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Berlusconi è stato sconfitto due settimane fa, e ha fatto finta di nulla. Ha perfino tentato di spacciare la sconfitta per una vittoria. Berlusconi è stato sconfitto ieri con un sonoro ko, e non potrà fare finta di niente. Si arrampicherà sugli specchi, ma le cifre sono troppo eloquenti per essere manipolate anche da chi controlla in modo totalitario l’intero sistema televisivo.

Berlusconi cercherà la rivincita tra una settimana. Nel giorno del referendum inviterà gli italiani ad andare al mare, come già fece anni fa il suo compare Craxi. Se riuscirà ad impedire che scatti il quorum, si venderà il risultato come un plebiscito a suo vantaggio, dichiarerà che solo quello è il vero voto politico, che quelle di ieri e di due settimane fa erano solo consultazioni amministrative, locali, insignificanti.

Ecco un buon motivo, che da solo basta e avanza, per andare tutti a votare domenica prossima, e con un rotondo “sì” infliggere a Berlusconi la terza e irreversibile sconfitta.

So benissimo quante perplessità e divisioni questo referendum ha sollevato nel centro-sinistra, tra i partiti e tra i cittadini. Sono tra coloro che hanno considerato sbagliato lanciarlo, sono tra coloro che continuano a pensare che il problema del precariato, e della mancanza di diritti che accompagna questa condizione sociale di insicurezza, non si risolve con un referendum abrogativo ma solo con una legge articolata, capace di affrontare una situazione alquanto complicata.

Tutto vero, anzi verissimo. Ma ora, piaccia o meno, il senso del voto al referendum di domenica prossima è innanzitutto un altro, semplice e brutale: “vuoi tu sconfiggere Berlusconi per la terza volta in meno di un mese, dando al suo regime un colpo tanto democratico quanto micidiale, o preferisci dargli, dopo due sconfitte, l’ossigeno di un risultato che potrà spacciare come una sua vittoria?”

Questo è il vero quesito, quali che siano le parole scritte sulla scheda. Succede infatti per i referendum quello che succede nella vita reale: la stessa identica sequenza di parole può assumere significati diversissimi e addirittura opposti, a seconda di chi la pronunci e dal contesto in cui venga comunicata. Facciamo un esempio un tantino volgare: l’espressione “brutto stronzo!”. Sembra inequivocabile. Eppure, pronunciata da un amico nei confronti di un amico che non vedeva da tempo, che credeva anzi gravemente malato, che ritrova per caso e improvvisamente in salute pimpante, detta gettandogli le braccia al collo (e seguita da “ ci hai fatto morire di paura” eccetera), diventa una frase assolutamente affettuosa, di sorpresa felice, di amicizia talmente forte che può capovolgere l’ingiuria nel suo opposto. Detta da un automobilista che scende dalla vettura dopo un tamponamento, con un crick in mano, ha un significato inequivocabilmente diverso. Eppure le parole sono le stesse.

Così per il referendum di domenica prossima. Ecco perché, al di là di quello che si pensi delle parole scritte sulla scheda, e della riforma dell’articolo 18, e delle leggi necessarie per affrontare il problema del lavoro flessibile e precario, domenica bisogna andare a votare e votare “sì”. Perché il significato reale, dato dal contesto delle due sconfitte berlusconiane e degli inviti governativi, che si faranno pressanti (magari attraverso un assordante silenzio dei mass media sul referendum stesso) per “andare al mare”, è ormai quello che abbiamo sopra richiamato: ne hai abbastanza di Berlusconi o te lo vuoi sciroppare ancora a lungo?

Ecco perché spero che i tanti che avevano deciso di non votare decidano in questo nuovo contesto per il “sì”. Penso agli uomini che più stimo dell’opposizione nella società civile, ai protagonisti delle lotte di questo anno e mezzo (due nomi, per riassumere i tantissimi altri: Sergio Cofferati a Nanni Moretti), che con la loro generosità hanno contribuito non poco ai successi elettorali di ieri e di due settimane fa. Ma penso anche ai partiti del centro-sinistra, e alle loro decisioni ufficiali contrarie al “sì” per ragioni anche di peso, che ora nel nuovo contesto sarebbero però autolesionistiche. La loro vittoria elettorale finirebbe dimezzata, inevitabilmente, dal non raggiungimento del quorum domenica prossima, e dalla grancassa che Berlusconi e le sue cheerleader massmediatiche comincerebbero immediatamente a suonare.

Cambiare decisione, in politica, è sempre difficile. Sembra l’ammissione di un errore. Costa all’orgoglio. Può apparire una debolezza. Ma cambiare decisione perchè è cambiato il contesto è solo scelta di saggezza e di coraggio. Non sarà un regalo a Bertinotti e ai promotori del referendum (che con la loro scelta hanno diviso la sinistra): sarà un regalo a tutta l’opposizione. E soprattutto, costituendo una nuova sconfitta per Berlusconi, sarà un regalo fatto all’Italia.

