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Salve prof. Salzano, sono, ancor prima che studente di architettura nella facoltà di Firenze, un giovane ragazzo sardo. In quanto studente di architettura, ho avuto modo di conoscerla, senza interloquire, in una lezione frontale, di qualche anno fa, che tenne, nelle ore di lezione del prof. Morandi. In quegli anni ho avuto modo di conoscere lei e le sue opere, compreso la bellissima e sempre aggiornata pagina web. Poi, lei diventa protagonista della mia Terra, grazie alla sua collaborazione per la stesura del nostro PPR. Niente mi ha reso più orgoglioso in questi anni, ma sopratutto quando ho letto il suo nome, non ho avuto dubbi che il lavoro di quel Piano, fosse al di sopra di ogni sospetto. In questi giorni, lei, come noi sardi, avrà appreso della sconfitta del presidente Soru, il quale ha deciso di combattere all'opposizione, grazie all'appoggio dei molti giovani che lo hanno sostenuto in questi giorni drammatici. Ecco, questa mia mail, la scrivo, per iniziare a difendere il lavoro, di quella giunta che è stata appena bocciata, da quelle persone mal informate, sull'indispensabile e rivoluzionario PPR sardo. Avendo appreso, dai giornali, che uno dei primi provvedimenti, riguarderà proprio il PPR, le chiedo, in che modo potranno intervenire sul lavoro fatto finora. Cosa possiamo fare, quali azioni possiamo intraprendere, affinché quel Piano non venga toccato? Quali strumenti abbiamo, noi, gente comune, per difendere a spada tratta, l'operato del PPR? A livello universitario, si potrebbero creare dei comitati, a sostegno del vostro lavoro, affinchè la nuova giunta sarda, non possa agire liberamente a causa del disinteresse e l'ignoranza, totale degli abitanti? Chiedo consigli a Lei, in quanto penso, sia la persona più adatta ad indirizzarmi nelle strade più importanti e giuste, per difendere, ancor prima che il PPR sardo, quei principi fondamentali ed imprescindibili, alla base di quel lavoro. La ringrazio anticipatamente della sua collaborazione e posticipatamente per essere stato attore del nostro più importante strumento di governo del Territorio Sardo

Caro Omar, non sono protagonista del piano paesaggistico della Sardegna, ma solo uno dei membri del Comitato scientifico che ha aiutato il presidente Soru, la Giunta e, soprattutto, l’ufficio diretto dall’ingegner Paola Cannas a redigere il piano. È un lavoro al quale sono molto orgoglioso di aver collaborato, e che ritengo espressione di una politica di tutela del patrimonio comune eccezionale: vorrei dire unica in Italia. Ma il merito maggiore va indubbiamente a Renato Soru, alla sua determinata volontà e alla fedeltà all’impostazione di base che caratterizza la sua cultura. Devo dire che anche Soru ha i suoi difetti: per esempio, non ero affatto d’accordo con la legge urbanistica che la sua Giunta aveva predisposto, e non ho mancato di fargli conoscere le mie ragioni critiche. Ma non abbiamo bisogno di santi (seppure ce ne fossero), invece di parsone che sappiano fare ciò che i tempi e le occasioni chiedono loro, e che nel farlo siano migliori degli altri. Ora non ho dubbi sul fatto che, oggi, in Italia, per quel lavoro di tutela del patrimonio collettivo costituito dal paesaggio (e dalla cultura che esso esprime), Soru abbia fatto il meglio che si potesse fare.

Credo che dobbiamo domandarci perché il popolo sardo non lo abbia compreso. Le ragioni sono certamente molteplici: il “pensiero unico” che negli ultimi decenni ha pervaso tutte le teste, e che ha portato in primo piano l’illusione che difendendo i propri interessi economici immediati contro tutto e tutti si serve la propria felicità; la sterminata potenza di fuoco mediatico messo in campo di quel macroscopico “errore politico” che è Silvio Berlusconi; le piccole, meschine furberie autolesioniste nelle quali si è espresso il fastidio degli “alleati” di Soru per le asprezze del suo carattere e, soprattutto, per qualche “pulizia” che ha fatto. Ma io credo che ci siano stati anche errori suoi: forse ha lasciato appannare la forza del suo messaggio, ha cercato mediazioni che si sono rivelate illusorie, non ha saputo coniugare il carattere “aristocratico” del suo messaggio con la ricerca di una base popolare abbastanza larga, costruita sui principi che sono alla base del suo agire.

Scusami questo lungo sproloquio, ma la tua lettera mi spinge a riflettere su una vicenda che continua ad appassionarmi. Una vicenda che non è chiusa, a mio parere. Lo sarebbe stato se Soru, dopo la sconfitta, av esse abbandonato. Così fortunatamente non è. I voti che ha preso per la sua politica (che sono più di quelli che ha preso la coaliizione costruita per appoggiarlo) sono una ricchezza che va spesa: in primo luogo per accrescerla e farla diventare di nuovo maggioritaria e, nel frattempo, per difendere ciò che la Sardegna, grazie a lui, ha conquistato. Come? Tu lo chiedi, e dai alcune prime risposte.

Sarà certamente utile utilizzare le università, a condizione che i miei colleghi sappiano abbandonare gli atteggiamenti accademici, sappiano chinarsi sulle cose, comprendere e far comprendere, impegnarsi in una battaglia politica che deve consistere in primo luogo nel far condividere agli altri ciò che ci sembra giusto: al popolo, ai cittadini che non parlano né conoscono le parole difficili. E sarà utile aggregare tutti quei cittadini che hanno fiducia in Soru e, soprattutto, nei principi e nelle qualità del territorio che lui difende. Sarà utile rafforzare quei comuni che non pensano che il bene collettivo consista nello svendere i patrimoni che ci sono stati consegnati dagli avi, e conquistare i comuni oggi diretti da chi ha venduto l’anima pubblica al mercato immobiliare. Sarà utile coinvolgere tutti quegli intellettuali che hanno compreso che la politica avviata da Soru è quella necessaria, ma che non riescono se non con fatica a uscire dalle loro torri d’avorio. Sarà utile cercare i canali mediante i quali si possa allargare all’Italia, all’Eutropoa e al mondo la denuncia dei tentativi di distruggere ciò che nel quinquennio di Renato Soru si è costruito.

Eddyburg è pronto a fare la sua parte

INVIATO A CAGLIARI E’ una partita a poker che vale due miliardi di euro, in cui ognuno gioca per conto suo, quasi tutti indossano gli occhiali scuri per non far vedere lo sguardo, e tutti hanno un interesse, non sempre coniugabile col bene comune. Dietro le dimissioni di Renato Soru c’è la sfida di una lobby del cemento, le mire, a volte indecenti a volte no, di imprenditori e palazzinari, le faide dentro il Pd, persino la villetta del piccolo consigliere locale, che magari vota contro il piano paesaggistico del governatore. Se ci fosse Rosi potrebbe girare «Le mani sull’isola ». La città è troppo poco. Certo, siamo a Cagliari, da dove tutto è cominciato, e nelle cui vicinanze si combattono due delle contese che più hanno lavorato ai fianchi il governatore. Ma non è solo Cagliari. Passeggiando per le rovine archeologiche di Tuvixeddu, per esempio, la scritta che blocca i lavori dell’ingegner Gualtiero Cualbu è ancora affissa, «sito sottoposto a blocco cautelativo dall’autorità giudiziaria». Cualbu, il più noto costruttore edile della città, oggi anche albergatore di lusso col Thotel, voto (esplicito) a destra, aveva presentato un progetto di utilizzo di un’area degradata di 50 ettari dove fino agli Anni Sessanta la gente viveva incastrata come nei Sassi di Matera, 38 dei quali da destinare a parco urbano, e dieci a residenze. Un business da 260 mila metri quadri di nuovi volumi, investimento tra i 150 e i 200 milioni di euro. La Regione ha stoppato tutto, Soru spiega che «quella è un’area archeologica tra le più belle della nostra terra, e non sopporta volumi di queste dimensioni». Cualbu ha fatto ricorso, e adesso racconta: «Sono la vittima predestinata, il costruttore che gli serve per fare bella figura sui media, ma avevo tutte le autorizzazioni. Una cosa è certa, noi il 5 dicembre riprendiamo i lavori». Bisogna dunque, come sempre, se- guire dove va il fiume di danari che scorre - o potrebbe scorrere - nell’isola, per cominciare a capire cosa c’è alla radice delle (tante) ansie di rivincita che si coalizzano contro Soru. E risalire un po’ la costa orientale da Cagliari a Cala di Giunco, Villasimius - dove anche in questa mattinata variabile è possibile vedere i fenicotteri. Un sindaco di sinistra, Salvatore Sanna detto Tore, che ostenta familiarità con Walter Veltroni (il segretario democratico ha semplicemente fatto vacanza da quelle parti), aveva inizialmente benedetto il progetto di Sergio Zuncheddu, altro grande costruttore, editore dell’Unione Sarda, nemicissima di Soru: villaggi per 140 mila metri cubi di nuovi volumi, investimento di 90 milioni di euro, stop a tutto, e il Tar che ha appena dato ragione a Soru. Come andrà a finire? Zuncheddu è tenace, «noi andiamo avanti, ricorreremo ancora». Tra parentesi: lui ha l’Unione, e ora anche La Sardegna si è spostata a destra. Prima l’editore era Nicki Grauso, ora una compagine di imprenditori legati a Marcello Dell’Utri. La mappa del potere muta, a urne ancora chiuse. A Cagliari il sindaco forzista Emilio Floris è sul piede di guerra perché sono fermi lavori sul lungomare Poetto, sul porticciolo di Marina Piccola, sul campus universitario. Vuole candidarsi? Alla Maddalena, che Soldati chiamava «la piccola Parigi», dopo il G8 del 2009 si farà un bando per il polo turistico, è assodato che concorreranno il riabilitato Aga Khan (pronto a spendere 150 milioni), una società monegasca (la Giee, collegata col gruppo Rodriguez, che fa yacht d’altura, ne sborserebbe 70), e anche Tom Barrack, se al quartier generale confermano: siamo interessati anche noi. Ma è una partita da giocare. Altre si stanno giocando. Negli ultimi due anni, per dire, i fratelli Toti e Benetton sono arrivati sull’isola più volte per proporre un progetto nella zona di Capo Teulada, all’inizio si sono fatti precedere da una telefonata di Francesco Rutelli. La regione ha controproposto: impegnatevi invece nel tratto di miniere dismesse di Sant’Antioco, dove urge una riqualificazione. Risposta: fossimo matti. Stessa sorte è toccata a Domenico Bonifaci, che voleva operare su un’area intorno a Porto San Paolo, edificando tra l’altro nuove residenze nell’agro, cosa vietatissima dalla filosofia- Soru (i tre chilometri dalle coste sono inespugnabili, e oggetto, appunto, della legge contestata). Lì i lavori non sono neanche mai partiti. Alcune porte però si aprono, Soru le cita per dire «è falso che io sia contro l’impresa tout court». Colaninno sta riqualificando un vecchio albergo a Is Molas (progetto di Massimiliano Fuksas), i Marcegaglia hanno acquisito il Forte Village (Tronchetti aveva visitato le miniere dismesse di Ingurtosu, poi ha scelto di non investire), Barrack sta facendo semplici lavori di ristrutturazione dei suoi alberghi della Costa Smeralda, Ligresti ha visto approvare il suo Tankka Village (sempre a Villasimius). Perché loro sì? La regione ritiene che non sfondano il territorio con nuovi volumi, anzi razionalizzano strutture obsolete. Paolo Fresu, jazzista veltroniano, ha lanciato per mail una petizione pro Soru coi suoi amici intellettuali, Salvatore Niffoi, l’attrice Caterina Murino. Ma magari pesa di più l’ira dei sindacati, che strepitano perché l’ex mago del bilancio di Soru, Franceso Pigliaru, il Giavazzi sardo, ha rimesso in sesto il bilancio anche tagliando 98 milioni di euro per la formazione: prima se li pappava la triplice. La circostanza che i seguaci di Cabras, il senatore amico di Fassino capo degli anti-Soru, votino contro il piano paesaggistico è, in questo mare, la semplice goccia. Peserà questa, o il fatto che la somma di tutti gli investimenti bloccati è vicina al miliardo, e - accusa Silvio Berlusconi - «Soru penalizza l’economia »? No, replicano in regione, gli occupati nel settore edile crescono del 18 per cento. E secondo l’assessore all’Urbanistica Gian Valerio Sanna, il miliardo bloccato è compensato da un altro miliardo virtuoso: 500 milioni investiti in tre anni dalla regione per centri storici, campagne, agricoltura, e altri 500 dai progetti approvati ai privati. Ci sono mani e mani, sull’isola della lotta al potere del cemento.

La legge vigente in Sardegna e quella in corso di approvazione da parte del Consiglio regionale prevedono entrambe che il Piano paesaggistico regionale sia approvato dalla Giunta e redatto sulla base di un documento di indirizzo del Consiglio.

E’ stata approvata soltanto la prima parte del Piano paesaggistico, quella relativa alle coste, la seconda parte, relativa alle zone interne, è stata elaborata ma non ha ancora concluso il suo iter. Obiettivo della giunta Soru è di completare il piano entro il mandato amministrativo, quindi approvare nei prossimi mesi anche la seconda parte del piano.

La discussione che è esplosa in Consiglio regionale riguarda la volontà da parte di alcuni, comprese alcune componenti della maggioranza, di utilizzare per la formazione della parte residua del Piano paesaggistico, le nuove norme anziché quelle precedenti. In sostanza significa che lo stesso Consiglio che ha approvato il documento di indirizzi sulla cui base è stato fatto il Piano paesaggistico, vuole adesso approvare un nuovo documento di indirizzi sulla base del quale ricominciare la pianificazione delle zone interne.

Soru e la Giunta, da quello che si capisce dalla lettura dei giornali, sembrano invece determinati ad approvare il più presto possibile il Piano nella sua interezza. Rimettere le cose in discussione significherebbe ritardare di un consistente numero di mesi il procedimento e quindi non arrivare all’approvazione completa del piano entro il mandato amministrativo. Bisogna considerare che da tempo, da parte della maggioranza, c’erano malumori nei confronti di Soru e quindi questa, più che l’occasione, è stata il pretesto per tentare di commissionarlo

CAGLIARI - Alla fine Renato Soru non ce l´ha fatta più. E all´ennesimo sgambetto della sua maggioranza ha dato le dimissioni. È accaduto ieri a tarda sera in consiglio regionale durante le votazioni sulla legge urbanistica, il caposaldo della sua attività di governo. Quando è stato bocciato a voto palese (55 no, 21 sì e un astenuto) un emendamento della giunta regionale il governatore della Sardegna si è alzato e insieme agli assessori ha abbandonato l´aula. Dopo un´ora e mezza di attesa Soru si è ripresentato in aula e ha annunciato le dimissioni. «Ma non lascerò la politica», ha detto dopo.

Il provvedimento respinto avrebbe dovuto sostituire la vecchia normativa del 1989 per completare il programma di governo del territorio, cominciato con la legge «salvacoste» del 2004 e proseguito con il Piano paesaggistico. Per il governatore era una «parte fondamentale della legislatura», quella che avrebbe consentito di puntare ad una pianificazione legata a uno sviluppo ambientalmente sostenibile per l´isola, con una serie di vincoli tra cui il divieto di inedificabilità assoluta nella fascia dei 300 metri dal mare.

Soru aveva messo in guardia la maggioranza in mattinata nel suo primo intervento dall´inizio dell´esame della nuova legge urbanistica. «Il Piano paesaggistico regionale è stato parte fondamentale di questa legislatura. Disconoscerlo, in qualunque modo, è un fatto grave, che dovrà essere preso nella giusta considerazione da parte di tutti noi», aveva dichiarato, invitando a votare per l´emendamento di sintesi della Giunta che avrebbe consentito alla Regione di approvare la seconda parte del Piano paesaggistico regionale con le nuove procedure previste dalla legge in discussione.

L'avvertimento non è stato colto e Soru stanco di mesi di guerriglia, a cominciare dalla continua messa in discussione della sua ricandidatura alle elezioni regionali del prossimo giugno, ha deciso di andare sino in fondo e di non farsi logorare sino allo sfinimento, come nelle ultime legislature è accaduto agli altri presidenti della Regione, sia di sinistra che di destra, in prossimità della scadenza del mandato, in piena lotta per le candidature.

«Non è un dissenso solo sul merito della legge urbanistica ma ancora più una mancanza di fiducia forte fra il presidente e la sua maggioranza», ha spiegato Soru in consiglio regionale annunciando le dimissioni. «Ho riflettuto sul fatto di essere un presidente eletto direttamente dai sardi. Ma non si può governare senza una forte maggioranza in consiglio regionale, tanto più che abbiamo davanti la discussione della finanziaria, l´ultima della legislatura. Mi sono riletto la legge statutaria e ho riflettuto su cosa sia più utile per la Sardegna e non più utile per me».

Il portavoce nazionale del Pd, Andrea Orlando, ha annunciato che il partito lavorerà per scongiurare la fine anticipata della legislatura.

«La notizia delle dimissioni di Soru ci preoccupa e giunge in un momento delicato e importante del governo riformista della giunta regionale. Lavoreremo nelle prossime ore per ricomporre il quadro politico e fare in modo che non si apra la strada della fine anticipata della legislatura consentire di proseguire un´azione di trasformazione della Sardegna che riteniamo importante e decisiva». Soru presenterà le dimissioni formalmente questa mattina e avrà un mese di tempo per ritirarle. Se non ci saranno ripensamenti il consiglio regionale sarà sciolto e le prossime elezioni dovranno tenersi entro sessanta giorni.

OLBIA. Un detto cinese ultimamente è assai di moda: «Se il nemico non lo puoi battere - recita - accordati con esso». Settimo Nizzi un nemico (politico, è bene precisarlo) lo ha: Renato Soru. Il terreno di battaglia (o meglio: i terreni) è l’urbanistica. Non c’è atto del governatore - dal decreto alla legge “salvacoste” al piano paesaggistico - che il sindaco di Olbia non abbia cercato di far saltare per aria. Le ha provate tutte: dai ricorsi al Tar a quello, via Berlusconi quando era premier, alla Corte costituzionale. Tutti respinti. Alla fine, ha deciso di seguire la strada “politica”. Con un blitz, è andato a Cagliari e ha firmato con la Regione l’intesa per adeguare il Puc di Olbia, ora congelato, ai paletti del piano paesaggistico. «E sbrigatevi, vogliamo vederlo approvato subito» ha intimato.

Blitz pasquale. Quella di Nizzi è una decisione rimasta senza pubblicità ma che apre numerose strade (e altrettante interpretazioni). L’intesa con la Regione è stata sottoscritta nella settimana di Pasqua, quando i sentimenti, anche politici, sono sono di pace. Nizzi è andato a Cagliari, all’assessorato all’Urbanistica, con il capo dell’area tecnica Antonello Zanda. Ad attenderli, l’assessore regionale Gianvalerio Sanna e il direttore generale dell’assessorato Paola Cannas.

Non c’è stata né freddezza né imbarazzo, nonostante Nizzi e Sanna, dal 2004 a oggi, abbiano ingaggiato duelli verbali durissimi. Che cosa hanno messo nero su bianco i due, a nome del comune di Olbia e della Regione? E’ un protocollo d’intesa: Olbia, insieme ad altri 32 comuni dell’isola, sarà capofila della pianificazione a due per rendere efficaci ma non punitive, Comune per Comune, le norme (restrittive) del piano paesaggistico regionale. L’amministrazione di Nizzi era rimasta fuori dal primo gruppo, a dicembre del 2006. Il sindaco, prima di lasciare l’incarico, ha voluto recuperare il tempo perso. Ma che cosa cambia? Che cosa succederà ora? Ci sono due livelli di lettura: uno politico, l’altro amministrativo.

Livello politico. A Cagliari, c’è molta soddisfazione. Gianvalerio Sanna non commenta. Dal suo staff si lasciano andare: «Alla fine anche Nizzi ci ha ha dato ragione». Per Soru, una festa. Il suo maggiore avversario, sul fronte della politica urbanistica, era (e resterà, non c’è dubbio) proprio il sindaco di Olbia. Nizzi era uno dei protagonisti della raccolta di firme per chiedere un referendum abrogativo del piano paesaggistico. «E’ un piano dannoso, è un piano illegittimo» era la sua posizione. Ma quel referendum, ultima battaglia possibile, è stato cassato proprio un mese fa. Nel momento in cui Nizzi firma il protocollo d’intesa, è dunque evidente che legittima il piano paesaggistico. Una posizione cui non ha dato visibilità (evitando quindi anche un ritorno mediatico).

Livello amministrativo. Il piano è legge, dunque bisogna rispettarlo. E Olbia, come tutti gli altri Comuni, dovrà cambiare il proprio piano urbanistico, quel Puc approvato all’ultimo momento (nella sera del via libera alla legge “salvacoste”) e mai certificato dalla Regione. Un Puc di cui funzionano solo gli effetti negativi. I proprietari delle aree edificabili (ma solo sulla carta) potrebbero pagare un’Ici salatissima, per via del decreto Bersani. Di aree fabbricali, non ce n’è più: e i prezzi delle case sono stratosferici. Un Puc che andrà sostanzialmente rivisto soprattutto nelle volumetrie nella fascia costiera. Un milione di metri cubi che dovranno sparire ed essere distribuiti in altre aree. Un lavoro duro, ma il Comune, firmando l’intesa, ha ottenuto dalla Regione soldi e un funzionario per rivedere carte e cubature.

