’arretrato segna quota ottomila. 45mila le «notizie» ricevute nel 2005. 40.249 l’anno scorso. Di queste, 3.344 riguardano verbali di sequestro. Cioè, illeciti edilizi. Che hanno priorità assoluta. «Il condono? Un disastro. Ha moltiplicato gli abusi, ha scatenato la corsa a far risultare le opere antecedenti al 31 marzo 2003». Francesca Servillo, giovane pm da sei anni e mezzo alla sezione «Tutela del territorio» voluta dal procuratore capo di Nola Adolfo Izzo, usa parole severe contro la sanatoria e le tentazioni che essa suscita nel mondo del cemento illegale. Cinque magistrati. Un impegno totale. E davanti agli occhi, lo scenario angoscioso di un territorio che da Marigliano e Pomigliano, da Volla a Casalnuovo passando per Acerra si estende fino alla dilaniata area vesuviana, dove ai rischi del vulcano da anni si accavallano criminali ondate di cemento che non lasciano scampo a eventuali fughe da eruzione. Qualche anno fa, il procuratore generale della corte di appello di Napoli Galgano ha detto: «Per erigere un edificio di media grandezza c’è bisogno di circa 288 ore di lavoro. Cioè 12 giorni, lavorando 24 ore su 24. Esistono ditte fantasma con manodopera a cottimo specializzate in questo genere di fatica. Sono veloci, efficienti. Per sgominarle, ci vorrebbe un controllo anche notturno». E l’associazione «Cigno verde» denuncia: «200 chilometri quadrati, 600mila abitanti. Nei diciotto Comuni dell’area vesuviana si concentra il top dell’abusvisimo nel Sud d’Italia. Si contano 45mila vani illegali, 50mila richieste di condono. E solo 4mila risultano le ordinanze di abbattimento». Frasche frondose, fogli di lamiera. Se occorre, tende a fasce verticali bianche e blu come quelle da giardino: mille i trucchi usati per occultare un’opera abusiva in fase di realizzazione. Lo scorso anno, nell’area del parco Vesuvio, la procura di Nola ha accertato centinaia di abusi. La «classifica» vede al primo posto Marigliano con 83 casi. Seguono San Giuseppe Vesuviano, Acerra, Somma Vesuviana. E Terzigno. E Ottaviano. All’ultimo posto c’è Liveri. Racconta un vigile urbano: «L’abusivo vesuviano non ha scrupoli. Mai. Né limiti. Costruisce ovunque, perfino a ridosso dei luoghi di culto. Lo dimostra l’orrendo balcone realizzato qualche anno fa a ridosso della chiesa di santa Caterina a Marigliano, gioiellino del 700 in località Lausdomini». Già, ma come fanno? E perché l’abusivo se la cava quasi sempre? Il pm Servillo spiega: «Gli uffici tecnici comunali si accontentano della Dia, la dichiarazione di inizio lavori, e non pretendono certificazioni più accurate, comprese le fotografie comparate dei luoghi, che per legge sono obbligatorie. Pigrizia, compiacenza, ignoranza: a monte c’è un po’ di tutto». E Maria Cristina Amoroso, anche lei pm della sezione «Tutela del territorio»: «Incrociamo tanti tipi di abuso. C’è chi non possiede alcun titolo, chi realizza altro rispetto a quanto dichiarato, chi costruisce in difformità rispetto alla licenza, chi dà luogo a volumi tecnici che tecnici non sono: parlo dei famosi sottotetti di Marigliano, per esempio, trasformati furbescamente in mansarde abitate. A migliaia». Scoprire i furbacchioni è difficile. Perché loro sono abili. E possiedono mezzi in abbondanza. Ma impedire che - una volta scoperti - gli abusi continuino grazie alla sistematica violazione dei sigilli, appare spesso ancora più complicato. Racconta il procuratore capo, Adolfo Izzo: «Ho chiesto da tempo nuclei interforze per intervenire tempestivamente contro chi viola i sigilli. I sindaci però non mi rispondono. E mi chiedo: a che serve il patto di legalità se permangono così gravi silenzi?». E il pm Servillo: «Scoperto l’abuso, noi chiediamo al gip il sequestro dell’immobile. E deleghiamo la polizia affinché provveda allo sgombero. I proprietari, a questo punto, ci presentano istanza di condono. Noi manteniamo lo sgombero. Allora spunta un certificato medico: c’è in casa una donna anziana. E malata. Noi resistiamo ancora. E non sospendiamo lo sgombero. Nominiamo un consulente, affinché effettui la perizia. Ma se nel frattempo, come spesso accade, arriva il condono da parte del Comune non possiamo che arrenderci». Dice Valeria Sico, anche lei pm a Nola: «La gente qui fa fatica a ritenere un reato l’abuso edilizio. Pensa che sulla propria terra possa fare ciò che vuole. La violazione dei sigilli prevede al massimo otto mesi (che nessuno sconta). Entro due anni la pena viene sospesa. L’abuso è un reato che va in prescrizione nel giro di quattro anni. Per essere condannati, tutti i gradi di giudizio dovrebbero esaurirsi in quel lasso di tempo. Ci si sente impuniti. Perciò in pochi accettano di abbattere». E il pm Servillo: «Se riuscissimo a ottenere subito l’abbattimento sarebbe già molto meglio. Da qualche settimana, alla fine dell’iter e di fronte a un mancato abbattimento, disponiamo che l’immobile venga restituito non più al proprietario ma al Comune, che lo acquisisce. È una novità interessante. vedremo che cosa accadrà». (2 – continua)

