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Nei tempi antichi la via Appia, che collega Roma alla città meridionale di Brindisi, era conosciuta come la regina viarum, la regina delle strade. Ma ai giorni nostri la sua corona appare appannata da cronica congestione del traffico, vandalismo e, come si lamentano i suoi custodi, abusivismo.

“Guardi questo!” esclama Rita Paris, la direttrice del Ministero italiano, responsabile per la via Appia, scrutando attraverso uno schermo di bambù stagionato che fiancheggia la strada, mentre manovra la sua auto sobbalzante su un tratto di antiche pietre irregolari. “Può scommettere che questa era una tettoia che è stata murata e trasformata in un’abitazione.” Un poco più oltre si infervora contro un vivaio che è stato trasformato in ristorante (senza permesso edilizio), una cisterna rimodellata in piscina e le ville moderne attaccate ai monumenti antichi. Numerose sono affittate per ricevimenti nuziali o balli di società, e il fatto incrementa il flusso del traffico – e occasionalmente, “fuochi d’artificio”, ci racconta Rita Paris, con un fremito. Considerata fondamentalmente zona di proprietà immobiliari nei tempi antichi, allorchè i Romani seppellivano i loro morti nelle tombe allineate lungo le strade al di fuori delle mura della città, la via Appia ha conosciuto un rinascimento in età contemporanea negli anni ’60, quando Roma era conosciuta come la Hollywood sul Tevere. Le stars del cinema italiano vi si trasferirono in massa, mentre oggi è soprattutto abitata da danarosi proprietari. Ma ai giorni nostri i residenti sembrano indifferenti al ricco passato archeologico della strada, ci ha detto Livia Giammichele, un’archeologa che, come Rita Paris, sta conducendo una campagna contro quegli abitanti che descrive come “nuovi barbari”. “Non si rendono sempre conto che vivono in condizioni privilegiate”, afferma.

Ciò che irrita particolarmente gli archeologi che controllano la strada principale, che fu iniziata nel 312 a.C. dal censore Appio Claudio Cieco, è il fatto che numerose leggi governino l’Appia, almeno sulla carta. Benchè l’idea di creare un parco pubblico lungo il percorso risalga ai tempi napoleonici, fu solo nel 1965 che un’area di 6000 acri fu assegnata a tale finalità. Nel 1988 la regione Lazio istituì il Parco Regionale dell’Appia Antica, un serpentone verde che si allarga nel suburbio a sud est di Roma. Tecnicamente ciò significa che l’area è protetta da leggi severe per la conservazione dell’habitat naturale. L’abbondanza di monumenti antichi, sia visitabili (come la tomba di Cecilia Metella o le catacombe) che non accessibili (perché all’interno di proprietà private), dovrebbe inoltre precludere ogni sviluppo irregolare secondo la legge italiana. La realtà è più complessa. L’area del parco è ampia e difficile da controllare (in alcuni tratti al di fuori della città “ci sono atti di vandalismo quasi ogni notte”, ci ha detto Rita Paris). E oltre il 90% del Parco è ancora proprietà privata. A complicare la situazione, tre condoni edilizi sono stati approvati dai governi nazionali, fin dai primi anni ’80. I critici evidenziano come il condono degli abusi passati incoraggia ancora di più le costruzioni abusive. “Non si può costruire un muro di Berlino qui attorno – non è la soluzione più moderna,” ha dichiarato Adriano La Regina, il presidente del parco regionale, che è stato il Soprintendente archeologo di Roma. Se anche potesse essere costruito, ciò non risolverebbe la questione. “C’è un tale groviglio di amministrazioni e istituzioni coinvolte a livello municipale, regionale e statale da rendere la vita molto complicata perché ciascuna di esse agisce su alcuni aspetti della gestione del parco,” afferma Adriano La Regina. Deve ancora essere definito un assetto unitario. Se gli archeologi potessero governare la strada antica, ha dichiarato, questa tornerebbe al suo stato di “straordinario monumento storico”.