«Non perdiamo tempo - ha detto Nizzi a Sanna -. Il nostro Puc è bello pronto, servono solo degli accorgimenti. Voglio che la Regione si metta al lavoro subito per darci il Puc».

Tempi? Anche meno di un anno, prevedono a Cagliari.

Ex miniere, nessuno va alla gara

di Giampaolo Meloni

IGLESIAS. Masua resterà come è: «Un museo naturale, e ne sono ben felice», dice Renato Soru. Il destino di questo tassello della storia mineraria abbarbicata sul mare è segnato dall’esito del bando internazionale per il recupero e la valorizzazione turistica dei siti minerari dimessi del Sulcis Iglesiente e dell’area Ingurtosu: la gara, in scadenza a fine marzo dopo la proroga di un mese, è andata deserta, nessuna proposta è arrivata sul tavolo della Regione. Dunque la procedura è approdata a formale compimento. Ma il bando sarà riformulato, Masua esclusa.

Ci sarà però un aggiustamento nella struttura del bando “Luxi” (così era stato denominato), al quale la giunta pensa di poter cominciare a lavorare in tempi brevi. Il punto sul quale si corregge la rotta è nella prospettiva che l’esecutivo aveva previsto attraverso la modulazione del testo e che aveva innescato una sequenza di polemiche: «La nostra attenzione rimane intatta per i centri della fascia più interna che avevano mostrato interesse e auspicio per lo sviluppo turistico», ha osservato Soru. La parte del bando che riguarda Ingurtosu e le zone di Buggerru saranno tutte destinate a interventi di valorizzazione. La modifica sostanziale nella nuova formula della gara internazionale sarà nell’assegnazione dei siti: i “gioielli” del patrimonio minerario dismesso finiranno sul mercato non con la formula della vendita ma attraverso la “concessione”, come dire, in affitto per un periodo determinato.

La sostanza del bando cambia, ma l’indirizzo politico della giunta trova conferma come era stato in realtà già delineato. Proprio Soru e l’assessore dell’Urbanisitca Gianvalerio Sanna lo avevano dichiarato alla Nuova in una intervista congiunta a fine dello scorso giugno: «Lavoreremo per la concessione». Una strategia maturata anche per rispettare le osservazioni (in qualche caso anche polemiche forti) che sull’argomento avevano preso corpo da diversi ambienti, sia sindacali (con le manifestazioni della Cisl in piena estate), sia politiche (il centrodestra in consiglio regionale: vogliono svendere le aree minerarie) e alcune associazioni culturali.

«Dirotteremo gli investimenti previsti per Masua verso i centri abitati di Nebida e Buggerru, previo accordo con i rispettivi amministratori locali - ribadisce il presidente della Regione Renato Soru -. Per Ingurtosu verrà rifatto il bando tenendo conto della spinta e delle sollecitazioni arrivate negli ultimi mesi per evitare la vendita e a prevedere invece la formula della concessione dei siti».

Le tre società che avevano presentato una manifestazione di interesse per Masua e avevano anche visitato il sito minerario dismesso (Pirelli Real Estate, Immobiliare Lombarda e il fondo immobiliare Hines Italia, mentre una cordata sarda era rimasta esclusa fin dall’inizio per inghippi procedurali), non si sono presentate all’appuntamento fissato l’ultimo giorno di marzo, dopo la proroga di un mese che era stata chiesta dalle stesse società che avevano inizialmente mostrato interesse e quindi a fine febbraio chiesto di potere ancora pensare all’iniziativa. Ma al traguardo nessuno si è presentato.

Soru non accoglie il fatto con amarezza. Anzi, appare ben lieto di poter assecondare la sollecitazioni a non costruire sulla costa, anche in questo caso, perchè, spiega, «si tratta di una richiesta che proviene dalle sensibilità del territorio». E di quelle obiezioni si è tenuto conto: «Non abbiamo più lavorato al bando che oltre ad essere stato contestato da parte sindacale - ha chiarito Soru - ha avuto critiche per la mutata sensibilità ambientale. La consapevolezza della tutela della costa è cresciuta e non solo sono d’accordo, ma ne sono felice».

La gara interessava due compendi, quello dell’area di Masua e Monte Agruxau, su una superficie di circa 318 ettari, dove sarebbe stato consentito il recupero e la realizzazione della volumetria esistente sino al limite massimo di 120mila metri cubi per Masua e 40mila per Monte Agruxau, per un totale massimo di 160mila metri cubi. Il secondo riguardava Ingurtosu, Pitzinurri e Naracauli, per una superficie di circa 329 ettari. In questo sito sarebbe stato consentito il recupero e la realizzazione della volumetria esistente sino al limite massimo di 30mila metri cubi per Ingurtosu e 70mila per Pitzinurri e Naracauli, per un totale non superiore a 100.000 metri cubi. L’importo a base d’asta era di 32 milioni e 520mila euro per Masua e Monte Agruxau e di 11 milioni di euro per Ingurtosu, Pitzinurri e Naracauli.

Nelle procedure del bando internazionale si è innescato il contenzioso sulle bonifiche delle aree inquinate dall’industria mineraria: gli interventi sarebbero stati curati con il controllo regionale attraverso le società Igea e Ati-Ifras (dove operano i cinquecento ex minatori), o affidati agli acquirenti privati (con il conseguente prevedibile licenziamento dei lavoratori). La Regione aveva previsto nel bando sia la garanzia di interventi per i primi e sia il compito parziale di avrebbe acquistato. Ma sindacati e lavoratori non sin sono fidati troppo e hanno innescato una vertenza sofferta a tutela del proprio impiego.

Anche su questo fronte il presidente Soru nella tarda serata di ieri, con riferimento alle due società Igea e Ati-Ifras, ha voluto rassicurare le comunità locali: «Le bonifiche si faranno e saranno realizzate attraverso gli strumenti di cui disponiamo». Ma c’è di più. L’argomento non sarà liquidato facendo ricorso alle casse pubbliche, che pure dovranno intervenire, ma si aprirà probabilmente un confronto (se non anche un contenzioso) con chi ha la responsabilità dell’inquinamento, ovvero le società minerarie che hanno esercitato l’attività abbandonando poi i luoghi con il carico dei veleni. Tra queste primeggia l’Eni, che nel 1993 chiuse le miniere e fece le valige lasciando sul posto (in verità con molti consensi) le ferite dell’inquinamento senza nulla risarcire. Prospettiva che si potrebbe aprire in un futuro non troppo lontano.

Quel sogno non è svanito

di p.p.

IGLESIAS. Far sorgere fiorenti attività turistiche dove un tempo c’erano le miniere: che idea! Più che un progetto è stato un sogno coltivato per molto tempo. Sembrava una sorta di parabola evangelica: nei luoghi che furono un inferno di fatiche durissime sotto terra finalmente c’era la possibilità fare il salto. Quasi una redenzione. Dalle tenebre alla luce. Quella del sole e dell’aria aperta e mare pulito che può accogliere vacanzieri spensierati in quell’angolo di paradiso.

L’idea circolava già nel tempo in cui Mauro Pili era sindaco di Iglesias. Chiuse le miniere bisognava capire che cosa fare e come farlo. In sostanza bisognava trasformare quel sogno in progetto reale. Lo ha fatto l’amministrazione regionale guidata da Soru preparando le carte necessarie a far partire un bando d’asta internazionale.

Attenzione. Non un progetto per cementificare ma per impiegare al meglio il 60% delle volumetrie esistenti. E già solo la notizia (era l’aprile del 2006), dell’asta internazionale per il recupero e la valorizzazione dei beni minerari dismessi di Ingurtosu, Naracauli e Pitzinurri ha creato subito un clima di euforia tra gli amministratori comunali della zona. Ma anche qualche problema: il centro destra ha accusato Soru di svendere i pezzi migliori dell’isola ai suoi amici. I sindacati hanno posto il problema degli ex minatori: potevano, per esempio, essere loro a bonificare quei siti?

Le aree interessate dal bando nel territorio di Arbus appartengono al compendio ex minerario di Ingurtosu e hanno una vastità di 329 mila ettari, con una possibilità di intervento di recupero, ristrutturazione e adeguamento fino a un limite massimo di 100 mila metri cubi di volumetria, di cui trentamila a Ingurtosu e settantamila a Pitzinurri. Tutto quel bendiddio, spalmato su 47 chiloetri di costa di grande pregio ambientale, poteva finire al migliore offerente attraverso una gara che aveva base d’asta di undici milioni di euro.

La speranza di tutti era che a scendere in campo fossero nomi di prima grandezza della finanza e del turismo internazionale. A nessuno (Soru lo aveva dichiarato in maniera perentoria) interessava avere a che fare con mariuoli più o meno cammuffati. Quel bando poteva essere l’occasione per trasformare in paradiso un angolo di Sardegna sottoutilizzato sebbene apprezzato da un un crescente numero di ambientalisti e amanti delle aspre bellezze di quelle coste. E quel sogno non è ancora svanito.

p.p.

CAGLIARI. Zack. Il referendum per dire no al Ppr non si farà. Richesta bocciata per la seconda volta. Piange, la Cdl, furiosa contro i vincoli del piano urbanistico. «E’ inammissibile», decreta l’Ufficio regionale che deve valutare se è il caso di ricorrere alla consultazione popolare per cancellare una legge. Vanno in fumo 24.139 firme: tante ne aveva raccolte in un paio di settimane il centrodestra capitanato da Mauro Pili che proprio ieri sera - sentendo odore di bruciato - si è autoconsegnato al direttore del carcere di Buoncammino per protestare contro quello che lo stesso deputato definisce «il bavaglio dei sardi». Renato Soru non commenta, neanche sotto tortura, ma non è peregrino ipotizzare che ieri sera il governatore abbia brindato.

La ghigliottina sulla seconda richiesta di referendum sul Piano paesaggistico è stata azionata ieri pomeriggio, poco prima delle cinque.

Sotto la presidenza di Gian Luigi Ferrero, i componenti Vincenzo Amato, Silvio Ignazio Silvestri, Enrico Passeroni e Fulvio Dettori, con l’assistenza del segretario Carlo Sanna, l’Ufficio regionale ha ritenuto di non dover ammettere la richiesta di referendum abrogativo della delibera varata dalla giunta regionale il 5 settembre dell’anno passato, quella con cui è diventato operativo il Piano paesaggistico regionale.

Da che cosa è originata l’inammissibilità? La spiegazione è contenuta in una decina di pagine in cui si fa un diretto riferimento a un orientamento della giurisprudenza in materia di referendum. Senza usare termini giuridici, la sostanza del rifiuto è abbastanza semplice. Si parte dall’assunto che il Piano paesaggistico «è un atto particolarmente articolato, che contiene disposizioni eterogenee e in gran parte differenziate, senz’altro non riconducibili a un unico principio ispiratore».

Ebbene, secondo le argomentazioni dell’Ufficio regionale, «la richiesta di referendum non può essere ammessa in quanto essa si ricollega alla delibera della giunta nella sua totalità, fatta attraverso un quesito unitario nonostante la pluralità e non omogeneità della materia in discussione». E ancora: «Il cittadino si troverebbe nell’impossibilità di esprimere liberamente il suo voto su argomenti e disposizioni del tutto diversi». Insomma, i componenti dell’Ufficio sono convinti che non si possa - con un «sì» o con un «no» (queste sono le uniche opzioni) - valutare nel suo complesso una normativa così complessa e articolata come il Piano paesaggistico.

«Il quesito - si argomenta ancora da parte dell’Ufficio del referendum - non consente di differenziare la valutazione sull’abrogazione o la conservazione della disciplina sulla fascia costiera, sulle aree naturali, sulle aree agro-forestali, sul sistema dei parchi» e via elencando.

A corredo del parere negativo, l’Ufficio presieduto da Gian Luigi Ferrato infine precisa che «l’accertata inammissibilità della richiesta referendaria comporta che non si deve provvedere agli ulteriori adempimenti imposti dalla legge regionale nuero 20».

Quest’ultima, ha tutta l’aria di un’ulteriore mazzata nei confronti del centrodestra che, all’inizio del 2007, per impulso di Mauro Pili ma anche dell’intero gotha della Cdl sarda, aveva deciso di riorganizzare una raccolta di firme per abolire la legge sul Ppr, definito a più riprese uno strumento che «blocca lo sviluppo della Sardegna, e favorisce importanti speculazioni immobiliari». Pili e soci avevano comunciato a girare la Sardegna e in un paio di settimane avevano raccolto oltre 24mila firme. Il numero minimo era di diecimila, ma, dopo la bocciatura di una prima richiesta di referendum, la Cdl aveva pensato bene di prendersi il sicuro, anche in previsione di quanto poi avrebbe previsto la Statutaria che ha innalzato il tetto a 15mila firme. Lo scorso 6 febbraio, poi, una folta delegazione dei partiti d’opposizione aveva depositato nella cancelleria della Corte d’Appello di Cagliari 24 faldoni azzurri contenenti ognuno mille firme. Subito dopo, in una conferenza stampa, gli esponenti dell’opposizione non si erano risparmiati nel contestare in maniera ancora più feroce la politica urbanistica, caratterizzata da vincoli bloccasviluppo, della giunta.

Non è azzardato, dopo quest’altra bocciatura, prevedere che da oggi, convinta che il referendum avrebbe cassato il Ppr, si mobiliti un’altra volta. E magari segua l’esempio di Mauro Pili, autorinchiusosi a Buoncammino.

CAGLIARI. «La tutela del territorio non blocca le attività economiche e, anzi, garantisce sviluppo e occupazione». Lo ha detto il vice premier Francesco Rutelli nel firmare ieri, con Renato Soru, il protocollo d’intesa sul Piano paesaggistico. Nella sua qualità di ministro dei Beni culturali Rutelli ha assicurato «collaborazione con lealtà e amicizia». E come ministro del Turismo ha affermato che è la strada giusta «per allungare la stagione». Prima di inaugurare a Villanovaforru la mostra precolombiana, Rutelli ha anche «approvato» le scelte della Regione su Tuvixeddu.

Accompagnato dal deputato Paolo Fadda e perennemente circondato dai dirigenti e consiglieri regionali della Margherita, Rutelli è stato protagonista di cinque ore sarde particolarmente intense prima di rientrare nella capitale per l’incontro del governo Prodi con la Chiesa. Proprio in vista del delicatissimo appuntamento, il vicepremier, pur con cortesia, ha accuratamente evitato di rispondere alle domande dei giornalisti sulla situazione politica italiana: «Oggi, per fortuna, qui parliamo di cultura».

L’arrivo poco prima delle 10 nella presidenza della Regione, dove ad attenderlo c’erano Renato Soru e gli assessori Gian Valerio Sanna e Luisanna Depau. Dopo un breve incontro nell’ufficio del presidente, la cerimonia della firma si è svolta davanti a giornalisti e telecamere, in sala giunta. Il protocollo d’intesa ha diversi obiettivi: semplificare le procedure di cui sono responsabili gli uffici nazionali e quelli regionali (non più semplicemente delegati dallo Stato), prevedere forme di collaborazione attiva, programmare verifiche e aggiustamenti alle normative.

Il presidente Soru ha sottolineato «con orgoglio» che la Regione sarda «è la prima ad avere approvato il Piano paesaggistico e quindi la prima a firmare l’intesa». Rutelli non ha certo faticato a dargli atto di un lavoro «denso e importante che ha impresso una svolta nella tutela del paesaggio». E’ «una sfida straordinaria e coraggiosa», anche «per situazioni pregresse che hanno compromesso lunghi tratti di costa». A questo proposito, auspicando che la svolta avvenga anche nelle altre zone del Paese, Rutelli ha affermato che «in Italia si discute molto di opere pubbliche per la grande viabilità, mentre su quelle dovremmo essere più veloci per essere più cauti sulla cementificazione».

Che non riguarda solo le coste, come ha fatto notare lo stesso Soru citando il caso cagliaritano dei colli di Tuvixeddu e Tuvumannu. Rispondendo una domanda su dilemma tutela-lavoro a proposito del rischio licenziamenti per il blocco dei cantieri edili, Rutelli ha detto che «si possono trovare giuste soluzioni con espropri e compensazioni». E ha citato la storia dei «sassi» di Matera: «Quarant’anni fa erano il simbolo di un’arretratezza millenaria, tanto da essere scelti da Pier Paolo Pasolini come scenario fedele della Palestina di Gesù Cristo, oggi quelle case salvate e risanate valgono quattromila euro a metro quadro e nel centro abitato ci sono ancora i residenti, che hanno trovato occasioni di lavoro». Per dire che «la tutela porta anche vantaggi economici». Soru ha quindi voluto chiarire: «La necropoli punica è come la reggia di Barumini: non si può consentire che venga coperta da palazzi. E poi non blocchiamo tutto, i lavori nella vasta area riprendono, abbiamo detto no solo alla costruzione di alcuni edifici».

Il passo al programma sul turismo è stato breve: «L’Italia non è solo Roma, Firenze e Venezia, diciamo no al turisdotto che collega frettolosamente e superficialmente questi tre centri per vedere pochi monumenti e andare via. L’Italia, e la Sardegna in particolare, ha enormi potenzialità nei suoi edifici, nei suoi monumenti e nel suo territorio». Quindi «tutela e valorizzazione» sapendo che «si può trasformare il territorio con interventi mirati».

Prima del trasferimento a Villanovaforru, Rutelli ha dedicato dieci minuti alle associazioni ambientaliste sul caso Tuvixeddu-Tuvumannu. Particolarmente felice Vincenzo Tiana (Legambiente), che ha consegnato un dossier al vicepremier. «Il suo sostegno - ha detto Tiana - può essere decisivo».

Nel Museo del Territorio, tra Villanovaforru e Villaurbana, dove ha inaugurato una mostra precolombiana di grande suggestione, Rutelli ha detto di essere rimasto «affascinato dalle colline delle Marmilla». Dove hanno messo gli occhi operatori italiani (tra cui l’ex dirigente Fiat Paolo Fresco) e irlandesi vogliono realizzare centinaia di residenze di lusso e campi da golf. L’occasione ha consentito al vicepremier e ministro di sottolineare l’importante del rapporto tra il turismo e la cultura: «L’Italia e la Sardegna - ha ribadito - non possono non puntare sulla qualità». L’accento è stato messo non solo sul Museo (volàno autentico dello sviluppo di questa zona) ma anche sul recupero dei centri storici avviato venticinque anni fa da quattro sindaci-pionieri, tra i quali soprattutto Giovanni Pusceddu, del Consorzio Sa Corona Arrubia.

A Villanovaforru Rutelli è stato raggiunto dai parlamentari nuoresi Antonello Soro, che per primo gli aveva parlato del Museo del Territorio, e Salvatore Ladu. C’era anche tutto il gruppo della Margherita in Consiglio regionale, convocato da Antonio Biancu per una riunione con il leader nazionale. L’appuntamento politico, in vista dei congressi, è invece saltato a causa del poco tempo a disposizione.

Ed è stato parzialmente sacrificato anche il pranzo ufficiale nel rifugio della seggiovia. Rutelli ha fatto appena in tempo ad assegiare gli antipasti e un primo di «lorighittas» perché a un certo punto è stato prelevato dall’infaticabile Paolo Fadda: «Ci aspettano qui vicino, a Collinas, per farti vedere il presepio artistico. E’ bellissimo, non l’hanno disfatto per te. Ci vorranno cinque minuti in tutto». Rutelli, che da buon romano ha la passione del presepe, non si è fatto pregare. La visita nel piccolo paese in festa è durata un po’ di più. Quindi la frettolosa partenza per Roma, a parlare (purtroppo o per fortuna) di politica.

Postilla

È utile precisare il protocollo firmato dal Ministro e dal Presidente non ha ancora gli effetti di quello di cui all’articolo 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e in particolare non provoca gli snellimenti procedurali annunciati da Rutelli. Infatti l’intesa di cui alla legge deve essere firmata anche dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, e gli snellimenti procedurali vi saranno quando i comuni avranno adeguato i loro strumenti al PPR, esteso all’intero territorio regionale. Una intesa, quindi, eminentemente politica, come quelle firmate con la Toscana e con il Friuli – Venezia giulia.

Con una sola differenza, peraltro rilevante: in Sardegna il PPR c’è, ed è vigente: per ora, almeno per gli ambiti costieri. E la sua tutela è immediatamente operante.