Paolo Flores d’Arcais

Sulle prime pagine dei giornali europei si continuano a leggere titoli come questo dell'Indipendent: «Europa unita nel disgusto, mentre Berlusconi sale sul trono dell'Ue tra le proteste dei Verdi» e lui attacca la sinistra italiana che li "sobilla". Che dire? «Ho letto sulle agenzie le dichiarazioni del Presidente del Consiglio. Mi paiono francamente un pessimo modo di cominciare il semestre di Presidenza italiana», risponde Piero Fassino a commento delle dichiarazioni di Berlusconi alla radio francese "Europe 1".

«Anzichè continuare a fare la vittima, Berlusconi dovrebbe chiedersi perchè testate giornalistiche prestigiose di ogni paese europeo sollevino dubbi e diffidino di lui - sottolinea il segretario dei Ds a Bologna - probabilmente perchè in nessun paese europeo un presidente del Consiglio avrebbe stravolto continuamente le leggi per assicurasi un' impunità».

Più mesto è il commento che si sente a via Nazionale, sede dei Democratici di sinistra, dove l'intervista aggressiva del premier viene bollata come espressione del «solito, desolante Berlusconi». L'irritazione nei Ds comunque non è solo per le accuse del Cavaliere nei confronti della magistratura. Berlusconi risponde in questo modo, di fatto cioè con una chiusura, alle aperture del segretario Fassino in un'intervista al "Corriere della Sera", in cui assicurava l'impegno dell' opposizione affinchè la presidenza italiana potesse «avere successo». Fassino, comunque, invitava il premier a mutare atteggiamento, diventando più europeista.

Prima della presa di posizione del segretario della Quercia, le reazioni sono state affidate all' inizio ad Anna Finocchiaro, poi ai capigruppo di Camera e Senato, Luciano Violante e Gavino Angius, mentre anche Massimo D'Alema, da Camporlecchio, stigmatizzava l'intervista del premier. La responsabile giustizia dei Ds ha parlato di dichiarazioni «gravi e inopportune, tanto più se rilasciate alla vigilia del semestre», mentre Luciano Violante e Gavino Angius hanno sottolineato come l'intervista a Europe 1, sia un «pessimo biglietto da visita dell' Italia in Europa».

A Via Nazionale, i collaboratori di Fassino assicurano che i Ds manterranno una posizione responsabile nel periodo di presidenza italiana, sostenendo che «hanno a cuore» il ruolo dell' Italia «nonostante Berlusconi» affinchè non faccia una pessima figura. Gloria Buffo, della minoranza della Quercia, però rivolge una critica a Fassino perchè, a suo modo, si era illuso su un atteggiamento diverso del presidente del Consiglio. «Non mi stupiscono - dice Gloria Buffo - le dichiarazioni del Berlusconi di oggi che confermano il Berlusconi di ieri e dell' altro ieri. Per questo, non mi sono ritrovata nell' intervista al Corriere». Violante parla di «parole irresponsabili». I capigruppo dell'Ulivo hanno firmato una dura dichiarazione congiunta che prende il largo rispetto all'ipotesi di una mozione di intesa con la maggioranza per il semestre europeo. Peppino Caldarola sostiene che adesso «in Europa Berlusconi ci va da solo», in compagnia del «discredito internazionale di cui è circondato, discredito nelle cancellerie e non solo sugli organi di stampa e che è solo opera sua».

Chi poi replica all'intervista di Berlusconi con toni ancora più seccati è il segretario generale del "sindacato" dei magistrati, Carlo Fucci dell'Anm. «La continua delegittimazione della magistratura è un danno per il nostro Paese - dice -. Sia perchè colpisce un'istituzione che ha servito sempre con lealtà lo Stato, sia perchè la magistratura, per rendere questo servizio, ha pagato anche tributi non indifferenti in termini di vite umane». Nel «respingere generiche accuse di politicizzazione -prosegue Fucci - ribadisco che i magistrati italiani vogliono leriforme necessarie per migliorare il nostro sistema giudiziario, ma non potranno mai accettare proposte che mirino alla sterilizzazione della funzione giurisdizionale. Il paese ha bisogno di credere in tutte le istituzioni- conclude Fucci - eil clima che si continua ad alimentare, invece, va nel senso opposto.