Durante gli ultimi anni gli ispettori archeologi sono riusciti a far sì che il Ministero italiano della Cultura acquisisse allo Stato alcune delle proprietà che sono state messe in vendita sull’Appia. Nel 2002 lo Stato ha acquistato un’ampia villa in un’area conosciuta come Capo di Bove. Gli scavi nei giardini hanno portato alla luce le fondazioni di un complesso termale di 54 ambienti. La villa stessa fu costruita negli anni ’50, e i muri esterni sono tappezzati di manufatti archeologici come coperchi d’anfora, iscrizioni marmoree e tegole di terracotta. “Non avrebbero potuto farlo, ma se ne sono infischiati”, ci dice Rita Paris. La villa presto ospiterà l’archivio di Antonio Cederna, un giornalista ed intellettuale che promosse campagne stampa per tutelare il patrimonio culturale italiano e fu uno strenuo difensore del parco dell’Appia Antica.

Più recentemente, il Ministero della Cultura ha acquistato e sta ora restaurando la chiesa di Santa Maria Nova, che confina con la spettacolare Villa dei Quintili del II sec. d.C., a circa cinque miglia dal centro di Roma. Vicino alla chiesa sono stati rinvenuti dei mosaici che raffigurano gladiatori. Ma gli scavi sul sito sono cessati presto quest’anno, poichè i fondi sono finiti. Il bilancio finanziario per l’Appia è di circa un milione mezzo di dollari annui, e non dura mai molto, ci ha detto Livia Giammichele. La vita sull’Appia non è sempre semplice neanche per i residenti. Paolo Magnanimi, che gestisce il ristorante Hostaria Antica Roma, che dichiara aperto, sull’Appia, nel 1796, suggerisce che gli ispettori ministeriali pur avendo ragione a tutelare la zona, dovrebbero essere più accomodanti. “Non possono sempre guardare a tutto con gli occhi del gendarme”, dichiara. Quando suo padre comprò il ristorante nel 1982, afferma Magnanimi, diede nuova vita ad un posto che era stato abbandonato. “i controlli sono giusti, ma tenete presente che noi acquisimmo un monumento che era divenuto un’abitazione privata e lo riaprimmo al pubblico”, dice. “Tutti possono entrare e guardare: non si deve per forza mangiare un piatto di pasta.”

(traduzione di Maria Pia Guermandi, qui il testo originale)


Quintili, le ultime meraviglie

Magnifiche rovine avvolte in prati verdi a perdita d´occhio, questa è oggi Villa dei Quintili. Ma ai tempi degli imperatori era un'altra Roma: una distesa infinita di colonne e marmi bianchi, intonaci tinti di rosso "morellone", mosaici policromi, riquadri fatti da pietre preziose e lapislazzuli color del cielo, ma anche giardini disegnati come fossero architetture tutt'intorno a quelle vere che comprendevano saloni di rappresentanza e spazi per i giochi gladiatori. E l'estensione architettonica di questo luogo degli ozi - voluto dalla famiglia dei Quintili e talmente desiderato da Commodo da indurlo a sterminare i padroni di casa pur di avere il loro paradiso affacciato sull'Appia - sta venendo chiaramente alla luce grazie alle novità degli scavi iniziati l'11 ottobre 2007. Ma la felicità per la scoperta è guastata dalla notizia che sono finiti i 250mila euro stanziati. Così, ieri, gli operai hanno spento le ruspe e fatto le valige.