CAGLIARI. Dopo la strada da 31 milioni di euro che doveva attraversare il valico nella necropoli di Tuvixeddu sull’asse ovest-est e arrivare fino alla sopralevata per l’aeroporto, la Regione cancella con una delibera un filare di palazzi di cinque piani progettati lungo la via Is Maglias per un totale di 75 mila metri cubi. Lo strumento per arrivare al risultato di lasciare a Cagliari quel che resta della sua caratteristica di «città di pietra e di acqua» saranno gli espropri, possibili secondo l’articolo 96 del codice per i beni culturali varato dal ministro Urbani. I soldi per l’operazione verranno ricavati dalla Finanziaria di quest’anno dove, annuncia l’assessore ai Lavori pubblici Carlo Mannoni, sarà previsto un fondo «per gli oneri relativi agli espropri ex articolo 96». Inoltre «al momento della contrattazione, la giunta può proporre degli scambi». Dalla lettura della delibera si comprende che non è un intervento cieco: la difesa dal cemento del costone sopra la via Is Maglias e del varco conosciuto come canyon, suggestiva risultanza dell’attività di cava, è uno dei tasselli del «parco di Karalis», l’operazione ambientalista promossa con il piano paesistico regionale. La delibera mette ancora una volta in chiaro la volontà della giunta regionale di rileggere l’accordo di programma firmato nel 2000 tra Coimpresa (la ditta titolare della lottizzazione), il Comune e la Regione secondo la formula del piano integrato d’area (pia) «Cagliari 17 - Sistema dei colli». Come è noto, la giunta è andata oltre ogni aspettativa ecologista: finora le costanti polemiche sulle costruzioni a bordo di necropoli contestavano la quantità di volumetrie e in qualche caso la loro posizione ma sempre in relazione alla presenza di tombe. Mai l’estetica e, men che meno, i 23 ettari di parco. Nella delibera varata in questi giorni si rintracciano accenti perfino appassionati nel descrivere l’immenso torto che verrebbe arrecato alla straordinaria necropoli di Tuvixeddu se il parco sarà quello attualmente in cantiere e le costruzioni quelle progettate. Gli espropri possibili con la delibera 5/23 del 7 febbraio 2007 intendono impedire quel che è successo giù sul lato della necropoli che degrada verso Sant’Avendrace: l’accesso naturale della città bassa è ormai sigillato dal cemento. La delibera cerca di rimediare anche a questo suggerendo l’acquisizione di una porzione del viale Sant’Avendrace, dal numero civico 35 al 55. Nella fascia alta l’accesso a Tuvixeddu, adesso, è quasi tutto libero. Salvo la cresta delle palazzine dei Punici costruite in cima al costone su viale Merello via Is Maglias a un passo dal ripetitore, il versante del colle su quest’ultima via è libero: secondo la giunta regionale deve restarlo perché «è tuttora l’accesso all’antica e ancora possibile percezione panoramica che dal colle guarda verso Santa Gilla, il mare, i monti del Basso Sulcis fino ad abbracciare la dimensione spaziale del Golfo degli Angeli...». Lunedì prossimo la commissione regionale del paesaggio si riunisce per decidere l’estensione del vincolo paesaggistico: si dirà nel dettaglio ciò che si può fare e ciò che sarà vietato. Ma la delibera della giunta fa proprie alcune osservazioni degli esperti (citandoli) della stessa commissione. In sostanza, secondo archeologi e paesaggisti nei 23 ettari del parco in cantiere «il sistema ambientale preesistente a seguito dei lavori oggi sospesi risulta del tutto stravolto». La sommità del colle è più alta di tre metri; la vegetazione originaria è quasi scomparsa; le strade interne sarebbero sproporzionate; aiuole e robusti muri di contenimento, anche se ospiteranno essenze mediterranee, «artificializzano un luogo in gran parte naturale o seminaturale», in favore di «uno scenario da giardino pubblico, gradevole, attraente, consumabile... a detta degli esperti l’impressione è che alla base vi sia un’idea non condivisibile: quella di bonificare e abbellire il contesto della necropoli, come se lo si ritenesse inespressivo, difettoso sul piano formale ed estetico».

Il soprintendente ai beni archeologici di Cagliari e Oristano, Vincenzo Santoni, in viaggio tra Sassari e Cagliari ieri ancora non conosceva la delibera e ha tagliato corto: «Vedremo». La situazione è delicata anche per il suo ufficio, visto che l’accordo del 2000 aveva il benestare della sua soprintendenza e difatti avrebbe chiesto un parere legale sulle indicazioni della Regione.

Plauso incondizionato da Gruppo di intervento giuridico e Amici della Terra che, per mano del presidente Stefano Deliperi, scrivono: «finalmente viene messa in primo piano la salvaguardia della più importante area sepolcrale punico-romana del Mediterraneo».

Il giornale mi mandò in Sardegna, per una inchiesta sui porti, nel 1960. Avevo 24 anni, l’Italia appariva ancora, in tanti posti, integra e bellissima. Non ero facile agli stupori. Tuttavia quella terra segreta e intatta, quei paesaggi antichi e quasi del tutto intoccati mi emozionarono, mi entrarono dentro in modo tutto speciale. Certo, il sottosviluppo lo si respirava. A Sassari non c’erano neppure dei veri taxi alla stazione, ma soltanto moto-taxi. Andando verso Cagliari, sulla Carlo Felice, incontrammo qualche rara vettura e pochi camion. A Macomer c’erano donne in costume tradizionale in strada e certo non aspettavano noi, sparuti turisti di passo. Poi è successo quello che è successo, travolgendo spesso piani e tutele.

“Abbiamo costruito villaggi fantasma e reso fantasmi i nostri paesi”, ha commentato amaro il governatore Renato Soru lanciando una sorta di nuovo “manifesto” programmatico per la sua isola. In base al quale si vuole dare precedenza assoluta alla salvaguardia delle coste e al restauro, recupero, riqualificazione di quanto già stato costruito.

“C’è qualcosa di molto triste e perfino drammatico nei villaggi vacanze”, osserva un fine intellettuale sardo, Giorgio Todde, “c’è qualcosa che lascia inebetiti nella vita sintetica del villaggio dove si mangia si dorme, si balla, si nuota in piscine irreali, poi si mangia di nuovo, si dorme di nuovo in un ciclo rotondo e animale di cibo, deiezione e sonno”. Dal quale la Sardegna vera è esclusa, là, fuori dal recinto..

A questo punto dovrei indicare le zone dell’isola che ancora si presentano integre a chi vi risiede o a chi vi si reca in viaggio, in vacanza. Il ventaglio della scelta, nonostante tutto, è ampio. Volete, miracolosamente, una grande area a pochi minuti dal traffico di una città come Cagliari? C’è il promontorio di Sant’Elia. Oppure, ad un passo dalla città, il parco della laguna di Molentargius e quello della Sella del Diavolo. Natura, storia, archeologia, lì c’è tutto, in modo affascinante. Anche il Sinis vanta ambienti e paesaggi strepitosi, come del resto la zona attorno a Bosa. All’interno poi ci sono il Gennargentu o il Supramonte. Ma, se vogliamo restare sul mare, scegliamo allora la Costa Verde nell’Iglesiente, detta anche il Sahara d’Italia per l’ampiezza inusitata degli arenili e delle dune che li proteggono. Anche 3.000 ettari ininterrotti.

Sulla Costa Verde si possono meglio capire quante risorse conservi questa grande isola (in passato molto spesso colonizzata da questo o quel popolo e però rimasta fieramente se stessa) e quanti rischi essa corra tuttora. Siamo in un distretto minerario che nell’Ottocento ha attratto, fra Montevecchio, Ingortosu, Funtanazza, Piscinas, Naracauli, Scivu, Pistis, investitori da mezza Europa, per il piombo e per lo zinco (oggi esauriti). Investitori professionali, francesi, belgi, inglesi come lord Brassey, a lungo titolare della “Pertusola”. O improvvisati come uno dei romanzieri europei più amati, Honoré de Balzac, sempre in caccia di febbrili speculazioni regolarmente finite male.

In questa costa sud-occidentale dell’isola, che si apre con la località, anch’essa mineraria, di Arbus, ci sono dune di una vastità e di una bellezza abbaglianti, dune le quali penetrano anche per 2 chilometri nel retroterra dove vigoreggia la macchia mediterranea, col lentischio, il corbezzolo, il ginepro, il cisto. E poi, dovunque, pini e pinastri. Migliaia di ettari di dune, altrove distrutte e cementificate. Chilometri e chilometri di arenili incontaminati da interventi dell’uomo.

Dietro il mare verde, dietro queste dune imponenti, dietro la macchia mediterranea, regno del cervo sardo, nell’interno i villaggi dei minatori, le ville liberty, spesso in granito, dei dirigenti, tutto ciò che ha fatto di questi luoghi una comunità di lavoro, con l’epos unico delle miniere. A Montevecchio le gallerie si inoltrano per un centinaio di chilometri, con pozzi fino a 350 metri di profondità. Altre gallerie perfino a picco sul mare, a Porto Flavia, una costa di roccia alta e accidentata. Su tutto domina il Monte Arcuentu che è come una fortificazione naturale di basalto dovuta a remote eruzioni vulcaniche.

Ne parlo con una certa apprensione. Nella Sardegna investita dal “boom” del cemento turistico si è molto costruito – prima del decreto salva-coste votato dalla Giunta Soru nel 2005 e che preservava una fascia di 2 chilometri – e si è costruito, “normalmente”, a 200 o 300 metri dal mare. Con prezzi d’acquisto che nella scorsa stagione oscillavano fra i 1.300-1.600 euro al mq di Muravera, entrata da poco nel business, e i 2.500-4.000 di Golfo Aranci. Anche se nella prima località c’erano ancora – e risultavano gradite – non poche case del vecchio paese. Ecco tornare il discorso iniziale del governatore-imprenditore Renato Soru e del Piano Paesistico Regionale (di cui si parla qui sotto): non più villaggi turistici aperti pochi mesi l’anno, e che intanto si “mangiano” natura e paesaggio, ma paesi antichi o vecchi che siano sempre più intensamente vissuti. Da tutti.

IL PIANO SALVACOSTE

Renato Soru, presidente della Regione Sardegna, è balzato agli onori della cronaca per la polemica sulla tassa sul lusso (megayacht, seconde case) con Flavio Briatore, manager della scuderia Renault in FormulaUno, proprietario del Billionaire di Porto Cervo. Al governatore sardo si deve il più grande piano paesaggistico mai disegnato in Italia: tutelerà 1.731 Km di coste e il loro entroterra. Un piano impostato, nelle linee-guida, da un comitato di esperti coordinati da Edoardo Salzano (titolare, fra l’altro, dell’utilissimo sito di paesaggio e ambiente, eddyburg.it) e realizzato però dagli uffici tecnici regionali. “Conservare e gestire responsabilmente il paesaggio, prodotto del millenario lavoro dell’uomo su una natura difficile, significa conservare l’identità di chi lo abita. Un popolo senza paesaggio è un popolo senza identità né memoria”. Ecco la filosofia del PPR.

Di qui le linee-guida: priorità alla preservazione delle risorse paesaggistiche, al loro ruolo strategico sul piano culturale, alla riqualificazione e al recupero dell’esistente, a forme di sviluppo fondate su di una nuova cultura dell’ospitalità “sottratta alle ipoteche dello sfruttamento immobiliare ed agli effetti devastanti della proliferazione delle seconde case e dei villaggi turistici isolati”.

Una precisazione

Le linee guida per il Piano paesaggistico regionale sono state elaborate dalla Giunta regional; ad esse il Comitato scientifico ha suggerito alcune limitate integrazioni, collaborando poi al lavoro dell’Ufficio di piano (e.s.).

Firmato il provvedimento di sospensione dei lavori in corso nel colle di Tuvixeddu-Tuvumannu, che inibisce l'inizio di qualsiasi attività e sospende quelle in corso. La necropoli fenicio-punica più importante del Mediterraneo protetta dal Piano paesaggistico.

Cagliari, 12 gennaio 2007 - Ieri sera il direttore del servizio dei Beni culturali dell'assessorato alla Pubblica istruzione ha firmato un provvedimento che inibisce "tutti i lavori, riferibili ad opere pubbliche o opere a carattere privato, comunque capaci di recare pregiudizio al paesaggio nella zona del colle di Tuvixeddu – Tuvumannu nel Comune di Cagliari".

L'area è quella delimitata dalla deliberazione assunta nella seduta del 16 ottobre di dieci anni fa, 1997, della Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali di Cagliari e che va dal viale Sant' Avendrace, all'altezza della via Montello, si prosegue lungo lo stesso viale sino all'incrocio tra viale Trento e viale Trieste, si segue in viale Trento e quindi svolta in viale Merello che si percorre sino a piazza D'Armi. Dalla piazza D'Armi, si scende lungo via Is Mirrionis sino all'incrocio con via

Timavo che si percorre sino alla via Monte Santo, si segue la via in direzione Est sino a via Argonne, si prosegue quindi lungo la via Argonne in direzione Sud, si svolta a destra in via Col

d'Echele che si percorre per un brevissimo tratto per svoltare a sinistra e immettersi nella via Is Maglias all'altezza del distributore, si segue la via Is Maglias per un breve tratto e si svolta in via Asiago, si percorre questa via, quindi la via Montello, sino a incrociare il viale Sant'Avendrace nel punto di partenza.

Nella determinazione del direttore di servizio è scritto che "sono fatti salvi gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria regolarmente autorizzati dalle autorità competenti ed insistenti sulla stessa area".

Il provvedimento, ai sensi del comma 3 dell'art. 150 del D. Lgs 22.1.2004 n. 42, ha efficacia per il periodo di novanta giorni a decorrere dalla data di notifica al Comune di Cagliari, che provvederà per quanto di competenza.

L'atto firmato dal direttore di servizio e trasmesso all'assessore ad interim Carlo Mannoni, fa riferimento in particolare al Piano paesaggistico regionale, le cui norme tecniche di attuazione "al fine di tutelare e valorizzare il territorio della Regione, individua alcuni sistemi storico-culturali che rappresentano le più significative relazioni sussistenti tra viabilità storica, archeologia ed altre componenti di paesaggio aventi valenza storico culturale". Nel contesto di tali sistemi storico culturali trova collocazione quello relativo al "Sistema dei Colli" di Cagliari, comprendente, tra l’altro, il colle di Tuvixeddu-Tuvumannu ritenuto dallo stesso Ppr area di notevole interesse pubblico e perciò "funzionale alla predisposizione di programmi di conservazione e valorizzazione paesaggistica" e che la scheda d'ambito "Ambito n. 1 Golfo di Cagliari" dà gli indirizzi per la predisposizione dei programmi di conservazione e valorizzazione paesaggistica del colle di Tuvixeddu-Tuvumannu.

Il lavori in corso a Tuvixeddu-Tuvumannu, "cospicui interventi, sia a carattere pubblico che privato, per l'incidenza sulla morfologia del sito e per la loro collocazione a ridosso della necropoli fenicio-punica e della vasta area storica e monumentale del colle, sono capaci di pregiudicare il bene paesaggistico tutelato dal Ppr, limitando la possibilità della Regione di intervenire con le previste misure di recupero e riqualificazione".


Nell’articolo di Simonetta Sotgiu (dell’11 ottobre) sembra che si voglia affermare che la tutela del piano paesaggistico regionale «non può includere la tutela indifferenziata di un’intera zona artificialmente considerata omogenea, quale la zona costiera presa in considerazione dal piano regionale», ciò perché in contrasto con l’articolo 136.

Se è così, allora la signora Simonetta Sotgiu, che è Consigliere di cassazione, ha considerato solo alcuni articoli del Codice del paesaggio. Ha considerato solo l’articolo 136, che definisce beni paesaggistici i beni già vincolati ai sensi della legge del 1939. Ha dimenticato che esiste anche l’articolo 143, che inserisce tra i beni da tutelare anche quelli appartenenti alle categorie enumerate fin dalla legge Galasso (1985). E ha dimenticato di riflettere sull’articolo 143 che detta i contenuti del piano paesaggistico. Quindi ignora che la legge prescrive che il piano provveda: alla «tipizzazione e individuazione [...] di immobili o di aree diversi da quelli indicati dagli articoli 136 e 142, da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e utilizzazione». Così come ignora che il medesimo articolo prescrive che il piano è tenuto alla «individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione».

Simonetta Sotgiu sostiene inoltre che è sbagliato il divieto delle «costruzione di edifici che non siano strettamente collegati alla coltura dei fondi agricoli, incidendo sostanzialmente, con un vincolo legale, sul diritto di proprietà», poiché “le colture della Sardegna non richiedono, né storicamente, né all’atto pratico” la «presenza dell’uomo sulla terra». Se così fosse, allora la Regione, avendo legittimamente considerato (articolo 143) il territorio agricolo un bene paesaggistico, avrebbe dovuto vietare ogni edificabilità, e non solo quella collegata alla coltura dei fondi.

Le incongruenze dell’articolo non si fermano qui, ma il ragionamento condurrebbe a debordare dallo spazio riservato a una pur lunga chiosa.

Nei giorni di sciopero dei giornalisti, ho appreso da un telegiornale locale che a Cagliari era in corso di svolgimento un convegno sulla pianificazione urbanistica, la tutela dell’ambiente e il riparto delle competenze tra Stato, Regioni ed enti Locali, organizzato dalla Regione e dal Tar Sardegna. Fra i partecipanti e relatori, oltre ai magistrati del Tar di Cagliari e di altri Tar, anche il presidente del Consiglio di Stato, alcuni professori di diritto amministrativo e, naturalmente il presidente Soru e il suo assessore all’Urbanistica.

Poiché mi è parso singolare che, in pendenza dei termini di impugnazione del Piano paesaggistico regionale (che scadranno ai primi di novembre) il Tar Sardegna, che potrebbe essere chiamato a decidere eventuali ricorsi, sieda allo stesso tavolo di una delle (eventuali) parti in causa - la Regione, finanziatrice del convegno - e non conoscendo peraltro gli esiti di tale convegno al quale i molti interessati (Comuni e Province in primo luogo) non erano presenti, vorrei fare qualche osservazione tecnica sul contenuto del Piano, perché sia chiaro che non è tutto oro quello che luce.

Ho già avuto modo di dire che le leggi regionali, anche se emanate da Regioni a statuto speciale e con competenza primaria in alcune materie, non debbono infrangere i principi posti dalle leggi-quadro dello Stato. E infatti la legge regionale sarda n. 8 del 2004, con cui è stato avviato il Piano paesaggistico, si è correttamente richiamata all’art. 135 del Codice Urbani sui beni culturali e del paesaggio, affermando di voler attuare quanto in esso disposto.

Ma il risultato mi sembra che si discosti in parte dall’impianto e dalla «ratio» della legislazione nazionale. Infatti l’art. 136 del Codice Urbani dispone, oltre alla protezione dei beni archeologici e culturali in senso stretto, nonché delle bellezze panoramiche tali da poter costituire «un quadro», anche (lett. a), la tutela «di cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale e di singolarità geologica»: tale unico paragrafo può quindi richiamarsi la salvaguardia delle coste stabilita dal Piano paesaggistico sardo.

Tale norma tuttavia, stante l’inciso «cospicui caratteri di bellezza naturale», non può includere la tutela indifferenziata di un’intera zona artificialmente considerata omogenea, quale la zona costiera presa in considerazione dal piano regionale, perché, se la «bellezza naturale» da ammirare è ammissibile a distanza ravvicinata dal mare, non sembra in ogni e qualunque caso ravvisabile per la profondità di due chilometri dalla costa (e addirittura fino a cinque), cioè per zone di anonima campagna dalle quali il mare non è visibile forse neppure con potentissimi cannocchiali. La tutela del paesaggio, nello spirito dell’art. 136 della legge statale, non sembra dunque possa essere indiscriminatamente esteso, in sede locale, soltanto in funzione dei chilometri, al di fuori di qualsivoglia coinvolgimento «estetico» del territorio vincolato, che deve piuttosto essere valutato caso per caso, e non con una irragionevole fascia unica.

Il piano afferma poi enfaticamente di voler tutelare le colture storiche e tradizionali, e, in questo contesto, vieta la costruzione di edifici che non siano strettamente collegati alla coltura dei fondi agricoli, incidendo sostanzialmente, con un vincolo legale, sul diritto di proprietà.

Ciò sarebbe ragionevole se la Sardegna fosse costellata, come la pianura padana, di fattorie e campi intensamente coltivati, che richiedono la presenza dell’uomo sulla terra. Ma le colture della Sardegna non richiedono, né storicamente, né all’atto pratico, tale presenza.

In particolare la coltura dell’ulivo, prevalente nel sassarese, ha necessità di poche giornate lavorative, di solito una ventina al massimo fra aratura, spollonatura, irrorazioni medicinali, raccolta; analogamente nessuna presenza colonica è richiesta per i sughereti galluresi, sfruttabili ogni sette-dieci anni, ma tutti i proprietari di appezzamenti grandi e piccoli hanno sempre cercato di avere una casa nella loro terra per l’uscita di fine settimana. Quanto a pastori e allevatori, gli stessi vengono relegati entro muretti a secco - luoghi ideali di aggressioni - e su strade polverose (vietatissimo l’asfalto), allorché è notorio che solo la intensificazione e il miglioramento del sistema viario è fonte di civiltà e di ricchezza. Non a caso l’Impero Romano ha costruito strade e strade, che ancora esistono.