Antonio Di Pietro, poi, afferma che le dichiarazioni di Berlusconi alla radio francese contro la magistratura e le istituzioni italiane lo umiliano «come cittadino italiano e come parlamentare europeo». «Noi dell'Italia dei Valori faremo il possibile affinchè i nostri partner europei possano considerare l'Italia meglio di quel che appare dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio». Di Pietro osserva anche: «Grazie a Dio, l'Italia non è fatta solo da quello sconsiderato di Berlusconi, ma anche da milioni di altri italiani che col loro lavoro, la loro professionalità e la loro dignità possono dare del nostro Paese un'immagine meno eversiva di quella che dà il nostro presidente del Consiglio».

"il manifesto", 2 luglio 2003

IL SILENZIO È D'ORO

Antonio Tabucchi

Ci sono momenti nella vita e nella storia in cui un decoroso silenzio rivela tutta la statura morale della persona.

Da quando Berlusconi ha formato il suo governo, molti sono stati i momenti in cui il decoroso silenzio è stato superiore alle offese e alle volgarità. «Questo è il futuro ministro delle riforme istituzionali», disse Berlusconi a Ciampi presentandogli Umberto Bossi. Ciampi reagì con decoroso silenzio.

Nei momenti di grave tensione sociale che durante il G8 di Genova scatenarono reazioni bestiali della polizia e provocarono un morto, Berlusconi riuscì a fare un discorso in tv alla nazione con la garante compagnia di Ciampi. Ciampi non rifiutò, accettò con decoroso silenzio.

La sera del 22 marzo 2002, alla vigilia della più imponente manifestazione sindacale del dopoguerra, Berlusconi, impersonando il ruolo di capo di stato e impossessandosi delle reti della Rai, rivolse un discorso al Paese nel quale affermò che la responsabilità dell'assassinio del professor Marco Biagi era del maggior sindacato italiano che convocava quella manifestazione. Ciampi intanto, in decoroso silenzio, quella sera si recava a far visita alla famiglia del professore assassinato.

Quando, durante una riunione di tutti gli ambasciatori italiani convocata da Berlusconi di fronte a telecamere e giornalisti, Berlusconi trattò con un inusuale «tu» Ciampi, lasciando cosi intendere che fra di loro esisteva una strana confidenza, Ciampi rispose con un decoroso silenzio.

Il 30 giugno ultimo scorso, in un'intervista alla radio francese Europe 1, Berlusconi ha detto chiaramente che la legge sull'immunità delle prime cinque cariche dello Stato, grazie alla quale non sarà giudicato dei gravissimi reati di cui è imputato, lui non la voleva: l'ha voluta Ciampi. La frase è allarmante. E ancora più allarmante (e sprezzante) è che sia seguita da un'ambigua rettifica del portavoce di Berlusconi, come un padrone che passa sputando e fa pulire per terra dal suo maggiordomo. Forse Ciampi anche questa volta reagirà con il suo decoroso silenzio? Chi potrebbe mai credere che egli abbia qualcosa da temere? È vero, alcuni giorni prima che egli firmasse la legge, un ex-capo dello stato, il senatore Francesco Cossiga, aveva scritto pesanti parole sul giornale l'Unità, definendo tale legge «Lodo Ciampi-Berlusconi». Parole a cui era seguito un mortale silenzio.

È anche vero che Ciampi ha firmato a spron battuto una legge con forti sospetti di anticostituzionalità e ancora in esame alla Consulta. Ma questo cosa vuol dire? Vuol forse dire che dobbiamo credere alle parole di una magistrato italiano che affermò che in Italia tutti sono ricattabili? Vuol forse dire che dobbiamo credere a Berlusconi, che cioè egli impone le leggi a Ciampi, se le fa firmare e poi gliene attribuisce la responsabilità? Ciampi sarebbe dunque un pupazzo nelle mani di Berlusconi? La questione è cruciale per la democrazia italiana, ma forse per la classe politica è meglio che gli italiani non se la pongano. Sarà risolta forse in decoroso silenzio? Da ciò dedurremo che la costituzione italiana ha un solido garante: il silenzio.

"il manifesto", 4 luglio 2003SIGNOR PRESIDENTEAntonio Tabucchi

Illustre Presidente della Repubblica Italiana, non è la prima volta che Le pongo questioni. Lei lo ricorderà, anche se di norma non risponde. Cominciai con una Sua frase, secondo me assai infelice, di comprensione verso i cosiddetti «ragazzi di Salò». L'Italia, come è noto, non ha mai fatto né pulizia né ammenda, neppure simbolica, come la Francia e la Germania, del proprio sordido passato; e infatti oggi nell'attuale governo ci sono segretari o sottosegretari ex-repubblichini (fucilatori?) che ho sentito pubblicamente vantare nei Suoi confronti amicizia e confidenza. A me non piace. A Lei piace?