Con gli archeologi Riccardo Frontoni e Giuliana Galli - che, diretti da Rita Paris, hanno scavato per conto della Soprintendenza archeologica - in appena quattro mesi di lavoro gli uomini hanno trovato i muri e il perimetro di 52 stanze (che s'affacciano su una grande esedra del diametro di 40 metri, utilizzata probabilmente per gli allenamenti) che servivano per i massaggi degli atleti o per irrobustirli attraverso i pesi; un porticato lungo mezzo chilometro: che permetteva ai pensatori di filosofare camminando e ai podisti di allenarsi correndo; oppure, ancora, un tappeto musivo colorato da minuscoli fiori geometrici; e, all'interno di una rotonda dal raggio di 5 metri, un vecchio, arrugginito, piccolo pezzo di ferro: ma di fondamentale importanza perché appartenne a uno scultore romano. «Fuori da Pompei, è rarissimo il ritrovamento di uno scalpello. L'abbiamo rinvenuto nello strato più basso di questo ambiente circolare e appartiene probabilmente al tempo di Commodo, quando gli scalpellini smontarono i pannelli marmorei per crearne di nuovi», spiega Frontoni.

Per i giovani archeologi che da più di dieci anni lavorano alla villa costruita sull'altopiano lavico di Capo di Bove - belvedere da cui i padroni di casa potevano contemplare il paesaggio fino a Tivoli e gareggiare in bellezza con la villa di Adriano - la frustrazione di questi giorni è come quella di un cercatore d´oro che ha trovato un filone ma non può scavarlo. Del mosaico floreale che rivestiva il corridoio collegato al frigidarium, è stata portata alla luce solo la parte iniziale. I restanti 20 metri sono sotto il cumulo di terra depositata per secoli sulle vestigia sepolte. Dalla parte pulita, sono venuti fuori lo zoccolo di marmo in "greco scritto", l´intonaco rosso, molte tesserine di pasta vitrea della volta tinta d'azzurro e collassata sul pavimento. Ma, oltre a questo caleidoscopio, è comparso «anche il muro di un forno usato in epoca altomedievale per riciclare il vetro, e decine sono i frammenti di vetro antico squagliato che abbiamo trovato nella terra» spiega la Galli.

Gli archeologi avrebbero potuto limitarsi a scavare solo questo corridoio delle meraviglie. Oppure riportare alla luce esclusivamente la rotonda che, nel saggio di scavo, ha restituito decine di frammenti di marmi giunti dall'Asia e dall'Africa: fior di pesco, serpentino, rosa e giallo antico, prezioso alabastro. E avrebbero aggiunto così altre attrazioni al sito aperto al pubblico dal 2000. Ai piaceri dell'occhio, la Soprintendenza ha preferito però la sostanza delle forme. E ha riportato alla luce tutto il perimetro degli edifici scoperti dove si pensava ci fossero giardini. Per sapere se la rotonda era coperta con una volta come il Pantheon e se c'erano colonne sulla fronte dell´esedra, c'è solo da trovare altri fondi. E rimuovere quel paio di metri di terra che soffocano marmi, mosaici e storia.


"Ancora vandali e abusi edilizi sull´Appia antica"

intervista a Rita Paris

Novità dall´Appia antica, direttrice?

«Cattive purtroppo: i vandali sono entrati nuovamente a Santa Maria Nova e hanno rotto muri e marmi. Per fortuna, i mosaici con i cavalli e i gladiatori, deturpati durante il blitz dell´anno scorso, li avevamo messi in salvo», spiega l´archeologa della Soprintendenza responsabile dell´Appia e del Museo nazionale a palazzo Massimo.

Come siete intervenuti?

«Abbiamo sporto immediatamente denuncia. E denunciato ancora una volta come in questo sito, che era di pertinenza della villa dei Quintili, un pastore continui a portare il suo gregge e i suoi cani».

Altre denunce la Soprintendenza le ha fatte per gli abusi edilizi.

«Sì, e nonostante le nostre denunce, dal Comune continuano le concessioni in sanatoria per ristrutturazioni e ampliamenti senza che la Soprintendenza sia stata consultata».

Cosa rispondereste?

«Siamo in un parco archeologico: non si può fare neanche un gazebo, figuriamoci un edificio».