Le incongruenze non si fermano qui, ma lascio ad altri rilevarle. Mi limito ad osservare che la minacciata espropriazione di terreni costieri comunque vincolati non mi sembra prospettabile, perché la relativa previsione contenuta nella legislazione nazionale riguarda esclusivamente i beni considerati nella prima parte del Codice (archeologici o culturali in senso stretto), alla cui miglior fruizione da parte del pubblico è finalizzata, mentre la stessa previsione non è riportata per i beni paesaggistici considerati nella seconda parte, per espropriare i quali dovrebbe comunque essere progettata un’opera pubblica (l’espropriazione di un bene privato è sempre finalizzata alla costruzione di un’opera pubblica), e ciò sarebbe incompatibile con l’assoluta inedificabilità degli stessi, per i quali non può essere certamente ipotizzata la destinazione ad usi civici, cioè a una sorta di diritti parafeudali per la cui «liquidazione» lavorano appositi commissari, proprio con il fine di estinguerli definitivamente. E non certo di crearne di nuovi.

Postilla

Meglio la legge leggerla tutta

Nell’articolo sembra che si voglia affermare che la tutela del piano paesaggistico regionale “non può includere la tutela indifferenziata di un’intera zona artificialmente considerata omogenea, quale la zona costiera presa in considerazione dal piano regionale”, ciò perché in contrasto con l’articolo 136.

Se è così, allora la signora Simonetta Sotgiu, che è Consigliere di cassazione, ha considerato solo alcuni articoli del Codice del paesaggio. Ha considerato solo l’articolo 136, che definisce beni paesaggistici i beni già vincolati ai sensi della legge del 1939. Ha dimenticato che esiste anche l’articolo 143, che inserisce tra i beni da tutelare anche quelli appartenenti alle categorie enumerate fin dalla legge Galasso (1985). E ha dimenticato di riflettere sull’articolo 143 che detta i contenuti del piano paesaggistico. Quindi ignora che la legge prescrive che il piano provveda: alla “tipizzazione e individuazione […] di immobili o di aree diversi da quelli indicati dagli articoli 136 e 142, da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e utilizzazione”. Così come ignora che il medesimo articolo prescrive che il piano è tenuto alla “individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione”.

Simonetta Sotgiu sostiene inoltre che è sbagliato il divieto delle “costruzione di edifici che non siano strettamente collegati alla coltura dei fondi agricoli, incidendo sostanzialmente, con un vincolo legale, sul diritto di proprietà”, poiché “le colture della Sardegna non richiedono, né storicamente, né all’atto pratico” la “presenza dell’uomo sulla terra”. Se così fosse, allora la Regione, avendo legittimamente considerato (articolo 143) il territorio agricolo un bene paesaggistico, avrebbe dovuto vietare ogni edificabilità, e non solo quella collegata alla coltura dei fondi.

Le incongruenze dell’articolo non si fermano qui, ma il ragionamento condurrebbe a debordare dallo spazio riservato a una pur lunga postilla.

Sono state le straordinarie note di Elena Ledda e Lino Canavacciuolo, inedito duo artistico legato dall’anima mediterranea, a chiudere al Teatro delle Saline di Cagliari la seconda edizione del Coast Day, la settimana di eventi dedicati alla giornata internazionale della costa, celebrata in tutto il Mediterraneo e organizzata in Sardegna dall’agenzia regionale Conservatoria delle Coste della Sardegna, in collaborazione con l’Agenzia Sardegna promozione, il Parco naturale regionale Molentargius ¡V Saline, il Comune di Quartu Sant’Elena e il supporto tecnico delle Associazioni Akroama e Backstage.

La Sardegna, dal 25 ottobre al 2 novembre, ha ospitato l’evento in rappresentanza dell’Italia, anche per l’evidente ruolo che la nostra Regione si è ritagliata negli ultimi anni, con politiche all’avanguardia nella tutela del paesaggio costiero, che partono dalla legge salva coste dell’agosto 2004, al Piano Paesaggistico, alla nascita nel 2007 dell’Agenzia regionale “Conservatoria delle Coste”, sul modello della Conservatoire du littoral francese. Ne ha parlato a lungo il direttore della Conservatoria in Sardegna Alessio Satta che ha aperto e chiuso i lavori.

Una settimana di appuntamenti in tutta la Sardegna, che hanno coinvolto le Università, le aree marine protette, le associazioni ambientaliste in seminari, laboratori didattici, escursioni il tutto all’insegna della sensibilizzazione alla salvaguardia delle coste e della promozione di uno sviluppo sostenibile. Il clou degli eventi a Cagliari, dal 28 ottobre al 1 novembre, nel Parco del Molentargius e al Teatro delle Saline, dove si sono svolti i seminari scientifici, i dibattiti e gli appuntamenti culturali.

Michela Murgia, Marcello Fois, Giorgio Todde e Francesco Pigliaru si sono confrontati sul futuro del turismo in Sardegna, mentre Antonietta Mazzette, docente di Sociologia urbana all’Università di Sassari, ha spiegato la difficoltà di introdurre pratiche di governance nella vita politica italiana e ha segnalato, con efficace metafora, come in Italia ci sia una “erosione non soltanto delle coste, ma della stessa democrazia” e ha segnalato l’anomalia della Sardegna “in cui si stabiliscono regole, nella pianificazione come nella amministrazione”.

Coste sarde patrimonio d’Europa

Non solo ambiente, turismo, pianificazione, ma anche politica, gestione delle risorse e del territorio, sono stati i temi dominanti del Coast Day e che si sono sviluppati in uno degli incontri più attesi, il faccia a faccia tra l’urbanista Edoardo Salzano, vero maitre a penser delle pianificazione territoriale, e il presidente della Regione Sardegna, Renato Soru.

Salzano conosce bene la realtà della Sardegna, perché è stato il coordinatore del comitato scientifico che ha redatto il Piano paesaggistico regionale ed è intervenuto in molti articoli e interviste sulle vicende isolane, non ultime quelle sul colle di Tuvixeddu e sul disastro di Capoterra.

Coordinati dall’architetto Sandro Roggio, incalzati dai giornalisti Giancarlo Ghirra e Costantino Cossu e affiancati dall’assessore all’Urbanistica Gian Valerio Sanna, i due protagonisti hanno mostrato molti punti in comune, ma anche alcune divergenze di fondo sul ruolo e sul bilanciamento dei poteri esecutivo e legislativo. Renato Soru ha difeso alcune sue scelte impopolari, anche davanti alle richieste degli enti locali e ha rivendicato il ruolo della sua Giunta. “Alcuni aspetti tecnici legati all’Urbanistica, non possono essere in capo al Consiglio regionale. L’assemblea ha altri e importanti compiti, come quello di legiferare. Non è chiamato a co-amministrare, come troppo spesso è accaduto in passato”.

Salzano ha spiegato di non condividere la posizione del presidente della Regione, ma di comprenderla: “Io sono convinto che l’approvazione da parte dell’Assemblea legislativa dia sempre più forza ai provvedimenti. Questo discorso è condivisibile e mi sta bene se al governo c’è la Giunta guidata da Renato Soru, ma se al suo posto ci fosse Mauro Pili? Che garanzie avremmo?”.

Il dibattito ha lasciato ampio spazio alla questione dell’informazione, centrale anche nell’orientare l’opinione pubblica sulle scelte della politica. Secondo Edoardo Salzano “L’ideologia dominante non vuole attenzione ai problemi se non c’è un consenso immediato e questi temi raramente lo ottengono. La cura del territorio, la bellezza delle città sono argomenti scomparsi dall’agenda politica. Forse a sinistra meno che a destra, ma comunque non ci sono. A scomparire è stato l’interesse per il bene comune”

Sulla comunicazione e sull’informazione è arrivato un inconsueto mea culpa di Renato Soru, che ha detto di essersene occupato poco e male. “Se questi temi non sono diventati di attualità nazionale è colpa nostra. Questa è la società della comunicazione e se una cosa è fatta e non è comunicata, semplicemente non esiste. Bisogna comunicarla bene anche per difenderla. A questo va aggiunta anche l’immagine, che purtroppo noi stessi alimentiamo, della Sardegna all’esterno. Non piace dire che i sardi sono capaci di autodeterminarsi. È più facile commiserare che apprezzare. Noi oggi, sui temi della tutela del paesaggio e della pianificazione, siamo un esempio per l’Italia e lo abbiamo fatto da soli”.

Visioni sulla Costa

Collegato all’edizione 2008 del Coast Day anche il concorso video fotografico “Visioni sulla costa”, la cui giuria era presieduta dal regista Gianfranco Cabiddu. Tre i vincitori: per la sezione cortometraggi, ha vinto Marcello Pilia di Cagliari. La fotografia più suggestiva si intitola invece «Guardia costiera» e porta la firma di Roberta Filippelli, artista multimediale di Alghero: l’immagine raffigura una donna anziana che raccoglie piccoli rifiuti da una spiaggia. Nella categoria dei video realizzati con il cellulare il premio è andato a Stefano Deffenu di Sassari. Ognuno di loro ha ricevuto un premio di trecento euro.

I vincitori sono stati scelti fra più di ottanta, arrivati anche dalla Penisola.

Il tema era aperto: si poteva scegliere fra storia, natura, società, lavoro e tradizioni a un passo dal mare, fra le rocce e le spiagge che disegnano i contorni della Sardegna. I lavori premiati, insieme ad alcuni altri segnalati dalla Giuria, faranno parte di una esposizione che farà il giro della Sardegna per sensibilizzare sui temi dell’ambiente, della cura e dello sviluppo sostenibile del nostro patrimonio costiero.

S’è parlato troppo poco del Piano Paesaggistico Sardo approvato dalla giunta regionale la notte del 5 settembre. Un evento straordinario a dir poco. Tra le notizie più belle degli ultimi tempi.

Firmato da Edoardo Salzano (di lui s’è parlato giorni addietro a proposito della battaglia urbanistica ingaggiata sul sito eddyburg. it all’insegna del «territorio inteso come bene comune»), quel Piano prescrive: l’inedificabilità totale della fascia costiera per profondità variabili tra i due e i tre chilometri; l’inedificabilità in zone agricole per i poderi inferiori ai tre ettari; l’obbligo per i Comuni litoranei di dotarsi di Piani Regolatori come condizione per poter attuare ristrutturazioni e rinnovi nelle aree già edificate. Il che significa porre finalmente un argine a quel dilagare di costruzioni che ha già tanto malamente alterato gran parte delle coste isolane (fortunatamente non tutte) e porre le premesse per la riqualificazione di quanto s’è costruito finora. Avanzamenti civili di tutto rispetto.

Non sono i soli. Già ai primi di maggio avevano fatto scalpore le nuove tasse varate da Soru sulle case per vacanze entro tre chilometri dal mare, sugli scali di aerei privati e sugli attracchi di barche extralusso lunghe più di 14 metri... Ricorderete che contro quest’ultimo provvedimento si scatenarono le ire di Flavio Briatore (quello della “Formula Uno”) che minacciò il boicottaggio dei porti sardi da parte dei Vip suoi compari... Ecco: a me sembra che stia proprio qui una conferma importante della bontà della linea adottata da Soru (e appoggiata da Rifondazione, ovviamente).

Così infatti non viene raggiunto soltanto l’obiettivo di trarre un giusto tornaconto dalle presenze estive dei villeggianti più danarosi a favore della comunità isolana nel suo complesso. Viene anche avviato a soluzione il problema (assai poco sentito in Italia finora) di porre limiti alle quantità esorbitanti di presenze turistiche nei mesi di punta, prima che sovraffollamento e degrado arrivino a uccidere la gallina delle uova d’oro dequalificando ancor più profondamente la stupenda natura di quelle fasce costiere (dovrebbe far testo l’esempio di Capri: al top della moda internazionale negli Anni 50, poi declassato - per gli eccessi di nuove cubature edificate e di frequentazioni estive - a mèta turistica di Serie B).

Vedete quanti problemi ha avviato a soluzione il coraggio che ha saputo dimostrare la Giunta Soru: tutela delle coste, delle acque marine, delle bellezze dell’isola, delle attrattive turistiche, e al tempo stesso risorse da destinare alle attrezzature civili... E in più l’esercizio della difficilissima saggezza del “ne quid nimis” (niente di troppo). Dell’arginare i processi di crescita prima che cambino segno e assumano valenze di più in più negative.

…Tanto che viene da domandarci: ma perché non prendere esempio dalla Sardegna per quel che ci sarebbe da fare per tutto il paese?

D’accordo, qualcosa di nuovo in quella direzione si comincia a vedere qua e là: dalla demolizione barese di Punta Perotti (il grande affare edilizio-abusivo di quel Matarrese oggi eletto a risanatore morale del mondo del calcio) all’impegno del Presidente della Regione Calabria Agazio Loiero di rimettere in sesto cento depuratori mal-funzionanti per ripulire almeno in parte le acque costiere... Ma la tendenza al degrado prevale ancora in misura assai larga. Ne fanno fede gli allarmi dell’Unesco (vedi La Repubblica, 13/9) sui rischi che corrono i 41 siti italiani dichiarati “patrimonio dell’umanità” e vittime in gran parte di incuria, degrado per sovraffollamento, speculazioni edilizie e quant’altro.

Per questo l’esempio Sardegna a me sembra di grande valore. Se lì certe cose si riesce a farle, perché non cercare di estenderle a tutto il paese? Perché non fare dell’isola la punta avanzata di un processo controcorrente che coinvolga man mano le altre Regioni?

Che dite? «Ma allora perché non mettere Soru direttamente al governo?» …Ma no, quello adesso sta facendo il miracolo di far penetrare certe idee in certe dure cervici isolane che non ne avevano mai voluto sapere... Lasciamolo fare il suo buon lavoro. Ma che la coalizione di maggioranza della quale come sinistre e come ambientalisti facciamo parte arrivi a imboccare la stessa strada di Soru - di far pagare più tasse a chi più ingombra e guasta l’ambiente, di salvaguardare i valori naturalistici e storici ancora superstiti, di imporre il ricorso a una disciplina del territorio inteso come “bene comune”... Ecco: del perseguimento di questi obiettivi dovremmo proprio deciderci a fare un impegno assai più serio di quanto si sia fatto finora.

Postilla

Il piano paesaggistico non è stato “firmato” da Edoardo Salzano, non solo perché i piani sono “firmati” dall’amministrazione (e mai come in questo caso ciò è vero), ma perché Salzano è stato solo membro di un Comitato scientifico (Giulio Angioni, Ignazio Camarda, Filippo Ciccone, Enrico Corti, Roberto Gambino, Vanni Macciocco, Antonello Sanna, Helmar Schenk, Paolo Urbani, Raimondo Zucca), che, assieme a una struttura di coordinamento con altri assessorati, ha affiancato un agguerritissimo Ufficio regionale, al quale hanno lavorato decine di tecnici diretti dall’ing.Paola Cannas.

Da qualche anno si assiste a un risveglio culturale sardo, a un nuovo rapporto con la tradizione e il territorio. Lontano dal “continente”, vecchio e nuovo sembrano intrecciarsi meglio che altrove. Come giudica questo processo dall’interno della Regione? E che spazio ha o può avere la Regione, in quanto istituzione, in questo risveglio?

È andata maturando una consapevolezza dei pericoli degli effetti della globalizzazione, che se produce molti vantaggi – nella conoscenza, nel miglioramento della qualità della vita, nella crescita della relazioni – porta anche con sé il pericolo dell’omologazione alle culture dominanti, con la possibile scomparsa della bellezza delle differenze. E quindi, come spesso ci capita di accorgerci delle cose quando si rischia di perderle, anche in Sardegna mentre è emerso questo pericolo ci siamo accorti della importanza che hanno la lingua dei nostri padri, i racconti, la musica, la bellezza del paesaggio, la semplicità delle architetture tradizionali, la ricchezza dei valori comunitari che hanno resistito sino a oggi. Oggi tutti ne parlano nell’ansia di perderli, con la volontà di mantenerli non come il passato ma come una parte della modernità.

Qualcuno ha detto che i sardi hanno il vantaggio di vivere a contatto con la preistoria: con testimonianze così antiche come i nuraghi, le domus de janas, le tombe dei giganti. E anche la presenza così importante del mestiere più antico, quello del pastore, l’uomo che passa gran parte del suo tempo da solo in campagna, ha fatto sì che siano arrivati fino ai nostri giorni valori che consideriamo antichi. Il pastore che ha fatto sì che si sedimentasse un atteggiamento filosofico naturale che ancora oggi riconosciamo quando cogliamo la differenza tra i nostri vecchi e l’invecchiare di oggi. Questi elementi hanno fatto sì che alle soglie della modernità, o alla modernità, forse ci arriviamo coi valori quali la famiglia, la comunità, l’amicizia, il rispetto, la festa, la tavola. E la scommessa è cercare di portare nella modernità una parte di questo atteggiamento per molti versi ancora arcaico.

Due mosse della sua presidenza hanno avuto un forte impatto nazionale: la battaglia della Maddalena, per un futuro non militare dell’isola, e la salvaguardia delle coste contro i mille abusivismi. C’è un filo sotterraneo che congiunge i due interventi? È possibile parlare di “bellezza”, di “paesaggio” e di “coste” senza limitare l’intervento della politica al solo ambito turistico?

Avevamo detto che c’erano innanzitutto delle questioni di dignità che andavano poste e che le servitù militari erano un problema di sviluppo economico, ma erano anche un problema di dignità. E non è dignitoso che in Sardegna si sparino circa l’80% di tutte le bombe che vengono esplose in Italia in tempo di pace. È una questione di equilibrio, è una questione di giustizia, è una questione di dignità, pretendere che anche la nostra terra sia rispettata e venga utilizzata anche agli scopi militari in maniera equilibrata rispetto alle altre terre, le altre regioni d’Italia. Questo punto credo che sia stato messo in maniera decisa da noi e credo che dei passi avanti siano stati fatti, e credo che dei passi avanti altrettanto più importanti verranno fatti nei mesi futuri.

Poi noi siamo partiti dalla considerazione che per colmare il ritardo di sviluppo della Sardegna abbiamo bisogno di tutte le nostre risorse a disposizione. Tra le risorse a disposizione, che dovrebbero essere a disposizione della nostra regione, per lo sviluppo, c’è Capo Teulada, c’è l’arcipelago della Maddalena. Alla Maddalena ci sono 180 lavoratori che lavorano, da civili, presso la base americana, ma ci sono oltre 2000 disoccupati, a cui evidentemente l’attività militare non è stata in grado di garantire un lavoro. Io credo che la restituzione agli usi civili di questi tratti importantissimi di territorio, dalla Maddalena fino a Capo Teulada, sarà capace di garantire un lavoro a un numero molto maggiore di maddalenini e di sardi, e anche questa quindi è un’attività che la Regione fa per la crescita del lavoro. E sono entrambe zone bellissime della Sardegna, che l’ultima cosa che verrebbe in mente poer loro è quella di tenerle vincolate per gli usi militari. Servono allo sviluppo di quei territori e di quelle comunità, innanzitutto, e poi è un fatto di giustizia.

Avevamo detto che attorno all’ambiente si può creare lavoro. Nell’uso sapiente dell’ambiente, non nel suo consumo. E il lavoro duraturo non è quello dell’edilizia, che ogni giorno consuma una fetta nuova d’ambiente, che non è paga magari di aver costruito 400.000 seconde case nelle coste della Sardegna, e ne vorrebbe costruire altre 300.000 o altre 400.000, in una specie di cantiere che non finisce mai, che però porta pochissima ricchezza alla nostra regione. Abbiamo capito, anche in materia d’entrate, che non porta quasi nessuna ricchezza fiscale. Non lascia lavoro stabile, perché appena si finisce una casa bisogna costruirne un’altra e prima o poi bisognerà smettere di costruirne. Si costruiscono cubature che non portano lavoro durante tutti i mesi dell’anno.

Abbiamo fatto una legge per cercare di riqualificare queste coste, queste cubature, trasformare seconde case in industria turistica-alberghiera. E stiamo facendo tutto quello che si può fare per la riqualificazione e per il riuso di cubature esistenti, che erano sciupate e inutilizzate da tanti anni. Credo dopo vent’anni di inattività, è stato fatto il bando per il riuso dei siti minerari dismessi: di Masua, di Ingurtosu e di Piscinas. Allo stesso modo, non è ancora uscito il bando, ma stiamo lavorando e nei prossimi mesi uscirà il bando per Monteponi. Allo stesso modo si sta lavorando per riutilizzare il sito di Campo Pisano, vicino a Iglesias. Si sta ricreando lavoro, laddove il lavoro c’era stato, era stato dismesso da decenni e per decenni non si era riusciti a far nulla.

Fare il “governatore”, anche in una regione a statuto speciale, vuol dire scontrarsi con il peso delle burocrazie. Come risponde alle accuse di “decisionismo”?