Melito, parco fantasma nove palazzi sequestrati

Gigi Di Fiore – Il Mattino, 22 febbraio 2007

Melito. Il via vai al supermercato «Deco» fa a cazzotti con il deserto spettrale di venti metri dopo. «Vietato l’accesso ai non addetti ai lavori», dice il cartello all’ingresso di un’area fantasma. È il «parco Guerra», da quasi due mesi sotto sequestro. Un insieme di nove palazzine di due piani, per un totale di 460 appartamenti. Tre palazzine sono ancora in costruzione, una ha addirittura solo i pilastri e i piani appena realizzati. «Tutto abusivo», sostiene la sezione ecologia e ambiente della Procura di Napoli. A novembre, il pm Cristina Ribera firmò il suo decreto di sequestro preventivo. Su quell’atto, in un mese e mezzo si sono espressi due giudici terzi: il gip Alberto Vecchione e pochi giorni fa la dodicesima sezione penale del Tribunale. Tutto confermato. Case e manufatti restano vuoti, con segni di un cantiere ancora aperto da una parte, erba alta e qualche sintomo di vita passata, come gli aeratori dell’aria condizionata. «Il parco Guerra? Non c’è nessuno. In questo tratto di viale Europa, c’è solo la pizzeria ’a Bizzoca», dice un signore fermo al largo «cinque vie». In totale, 460 unità immobiliari, realizzate dall’impresa «Progetto casa 2000 spa» dei fratelli Guerra di Mugnano. Dagli imprenditori, una sola cauta risposta: «Per ora non diciamo nulla, siamo convinti di avere tutti gli atti in regola. Siamo certi che riusciremo a dimostrare la nostra correttezza al processo». I difensori annunciato un rito abbreviato e sollecitano il rinvio a giudizio. Nelle foto aeree, riprese dal comando della guardia di finanza del gruppo di Giugliano guidato dal maggiore Geremia Guercia, colpisce l’ampiezza del parco. L’ingegnere Giulio Dolcetti, consulente della Procura, ha sottolineato una «illegittima lottizzazione approvata dalla Giunta e non dal Consiglio comunale, senza trasmissione dei progetti ai preposti organi di controllo». E poi, ha aggiunto: «Le concessioni edilizie erano state rilasciate per opifici industriali, secondo il piano di lottizzazione. In realtà, in contrasto con gli strumenti urbanistici del Comune di Melito, l’area è stata trasformata di fatto in zona residenziale». Tutte le palazzine sono di due piani. Secondo il consulente del pm, l’attuazione del piano regolatore prevedeva immobili di un solo piano a destinazione artigianale e commerciale. Solo in una palazzina si era aperta un’attività artigianale: il panificio «Abbondante», che ha dovuto chiudere i battenti a dicembre, con tutti gli ingombranti macchinari. Sloggiato, per il sequestro. Insieme con una ventina di famiglie, sgomberate alla vigilia di Natale. Occupanti di case abusive, secondo il decreto di sequestro. Un’inchiesta partita da lontano, anche con intercettazioni telefoniche sugli imprenditori, che coinvolge pure il notaio che ha stipulato le compravendite. «La lottizzazione abusiva è un reato con conseguenze particolari - spiega l’aggiunto Camillo Trapuzzano, responsabile della sezione ecologia e ambiente della Procura di Napoli - la Cassazione a sezioni unite, proprio su un nostro ricorso passato, ha stabilito la confisca obbligatoria. In sostanza, anche dopo un’eventuale prescrizione del reato, complessi realizzati con lottizzazione abusiva possono essere confiscati e assegnati all’ente locale che potrà poi disporne l’utilizzo o l’abbattimento». Ma al Comune di Melito sembra abbiano altri problemi da risolvere. Dal dicembre del 2005, ci sono i commissari straordinari dopo lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche. Solo 74 dipendenti, per un Comune che ha ormai 36 mila residenti. Un villaggio rurale trasformato, in trent’anni, in un agglomerato di case e palazzi dalle origini incerte. Spiega il commissario straordinario Giovanni Lucchese: «Qui abbiamo di tutto, dagli immobili della 219 ad altri. Siamo impegnati a ricostruire l’origine giuridica degli immobili realizzati nel Comune. Impresa non facile, anche perché spesso gli atti furono sequestrati dai magistrati e dobbiamo ritrovarli e metterli assieme. Un lavoro di ricognizione con organico di pochissime unità, nato con un Comune di 30 anni fa». Cittadina dormitorio, napoletani che tornano a Melito solo la sera. Case a prezzi convenienti, molte vendute con domande di condono presentate. Se ne sono accumulate centinaia per i tre condoni degli ultimi anni. Nelle loro memorie difensive, gli avvocati Antonio Abet e Luigi Severino, legali dei fratelli Guerra, hanno sostenuto che anche sul parco sequestrato erano «pendenti domande di condono». La domanda di condono resta alibi e giustificazione per costruzioni che violano i piani regolatori. Contraddizioni delle leggi. In un caos, che fa della provincia napoletana un ammasso di immobili illegali. Il «parco Guerra» a Melito è solo la punta di un iceberg. Per altri edifici nello stesso Comune sono in corso indagini. E si annunciano sorprese. (3 - continua)