A Villa dei Quintili però sono venuti alla luce nuovi e importanti ambienti. Buone notizie, quindi.

«È una grande scoperta, fatta utilizzando i 250mila euro dei nostri fondi ordinari. Ma non bastano per andare avanti».

Di quanto avreste bisogno?

«Con un milione di euro l'anno finiremmo scavi e restauri ai Quintili e a Santa Maria Nova. Invece è la cifra che abbiamo per tutta l'Appia antica: per la manutenzione dei mausolei e delle tombe ma anche per le lampadine e la carta negli uffici».

Cercavano tracce di fuochi, un altare, echi di antichi riti in favore del divino Ercole. E invece hanno riportato alla luce pezzi di grosse giare, dodici stanze intonacate che si affacciano su un quadriportico, canalette per l'acqua, ricordi di viandanti che si fermarono a riposare e a fare qualche acquisto nel più antico "centro commerciale" dell'Appia antica: un emporio all'ottavo miglio della Regina Viarum. Trovato allontanando, con garbo, le prostitute che stazionano accanto e dentro i sepolcreti. E mettendo mano allo scavo che va di pari passo con il restauro di un nuovo tratto della consolare salvata da Antonio Cederna.

Non solo di aulici, mitici lupercali è fatta la cronaca delle scoperte archeologiche. Ma anche di lupanari, taverne, stazioni di posta: architetture semplici, potenti. Romane. Come i frammenti di colonne di peperino adagiate da secoli davanti all'ingresso di villa Fiorano, tra via degli Armentieri e via di Fioranello. A cavallo di quei rocchi, i fotografi di Alinari avevano immortalato pastori con i loro cani scrivendo nella didascalia "Tempio di Ercole" poiché Marziale lo ricorda all'ottavo miglio. Invece si tratta di un luogo di sosta con accesso diretto sull'Appia, come dimostra la deviazione del manto di basole che conduce alle mazzette dove si impostava il portone di questo "autogrill" del primo secolo avanti Cristo: una delle architetture più antiche dell'Appia.

«Sì, l'impianto principale è di tarda età repubblicana, come dimostrano i bolli rettangolari impressi nelle tegole. Ma, accanto ai bei muri in opera reticolata venuti fuori scavando, abbiamo evidenziato testimonianze di età imperiale. Segno che l'emporio ebbe una vita molto lunga. A un certo punto, le porte che s'affacciavano sul cortile colonnato vennero chiuse poiché, probabilmente, furono create nuove aperture all'esterno. Ma questo lo scopriremo solo mettendo mano alla collinetta che ha ricoperto l'edificio» racconta Giorgio Gatta che, per conto della Soprintendenza, sta eseguendo gli scavi con Antonella Rotondi e secondo il progetto di Massimo De Vico e Rita Paris.

Dopo sette-otto miglia, i romani costruivano luoghi di sosta perché questi erano i "chilometri" che il viaggiatore percorreva a piedi. La conferma che si tratti di uno spazio commerciale viene dalla pianta dell'edificio, dai molti frammenti dei doli (i grandi vasi per le derrate alimentari), dalle stanze dagli alti muri (si sono conservati alzati fino a tre metri: una rarità) e dal perfetto impianto di smaltimento dell'acqua. Ma da dove prendevano tutta quell'acqua?

Gli archeologi sono ora a caccia di una fonte. E guardano con "cupidigia" allo spiazzo di terreno lì accanto, tra le colonne in peperino e i resti di una gigantesca tomba. Anche questa area è stata salvaguardata dalla linea delle "macere", i muretti alzati nell'Ottocento da Luigi Canina per delimitare le zone di pregio dell'Appia antica. Lo scavo dell'emporio è stato finanziato risparmiando 300mila euro dal restauro del tratto di consolare che si sta contemporaneamente portando avanti, dal civico 200 al 400. Ma ora si spera in nuovi fondi per finire l'indagine, proteggere le rovine, innalzare le colonne cadute a terra. E andare a vedere se lì accanto sgorga una fonte con, annesso, un tempio. Magari proprio quello dedicato a Ercole. Dio bello, forte e protettore dei traffici e dei mercati.