Il peso delle burocrazie deve essere indubbiamente limitato all’indispensabile e la pubblica amministrazione deve essere più snella, più leggera, in modo che sia il più possibile efficiente, chiara e trasparente per chi vi si rivolge. E in maniera che costi il meno possibile al sistema sociale. Questa è la nostra battaglia, nota a tutti dall’inizio. Una prima cosa di cui ci siamo occupati è la semplificazione della amministrazione regionale. È inoltre in fase di ultimazione il processo di cancellazione di 18 Comunità montane e la cancellazione di 12 Consorzi industriali. In agricoltura ci sono nove enti: stanno diventando due agenzie. E potrei continuare. Insomma, la Giunta regionale ha fatto la sua parte. Abbiamo fatto i disegni di legge necessari di riforma, alcune leggi abbiamo iniziato finalmente ad approvarle, molte di queste attività di moralizzazione, di miglioramento della pubblica amministrazione stanno andando in porto. E i partiti, devo dire con lungimiranza e generosità, stanno assecondando, per quanto possibile, questo processo.

Detto questo, vorrei anche aggiungere che io non ho mai fatto un distinguo tra il personale della pubblica amministrazione e la politica, e i politici. I cittadini, per primi, non distinguono quando dicono: “La Regione funziona male”. Non pensano che c’è un presidente bravo e un’amministrazione cattiva, o viceversa. Siamo nella stessa barca, questa è la verità: siamo uguali, siamo lo stesso corpo agli occhi dei cittadini, e a ragione.

E allora, portare avanti un cambiamento, dal mio punto di vista, dal punto di vista della Giunta regionale, significa riuscire a fare un percorso comune di cambiamento, e provare a essere migliori. Migliori noi politici nella capacità di ascolto e di guida, nella capacità anche di stimolo, e migliore il personale nella capacità di essere esecutore delle politiche della pubblica amministrazione e nella capacità anche di incoraggiarla, qualche volta, a una politica migliore. Quindi un percorso assieme, perché questa “storia” la si vince o la si perde assieme: non ci può essere buona politica senza buona amministrazione e non ci può essere una buona amministrazione senza buona politica.

Quanto al “decisionismo”... Da un lato è vero che in politica devi decidere: ad un certo punto è necessario fare sintesi e decidere. Però è una decisione che deve essere necessariamente una decisione per tutti: deve ascoltare e tener conto di tutti. Quindi è una decisione totalmente diversa da quella dell’imprenditore. La decisione dell’imprenditore di per sé è immediata, sapendo che i risultati, nel bene e nel male, saranno per sé o per la sua azienda. La decisione del politico, ha lo stesso nome, è sempre una “decisione”, ma una decisione opposta, direi, di segno opposto: è per gli altri e, nel bene e nel male, rappresenta le ragioni degli altri, non le ragioni tue. Questa è quella che si chiama democrazia. Una democrazia matura non si confronta muro contro muro. Non c’è uno che vince e uno che perde, il quale si aspetta poi che venga ribaltato un risultato elettorale per sostituirsi. Una democrazia matura ha qualcuno che detiene la responsabilità del governo, questo sì. Ha qualcuno che ha maggiormente la responsabilità del risultato di un’assemblea, ma chiama in ogni caso, sempre, tutte e due le parti, a collaborare al risultato complessivo dell’assemblea. Una democrazia matura non può essere separazione, non può essere solo “una parte”, ma è necessariamente la possibilità di prendere il meglio del tutto. Questo è quello che questa Giunta regionale intende fare e portare avanti.

Per un anno, tra la metà del 2005 e la metà del 2006, i governatori di centrosinistra sono stati forse il più importante argine istituzionale al berlusconismo senescente. Con il governo dell’Unione si apre una nuova fase?

Io credo che questo Governo si comporterà in maniera leale, avrà la capacità di ascolto e, per quanto ci riguarda, comprenderà che la questione sarda merita attenzione. E quindi abbiamo un’occasione molto importante per portare a casa dei risultati che sono stati attesi per tanti anni.

Ma vorrei dire anche questa cosa: la politica divide, e l’Italia in questo momento è estremamente divisa, purtroppo. E anche, direi, colpevolmente divisa. E a volte stacchiamo anche la riflessione, o riflettiamo poco, e vediamo solo “destra” e “sinistra”. È chiaro che ci sono differenze, è chiaro che le idee di un governo di centro-sinistra sono diverse da un governo di centro-destra, in tanti casi. Ma ci sono un sacco di altri casi in cui sono le stesse idee. E quindi si può lavorare insieme, e si può riflettere, e si può guardare a tutto quello che ci unisce invece che a quello che ci divide. E si può anche evitare di farci del male da soli: specialmente quando i sardi che pensano di far male al governo di centro-sinistra magari qualche volta stanno facendo male alla Sardegna stessa, più che al governo di centro-sinistra. E viceversa naturalmente. Quindi vale per il Paese, vale per la regione, vale a ogni livello: dobbiamo veramente avere la capacità di guardare al di là di queste cose, sapere che ci sono delle differenze, competere nel momento della competizione elettorale, però poi lavorare assieme. Perché è per tutti: e spero che si riesca a fare di più in futuro.

Come ha vissuto il passaggio da Tiscali alla politica? Tra la richiesta di nuove infrastrutture e quella di “autostrade digitali”, tra vecchia e nuova imprenditoria, vecchia e nuova finanza, qual è il futuro postmoderno della Sardegna?

Dal mio ingresso in politica sono passati due anni, ho avuto modo di parlarne in varie occasioni. Io, intanto, mi sono dimenticato di essere stato imprenditore. Oggi mi sento un cittadino che ha rappresentato il ruolo politico e lo vivo in maniera totale: e mi sento un politico, non più un imprenditore; ragiono da politico e non da imprenditore; e cerco di vivere quest’esperienza politica per le cose di cui sono capace. Naturalmente porto con me un bagaglio di conoscenza e di esperienza che può essere diverso da uno che invece ha fatto il professore universitario di lettere antiche oppure il magistrato, l’avvocato, l’artista o altre cose. Ci sono diverse esperienze che ci può capitare di fare prima di avere il ruolo di responsabilità, il ruolo politico, e nessuna è più o meno importante dell’altra. Fare l’imprenditore non è necessariamente un valore più importante rispetto ad altri per fare politica. Io credo in questa possibilità, nella necessità di fare politica, nel dovere di farla, e che ci sia spazio per tutti.

Per quanto riguarda il futuro della Sardegna tra vecchio e nuovo, come dice lei, riassumerei la questione in questo: modernità e maggior equità. Mi capita di dire: innovazione e giustizia sociale. Se potessi attuare qualcosa, riuscire a realizzare qualcosa, effettivamente, in questi anni di governo, mi piacerebbe che fosse esattamente questo: contribuire ad aumentare la capacità e il livello di innovazione di questa regione e aumentare la giustizia sociale. Questi sono i due punti, ai quali aggiungo la bellezza.

Abbiamo fatto di tutto per difendere l’industria, la grande industria esistente. Per difendere l’occupazione, per crescere e per dare sollievo a chi oggi ancora un lavoro non ce l’ha. Per sanare delle partite storiche di lavoratori socialmente utili, aziende storicamente in crisi che oggi hanno un nuovo futuro, come la Carbosulcis, i lavoratori dell’ex cartiera di Arbatax.

Cosa mi aspetto? Continuare su questa strada, una strada d’innovazione. Questa è una regione che vuole essere innovativa, che punta molto sulla capacità d’innovazione e di crescita della conoscenza e del sapere, quindi continuiamo a puntare sull’innovazione.

Mi aspetto molto nel campo della creatività e della bellezza. E quindi maggiore attenzione alla bellezza, alla pulizia, all’ordine, alla cura, all’attenzione che dedichiamo alla nostra Regione, ai nostri uffici, ai nostri paesi, alle nostre architetture, a tutto quanto. Credo che continueremo a lavorare su questi filoni: dell’innovazione, della giustizia e della bellezza.

Quello che esiste, in termini di lavoro, di imprese, di diritti, noi lo difendiamo con molta determinazione. La Regione sta giocando un ruolo di attenzione, sta facendo tutto quello che può e lo fa con il massimo impegno e la massima determinazione, affinché tutto il lavoro che il sindacato ha fatto negli anni per il piano per la chimica sia rispettato, affinché tutti gli investimenti promessi sulla chimica siano rispettati, e non ci sia un ulteriore impoverimento della Sardegna.

Facciamo questo, però ci diciamo che forse per il futuro e la nuova occupazione dobbiamo puntare sulle piccole e medie imprese che esistono in Sardegna e che devono aumentare nella nostra regione. La Regione ha fatto uscire un bando di 700 milioni di euro che è dedicato proprio a loro. Quindi va oltre le parole e per la prima volta mette in campo delle risorse di dimensioni straordinarie votate proprio a questo: far nascere delle piccole e medie imprese in Sardegna e far crescer le piccole e medie imprese che già esistono. Non ci saranno più partecipazioni statali. È difficile che attrarremo ancora un’impresa che si metta a fare alluminio laddove questo costa di meno 200 km più a sud e il lavoro costa molto meno. Ma sicuramente attrarremo nuova impresa se avremo le infrastrutture informatiche necessarie, quelle che lei ha chiamato “autostrade digitali”. E a questo stiamo lavorando da due anni e ormai siamo anche a buon punto. La prima cosa che è stata fatta: ci siamo dotati di una strategia. Una strategia che parte innanzitutto dalla rete. Per funzionare, l’informatica ha bisogno di una rete di telecomunicazioni. La Sardegna non ne era dotata, tanto meno ne era dotata l’amministrazione regionale. È stata fatta, è stato fatto un bando importante, è in fase di implementazione e completamento in questi mesi, la rete della pubblica amministrazione regionale, al quale potranno partecipare tutti.

Sono state fatte delle azioni importanti: ad esempio fare in modo che ci sia l’Adsl nel proprio Comune, e ci sono ancora oggi oltre 200 comuni della Sardegna che non hanno l’Adsl. Ora noi ci aspettiamo che in tempi brevissimi, assolutamente meno di un anno, la nostra regione sia la prima in Italia dove la banda larga sia accessibile per il cento per cento della popolazione, in tutti i comuni della Sardegna, fino al più piccolo, di poche centinaia di abitanti. E poi, fatta la rete per la pubblica amministrazione, resa la rete accessibile a tutti i comuni, tutti i cittadini, tutte le imprese della regione.

Il vero motore dell’economia al giorno d’oggi, nel mondo contemporaneo, è la conoscenza, il sapere, il livello di istruzione delle persone.

LA MADDALENA - Mazzata sul mercato privato dei paradisi naturali ceduti al miglior offerente. La Regione Sardegna comprerà le isole di Budelli e Mal di Ventre. L’annuncio è stato ieri mattina dal governatore Renato Soru mentre, a Villasimius, riceveva le Cinque Vele di Goletta verde e Legambiente per l’efficacia della sua politica di tutela ambientale.

La notizia è stata confermata dal sindaco di Cabras, Efisio Trincas. Nel suo territorio comunale ricade Mal di Ventre, cinque miglia a ovest delle coste dell’Oristanese. «Ad acquistare l’isola dal suo attuale proprietario, il lord inglese Rex Miller, sarà la Conservatoria regionale per i beni paesaggistici sardi da salvaguardare», ha chiarito il primo cittadino, visibilmente contento del positivo sviluppo creatosi in una faccenda che rischiava diversamente di attirare speculatori senza scrupoli. «La gestione concreta - ha poi proseguito Trincas - continuerà a venire affidata alla nostra amministrazione tramite l’oasi marina».

Soddisfatto della svolta anche l’assessore regionale per la Difesa dell’ambiente, Cicito Morittu: «Nel caso di Mal di Ventre, così come per Budelli e per tutte le altre situazioni nelle quali si ritenga indispensabile provvedere, è questa la soluzione più opportuna - ha spiegato con convinzione l’amministratore - Nello stesso ambito d’intervento, un domani, potrebbero rientrare molte pinete lungo le coste oggi ancora private e in un prossimo futuro destinate a diventare pubbliche».

Trattative già avviate, quindi. Prima di tutto con il nobile britannico proprietario di Mal di Ventre. Si tratta di un ingegnere che vive sull’isola di Jersey, tra Gran Bretagna e Francia, nel canale della Manica. E che nei giorni scorsi aveva fatto pubblicare un annuncio di vendita sull’ International Herald Tribune: "isola in vendita". E’ sttao proprio quell’annuncio a suscitare vasta eco in tutt’Italia e, probabilmente, a determinare la rapidissima decisione della Regione Sardegna.

Grande 81 ettari, l’isola di Mal di Ventre è un gioiello d’inestimabile valore anche sotto il profilo geologico e storico. In passato tra cale e spiagge sono stati trovati, fra l’altro, i resti di un insediamento nuragico e oltre a preziosissime testimonianze risalenti all’epoca romana.

Negoziato finora super segreto, invece, con gli attuali proprietari di Budelli, un chilometro e mezzo quadrato di litorali e baie magnifiche, tra cui la Spiaggia Rosa resa celebre dal film con di Lina Wertmuller con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato. L’isola, uno dei gioielli dell’arcipelago della Maddalena e del parco nazionale recentemente costituito da quelle parti, appartiene da oltre vent’anni a una società a responsabilità limitata, la Nuova Gallura. La rappresenta sul piano legale un avvocato elvetico, Vittorio Peer.

Per sapere come si svilupperanno le trattative, adesso, non resta che attendere. L’intera questione è infatti seguita con particolare interesse alla Maddalena, dove di recente è nato un braccio di ferro tra Comune e Parco. Al centro del contendere, i criteri di gestione dell’area protetta. Ma a suscitare contrasti è anche l’affidamento d’importanti beni pubblici che, una volta smilitarizzati dagli americani della base dei sommergibili nucleari e dalla stessa Marina italiana, entreranno a far del patrimonio della comunità civile.


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28 luglio 2007

Di Sardegna il mare e il suol...

di Guglielmo Ragazzino

La cosiddetta tassa Soru, che prende nome dal presidente della Sardegna, consiste in un'imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico. Fino a tre chilometri dal mare si pagano 9 euro al metro quadro per alloggi fino a 60 metri e poi la tariffa sale per le case più grandi. Una casa di 60 metri quadri è così tassata per 540 euro; Silvio Berlusconi, sempre grandioso, ha invece calcolato di subire il carico maggiore: 50 mila euro. Per le case più vicine al mare, meno di 300 metri, è prevista una sovrimposta del 20%.

La «tassa Soru» non è apprezzata dal governo di Roma che la ritiene doppiamente illegittima, sul piano costituzionale. C'è un conflitto tra stato e regione in materia tributaria ed è messa a rischio l'uguaglianza dei cittadini. Il governo si è rivolto alla Corte una prima volta l'anno scorso, e il giudizio è pendente. Ha deciso di rifarsi sotto quest'anno, impugnando la legge e le modifiche apportate da Renato Soru nel maggio 2007.

E' una materia spinosa che si è ripresentata in un brutto frangente... e così ieri venerdì 27 luglio, quando alle 9,45 del mattino si è riunito il consiglio dei ministri, con un'agenda densa di decisioni da prendere, di nomine da fare, il tempo era veramente poco. Il comunicato ufficiale è trascritto in sei pagine; e per arrivare alla questione Soru si deve arrivare all'ultima che trascriviamo integralmente. «Il Consiglio, infine, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, Linda Lanzillotta, ha esaminato alcune leggi regionali a norma dell'art. 127 della Costituzione. La seduta ha avuto termine alle ore 11,00.» Un consiglio dei ministri con la mente altrove, con altro da pensare per occuparsi di ambiente e beni comuni, di mare e libertà, di uguaglianza e ricchezze.

I temi presenti nella questione del mare di Sardegna e del federalismo fiscale, della costa e dei suoi padroni, delle case e dei sardi emigrati, sono tutti compressi nel richiamo all'articolo 127 della Carta. L'anno scorso, nel presentare la tassa, Soru ha detto che essa «si fondava sull'uso dell'ambiente, una risorsa pubblica scarsa». E aggiungeva che il tentativo era di «portare avanti un progetto di sviluppo del turismo; ma di un turismo sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale». Sul problema del non rispetto eventuale dell'articolo 3 della costituzione, relativo all'uguaglianza tra i cittadini, i sardi, gli immigrati in «continente», i loro figli, Soru dichiarava la volontà di tenere aperta la discussione.

Infatti la soluzione adottata piace poco ai sardi ed è sempre avversata dal governo di Roma. Ma se esso intenda difendere l'uguaglianza, sia pure astrattamente intesa, dei cittadini di fronte al mare, oppure i diritti dei ricchi che il mare pensano di averlo comprato per sempre, forse non lo sanno neppure a Palazzo Chigi. Per ora, intanto, due su tre dei tassati non pagano, in attesa che una specie di condono li premi ancora una volta.

2 agosto 2007

La spia accesa sarda e i vandali di governo

di Pierluigi Sullo

Il manifesto ci ha fatto una prima pagina: scelta molto azzeccata. L'impugnazione da parte del governo della cosiddetta «tassa sul lusso» della Sardegna è un riassunto dell'atteggiamento del centrosinistra - la parte «coraggiosa» - sui temi del cosiddetto sviluppo. In altre parole, è la conferma di quanto il precipitare della crisi ambientale, lo stato di degrado in cui è il nostro assetto idro-geologico, il disastro della cementificazione e privatizzazione delle coste (che è all'origine dell'«emergenza incendi»), lo spettro della crisi idrica che sta ammazzando il Po, tutto questo sia ignorato dall'attuale governo. Anzi, ogni provvedimento (o non provvedimento) concorre a aggravare la situazione.

La legge sarda non si propone solo di far pagare un'imposta ai ricchi, quelli che hanno grandi barche o aerei privati, ma soprattutto di chiudere un cerchio che si è aperto con l'approvazione del piano paesistico regionale che proibisce nuove costruzioni a meno di tre chilometri dalle coste. Quel divieto salva il salvabile, dopo l'allegro saccheggio iniziato dall'Aga Khan in Costa Smeralda decenni fa, e permette all'isola di continuare a vendere la sua «merce» turistica, che altrimenti semplicemente si esaurirebbe. Ma in compenso, dice il presidente Soru, noi chiediamo ai non residenti, a coloro che posseggono una seconda casa e la usano uno o due mesi l'anno, di contribuire al salvataggio delle coste. Anche a loro vantaggio, perché non costruire più nulla darà ovviamente maggior valore a quel che c'è già.

Ora, che il governo si opponga in nome dell'esclusivo potere dello stato di imporre tasse (dopo tante fesserie sul federalismo) e dell'«eguaglianza dei cittadini» (quando è noto che la tassazione progressiva, e quella sarda lo è, è una delle basi dello stato moderno) è più che grottesco: è pericoloso. Perché suona inequivocabilmente come un incitamento ai trafficanti di cemento, tant'è vero che la destra sarda sta esultando, oltre a invitare a non pagare la famosa tassa (quasi il 50 per cento di chi dovrebbe, per altro, ha già pagato, perché evidentemente i cittadini sono più intelligenti dei loro ministri).

Ma appunto questa storia della Sardegna è l'ennesima spia rossa accesa sul cruscotto dell'automobile modello Italia. Lasciamo stare per una volta la Tav, che è troppo facile. Che dire di una Regione, come l'Umbria, che allo stesso tempo proclama lo stato di calamità a causa della scarsità d'acqua, e poi autorizza Rocchetta a utilizzare un pozzo che ammazzerebbe definitivamente un fiume, il Rio Fergia, così che tocca ai cittadini locali accorrere al suono delle campane per fermare le ruspe? E che dire di un parco nazionale, come quello del Gargano, dove le fiamme hanno divorato boschi e ucciso persone, che si oppone all'abbattimento di centinaia di case abusive e non fa una piega quando si vuole costruire un mega-hotel e centro commerciale in zone protette?

O di un'altra regione, il Lazio, dove lobby multiformi si agitano per ottenere il maggior numero possibile di inceneritori, solo perché sono resi assai convenienti dagli scandalosi Cip6 (la quota che tutti noi paghiamo nella bolletta per fonti rinnovabili fasulle e velenose come gli scarti del petrolio o i rifiuti, appunto), mentre il comune di Roma ha una ridicola quota di raccolta differenziata, il 20 per cento, e viene perciò premiato da Legambiente?

A Vicenza aspettano a pié fermo le ruspe che dovrebbero costruire la nuova base militare.

Se ci sono drammi sulle pensioni, la precarietà e il welfare (e ci sono), suggerisco alla sinistra di prendere nota di questi altri drammi. Il malessere sociale ha molte facce.

Come è noto, la signora Lanzillotta, ministra degli affari regionali nel governo Prodi, rappresenta la punta più avanzata dell'innovazione riformista coraggiosa [tralascio le virgolette perché ne occorrerebbero troppe]. Per conto del gruppo di potere cui appartiene, capeggiato da Francesco Rutelli, intrattiene relazioni con le imprese che hanno preso di mira i servizi pubblici locali. Prima delle elezioni politiche, l'anno scorso, Lanzillotta ne prometteva la liberalizzazione e modernizzazione, se il centrosinistra avesse vinto. Altro che Berlusconi. Purtroppo la ministra non è stata del tutto di parola: sull'acqua, ad esempio, ha dovuto accettare una moratoria, assediata com'è dalla sinistra cosiddetta radicale [sarebbe ora di chiamarla sinistra e basta], e soprattutto dalle oltre 400 mila firme raccolta dalla legge d'iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell'acqua: firme raccolte da quel movimento che secondo molti non esiste più, e con il solo sostegno di giornali indipendenti che qualcuno vorrebbe non esistessero più.