La paura del Vesuvio non ferma i costruttori

Enzo Ciaccio – Il Mattino, 23 febbraio 2007

Parco del Vesuvio. Zona rossa, rossa di vergogna. Diciotto Comuni, oltre trecentomila abitanti. 180 notizie di reato all’anno. Per incendi boschivi. Per rifiuti tossici. E soprattutto, per l’edilizia illegale. Scempio planetario. In un luogo carissimo al mondo. Sono 34 le guardie forestali chiamate a sorvegliare l’enorme area protetta. Dovrebbero essere almeno 50. «Area protetta», così la etichettano per legge. E figuriamoci se non lo fosse. Cemento. Qui l’occhio è invaso da una enormità di cemento che sa di imbroglio più che altrove. È una presenza sgraziata. Cafona. Che si mescola orrenda agli alvei del vulcano, alle sue pendici boscose, ai cumuli di immondizia abbandonati a tonnellate lungo i viali. Quasi introvabili i suggestivi tetti a cupola, quelli tipici delle case locali di una volta. A cupola. Perché così era più facile far scorrere le polveri eruttive. Luigi Saviano, lo storico che oggi ha ottant’anni e gusto sempre fine, li definì «trulli vesuviani». E fanno il paio con i vitigni di Lacrima Christi, il nettare sanguigno che eroico sopravvive fra queste zolle sfregiate ma ancora ribollenti. Ah, vuoi fare un giro? Sì, però usiamo la tua macchina. Perché le visite a Cemento selvaggio vanno consumate senza chiasso, meglio se a bordo di automobili che risultino anonime a chi non ama i curiosi. Statale 268, la trappola mortale. All’uscita di Saviano (il paese), scheletri grigiotopo salutano beffardi. Si sentono al sicuro. Sanno che sulla 268 nessuno può fermarsi, nemmeno per fotografarli in un attimo. E spudorata, ecco in azione sulla destra una immensa pompa di quelle che erogano le gettate di cemento. Un cantiere attivo, e che fa se oggi non è sabato o domenica. Ma questa non era zona rossa? Terra malandrina. A Ottaviano, negli anni ’80, don Raffaele Cutolo stipulava i suoi atti di compravendita direttamente con i sindaci in carica. A me il castello Mediceo, a te il terreno circostante. Cronaca datata? Speriamo. Poco tempo fa, nella vicina San Gennarello, fu scoperta una villa letteralmente sepolta nel terreno. In attesa di spuntar fuori, alle prime avvisaglie di condono. Lungo la strada Panoramica che conduce a Trecase c’è una casupola devastata dai vandali. Doveva essere la sede Infopoint dell’ente Parco Vesuvio. E di fronte al rudere, sullo sfondo il mare, Capri e la penisola sorrentina, si intravede un’area di seimila metri quadri, circondata da un muro perimetrale sormontato da lamiere che ostacolano la vista all’interno. Un cancello chiuso, operai che lavorano. E due enormi ruspe che scavano e scavano. Ma che cosa scavano? E col permesso di chi? Una jeep color del cielo va e viene lenta lungo la stradina che spacca i vitigni. Controlla chi siamo. Con aria seria. Come se fossimo abusivi. Si affaccia un operaio. E richiude il cancello dei misteri. Cerchiamo il cartello che indichi la direzione dei lavori. Non si vede. Forse manca. Possibile? E cantieri si intravedono all’altezza della bocca eruttiva di Viuli, in piena zona lavica. Eccoli, alla vista si offrono come enormi cubi infagottati di stuoie e lamiere, color verdognolo. A risultare invece assai visibili sono i cosiddetti «ferri di attesa». Che cosa sono? Quei ferri che chi costruisce vesuviano ha l’abitudine di lasciare ai bordi del tetto di ogni abitazione. A che servono? Non si sa mai, magari un domani si deciderà di inalzare un altro piano. E un altro ancora. Quei ferri sono un segno. Di «bulimia» edilizia. Di insaziabile protervia. E continua, il viaggio in zona rossa. Lungo la via Zabatta, a Terzigno, si susseguono i manufatti fuorilegge. «Immobile sotto sequestro», hanno fatto scrivere in alcuni casi i magistrati. E il cemento invade perfino il bosco, infestato di scheletri innaturali e osceni. E più avanti, se lungo via Cavour a un certo punto si gira sulla destra, ecco un cantiere in frenetica attività. Stanno erigendo una ventina di villette, il sistema è sempre quello di tener nascosta alla vista l’area in cui si lavora tramite lamiere, stuoie e tutto quanto possa servire. Legambiente, come spesso fa in questi casi, ha segnalato il cantiere all’ente Parco. Perchè si intende capire se davvero tutto è in regola. Il viaggio continua. E tocca il territorio di San Gennarello, frazione di Ottaviano, che - secondo il decreto di scioglimento per infiltrazioni di camorra - «è occupato da edilizia abusiva per il settanta per cento»: «Nel paese del clan Fabbrocino - si legge nel documento - i vigili urbani selezionati dal sindaco non hanno mai proceduto al sequestro di automezzi edili né ad alcuna identificazione. Eppure, il materiale edile risulta fornito da un’impresa il cui titolare è il fratello del sindaco. E si è intervenuti con grave ritardo su una cava abusiva di sabbia gestita da un soggetto legato al clan dominante». Dice Ciro Lungo, ingegnere, coordinatore «territorio e ambiente» del parco Vesuvio, che è anche il capo delle guardie forestali: «Da qualche mese i magistrati con cui collaboriamo stanno ordinando più sgomberi e perquisizioni, anche domiciliari. È un buon segno. Che ci aiuta molto. Dall’inizio di quest’anno abbiamo effettuato già 13 demolizioni. Come dice? Qual è il nostro rapporto con i sindaci dell’area rossa? No, per favore: mi fa un’altra domanda?». (4 - continua)