L'archeologa Rita Paris: "No ai cancelli"

«Non solo tombe monumentali. Ma anche terme, stazioni di posta e ora anche un bellissimo emporio. Avete visto quanti tesori restituisce ancora questa strada, nonostante le distruzioni, l'abusivismo edilizio, la mancanza di fondi?» dice Rita Paris responsabile per la Soprintendenza archeologica dell'Appia Antica.

Avete un milione l'anno. Non basta?

«Sono destinati, e sufficienti, per la manutenzione ordinaria. Ma abbiamo bisogno di interventi straordinari per acquistare altre aree da destinare al pubblico e per continuare le campagne di scavo. Eppure i fondi della legge Roma-Capitale, quelli del Lotto e il progetto Arcus non contemplano l'Appia Antica».

Come proteggerete l'emporio? Con una recinzione come quella del mausoleo di Gallieno?

«Cederna diceva: "I cancelli sono la gabbia dei monumenti". E poi la recinzione a Gallieno viene spesso divelta e quelle rovine - che sono a grave rischio crolli - diventano teatro di prostituzione maschile. Vorremmo lasciare liberi i monumenti dell'Appia Antica. Ma per far questo abbiamo bisogno dell'erogazione continua di fondi e di un maggiore controllo del territorio».

Lastre di eternit abbandonate nel cuore del parco dell’Appia Antica. Rovinate, scheggiate e usurate. Questo materiale altamente dannoso per la salute e inquinante per l’ambiente è stato scaricato in diversi angoli dell’area protetta. Ma non solo. Tubature, sacchetti d’immondizia e batterie delle auto. Tutto è gettato nel parco come in una discarica. Alcuni rifiuti stanno lì da settimane, altri da anni.

Cinquanta e più blocchi d’amianto sono ammassati uno sopra all’altro in mezzo al verde all’altezza di via Lucio Volumnio. Proprio lungo il viottolo dove bambini e adulti passeggiano a piedi o con la bicicletta. Materiale tossico che deve essere chiuso in imballaggi non deteriorabili e incapsulato con estrema attenzione per non far liberare nessuna fibra di amianto, cancerogena per la salute, è invece buttato sul ciglio della strada. Sparse a terra ci sono centinaia di lattine e bottiglie di birra, cartacce, tubi di cemento e sacchetti stracolmi d´immondizia. Tra gli pneumatici delle auto, lasciati nel parco da anni, sono cresciuti anche degli arbusti. Montagne di calcinacci sono stati gettati sull’erba.

«Arrivano dentro quest’area protetta con dei camioncini, poi buttano tutto a terra e se ne vanno. Io che abito qui da anni non ho mai visto nessun controllo, nessuno che venisse a fare manutenzione o pulizia nel parco. E noi, come le migliaia di persone che vengono a passeggiare nell’Appia Antica, ci ritroviamo in un discarica, non in mezzo alla natura», si arrabbia Francesco Papa, che da anni risiede in una casa nel parco dell’Appia Antica. A due passi da un tumulo funerario ci sono delle vere e proprie aree ricoperte di rifiuti. Mobili, travi di legno, sacchetti di calcinacci, vestiti, scarpe e fusti di detersivi. Una zona verde è recintata, il cartello spiega che è sottoposta a sequestro per una bonifica. Oltrepassata la transenna si apre allo sguardo un’immensa discarica a cielo aperto.