Ma l'ideologia è una forza potente. E la ministra Lanzillotta un tipo tenace. Perciò, per conto del governo, ha impugnato presso la Corte costituzionale la cosiddetta "tassa sul lusso" varata in Sardegna dal presidente Soru e dalla sua maggioranza di centrosinistra. Soru, che è un liberista intelligente [invece che idiota, come la gran parte dei liberisti italiani] ha fatto questo ragionamento: noi, con il Piano paesistico regionale [steso da un insigne urbanista e collaboratore di Carta, Edoardo Salzano] diciamo basta alla costruzione di nuove case in una fascia di tre chilometri dalla costa. In questo modo salvaguardiamo il valore di mercato [appunto, Soru è liberista] del turismo sardo, che altrimenti degraderebbe in una insopportabile cascata di cemento. Però arrestare questo "sviluppo" comporta un sacrificio economico. Quindi si tratta: a] di far pagare un'imposta ai ricchi che si servono delle nostre coste, cioè coloro che arrivano con barche oltre i 14 metri e con aerei privati; b] soprattutto, di far sì che chi possiede una seconda casa in Sardegna, non abitandovi ma usandola uno o due mesi l'anno, paghi l'uso che fa del nostro territorio e delle sue spiagge, ecc. Questa tassa sulle seconde case, a sua volta, è graduata in base alla grandezza della casa [più o meno di 60 metri quadri] e alla vicinanza alla costa [il valore delle case aumenta se sono più vicine al mare]. Insomma, una tassa progressiva [chiede di più a chi ha di più] e che ha lo scopo di rendere utili, almeno dal punto di vista del bilancio sardo, le città morte di seconde case che la speculazione degli ultimi decenni ha creato [e in proposito consiglio di leggere l'articolo di Sandro Roggio, urbanista sardo, sul mensile di Carta che uscirà questo sabato, dedicato appunto al destino delle coste italiane].

Cos'ha da obiettare la ministra Lanzillotta? Che la tassa sarda, per altro già pagata [dice Soru] dal 50 per cento di chi dovrebbe pagarla, un dato che impressiona positivamente, invade le competenze dello Stato e per di più viola il principio di uguaglianza tra i cittadini, visto che a pagare sono i non residenti. Soru risponde che la Sardegna è una regione autonoma a statuto speciale fin dal 1948, e ha il diritto di imporre nuove tasse. E d'altra parte invocare il principio di uguaglianza è in questo caso ridicolo.

Sta di fatto che il governo Prodi, e la sua punta avanzata coraggiosa, cercano di sabotare l'unico provvedimento che con qualche decisione, in tutto il paese, cerca di fermare l'ondata di cemento che ha già investito - si calcola - tra il 60 e il 70 per cento delle coste, privatizzandole di fatto, esponendole ad incendi come quello del Gargano [ne parleremo sul prossimo numero del settimanale], inquinando il mare, ecc. E la ragione è puramente ideologica: lo "sviluppo" non può essere fermato, foss'anche quello cialtrone delle seconde case [e figuriamoci quello degli inceneritori, dei rigassificatori, delle superferrovie…]. Perché può essere raccontato agli elettori come la "crescita" del paese [cioè dell'economia] e soprattutto perché apre le dighe degli affari, dai super-palazzinari che governano Roma alle Impregilo che costruiscono il Mose e fanno andare in malora la raccolta dei rifiuti in Campania. Quel centrosinistra, quello della signora Lanzillotta, è un originale impasto di dirigismo politico-economico e di alleanze con gruppi di potere imprenditoriali. Sono le partecipazioni statali alla rovescia: un tempo era lo Stato a intervenire nell'economia, creando le sue industrie; oggi è l'economia a intervenire nello Stato, creando le sue lobbies.

PREMESSE

Il quadro di riferimento

Prima di esprimere un parere sulle osservazioni al progetto di Piano paesaggistico regionale, il Comitato scientifico ritiene utile chiarire la propria posizione su alcuni dei principali temi affrontati nel progetto, riprendendo questioni che sono state ampiamente discusse in un clima di costante collaborazione con l’Ufficio, espresse in numerosi documenti che hanno contribuito in modo consistente a conferire al PPR il contenuto e la sua forma attuale. La progettazione del PPR ha comportato, per i componenti del Comitato scientifico, un coinvolgimento intellettuale ed anche emotivo che l’intero gruppo ha condiviso pienamente nelle intenzioni culturali e politiche, percependo l’assoluta novità dell’esperienza nella quale si troveranno contenuti che rivoluzionano il governo del paesaggio.

L’estensione dell’area disciplinata (è il più grande piano paesaggistico mai redatto in Italia), il carattere controcorrente della filosofia di fondo che sostiene il Piano rispetto alla tendenza prevalente (che è quella della corsa alla privatizzazione e alla dissipazione del territorio e delle sue risorse, in cui la sostenibilità, ridotta a sopportabilità, è più un uso artificioso della parola che una volontà determinata di preoccuparsi dei posteri), la possibilità di verificare e applicare i nuovi orientamenti scientifici derivanti dalle direttive europee e le regole, a volta discutibili, del recente Codice dei beni culturali e del paesaggio, tutti questi fattori hanno reso il compito del Comitato scientifico intricato ma appassionante. D’altronde, il Comitato era ben consapevole del fatto che il PPR rappresenta il primo piano unitario dedicato al paesaggio regionale, dopo tanti piani settoriali e i piani paesistici decaduti.

Così, incaricato di seguire la progettazione a partire dalla messa a punto delle “Linee guida”, il Comitato Scientifico non si è limitato all’espressione di pareri ma ha formulato una filosofia, una visione organizzata sulla quale, poi, si è sviluppato il piano. Nel corso della progettazione - a partire dal luglio 2005 - i membri del CS hanno costituito dei gruppi di lavoro misti con l’Ufficio del Piano che, fin dall’estate del 2004, aveva avviato la progettazione, raccolto e ordinato il vastissimo materiale conoscitivo e delineato i primi elementi del metodo.

La formazione del PPR si colloca infatti in una fase di particolare evoluzione del diritto ambientale, non solo nel nostro paese. Negli ultimissimi anni e mesi, alla costanza dell’affermazione di principi (maturati sulle radici di più antiche sentenze costituzionali ma resi espliciti e cogenti dalle leggi che si sono succedute dalla 431/1985, alla L.183/1989, alla L.394/1991, al DLeg 490/1999, al DLeg 42/2004, fino al recentissimo atto di modifica di quest’ultimo e alla vicenda del DLeg sull’ambiente) ha corrisposto un continuo modificarsi delle formulazioni tecniche, dei procedimenti e della stessa portata degli atti di pianificazione.

E contemporaneamente, mentre il quadro europeo arricchiva di contenuti e di prospettive la pianificazione del paesaggio (soprattutto con la Convenzione Europea del Paesaggio del 2000) e la tutela dell’ambiente (con la Direttiva Habitat del 1992), e mentre si consolidavano a livello internazionale nuovi orientamenti nella gestione delle risorse naturali (come quelli espressi nella Convenzione di Rio sulla biodiversità, o quelli affermati dall’Unione Mondiale della Natura a Montreal, 1996, a Durban nel 2003 e a Bangkok nel 2004, o quelli sanciti dall’UNEP e dalla stessa Unione Europea per la gestione integrata delle zone costiere del Mediterraneo), le modifiche alla legislazione nazionale in materia ambientale e i ritardi nella sua attuazione hanno indebolito alcuni supporti essenziali della pianificazione paesaggistica-ambientale, quale la pianificazione di bacino.

È in questo quadro che vogliamo fornire alcune riflessioni sulle principali questioni emerse nella formazione del progetto di piano. Riflessioni che siano di riferimento per la validazione tecnico-scientifica delle elaborazioni in corso, per l’esame delle osservazioni raccolte nella fase di pubblica consultazione e per l’avvìo delle attività di valutazione con le quali controllare i processi attuativi. In effetti, la complessità delle tematiche affrontate e l’oggettiva difficoltà di rendere omogenei molti tematismi apparentemente distanti e prodotti su basi cartografiche diverse - unitamente alla ristrettezza dei tempi e alla forte accelerazione data ai lavori nella fase finale - non hanno consentito sempre un’adeguata rivisitazione delle elaborazione operate che restano, comunque, impregnate della filosofia illustrata nelle linee guida del Piano.

Le riflessioni concernono soprattutto:

1. La forma e la struttura del piano, ossia le differenti modalità mediante le quali il PPR intende avviare un processo di pianificazione che abbia, quale suo punto di partenza e sua prima “invariante”, l’indifferibile esigenza di tutelare le qualità del territorio regionale per garantirne la fruizione alle popolazioni attuali e a quelle future. In questo quadro, si affronteranno anche le questioni relative alla particolare tutela della fascia costiera, alle norme diversamente articolate in relazione alle “componenti del paesaggio” e agli “ambiti di paesaggio”, alla definizione di “valori paesaggistici” alle diverse parti del territorio.

2. I rapporti tra le diverse responsabilità, competenze, ruoli degli attori pubblici. Si tratta dell’applicazione del principio di sussidiarietà che si è inteso dare nel formulare le scelte relative sia ai contenuti che alle modalità di svolgimento del processo di pianificazione, con particolare riferimento alle responsabilità della Regione e alla definizione della collaborazione, nel processo di pianificazione, tra i diversi enti pubblici elettivi a diverso titolo responsabili del governo del territorio. In questo quadro, si farà cenno al ruolo dei diversi enti nel governo del territorio, e agli strumenti mediante i quali garantire, a un tempo, l’efficacia delle scelte della pianificazione e il rispetto delle prerogative dei diversi livelli di governo.

2. Il paesaggio della Sardegna.

L’oggetto del PPR, si può dire il suo protagonista, è il paesaggio della Sardegna. Un bene complesso e fragile. Complesso per la sua formazione: deriva dai fondamenti geopedologici, climatici e biologici, ma è anche il prodotto del millenario lavoro dell’uomo su una natura difficile, lungo la cui durata si sono costruiti insieme la forma dei luoghi (il paesaggio appunto) e l’identità dei popoli. Difficile da organizzare in conoscenza sistematica per la cognizione che ognuno di noi ne possiede pur esistendone una qualche percezione comune. Osservato e studiato nella convinzione che conservare e gestire responsabilmente il paesaggio significhi conservare l’identità di chi lo abita e che un popolo senza paesaggio è un popolo senza identità e memoria. Complesso e fragile proprio per la bellezza delle sue coste, preda delle più rapaci e violente distruzioni, e per le solitudini mistiche delle aree interne in abbandono.

Fragile ma confortante per la certezza che ancora si prova nel riconoscere il territorio anche in una fotografia dell’isola trovata nella polvere, per la sensazione di infinito che l’isola provoca in chi guarda ciò che di intatto è stato conservato, e di riconoscibile per l’effetto dei venti dominanti che hanno piegato il paesaggio, rocce e alberi, in una forma unica che lo identifica e lo rende familiare. Complesso nonostante l’unità sostanziale che secoli di storia hanno realizzato a partire dalle differenti forme, unificando il territorio della Sardegna che si è composto in una sintesi, articolata e armonica, delle sue molteplici identità locali. Complesso e fragile, a dispetto della sua forza e resistenza, per i conflitti che sono natinegli ultimi decenni tra una civiltà fortemente radicata nella storia e nei luoghi e una deformata idea di modernità che è consistita nell’utilizzazione feroce delle risorse e nella trasformazione del territorio ispirata a modelli uguali e ripetuti in ogni parte del mondo.

L’assunto alla base del PPR è che questo paesaggio - nel suo intreccio tra natura e storia, tra luoghi e popoli – sia la principale risorsa della Sardegna.Una risorsa che fino a oggi è stata utilizzata come giacimento dal quale estrarre pezzi pregiati sradicandoli dal contesto, piuttosto che come patrimonio da amministrare con saggezza e lungimiranza per consentire di goderne i frutti alla generazione presente e a quelle future. Una risorsa che è certamente il prodotto del lavoro e della storia della popolazione che la vive e di cui essa è responsabile.

E’ su questo assunto che si basano le scelte di fondo del PPR, già indicate dalle Linee Guida approvate nel 2005 ed ora tradotte in indirizzi progettuali di governo del territorio, quali:

- la priorità accordata alla preservazione delle risorse e dei paesaggi “intatti”, non ancora irrimediabilmente devastati o mutilati dalle trasformazioni antropiche, in quanto cespite irriproducibile per un autentico sviluppo durevole;

- il riconoscimento del ruolo centrale che l’eredità naturale e culturale è chiamata a svolgere nell’organizzazione complessiva del territorio, connotandolo nell’insieme come uno straordinario “paesaggio culturale”;

- l’orientamento a perseguire nuove forme di sviluppo turistico ed in particolare una nuova cultura dell’ospitalità, basata sulla rivalorizzazione dei valori paesaggistici riconosciuti, sottratta alle ipoteche dello sfruttamento immobiliare ed agli effetti devastanti della proliferazione delle seconde case e dei villaggi turistici isolati.

3. Il piano paesaggistico regionale

Il PPR è appunto lo strumento centrale del governo pubblico del territorio. Esso si propone di tutelare il paesaggio, con la duplice finalità di conservarne gli elementi di qualità e di testimonianza mettendone in evidenza il valore sostanziale (valore d’uso, non valore di scambio), e di promuovere il suo miglioramento attraverso restauri, ricostruzioni, riorganizzazioni, ristrutturazioni anche profonde là dove appare degradato e compromesso. Il Piano è perciò la matrice di un’opera di respiro ampio e di lunga durata, nella quale conservazione e trasformazione si saldano in un unico progetto, essendo volta la prima a mantenere riconoscibili ed evidenti gli elementi significativi che connotano ogni singolo bene, e la seconda a proseguire l’azione di costruzione del paesaggio, che il tempo ha compiuto, in modo coerente con le regole scritte e non scritte che hanno presieduto alla sua formazione.

Il PPR è quindi, da una parte, il catalogo progressivamente aggiornato - tramite il sistema informativo territoriale - delle risorse del territorio sardo e del suo paesaggio e delle regole necessarie per la sua tutela e, dall’altra parte, il centro di promozione e di coordinamento delle azioni che, a tutti i livelli, gli operatori pubblici pongono in essere per trasformare la tutela da insieme di regole a concreta gestione del territorio, finalizzata allo sviluppo duraturo e sostenibile dell’intera Sardegna.

Particolare rilevanza devono assumere tra queste azioni quelle svolte dai soggetti seguenti:

- dagli enti locali nella definizione della pianificazione urbanistica dei territori di loro competenza amministrativa, anche attraverso le collaborazioni inter-istituzionali che il Piano propone;

- dalle articolazioni settoriali e funzionali dell’amministrazione regionale aventi come compito specifico la gestione degli interventi di promozione finanziaria, le politiche patrimoniali, la valutazione ambientale;

- dagli enti di rilevanza nazionale, regionale e locale cui è affidata la missione specifica di tutelare e gestire singole parti del patrimonio paesaggistico ed ambientale della regione (foreste, demani, aree protette ecc.).

La prima fase della formazione del PPR consiste nell’approvazione preliminare, da parte della Giunta Regionale, di una serie di documenti i quali, pur essendo riferiti all’insieme del territorio, disciplinano con particolare attenzione e compiutezza i beni e i paesaggi interessanti la fascia costiera, ossia l’insieme dei territori i quali (per la loro origine e conformazione, per le caratteristiche dei beni in essi presenti, per i processi storici che ne hanno caratterizzato l’attuale assetto) hanno un rapporto privilegiato con il mare.

Essa deve essere considerata la prima fase di un lavoro che si svilupperà nel futuro sotto molteplici punti di vista e per varie ragioni:

- perchè è oggetto di una discussione nella quale la società regionale, in particolare quella rappresentata dai soggetti indicati al punto precedente, si esprimerà proponendo integrazioni, correzioni e approfondimenti dei quali terranno conto la Giunta e il Consiglio regionali al momento dell’approvazione del piano;

- perchè molte delle direttive e degli indirizzi espressi nei documenti di piano dovranno essere verificati, specificati e articolati nella pianificazione provinciale e comunale, nel quadro di quella “assidua ricognizione” dei valori paesaggistici e ambientali cui la Corte costituzionale si è più volte riferita;

E con lo stesso metodo e il medesimo impianto filosofico, anche per le parti del territorio regionale aventi minore attinenza con il mare si raggiungerà lo stesso analitico livello di approfondimento.

LA FORMA DEL PIANO

4. Un piano per la tutela-valorizzazione del paesaggio

Tra le due modalità consentite dalla legislazione nazionale (“piano paesaggistico” oppure “piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali”) si è scelta la prima. Ciò significa che si è avuta fin dall’inizio la consapevolezza che il piano non si propone di definire tutti gli aspetti della disciplina e del funzionamento del territorio, ma ne costruisce i presupposti con l’individuazione delle regole e delle azioni necessarie per consentire che le trasformazioni del territorio, che saranno definite dalla successione delle varie fasi della pianificazione (comunale, provinciale, regionale) della pianificazione siano funzionali alla tutela delle caratteristiche qualitative proprie della configurazione del territorio.

Dove per tutela e valorizzazione non si intende l’antinomia (e la ricerca del difficile equilibrio) tra il vincolo paralizzante e la trasformazione in merce delle qualità presenti nel territorio, ma la ricerca della piena messa in valore di un tipo particolare di beni pubblici: quelli costituiti dalla forma che al territorio ha impresso la plurimillenaria storia del rapporto tra uomo e natura. Una messa in valore la cui condizione preliminare è data dall’individuazione del bene e delle sue caratteristiche proprie (come elemento singolo e come relazione tra elementi diversi). I passi successivi consistono nella conservazione, il restauro, la ricostituzione e, infine, la costruzione di qualità e identità nuove là dove quelle della storia sono state annullate dall’azione dell’uomo o degli eventi. Ed è questo accoppiamento tra tutela e messa in valore che consente di passare da logiche puramente difensive e reattive centrate sui vincoli a logiche attive di promozione e di valorizzazione territoriale centrate sul Piano, dando significato concreto ai principi della autentica sostenibilità.

La tutela-valorizzazione dei beni paesaggistici pone una duplice serie di esigenze per quanto riguarda la loro definizione.

Da un lato, è necessario individuare le categorie di beni che è necessario sottoporre a tutela, a partire dalle categorie definite dalla legislazione vigente ma articolandole e arricchendole sulla base dello specifico contesto territoriale e culturale. Si tratta di partire da quanto disposto dalle leggi nazionali (dalla L. 431/1985 al DLeg 42/2004), costruendo un ulteriore tassello – regionale - di quella “riconsiderazione assidua” del territorio “alla luce e in attuazione del valore estetico-culturale” che la Corte costituzionale ha ritenuto necessaria.

In proposito, il Codice attribuisce al piano paesaggistico un compito estremamente importante ai fini dell’operatività e dell’efficacia delle misure di protezione, sia dei beni già considerati dalla legislazione precedente (L 1497/1939 e L. 431/1985) sia di quelli ulteriormente ritenuti meritevoli di tutela nel piano stesso.

Dall’altro è indispensabile tener conto che il paesaggio non è costituito dalla mera giustapposizione di elementi di particolare rilievo, ma anche dall’integrazione che si è determinata tra gli stessi elementi e il contesto territoriale intorno: quella integrazione che ha condotto storicamente alla costituzione di specifiche individualità territoriali. In altri termini definite come “unità di paesaggio” o - per adoperare le parole del PPR, mutuate dalle denominazioni del Codice del paesaggio (art. 135) - ambiti di paesaggio. Non va dimenticato che il passaggio dalla considerazione in chiave vincolistica dei singoli “beni paesaggistici” alla considerazione dei “paesaggi” che tutto il territorio articolatamente esprime (ossia, come si è spesso detto, la “territorializzazione” delle politiche del paesaggio) rappresenta l’innovazione più importante sancita dalla Convenzione Europea del Paesaggio che verrà adottata anche nel nostro Paese.