«Costruzioni fuorilegge il rischio prescrizione»

Gigi Di Fiore – Il Mattino, 24 febbraio 2007

Al decimo piano della torre B al centro direzionale di Napoli, si vive un isolamento dorato. Lontani dal cuore degli uffici della Procura, i magistrati della sezione ambiente e ecologia sembrano relegati in una specie di oasi, affaccendati in indagini da riflettori spenti. Eppure, in mano a 18 sostituti ci sono qualcosa come diciottomila fascicoli pendenti. Piccole e grandi illegalità di un territorio scempiato, violentato. Abbandonato. «Gestiamo indagini di abusivismo in un’area che è la più grande d’Italia per competenza di una Procura - spiega il procuratore aggiunto Camillo Trapuzzano, responsabile della sezione - Dobbiamo fare di continuo i conti con i pericoli sempre in agguato della prescrizione e della continua assenza degli enti locali, cui, in materia di abusivismo, le leggi affidano tanti poteri e competenze». Nella provincia dei 21 Comuni sciolti per infiltrazione camorristica, il caos amministrativo sui manufatti che violano piani regolatori, piani paesaggistici, prescrizioni edilizie è spaventoso. Le amministrazioni comunali hanno quasi tutte pochi uomini nella polizia municipale impegnati ad occuparsi di abusivismo edilizio, spesso disattenti. Dice Cristina Ribera, la più anziana di concorso in magistratura nella sezione ambiente della Procura: «Quasi sempre svolgiamo funzioni di formatori del personale comunale in materia di norme sull’abusivismo. Sono proprio coloro che dovrebbero svolgere funzioni di polizia giudiziaria nella prevenzione di quei reati». Ognuno dei sostituti della sezione si vede passare in media duemila fascicoli all’anno. Spiega Giuseppe Noviello, uno dei sostituti più attivi della sezione: «Se i Comuni applicassero sempre la legge dell’85, non dovremmo preoccuparci per i pericoli di prescrizione. Sono i Comuni che dovrebbero disporre la demolizione dei manufatti abusivi, o acquisirli al loro patrimonio. Non lo fanno quasi mai. Tutti aspettano i nostri sequestri. Anche sull’abusivismo, svolgiamo sempre funzioni di supplenza». Il territorio provinciale come prateria estesa per costruire, anche con l’alibi della domanda di condono da presentare. Nella certezza che nessuno avrà mai interesse ad esaminarla con rapidità. Dice Paolo Sirleo, altro pm della sezione: «Faccio un esempio per capire quanto si potrebbe fare per evitare gli scempi del territorio. Otto anni fa, tra Associazione dei Comuni, Enel e Legambiente fu sottoscritto un accordo. Prevedeva, per gli immobili abusivi sequestrati, l’immediata interruzione della fornitura elettrica. L’Enel non applica quasi mai l’accordo». Segnalazioni in ritardo, spesso connivenze. E l’illegalità delle costruzioni abusive alimenta il degrado che è poi scenario ideale per altri reati sul territorio. Se in provincia c’è ancora spazio per le vaste lottizzazioni abusive di interi parchi, in città l’ultima moda è il «cambio di destinazione d’uso». Spiega il pm Noviello: «Abbiamo notato nel centro storico, ma anche in quartieri come il Vomero o Chiaia, capannoni che diventano supermercati o garage. Insomma, ex capannoni, magari prima di metallo poi diventati di cemento e allargati, sono stati trasformati in immobili di grosse