Lei, che si dice abbia fatto la Resistenza, a tali questioni come dicevo non risponde. Ma, per usare una formula di moda oggi in Italia, «mi consenta» di insistere. Io sono un cittadino e Lei un presidente della Repubblica: interpellare il proprio presidente in una democrazia è cosa normale, almeno finché essa esiste. E Lei mi perdonerà il disturbo: se si è assunto l'onere di diventare presidente della Repubblica in una congiuntura storica come quella attuale, alla sua venerabile età, senza nessuna carriera politica alle spalle, doveva proprio essere convinto del grave compito che si assumeva. Il Suo alto incarico, anche se in Italia vorrebbero farLa vivere in un empireo corrispondente a quello del Papa dove la parola non è discutibile essendo dogma, prevede in una democrazia normale dei seccatori come me.

La democrazia significa anche reciprocità: Lei è il garante della mia Costituzione, io Gliene chiedo conto. E dunque a mio modo divento garante di ciò che Lei deve garantire. Altrimenti,

come diceva Paul Celan, chi testimonierebbe il testimone? Lei ha funzione di garante. Perciò non posso ritenerLa estranea a ciò che sta succedendo nel mio Paese. A differenza di tutti coloro che vedono in Berlusconi l'unico protagonista di una inquietante corrosione delle regole democratiche, io debbo constatare che ciò avviene anche perché Lei firma. Perché Lei consente, Presidente. E senza il Suo consenso una grande parte di ciò che ha fatto il governo Berlusconi non esisterebbe. La Sua cosiddetta «moral suasion», secondo la definizione che corre in Italia, ha dato i frutti che abbiamo sotto gli occhi.

L'onorevole Berlusconi il 2 luglio ha assunto la presidenza del semestre italiano all'Unione Europea. Vi arriva illibato, reso profumato da questa legge sull'immunità che lo protegge dai gravi reati perseguiti da un tribunale della Repubblica e che Lei prontamente ha firmato. E che non si sa se voluta da lui o da Lei (a una radio francese l'onorevole Berlusconi ha affermato che questa legge l'ha voluta proprio Lei, Presidente, eventualmente spiegatevi fra di voi).

Secondo Lei Berlusconi dovrebbe far fare bella figura all'Italia. Un tipo come Berlusconi, che viene da lontano, sa come cavarsela in certe situazioni. Conosciamo la sua biografia.

E infatti se l'è cavata come uno che cantava canzonette e poi è diventato presidente del consiglio. Non mi dispiace affatto, illustre Presidente, che i Suoi sforzi per farci fare «buona figura» grazie a Berlusconi abbiano avuto un esito così disastroso. Berlusconi nell'assumere la presidenza semestrale per l'Italia dell'Unione Europea si è espresso con una piazzata, peggio di un sensale in una fiera di paese. E con il fine senso storico che lo contraddistingue, ha evocato Auschwitz al deputato tedesco Schulz che si era permesso di ricordargli una regola vigente in tutta l'Europa: che la legge è uguale per tutti. Fatto che solo in Italia signor presidente, è del tutto secondario, come del resto la Sua recente firma a tale legge attesta.

Evidentemente nel suo discorso da statista il cavalier Berlusconi era forte del fatto che a Auschwitz l'Italia ha dato solo un piccolo contributo (circa 2.000 ebrei italiani gasati, se non mi sbaglio) grazie alle leggi razziali che Vittorio Emanuele III firmò prontamente al cavalier Mussolini, come tutte le altre che prontamente gli firmava. Lei che ha fatto la Resistenza queste cose Le saprà meglio di me. Altrimenti glieLe avranno raccontate gli eredi di Vittorio Emanuele III che ha recentemente ricevuto in un solenne cocktail offerto al Quirinale (mi scusi se qui abbasso il livello, illustre Presidente della Repubblica Italiana: lo sa che i soldi con i quali Lei offre i ricevimenti ai Savoia sono anche miei, e di tutti i cittadini italiani contribuenti?).

Berlusconi ci va giù duro, evidentemente ha le spalle coperte. E non solo da un'onorata società che lo sostiene, ma a livello mondiale. È entrato nella nostra Unione Europea come certi kamikaze che entrano in un autobus indossando una cintura di tritolo. Le chiedo concludendo: ma per chi lavora Berlusconi? Lei, che mi dicono europeista convinto, non se lo è ancora chiesto? Essere presidente della Repubblica in un paese come l'Italia, cerniera del Mediterraneo e terreno ambito da anni da potenze straniere che vi lavorano per cambiare gli equilibri del mondo, non è una sinecura come chi si occupa delle ortensie del proprio giardino dopo essere andato in pensione. Cordialmente.

PS Le scrivo questa lettera sul giornale il manifesto, perché è una cooperativa. E finché l'onorevole Berlusconi non Le presenterà da firmare una legge che abolisce le cooperative è un giornale che continua a rappresentare la stampa libera. O quello che ne resta. Cosa di cui dobbiamo ringraziare anche Lei.

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