5. L’impianto normativo

L’impianto normativo del PPR è costruito in adeguamento alla legislazione sovraordinata, con particolare attenzione all’evoluzione legislativa che ha condotto dalla legge 431/1985 al Codice 42/2004, alla giurisprudenza costituzionale che si è susseguita in materia a partire dalle sentenze 55 e 56 del 1968, nonché alla Convenzione europea del paesaggio, al Protocollo MAP- UNEP per la gestione integrata delle zone costiere. Esso è accompagnato da un testo legislativo che propone modifiche alla vigente legislazione regionale in materia, modifiche funzionali al ruolo che si intende attribuire al PPR. Esso, in risposta alla duplice esigenza sopra ricordata, si basa nella sostanza sulla complementarietà di due strati normativi (o insiemi di precetti), che si distinguono non tanto per la scala o il grado di specificazione, ma per la loro funzione diversamente “regolatrice” della pianificazione:

A) Il primo strato normativo è riferito sia ai singoli oggetti o elementi territoriali per i quali è necessaria e possibile la tutela ex articoli 142 e 143 del DLeg 42/2004 (benipaesaggistici appartenenti a determinate categorie a cui è possibile ricondurre i singoli elementi con criteri oggettivi, in jure “vincoli ricognitivi”), sia alle componenti ambientali-territoriali che, pur non essendo dei beni (anzi magari essendo dei “mali”, come ad es. i siti inquinati o le aree di degrado) devono essere tenute sotto controllo per evitare danni al paesaggio o per favorirne la riqualificazione. E’ importante notare che, ai sensi del Codice, questo primo insieme di norme implica un esplicito riconoscimento di quegli oggetti di disciplina da considerare come “beni paesaggistici”, al fine di assicurarne la “puntuale individuazione” ai sensi dell’art.143 e di differenziarli dalle altre componenti (pur dotate di valenza paesistica, come gran parte dei beni culturali che il Piano intende valorizzare) non solo sotto il profilo procedurale (l’obbligo di specifica autorizzazione paesaggistica per gli interventi che li concernono) ma anche sotto il profilo sostanziale, in relazione al ruolo che essi svolgono nel determinare la qualità complessiva dei contesti in cui ricadono. Ciò implica anche che l’individuazione dei beni paesaggistici, pur prendendo le mosse dalle categorie già definite a livello nazionale (come le categorie dell’art. 142), può e deve fondarsi su quelle maggiori specificazioni che fanno riferimento alle concrete realtà regionali (ad es. distinguendo zone umide, apparati dunali, falesie ecc.); specificazioni che a loro volta possono comportare approfondimenti conoscitivi da sviluppare nelle fasi successive della pianificazione paesistica, come si dirà più avanti.

B) Il secondo strato normativo è riferito ad ambiti territoriali – ambiti di paesaggio ai sensi dell’art. 135 del Codice - per la definizione dei quali i caratteri paesaggistici ed ecologici sono determinanti, e che saranno la sede per definire indirizzi, direttive e prescrizioni anche di tipo urbanistico, da rendere operativi mediante successivi momenti di pianificazione; in particolare per precisare la definizione degli obiettivi di qualità paesistica (che sebbene non più esplicitamente menzionati dall’ultima versione del Codice rappresentano uno dei passaggi chiave previsti dalla Convenzione Europea), gli indirizzi di tutela e le indicazioni di carattere “relazionale” volte a preservare o ricreare gli specifici sistemi di relazioni tra le diverse componenti compresenti. E’ importante notare che la disciplina degli ambiti, ordinata alla tutela e al miglioramento della qualità del paesaggio, è anche la sede nella quale cercare, come prevede la Convenzione Europea all’art. 5d, di “integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un’incidenza diretta o indiretta sul paesaggio”.

6. La fascia costiera.

Tra tutte le categorie di beni meritevoli di tutela è presente, nella letteratura e nella giurisprudenza italiane ed internazionale quella particolare categoria costituita dalle coste marine. Già individuata secondo criteri meramente geometrici e transitori dalla legge 431/1985, poi ripresa identicamente dal DLeg 42/2004, variamente articolata dalle regioni nella pianificazione paesaggistica dell’ultimo ventennio, applicata di nuovo secondo criteri meramente geometrici e transitori dalla legge regionale 8/2004, spetta evidentemente al PPR definirne l’esatta articolazione e conformazione territoriale.

Il Comitato scientifico e l’Ufficio del piano hanno ritenuto che, nel contesto specifico della Sardegna, la caratteristica di bene degno di tutela diretta meritasse di essere attribuita non solo alla sommatoria delle sue componenti, ma al territorio costiero nel suo complesso. È insomma l’insieme della costa della Sardegna, costituito dall’integrazione degli elementi naturali, storici, culturali, caratterizzato dal rapporto stretto tra la terra e il mare (un rapporto nel quale l’azione della natura e quella della storia hanno concorso a formare un paesaggio caratterizzato da una spiccata individualità), la cui percezione, e quindi la cui tutela, non sono segmentabili nelle sue singole parti, ma deve essere considerata e governata unitariamente. La fascia costiera, pur essendo composta da elementi appartenenti a diverse specifiche categorie di beni (le spiagge, le dune, le falesie, le piccole isole e gli scogli, gli stagni, i promontori ecc.) costituisce nel suo insieme una risorsa paesaggistica di eccezionale valore: non solo per il pregio delle sue singole parti, ma per la superiore qualità che la loro armonica composizione determina.

É anche grazie al suo staordinario valore - e alla scarsa capacità di governo delle risorse territoriali dimostrata nei decenni trascorsi dall’amministrazione pubblica - che questo incomparabile bene è oggetto di pericolose dinamiche di distruzione. E’ qui che si è esercitata con maggior violenza nei decenni trascorsi, e minaccia di esercitarsi nei prossimi, la tendenza alla trasformazione di un patrimonio comune in un ammasso di proprietà suddivise, trasformate senza rispetto della cultura e della tradizione locali né dei segni impressi dalla storia, svendute come generiche merci ad utilizzatori di passaggio, sottratte infine all’uso comune e al godimento delle generazioni presenti e future.

Massima qualità d’insieme e massimo rischio: due circostanze che giustificano la particolare attenzione che si è posta per delimitare, secondo criteri definiti dalla scienza e collaudati dalla pratica, il bene paesaggistico d’insieme di rilevanza regionale costituito dai “territori costieri”, e per disciplinarne le trasformazioni sotto la diretta responsabilità regionale, in vista sia della protezione che della promozione delle azioni suscettibili di orientarne le trasformazioni nel senso di un ulteriore miglioramento della qualità e della fruibilità. In effetti la fascia costiera non è soltanto la cornice essenziale del paesaggio sardo e una risorsa fondamentale della sua economia, ma è anche la struttura ecosistemica che ospita gran parte della sua diversità biologica, storico-culturale e insediativa. La sua specificità, indissociabile dalla sua continuità ed unitarietà, è costituita dalla interrelazione tra mare e terra che trova in essa la sua prima ed essenziale dimensione. Essa non può quindi essere artificiosamente suddivisa, se non per scopi amministrativi, ma deve mantenere il suo carattere unitario complessivo soprattutto ai fini del PPR e, pertanto, essere considerata come un bene paesaggistico d’insieme,di valenza ambientalestrategica ai fini della conservazione della biodiversità, della qualità paesistica e dello sviluppo sostenibile dell’intera regione.

Questa assunzione, al di là di ogni considerazione localistica, va vista in prospettiva mediterranea, dove trova pieno riscontro nel Protocollo UNEP per la Gestione Integrata delle Zone Costiere (protocollo attualmente in corso di definizione nell’ambito del Mediterranean Action Plan della Convenzione di Barcellona). Ed è precisamente l’esigenza di gestione integrata che caratterizza specificamente la fascia costiera, mettendo in gioco non soltanto le complesse interazioni ecosistemiche tra terra e mare, ma anche le interferenze e i potenziali conflitti tra le dinamiche naturali e le attività economiche e sociali (dalle pratiche tradizionali della pesca alle varie forme di utilizzazione produttiva, turistica e ricreativa) che proprio sulla costa presentano particolari addensamenti. Interferenze e conflitti che, a loro volta, richiedono da un lato la diretta responsabilizzazione delle autorità regionali di governo e la concertazione inter-istituzionale, dall’altra e congiuntamente il coinvolgimento delle popolazioni, delle istituzioni e degli operatori locali, in vista di forme condivise di sviluppo sostenibile, come afferma il Protocollo citato (art.5).

E’ in questa duplice direzione che il PPR prevede il ricorso, per fronteggiare efficacemente i problemi della fascia costiera e promuoverne un’utilizzazione realmente sostenibile, alla formazione di Piani di riassetto territoriale – che possono prendere la forma di Piani di Gestione Integrata, PGI, in accordo, ripetiamo, con il protocollo UNEP - riguardanti, per stralci coordinati, l’intera fascia.

Piani volti a coordinare, nello stesso tempo, la pianificazione urbanistica locale, la gestione delle risorse naturali-culturali ed i programmi d’investimento, anche in funzione del Piano Regionale dello Sviluppo Turistico Sostenibile.

Piani che forniscano indicazioni – sulla base di valutazioni ambientali strategiche – circa il dimensionamento dell’apparato ricettivo e le opportunità di rilocalizzazione degli insediamenti incompatibili, l’organizzazione della mobilità e dell’accessibilità, gli standard da rispettare, i criteri di gestione dei servizi, delle attrezzature e del “capitale territoriale”, la prevenzione dei rischi e dell’inquinamento, il monitoraggio delle aree e delle risorse di particolare interesse o sensibilità, l’acquisizione delle aree più interessanti alla Conservatoria del Litorale.

E’ evidente che la formazione di tali PGI pone problemi delicati dal punto di vista del rapporto tra i diversi poteri pubblici. Ma quest’ordine di problemi può essere affrontato efficacemente riferimendosi a tre principi costituzionali: la sussidiarietà, la differenziazione e l’adeguatezza, come si dirà più avanti.

7. Tre letture, tre assetti

Il paesaggio, come si è detto, è certamente il risultato della composizione di più aspetti. E’ anzi proprio dalla sintesi tra elementi naturali e lasciti dell’azione dell’uomo che nascono le sue qualità. E’ quindi solo a fini strumentali che, nella pratica pianificatoria, si fa riferimento a diversi “sistemi” (ambientale, storico-culturale, insediativo) la cui composizione determina l’assetto del territorio, e dei diversi “assetti” nei quali tali sistemi si concretano.

Anche la ricognizione effettuata come base delle scelte del PPR si è articolata secondo i tre assetti: ambientale, storico-culturale, insediativo. Tre letture del territorio, insomma, tre modi per giungere all’individuazione degli elementi che ne compongono l’identità. Tre settori di analisi finalizzati all’individuazione delle regole perchè di ogni parte del territorio siano tutelati ed evidenziati i valori (e i disvalori), sotto il profilo di ciò che la natura (assetto ambientale), la sedimentazione della storia e della cultura (assetto storico-culturale), l’organizzazione territoriale costruita dall’uomo (assetto insediativo) hanno conferito al processo di costruzione del paesaggio.

Ciascuno dei tre piani di lettura ha consentito di individuare un numero discreto di “categorie di beni a confine certo”, per adoperare i termini della Corte costituzionale: cioè di componenti del paesaggio cui il PPR attribuisce una specifica disciplina, articolata per categorie e sotto-categorie. E di individuare, tra tali componenti, quelle da considerare a tutti gli effetti “beni paesaggistici”, cui applicare il disposto degli articoli 142 e 143 del Dleg 42/2004, innescando le precise procedure di tutela previste dal Codice. Dalla ricognizione e dall’individuazione delle caratteristiche dei beni nasce la definizione delle regole.

Sicché è dalle tre letture che sono nati i tre “Titoli” delle norme.

Ciascuno di essi detta le attenzioni che si devono porre perchè, in relazione ai beni o componenti appartenenti a ciascuna categoria e sotto-categoria, le caratteristiche positive del paesaggio vengano conservate, o ricostituite dove degradate, o trasformate dove irrimediabilmente perdute.

Non si può nascondere il rischio che l’articolazione normativa nei tre assetti produca una certa separatezza, portando a sottovalutare sia gli effetti sinergici derivanti dalla compresenza di risorse e qualità distintamente apprezzate sotto ciascuno dei tre profili di lettura, sia le interferenze o le conflittualità che possono prodursi.

Per quanto riguarda i primi basta pensare all’opportunità di valorizzare il fatto (certamente frequente nel paesaggio sardo) che un’area di grande pregio naturalistico ospiti anche beni culturali di grande interesse.

Per quanto riguarda le seconde, vale il caso delle aree insediative, le cui dinamiche espansive - nei limiti, ovviamente, voluti dal PPR – ricadono inevitabilmente seppur marginalmente nelle contigue aree seminaturali o agroforestali. Si tratta quindi di assicurare un corretto coordinamento tra le norme dei tre assetti che eviti entrambi i rischi evocati.

Inoltre, analoga esigenza di coordinamento si pone nei confronti delle norme per ambiti. E’ infatti negli ambiti di paesaggio che, a norma del Codice, le istanze di protezione si confrontano con le esigenze di mantenimento o innovazione sostenibile degli assetti economici e sociali, di organizzazione e di riqualificazione complessiva del territorio, e quindi anche con le attese e le intenzioni programmatiche degli enti locali.

Spetta alle politiche d’ambito (da condividere con gli Enti locali) comporre i conflitti e le interferenze che si manifestano nel territorio, rispettando i vincoli e le limitazioni che provengono dalle norme per componenti, articolate nei tre assetti.

Ma queste ultime non possono non tener conto delle dinamiche reali e delle ipotesi progettuali relative a ciascun ambito: sia nel senso di regolarne l’impatto sui beni e le componenti interessati, sia nel senso di stabilire efficaci salvaguardie valevoli in carenza di piani locali o settoriali adeguati agli indirizzi del PPR (come meglio vedremo più avanti), sia ancora nel senso di evitare inutili e controproducenti vincolismi.

8. Obiettivi di qualità e giudizi di valore

Il PPR tende a presidiare, nelle forme più efficaci, uno straordinario patrimonio di valori. Non solo le misure specificamente poste a tutela dei singoli beni paesaggistici, ma ancor più le “previsioni” per ogni ambito di paesaggio ordinate (come chiede l’art.135 del Codice) a mantenere i caratteri identitari, ad individuare linee di sviluppo urbanistico ed edilizio compatibile, a recuperare le aree degradate, ad individuare interventi per lo sviluppo sostenibile, si fondano sul riconoscimento della “tipologia, rilevanza e integrità dei valori paesaggistici”. Riconoscimento operato con la possibile oggettività e con gli strumenti scientifici che le diverse discipline interessate mettono a disposizione. Tutto corrisponde alle indicazioni della Convenzione Europea ed a quanto richiesto dal Codice (almeno nella sua ultima versione del 2006, dopo le modifiche recentemente introdotte).

Il CS non può quindi nascondere le sue perplessità nei confronti di impostazioni che (seguendo più o meno la linea indicata dal DLeg 42/2004 prima delle recenti modifiche) attribuiscano al PPR il compito di definire una gerarchia di “livelli di valore”, individuando le modalità per la loro specifica attribuzione ai diversi ambiti o, peggio, alle diverse componenti territoriali. Le perplessità non riguardano ovviamente la possibilità-opportunità di esprimere giudizi di valore su singoli beni o singole parti del territorio (secondo una prassi largamente consolidata a livello internazionale nel campo della conservazione della natura), ma la pretesa di fondare solo o essenzialmente su tali giudizi le misure di disciplina. Attribuire “livelli di valore” scalarmente ordinati a beni caratterizzati in modo specifico secondo caratteristiche peculiari alla categoria di beni, o allo specifico bene, sembra operazione culturalmente discutibile. Non solo perché implica l’attribuzione di valutazioni soggettive, largamente discrezionali per molti aspetti, come tipicamente quelli estetici, a beni di cui invece l’analisi scientifica oggettiva ha consentito di definire i connotati caratterizzanti e le ragioni della tutela. Ma anche perché sul piano applicativo comporta una inopportuna iper-semplificazione delle indicazioni normative, che ignora le specificazioni introdotte con le norme “per componenti” di cui al paragrafo 5a, cancellando arbitrariamente le profonde diversificazioni che, anche all’interno della più piccola porzione di territorio, danno vita ai diversi paesaggi. Un sistema dunale, o la trama storica di un territorio, sono caratterizzati (e il loro valore è determinato) da ben individuati elementi fisici i quali costituiscono il valore del bene per la loro presenza e per le loro connessioni con gli altri elementi. Non ha molto senso distinguerli a seconda che siano più o meno “compromessi” o più o meno “importanti”.

Sembra comunque utile riprendere l’indicazione contenuta nella Convenzione Europea (art. 6D) e già in qualche misura recepita nel Codice (art 135, c.3), volta a richiedere la definizione di specifici obiettivi di qualità paesaggistica per ciascuno dei paesaggi, ossia degli ambiti di paesaggio, individuati. Dove la qualità va certamente intesa in senso globale, apprezzando adeguatamente la compresenza di valori dei diversi assetti e le loro relazioni fondative con le dinamiche strutturali economiche, sociali e culturali dei diversi contesti.

Si tratta infatti di un passaggio cruciale per integrare saldamente in ogni contesto territoriale le “previsioni e le prescrizioni” per la tutela-valorizzazione del patrimonio paesaggistico, collegando organicamente le analisi ricognitive con le scelte progettuali. Le Schede d’ambito del PPR; da definire col coinvolgimento delle Province e dei Comuni, dovranno perciò dare adeguato riscontro alla definizione di questi obiettivi.

Più problematica appare la possibilità di dare riscontro all’esplicita indicazione della Convenzione Europea concernente le attese, le percezioni e le attribuzioni di valore delle popolazioni interessate, di cui si deve “tener conto” nella valutazione dei paesaggi e quindi anche – “previa consultazione pubblica” – nella definizione degli obiettivi da perseguire. Si tratta di un’operazione intrinsecamente complessa, che sconta da un lato l’esigenza del massimo possibile coinvolgimento delle popolazioni (in tutte le loro articolazioni sociali e culturali) nella difesa del loro patrimonio identitario, dall’altro il ruolo imprescindibile dei “mediatori culturali” nella formazione dei giudizi di valore e la responsabilità primaria della Regione nella tutela-valorizzazione dell’eredità collettiva della comunità regionale.

Non va sottovalutato il ruolo che lo stesso PPR svolge in quanto forma creativa dell’immaginazione sociale, strumento di sensibilizzazione, educazione e apprendimento collettivo E’ comunque necessario, seguendo la Convenzione, “avviare procedure di partecipazione del pubblico e delle autorità locali”, con la consapevolezza che non esistono politiche efficaci del paesaggio che possano prescindere dalla sensibilizzazione e dalla mobilitazione dei soggetti direttamente coinvolti nelle pratiche di gestione, di manutenzione e di continua rielaborazione del paesaggio. Questa necessità dovrebbe essere tenuta in conto anche per quanto concerne le forme di comunicazione del PPR e dei suoi elaborati costitutivi.

RESPONSABILITÀ, COMPETENZE, RUOLI DEGLI ATTORI PUBBLICI

9. Collaborazione inter-istituzionale e co-pianificazione

L’obiettivo della tutela e valorizzazione del territorio non è raggiungibile mediante un singolo atto e un singolo attore: lo è soltanto come risultato di un processo nel quale lo strumento della pianificazione paesaggistica e la responsabilità istituzionale della Regione (quindi il Piano paesaggistico regionale) costituiscono solo il momento iniziale. È necessario il lavoro concorde di una pluralità di soggetti istituzionali, i cui ruoli, competenze, responsabilità devono confluire in una serie di azioni protratte nel tempo. Il PPR deve prolungarsi e aumentare la sua efficacia nella pianificazione provinciale e comunale, nella quale le scelte di livello regionale devono trovare la loro specificazione e verifica, quelle relative al paesaggio devono trovare la loro integrazione con quelle relative alle altre esigenze e agli altri settori. La responsabilità della Regione deve saldarsi con quelle della Provincia e del Comune, promuovendo un’azione coordinata di tutti i livelli di rappresentanza dei cittadini.

Non a caso la “cooperazione tra amministrazioni pubbliche” è posta dal DLeg 32/2004 al secondo posto delle “disposizioni generali”, subito dopo la “salvaguardia dei valori del paesaggio”. Le procedure della co-pianificazione, cioè della formazione degli atti di pianificazione mediante il contributo di tutti gli enti pubblici territoriali, sono perciò strumento essenziale nell’azione di governo del territorio. La Regione è fin d’ora impegnata a condurre il processo di pianificazione, in coerenza con l’idea di paesaggio formulata dalla Convenzione Europea del Paesaggio, che non considera i diretti interessati (amministrazioni e comunità locali, con le loro tradizioni di percezione ed azione sul paesaggio) come meri destinatari di regole e di sollecitazioni. La co-pianificazione è anche ascolto attento di ciò che sente e muove la gente che pensa il proprio paesaggio.

10. Responsabilità e sussidiarietà

Tuttavia, la cooperazione tra soggetti che siano espressione di interessi diversificati deve avvenire nella chiarezza delle rispettive responsabilità. E’ necessario che ciascuno porti il proprio contributo, che ciascuno ascolti con attenzione le ragioni degli altri e ne valuti le proposte, che si compia il massimo sforzo per raggiungere su ciascun punto l’intesa. Ma non è detto che ciò sia sempre possibile. Ciò che è accaduto sul territorio delle coste della Sardegna testimonia che gli interessi, le esigenze ritenute prioritarie, e quindi le soluzioni, possono essere contrastanti, in aperto conflitto tra loro. È necessario perciò – se non si vuole che la cooperazione si rovesci in paralisi – che si sappia, su ciascun argomento, a chi spetti la decisione finale in caso di mancato raggiungimento dell’accordo. Ciò in particolare per quanto riguarda la responsabilità dei diversi enti pubblici territoriali elettivi di primo grado.

Nella Costituzione della Repubblica si possono individuare due direzioni nel rapporto tra i diversi enti pubblici territoriali elettivi di primo grado (Stato, Regione, Provincia e Città metropolitana, Comune) in materia di funzioni legislative e amministrative. Per un determinato e limitato numero di argomenti la direzione è dall’alto verso il basso. Per tutti gli altri, la direzione è dal basso verso l’alto.