speculazioni». In un territorio dove si parla molto di legalità, le amministrazioni comunali solo di rado svolgono funzioni di vigilanza preventiva sugli abusi edilizi. Dice il procuratore aggiunto Camillo Trapuzzano: «La Cassazione a sezioni unite ha dato ragione a un nostro ricorso, stabilendo che quando si accerta una lottizzazione abusiva il manufatto può essere confiscato anche dopo la prescrizione del reato. Piccoli passi, ma spesso affrontiamo questi reati ad armi spuntate. Sono contravvenzioni a pene personali risibili, naturalmente. La confisca o l’abbattimento restano le sanzioni più temute. Al vecchio abusivismo di necessità si è ormai sostituito l’abuso con intento speculativo». Procida, Ischia, Qualiano, Afragola, Giugliano sono le zone che danno maggior lavoro alla sezione. Commenta con ironia Cristina Ribera: «Molte di queste zone non hanno più toponomastica. Gli immobili abusivi hanno l’indirizzo identificato nei lotti numerici». (5-fine)

Sul fenomeno dell'abusivismo in Campania, in eddyburg

Italian police have impounded an entire neighbourhood built illegally on the outskirts of Naples, part of an operation magistrates hope will uproot the mafia wealth hidden behind the day-to-day mob shootings that plague the city.

In three raids this month, police sealed off with crime scene tape 50 new buildings containing more than 300 flats as well as 22 small villas that have appeared on broccoli fields in Casalnuovo, on the rural fringes of Naples' sprawling suburbs.

"About €50-60m (£33-40m) was invested here," said investigating magistrate Francesco Greco. "The money involved, the size of the site and the lack of permits leads us to believe a criminal organisation may be behind it, probably with political support."

Local mayor Antonio Manna, elected as a candidate for Silvio Berlusconi's Forza Italia party, told the newspaper Corriere della Sera he was unaware of the mammoth development and that he would order an inquiry immediately.

Local politicians may have used legislation allowing amnesties on illegal building to let the Naples mafia start the construction, claimed Tommaso Sodano, head of the Italian senate's environmental commission. But investigators used old satellite photographs of the area, which is officially classified as agricultural, to prove the unlicensed buildings were erected after 2003, the last time the Italian government offered such an amnesty.

Today the work is near completion, most streets are paved and lit and the apartments are hooked up to the national electricity network. Five families who have purchased apartments and moved in would have to leave, said Mr Greco.

Mr Sodano said that if local politicians did not organise the demolition of the neighbourhood, Rome should send in the bulldozers. The governor of the Campania region, Antonio Bassolino, has promised to increase satellite photo monitoring of unlicensed building - believed to amount to 16 new houses a day in the region.

There have been five mob-related killings in Campania in three days this month, which have been linked to a turf war between the clans that make up the city's Camorra mafia, despite a crackdown ordered by the government and an anti-violence campaign launched by the city's churches.

Le colpe di chi tollera l'abusivismo

Giacinto Grisolia - Il Mattino,12 febbraio 2007

La vicenda dell’abusivismo edilizio a Casalnuovo, anche per la sua dimensione macroscopica, suggerisce alcuni inquietanti interrogativi ai quali occorrerà comunque dare risposta se si vuole con serietà e impegno contrastare questo fenomeno. Anche perché, pur nella sua insostituibile funzione, la magistratura da sola non potrà mai risolvere la questione generale dell’abusivismo. Il fenomeno in effetti si è radicato nella quasi totalità del territorio regionale della Campania, divenendo un dato fermo della sua fisiologia; si è insomma fatto sistema, con una rete vasta di connivenze e di complicità ma anche con collegamenti con la criminalità organizzata. Non è per caso che, anche in tempi recenti, taluni hanno suggerito che del problema si occupasse, accanto alla magistratura ordinaria, anche quella direttamente impegnata nel contrasto della criminalità organizzata. Per misurare l’invasività del fenomeno abusivo, si tenga conto che la Campania occupa il primo posto nella graduatoria per tasso di abusivismo. Ciò significa che, al di là della repressione dei singoli episodi, una risposta risolutiva deve venire dal sistema politico e di governo delle amministrazioni locali. È fin troppo evidente che ormai la questione fuoriesce dal perimetro degli illeciti edilizi. È divenuta di natura politica, si è fatta terreno per fare politica, per aggregare il consenso politico, per organizzare e sciogliere alleanze politiche e maggioranze di governo che traggono sostegno dall’uso dissennato del territorio.

E allora, per cominciare. Sorprende non tanto la soddisfazione, in sè fondata, con la quale in tanti nei giorni scorsi hanno accolto l’approvazione da parte della Giunta campana del piano territoriale regionale, ma il ruolo che a questo strumento è stato attribuito, quasi di contrasto risolutivo del fenomeno dell'abusivismo. Non è così. Il nuovo strumento regionale, utile e positivo, definisce solo le grandi linee per l’assetto del territorio, ma nel concreto ha di per sè un effetto quasi marginale nei confronti dell’abusivismo. C’è di più. Addirittura gli strumenti urbanistici comunali, in pratica i piani regolatori, che invece per loro natura - questi, sì - devono regolare l’attività edilizia, sono ormai in Campania essi stessi inefficaci di fronte all’abusivismo. Nella realtà territoriale campana, non è sempre vero che, fatto il piano regolatore, stabilite cioè le regole, l’abusivismo viene eliminato. La quasi totalità dell’edilizia abusiva è stata realizzata nei Comuni dotati di strumenti urbanistici. Ciò evidentemente non significa che avere o non avere il piano urbanistico è la stessa cosa. Tutt’altro. Il punto è che non basta fare le regole senza accompagnarle con un impegno e rigoroso per farle rispettare proprio perché l’abusivismo è rottura delle regole e si consuma perchè si pone al di fuori e contro di esse, anche se, come è ovvio, il gioco è più facile quando non esiste lo strumento urbanistico. La via maestra è dunque il controllo rigoroso del territorio comunale da parte delle amministrazioni anche quando c’è il piano regolatore e, a maggior ragione, quando non c’è. La legge urbanistica fondamentale, quella del 1942, la madre di tutta la disciplina urbanistica italiana finora approvata ed in vigore, stabilisce che è responsabilità del Comune, in particolare del sindaco, il controllo e la vigilanza del territorio e di tutte le modificazioni che su di esso intervengono. Come si fa a sostenere che è sfuggito al controllo del sindaco un insediamento di ben 29 edifici nel comune di Casalnuovo? Un sindaco che si consente distrazioni di questa gravità, che non si avvale dei vigili urbani per ispezionare il territorio per tutto il periodo della costruzione e per tutto il tempo resosi necessario per la vendita delle abitazioni configura una materia che è anzitutto di competenza del magistrato e che sarà pertanto discussa nelle aule giudiziarie. Ma emerge anche una questione politica ineludibile sulla idoneità di amministratori tanto «distratti» ad esercitare una carica pubblica di tanto rilievo per l’integrità e la tutela del territorio comunale che è un bene pubblico. Dunque chi ha competenza per porsi questo interrogativo è bene che se lo ponga e che si dia una risposta. Ma vi è un altro interrogativo che pure occorre porsi. Questi edifici abusivi nati sono stati venduti a famiglie, probabilmente incaute, forse con atto pubblico. È possibile che non sia stato chiesto al venditore alcun documento circa la regolarità edilizia ed urbanistica? Possibili tante distrazioni, tanta sciatteria? Le risposte a questi interrogativi possono risultare illuminanti, di certo utili e comunque un buon contributo per individuare dove stanno i punti cruciali delle tante devastazioni del territorio che si consumano in Campania con la pratica dell’abusivismo.