Il paesaggio è stato collocato fin dal 1948, ed è rimasto anche dopo le modifiche, tra gli argomenti del primo tipo: quelli per i quali vi è una competenza legislativa esclusiva dello Stato. Questa esclusività è stata temperata recentemente distinguendo, a proposito di Beni culturali (tra cui il paesaggio), l’idea di “tutela” e “valorizzazione”.

Del termine “valorizzazione” si possano dare interpretazioni differenti (a seconda che prevalga, nella considerazione del paesaggio, l’aspetto “bene” o l’aspetto “merce”), m resta certo che la responsabilità del paesaggio, e della sua tutela e valorizzazione, rimane nelle mani del binomio Stato-Regione.

Tuttavia la responsabilità della Regione in materia, benché primaria, non è certo esclusiva. Si è già osservato che la tutela del paesaggio esige, come la stessa Corte Costituzionale ha più volte rilevato, un’assidua riconsiderazione dei valori del paesaggio a tutti i livelli e le scale: avviata a livello statale e regionale, deve proseguire nell’attività di governo del territorio delle province e dei comuni. In che modo distinguere allora le responsabilità della “decisione ultima”, cioè là dove non si raggiunge l’unanimità del consenso?

La Costituzione ha recentemente introdotto, per quanto riguarda i criteri di ripartizione delle funzioni amministrative, i già citati principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza. Questi suggeriscono di trasferire dal basso all’alto le responsabilità connesse alle funzioni amministrative laddove i livelli inferiori non siano in grado di garantire la necessaria “unitarietà” alle determinazioni.

Giova a chiarire la questione la definizione originaria del principio di sussidiarietà. Questo, come è noto, fu elaborato per decidere sulla ripartizione delle responsabilità tra governi nazionali e istituzioni europee, e fu introdotto per la prima volta nella normativa europea a Maastricht il 7 febbraio 1992. Il principio di sussidiarietà significa, nella sostanza, che là dove un determinato livello di governo non può efficacemente raggiungere gli obiettivi proposti, e questi sono raggiungibili in modo più soddisfacente dal livello di governo territorialmente sovraordinato (l’Unione europea nei confronti degli Stati nazionali o, nel nostro contesto, lo Stato nei confronti della Regione, la Regione nei confronti della Provincia e così via) è a quest’ultimo che spetta la responsabilità e la competenza dell’azione. E la scelta del livello giusto va compiuta non in relazione a competenze astratte o nominalistiche, oppure a interessi demaniali, ma in relazione a due elementi precisi: la scala dell’azione (o dell’oggetto cui essa si riferisce) oppure i suoi effetti.

11. Carattere processuale della co-pianificazione

La prospettiva della co-pianificazione conferisce al PPR un carattere inevitabilmente processuale e interattivo: soggetti e centri di decisione diversi sono coinvolti in un processo che non è in alcun modo riducibile ad un singolo atto amministrativo, essendo costituito da un insieme aperto e complesso di atti che si condizionano a vicenda. Il lavoro finora svolto ha già prodotto un primo risultato di grande portata, conducendo a sintesi in un tempo ridottissimo una mole imponente di conoscenze e dando loro un significato rilevante e sostanzialmente coerente. Questo ne fa un riferimento imprescindibile per tutte le elaborazioni successive sui paesaggi regionali, in qualunque contesto vengano condotte. E’ una visione di livello regionale, integrata puntualmente da conoscenze e determinazioni locali. Il confronto con le visioni locali – quali quelle che, tipicamente, trovano espressione nella pianificazione urbanistica comunale – è quindi di cruciale importanza. E’ infatti evidente che le previsioni e le prescrizioni del PPR, per la loro stessa natura, sono destinate ad esercitare un impatto rilevante sulla pianificazione locale, sollecitando una profonda (e politicamente costosa) ristrutturazione dei PUC. Tale impatto non appare mitigabile mediante una semplice divisione di competenze che lasci ai Comuni ogni responsabilità sulle aree urbanizzate e riservi al PPR e ai piani provinciali ogni determinazione relativa alle aree extraurbane. Se da un lato è vero che lo stesso Codice esclude dalle “aree tutelate per legge” (art. 142) le zone A e B degli strumenti urbanistici (vale a dire quelle d’interesse storico-ambientale e quelle compromesse, oltre a quelle ricomprese nei Piani pluriennali d’attuazione e a quelle ricadenti nei “centri edificati perimetrati” per i Comuni sprovvisti di tali strumenti), è altrettanto vero che il PPR non può disinteressarsi del controllo delle trasformazioni del sistema insediativo, proprio per la sua peculiare integrazione col paesaggio rurale e naturale. Va d’altronde in questa direzione l’obbligo previsto dal Codice all’art. 135,c. 3b, di provvedere col Piano paesaggistico all’”individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio compatibili”: obbligo peraltro già riscontrato nelle Norme per l’assetto storico-culturale e per quello insediativo.

Il problema, pertanto, non sembra tanto quello di “quali aree considerare” ai diversi livelli del processo di pianificazione, quanto piuttosto quello di “come” controllarne le trasformazioni. Questo solleva due questioni delicate:

A) L’apparato normativo del PPR va pensato per “dialogare” con gli altri strumenti di pianificazione, il che implica che, da un lato, esso deve esprimere “indirizzi” e direttive tali da responsabilizzare i soggetti istituzionali cui spetta di tradurle in disposizioni operative, limitando le prescrizioni direttamente cogenti e prevalenti ai casi in cui spetti alla Regione presidiare risorse e valori indiscutibili, non adeguatamente tutelabili dagli altri soggetti istituzionali; e, dall’altro, che le specificazioni e gli approfondimenti operati dagli enti locali e dalle autorità di settore devono potersi ripercuotere sulle determinazioni del PPR. Vanno in questa direzione le norme che prevedono la progressiva precisazione delle delimitazioni cartografiche di certe categorie di beni o componenti (mediante opportuni meccanismi “auto-correttivi” che tengano anche conto dell’avanzamento continuo del fronte delle conoscenze), o le norme che tendono ad un progressivo arricchimento delle indicazioni contenute nelle Schede degli ambiti, mediante il coinvolgimento degli enti locali.

B) Le scelte del piano (ferme restando le prescrizioni poste a tutela di valori intangibili, come sopra detto) devono dare spazio alla valutazione preventiva, esplicita ed integrata degli interessi, dei conflitti da risolvere e delle alternative d’azione operabili in concreto. Da questo punto di vista, non solo si ravvisa la necessità di una più organica formulazione delle norme circa le valutazioni d’impatto dei singoli interventi (con una più chiara e precisa definizione delle soglie quali-quantitative degli interventi soggetti a tali procedure); ma si rende anche necessario impostare un processo di progressiva definizione delle strategie d’azione (in particolare nelle Schede d’ambito), fondato sulla valutazione strategica delle alternative e sul monitoraggio delle situazioni critiche (quali ad es. i carichi di fruizione sulle parti più sensibili della fascia costiera), mediante l’individuazione di apposite procedure e degli indicatori utilizzabili. Ciò anche in conformità alla la direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente: direttiva – è presumibile – che verrà recepita anche dal nostro Parlamento.

I documenti fondamentali del piano sono disponibili qui

Disappunto. Delusione. E la consapevolezza che - come dice il presidente di Legambiente Sardegna, Vincenzo Tiana, «bisogna contribuire a preservare il territorio sardo, magari anche attraverso un regime di tassazione. Se questo non può avvenire attraverso la tassa sul lusso, che si trovi un'altra soluzione». La notizia dell'impugnazione da parte del Governo del pacchetto fiscale della Giunta Soru ha lasciato interdetti numerosi personaggi di spicco della società sarda: politici, ambientalisti e intellettuali. Accomunati da una certa perplessità nei confronti della decisione dell'esecutivo.

Anche se, a dire il vero, qualcuno se l'aspettava: Enzo Cugusi, consigliere comunale a Torino e dirigente del circolo sardo “Kinthales”, dice che «la presa di posizione del Governo era prevedibile. L'esecutivo ha in programma la riduzione di alcune tasse, a partire dall'Ici, ed era ovvio che facesse calare la sua scure, innanzitutto, su una supertassa. Un'imposta che si aggiungerebbe all'Ici. Vorrei ricordare che, ad Alghero, chi possiede una seconda casa paga l'Ici al 7,2 per mille, corrispondente al tetto massimo previsto dalla legge. Ora, si sente forse la necessità di rincarare la dose con una nuova imposta?».

Tuttavia, Cugusi ricorda che le imposte sul turismo, che colpiscono i non residenti proprietari di yacht superiori ai 14 metri o di una casa in fascia costiera, «sono delle cosiddette “tasse di scopo”: ossia dovrebbero servire per riassestare gli equilibri delle zone interne dell'Isola, aiutando i piccoli comuni a rianimarsi e a combattere piaghe come la dispersione sociale o lo spopolamento. Pertanto, la Regione potrebbe anche spuntarla nella querelle con lo Stato. Del resto, le tasse a scopo rappresentano una realtà consolidata in molti Paesi europei».

Il presidente Soru, nel commentare lo stop intimato dal Consiglio dei ministri, ha rivendicato l'autonomia impositiva di una Regione a Statuto speciale come la Sardegna: «Ma il punto di partenza deve essere un assunto incontrovertibile: le tasse le devono pagare tutti», commenta Cugusi, ricordando che «nei Comuni costieri i residenti spesso non sanno nemmeno cosa siano i tributi comunali. Per non parlare degli affitti in nero delle seconde case, ormai diventati un'abitudine. Se la smettessimo, in Sardegna, di ricorrere a questa pratica e, soprattutto, se tutti ci mettessimo in testa di pagare le tasse, non ci sarebbe bisogno di un'imposta sul lusso per ovviare all'indisciplina e alla mancanza di senso civico dei cittadini».

Stefano Deliperi, presidente dell'associazione ecologista “Gruppo di intervento giuridico”, fa notare che «non c'è nulla di strano nelle leggi promosse dalla Giunta Soru e bocciate ieri dal Governo. Si tratta di norme applicate normalmente, ad esempio, in Corsica. E poi occorre far chiarezza sul termine “tassa sul lusso”: personalmente, penserei a una forma di contribuzione legata all'erogazione di servizi e alla necessità di tutelare la natura e il paesaggio isolano. In poche parole, i non residenti che approdano in Sardegna dovrebbero pagare una quota minima, di 2 o 3 euro, come accade in altre parti del mondo».

Anche Deliperi si sofferma sul problema degli affitti in nero: «Questo è un campo che richiede un intervento molto serio e ponderato», sospira, «perché non si può accettare che vi siano persone così furbe da usufruire del nostro territorio e dei suoi servizi senza versare un centesimo. C'è un vero e proprio lucro non tassato. Sono certo che, intervenendo con intelligenza ed equilibrio, si otterrebbe la comprensione e la piena collaborazione della gente. Che si dimostra sempre sensibile, quando stimolata, su queste problematiche».

Vincenzo Tiana ha le idee molto chiare: «Noi, come Legambiente, condividevamo lo spirito di fondo che animava le imposte istituite della Giunta Soru: il contribuire economicamente al mantenimento, alla manutenzione e alla salvaguardia del territorio. Certo, ora non possiamo addentrarci in tecnicismi nel tentativo di comprendere quali siano i presupposti di illegittimità ravvisati dal Governo nei testi delle norme. Ma quel che sappiamo di certo è che il turismo è, per definizione, “consumatore del territorio” e l'impatto del boom turistico di mezza estate sull'ecosistema isolano va attutito con i mezzi a nostra disposizione. Se non si interverrà con le tasse sul lusso, si dovrà trovare un'alternativa».

Per lo scrittore Giorgio Todde «le tasse sul turismo, così come sono state pensate dalla Giunta, hanno un fortissimo valore simbolico e direi perfino pedagogico. Inculcano l'idea di usare il territorio senza violentarlo. Pertanto, dal punto di vista educativo mi sembrano sacrosante e le sposo in pieno. Del resto, in questi due mesi estivi la Sardegna diventa qualcosa di simile a una prostituta. Sdentata, aggiungerei io. Viene trattata in modo vergognoso». Che dire, allora, del provvedimento adottato dal Governo? «Se davvero si riscontrano i crismi dell'incostituzionalità, da buon cittadino italiano non posso fare a meno di accettare il verdetto negativo», risponde Todde, «ma, pur non avendo le competenze per entrare nel merito della questione legale, ritorno sull'apprezzabile valore etico della tassa sul lusso».

La pensa allo stesso modo l'antropologo Giulio Angioni, che si lascia andare a «una disapprovazione di tipo plebeo-protestatario. Le tasse sul lusso sono legittime. Anzi, certi lussi non dovrebbero neppure esistere e, certamente, non dovrebbero essere esibiti, ostentati in terre sfruttate come la Sardegna. C'è chi vive in panciolle, in modo scandalosamente offensivo nei confronti della stragrande maggioranza della popolazione. Così, i ricchi fanno i turisti e i poveri muoiono di fame e di disoccupazione». Quindi Prodi ha fatto male? «Io dico a chiare lettere, anche se oggi affermarlo sembra essere passato di moda, che i ricchi fanno schifo», chiosa Angioni, «e, dunque, se ogni tanto anche loro pagano non credo che la società ne risentirà negativamente».

CAGLIARI, 24 MAGGIO 2006 - Il presidente della Regione ha firmato stasera il decreto con il quale è disposta la pubblicazione del Piano paesaggistico regionale, nel Bollettino ufficiale della Regione. Copia del Piano paesaggistico sarà trasmessa a tutti i comuni territorialmente interessati, perchè provvedano alla pubblicazione per la durata di quindici giorni nei rispettivi albi pretori. Renato Soru ha anche disposto la trasmissione del Piano paesaggistico alla commissione consiliare competente in materia di urbanistica, che ha tre mesi di tempo per esprimere un parere prima dell'approvazione definitiva del Piano.

Il Piano paesaggistico è però da oggi pienamente operativo. E' lo strumento che introduce un nuovo sistema della pianificazione territoriale, che colma le lacune poste dopo l'annullamento degli strumenti di programmazione urbanistica territoriale e un periodo di vuoto legislativo al quale la legge di tutela delle coste approvata dal Consiglio regionale nel 2004 aveva posto termine. Pone al centro della politica regionale l'enorme valore ambientale ed economico per adesso della fascia costiera della Sardegna, nelle parti rimaste intoccate o che non sono state comunque compromesse dall'edificazione.

L'attività edilizia non solo è possibile, ma viene incoraggiata negli agglomerati già esistenti, dove è permessa la riqualificazione urbana e architettonica, la trasformazione delle seconde case in attività turistico-alberghiere, la costruzione di servizi in funzione delle attività ricettive.

Lungo la fascia costiera è vietata anche qualsiasi costruzione in area agricola, a meno che non siano legate all'attività agro-zootecnica, nel caso di ricovero per attrezzi, o nel caso che la residenza in campagna sia strettamente necessaria alla conduzione dell'attività.

La fascia di 2 chilometri dal mare, che era nella legge Salvacoste, varia secondo il Piano paesaggistico in funzione della conformazione del paesaggio costiero, in alcuni casi è più profonda, in qualche caso meno profonda dei 2 chilometri.

Qui i materiali del Piano paesaggistico regionale

CAGLIARI, 28 MAGGIO 2007 - E' stata conferita oggi pomeriggio a Cagliari al presidente della Regione Renato Soru, da parte di un'Agenzia dell'Onu per la tutela dell'ambiente e la salvaguardia delle coste nel mediterraneo, la nomina di "Ambasciatore per la Costa". Il riconoscimento assegnato dal PAP/RAC - questo il nome dell'agenzia delle Nazioni Unite (Unep - United Nations Environment Programme), rappresentata dal suo direttore Ivica Trumbic - premia in particolar modo la legge regionale n. 8 del 2004, che ha posto il vincolo provvisorio di non edificabilità nella fascia costiera entro i due chilometri dal mare, e il Piano paesaggistico regionale adottato lo scorso anno. Con questa onorificenza l'Unep indica esplicitamente ad altre autorità regionali e nazionali la Sardegna come un esempio da imitare per la salvaguardia delle coste.

La Regione Sardegna ha aderito alla Campagna Internazionale per la protezione e la conservazione delle coste, organizzata insieme dall'UNEP, dall'Unione Europea, e dal progetto METAP della Banca Mondiale. A questo proposito il PAP/RAC ha deciso di rendere merito ai rappresentanti politici della Regione Sardegna e alla popolazione dell'isola per aver intrapreso una coraggiosa iniziativa per proteggere e salvaguardare lo spazio costiero attraverso la legge regionale n° 8 del 2004 prima ed il Piano Paesaggistico Regionale successivamente. La concezione che sta alla base della normativa sarda considera il suolo una ricchezza finita e il territorio costiero un bene prezioso dal punto di vista ambientale, paesaggistico e culturale. Il PAP/RAC auspica che l'esempio della Sardegna sia seguito da altre autorità regionali e nazionali in un Mediterraneo dall'equilibrio fragile e reso ancor più delicato dal progressivo snaturamento delle coste.

Le attività di sensibilizzazione dell'opinione pubblica verranno realizzate congiuntamente da tutti i Paesi del mediterraneo durante il "Coast Day", l'evento principale della Campagna previsto per il 24 Ottobre 2007.

Il PAP/RAC (Priority Actions Programme/Regional Acitvity Centre) lavora ormai da 30 anni per garantire uno sviluppo sostenibile delle aree costiere del mediterraneo, riconosciute da tutti come i territori a più alto valore ambientale ed economico nel quale devono essere concentrati i massimi sforzi di protezione.

Il PAP/RAC ha inoltre diffuso nei Paesi del mediterraneo l'ICZM, una metodologia di pianificazione e gestione delle aree costiere ormai integrata nella legislazione europea. In questo periodo il Protocollo Internazionale ICZM (Integrate Coastal Zone Management - Gestione Integrata delle Aree Costiere) - uno dei più importanti eventi per ciò che riguarda la legislazione ambientale a livello internazionale - è in via di approvazione da parte di tutti i 21 paesi del mediterraneo e dell'Unione europea.

La situazione delle coste mediterranee è ancora lontana dal potersi definire soddisfacente. Le aree edificate coprono ormai il 40% della costa e questo trend è destinato a crescere; si prevede che entro il 2025 il 50% delle coste del mediterraneo sarà edificato. Oltre al rischio di un processo irreversibile di perdita del territorio, vi è anche quello che un numero sempre crescente di specie che abitano questi ecosistemi sia destinata all'estinzione.

Queste perdite saranno permanenti, perché il territorio artificializzato non potrà mai più ritornare al suo stato naturale. I territori delle coste mediterranee appartengono profondamente alla vita delle popolazioni locali e alla loro identità sociale, culturale e storica.

Anche se ragionando in una logica di breve periodo potrebbe sembrare che limitare lo sviluppo edilizio porti dei danni all'economia turistica, in una logica di sviluppo sostenibile e di politica di medio-lungo periodo la conservazione del patrimonio costiero è il miglior investimento per il futuro delle popolazioni residenti nelle coste del mediterraneo.

Qui il sito della RAS con il servizio sul premio

Piccolo comune ai margini della conurbazione milanese, Cassinetto non è importante solo per il ruolo che assunto nella battaglia per la difesa dei parchi. Lo è anche per la politica urbanistica che ha saputo coraggiosamente praticare. Fabrizio Bottini ne parla più ampiamente sul sito di Carta. Voglio sottolinearne un aspetto. Il sindaco ha ottenuto l’approvazione di un piano urbanistico (PGT) a crescita zero. Un risultato eccezionale in una situazione nella quale i comuni sono ormai spinti a “monetizzare” il territorio per finanziare le spese correnti: da alcuni anni infatti centrodestra e centrosinistra hanno spinto a dirottare verso le spese correnti i proventi degli oneri di urbanizzazione, vincolati dalle leggi che li istituirono a realizzare i servizi collettivi e il verde (Carta, 1/2008). Attraverso riunioni e assemblee, la Giunta ha fatto passare il principio che le nuove opere pubbliche necessarie sono realizzate per mezzo di nuove tasse. Di fronte al dilemma: “se vuoi la scuola materna, preferisci realizzarla con ulteriore espansione edilizia o maggiori tasse?” non c'è stata, ha scritto il Sindaco, “la levata di scudi in nome dello slogano meno tasse per tutti”. Hanno vinto l’interesse comune e la responsabilità verso il futuro.

Un suggerimento per quei propugnatori dell’ ”ambientalismo del fare” che girano l’Italia nel variopinto autobus. Sarebbe bello se si impegnassero a combattere, insieme ad altri più convinti sostenitori dell’equilibrio tra comune e individuale e tra pubblico e privato, per ripristinare la regola secondo la quale chi trasforma il territorio e ci guadagna paga il prezzo delle opere necessarie per compensare il nuovo impatto sociale e ambientale. Appunto, gli “oneri di urbanizzazione e costruzione”, saggiamente previsti dalle leggi della Prima Repubblica.

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