Camaldoli, arrivano le ruspe ma il Tar ferma gli abbattimenti

Stella Cervasio –la Repubblica, ed. Napoli, 13 febbraio 2007

Un´ordinanza del Tar che smentisce in pieno la cronica lentezza della giustizia, ha bloccato la demolizione ordinata dal Comune delle villette abusive nel Parco Metropolitano delle Colline di Napoli. Il Servizio Antibusivismo del Comune aveva disposto l´abbattimento dei manufatti di via Soffritto, nei pressi delle cave di Verdolino, sul versante di via Epomeo del Parco dei Camaldoli e ieri mattina la ditta incaricata dal Comune era sul posto accompagnata dalle forze dell´ordine e dalla polizia urbana. L´operazione era in corso e le ruspe stavano compiendo la loro opera, quando è giunto un provvedimento del Tribunale amministrativo regionale a bloccare l´ordinanza comunale. «I servizi preposti hanno compiuto il loro dovere con diligenza e tempestività - dice l´assessore all´Edilizia Felice Laudadio - ora si tratta di attendere la conclusione della fase cautelare dell´azione giudiziaria. Ma la linea del sindaco non cambia: interverremo con grande determinazione contro gli abusi edilizi». In sei mesi, previa distruzione di un frutteto, nell´area del Parco Metropolitano inclusa nei programmi del Maggio dei Monumenti per un sito di interesse storico archeologico, era sorto un villaggio di palazzine monofamiliari, parte delle quali già abitate da qualche mese. Ieri la città ha tentato di difendersi dall´assalto del cemento, ma non ci è riuscita. Intanto la terza sorpresa abusivismo nel giro di pochi giorni arriva dal territorio di Casalnuovo. Mentre ancora si discute delle sorti di due interi rioni completamente abusivi (per un totale di cinquanta edifici fino a sei piani) sorti a pochi passi dal centro cittadino, ieri terzo intervento dei carabinieri coordinati dal procuratore aggiunto della Repubblica di Nola Francesco Greco: sequestrate ventuno villette a schiera completamente fuorilegge, costruite da una delle imprese che hanno edificato anche i palazzi abusivi. Questione di abitudine.

Postilla

E intanto il "governatore" della Regione annuncia fiducioso (la Repubblica 11.2.2007 e l'Unità 12.2.2007) l'accordo per l'impiego di 7 satelliti, di cui 2 della Nasa, per monitorare dal cielo il territorio campano e impedire costruzioni abusive e mattanze ambientali. Sette satelliti per individuare 50 palazzi cresciuti fino al sesto piano e decine di villette a schiera? Le capacità oftalmiche degli amministratori campani sono davvero deboli.

Ma la prevenzione si accompagna alla repressione: venerdì scorso la Regione Campania ha aumentato considerevolmente i fondi per la demolizione degli edifici abusivi e il recupero delle aree. A demolire ci hanno provato anche ieri ai Camaldoli (subito dopo la denuncia della stampa), bloccati in poche ore dalla celere giustizia del Tar, come di consueto.

Gli esempi del passato, però, ci spronano all'ottimismo: il Fuenti è pur stato abbattuto. Dopo trentuno anni. (m.p.g.)

Sull'argomento, in eddyburg

Credo che oggi la consapevolezza della necessità di governare le trasformazioni del territorio sia notevolmente cresciuta e che ciò sia avvenuto, più che per la persuasività delle argomentazioni di tecnici e scienziati, per la oggettiva forza degli accadimenti reali: le frane e le alluvioni, l’avvelenamento di acque e suoli, le malattie respiratorie da traffico, l’invivibilità degli agglomerati edilizi, privi di spazi verdi e di attrezzature sociali.

Nelle situazioni cui si è giunti, non si può pensare di rispondere a questa necessità se non dando adeguata attenzione, ed in modo integrato e contestuale, alle questioni ambientali, alle esigenze sociali, alle prospettive di sviluppo economico basate su una valorizzazione delle risorse territoriali, che perciò innanzitutto non vanno dilapidate.

Ciò può farsi soltanto combinando in forme coerenti politiche e programmi socioeconomici con la pianificazione urbanistica, che ha il compito di individuare – attraverso processi democratici assistiti da valutazioni tecnico-scientifiche – le parti di territorio che debbono essere tutelate (non solo le pendici franose, ad esempio, ma anche le superstiti aree naturali e i territori agricoli che ci forniscono cibo ed ossigeno) e quelle che possono essere invece trasformate (urbanizzate, edificate) per verificate esigenze socialmente rilevanti.

Considerazioni come queste sarei stato indotto a reputarle banali. Non lo penso più, dopo aver letto su queste pagine sabato scorso lo straordinario fondo di Diego Lama. Il suo commento alla vicenda del rione abusivo di una trentina di edifici “promosso” dalla camorra a Casalnuovo si apre con un richiamo a Mani sulla città, ma si chiude con la aberrante conclusione che “il vero nemico” è “il proibizionismo”: “più i nostri piani regolatori saranno vecchi, dirigistici, vincolistici, severi, non strategici ma coercitivi, più i cittadini tenteranno in tutti i modi di farsi in proprio il whisky, il crack o la palazzina di cinque piani”.

In due-tre righe si concentrano almeno tre tesi mistificatorie: la prima è che la definizione da parte di un’istituzione democratica di un piano che stabilisca quante costruzioni occorrano e dove si possano realizzare sia una manifestazione di proibizionismo; la seconda è che la libertà del cittadino includa tanto il diritto di bere liquori a casa sua quanto quello di costruire una palazzina di cinque piani in un’area che il piano (ossia la collettività, se ha un senso la democrazia rappresentativa) ha destinato diversamente in considerazione del complesso delle esigenze sociali; la terza è che un piano quando è strategico lasci liberi i cittadini di costruire quante palazzine vogliono e dove vogliono come se bevessero un whisky. Infine, conclusione implicita che è bene invece dire a chiare lettere: come ci si può indignare con la camorra se i piani regolatori sono così dirigistici e vincolistici ?

Stupefacente, davvero stupefacente. Complimenti !

Se volete sapere di che cosa si parla vedete qui

Un altro rione che non c´è. Un quartiere che non esiste, una cittadella fantasma. Ventuno fabbricati per 135 appartamenti. Come l´altra, quella a settecento metri di distanza in linea d´aria. Ci sono i palazzi finiti e tinti di rosa e appartamenti arredati. La luce è già stata allacciata e c´è l´acqua. Qualcuno ha comprato l´appartamento con una scrittura privata convalidata da un notaio. Ma non esiste alcuna licenza, zero autorizzazioni.

Due quartieri fuorilegge, rioni virtuali immensi ma che nessuno ha visto durante le fasi di costruzione. Così è cresciuta Casalnuovo negli ultimi tre anni. Cinquanta palazzi alti fino a sette piani completamente abusivi. Nessuna Dia (Dichiarazione di inizio lavori), nessuna autorizzazione del Comune o certificato Antimafia. Ma ci sono stati i tecnici dell´Enel e ci sono stati i vigili urbani per verificare la residenza di chi ne aveva fatto richiesta. Sono state sistemate piante ornamentali e c´è una statua di Padre Pio. Sugli edifici le antenne paraboliche. Come un gioco, in cui ognuno fa la sua parte ma senza mettere nulla nero su bianco. Cemento per sessanta milioni di euro.

Primavera 2003, mese di maggio. I rilievi satellitari registrano terreni a uso agricolo regolarmente coltivati lungo via Filichito a Casalnuovo. Tutto in regola, a due mesi dal decreto sul condono firmato dal governo Berlusconi. Due anni e mezzo dopo ci sono cinquanta palazzi in più. Lo scopre la Procura della Repubblica di Nola, i carabinieri di Casoria coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Greco. Che ora spiega: «Casalnuovo è solo l´inizio. Faremo controlli a largo raggio sull´abusivismo e sui tentativi di ottenere condoni che, come in questo caso, sono impossibili». Indagini complesse che coinvolgono anche il Comune di Casalnuovo, da cui sono spariti un centinaio di fascicoli che riguarderebbero proprio quelle richieste di condono. Gli inquirenti hanno già interrogato parecchi dipendenti del Comune, una domanda fissa: come è possibile che, a fronte di queste dimensioni di abusivismo, nessuno si sia accorto di niente né abbia denunciato? Nessuna risposta, per ora. Connivenze? Si sospetta di imprenditori collegati con la criminalità locale e di protezioni politiche.

In queste ore, intanto, il sindaco forzista di Casalnuovo, Antonio Manna - che potrebbe disporre l´abbattimento immediato dei rioni fuorilegge - fa sapere che è stato fissato per oggi il Consiglio comunale per affrontare l´argomento, e che una commissione verificherà tutte le denunce anonime su altre costruzioni abusive arrivate in questi giorni in Comune. Intanto però l´inchiesta è solo all´inizio. Sulla vicenda interviene il senatore di Rifondazione comunista Tommaso Sodano, presidente della commissione Ambiente, che ha firmato una interrogazione parlamentare al ministro dell´Interno: «Occorre dare un segnale forte - commenta - demolendo i manufatti abusivi in costruzione. Il territorio è controllato dal clan Moccia di Afragola, camorra imprenditoriale, e quello di Casalnuovo è l´unico Consiglio comunale che non è mai stato sciolto per camorra in tutta la zona». Dunque Sodano chiede al ministro dell´Interno di verificare se «esistono le condizioni per lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni camorristiche».

L'immagine è dal Mattino del 7 febbraio 2007. Il sen. Tommaso Sodano è il primo firmatario della "legge degli amici di eddyburg"

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