Un parco di carta, un parco inesistente. Per Antonio Cederna, negli anni Sessanta, l'Appia Antica era un territorio in balia degli speculatori, che subiva l'aggressione del cemento, dove si consumava ogni sorta di abuso edilizio, continuamente al centro di indecenti progetti che venivano presentati nel silenzio delle istituzioni. Nel 1988 una legge regionale istituisce il Parco dell'Appia Antica e nel 1997 la zona viene inclusa tra le aree naturali protette. Ma non basta. Nonostante gli ultimi sequestri, la situazione è ancora piuttosto degradata. Il grido d'allarme parte, questa volta, da Paestum, dove si è conclusa ieri la decima edizione della Borsa mediterranea del turismo archeologico. «La realtà attuale - lamenta Rita Paris, direttore della Soprintendenza archeologica di Roma - ha superato ogni possibile immaginazione per la rovina e l'offesa al patrimonio archeologico, ambientale e paesaggistico del comprensorio dell'Appia, tra abusi vecchi e recenti, abusi macroscopici condonati, attività improprie impiantate in modo stabile, monumenti trasformati in alcove per la prostituzione che da sempre qui è stata di casa, la strada e le sue fasce con i monumenti invasi dal parcheggio di auto gratuito vicino all'aeroporto di Ciampino. Un suburbio residenziale al centro di interessi che allontanano ogni giorno di più ogni tentativo per la creazione di un vero Parco».

Un parco che diventa un arcipelago dentro il degrado, una porzione di territorio avulso dal contesto, mentre, come hanno sottolineato a Paestum i vari relatori (da Antonia Pasqua Recchia, direttore generale per l'innovazione tecnologica del ministero, a Giovanna Rita Bellini, direttore della Soprintendenza dei Beni archeologici del Lazio) serve una visione complessiva del paesaggio storico per assicurare il massimo della tutela.

L'Appia Antica sconta certamente il ritardo che nei decenni ha caratterizzato gli interventi di salvaguardia. Esistono numerosi vincoli archeologici «ma la maggior parte del territorio - insiste nella sua relazione Rita Paris - è di proprietà privata, compresi i monumenti che sono presenti in quasi tutte le ville, i casali, i ristoranti, i circoli sportivi. Rispetto alle previsioni del Piano Regolatore del 1965, si sono fatti enormi passi indietro, sia nel riconoscimento dell'interesse storico, archeologico, monumentale del comprensorio - ciò che non si è ancora vincolato con vincolo archeologico specifico non si riesce a vincolare o con enormi difficoltà, - sia nelle previsioni di acquisizione pubblica delle aree e dei monumenti».

«Il Parco Regionale e l'ente di gestione, nel quale non sono rappresentate le Soprintendenze e il ministero, da soli non bastano - prosegue la Paris - a garantire una corretta pianificazione e la gestione di una zona che contiene uno dei più ricchi patrimoni archeologici del mondo. Per assurdo, nelle norme del Piano d'assetto del Parco, i futuri scavi archeologici da parte della Soprintendenza di Stato dovrebbero essere sottoposti all'autorizzazione dell'ente di gestione ».

Non basta, dunque, salvare i «ruderi». Bisogna intervenire con più forza sul territorio. «Le altre istituzioni - dice ancora la Paris - alle quali sarebbe demandato il compito della tutela paesaggistica (Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici e per il paesaggio, Regione, Comune) si sono ad oggi limitate ad applicare le leggi nel senso peggiore per la tutela, senza conoscere il territorio, senza mai effettuare controlli, esprimendosi sulla compatibilità della singola situazione (la villa schermata dal verde o l'impianto sportivo o il vivaio) e perdendo completamente di vista la graduale, drammatica trasformazione che tali situazioni, moltiplicate per centinaia, migliaia di casi, avrebbe procurato». Che cosa fare? Per la Paris quattro i punti principali e più urgenti: acquisire al pubblico le aree e i monumenti più importanti; incrementare gli scavi e i restauri; creare un sistema complessivo di difesa del territorio. E infine, e non ultimo, limitare il traffico che attraversa il parco.

Non posso tralasciare anche questa occasione di incontro e confronto per ripetere alcune osservazioni e preoccupazioni per il territorio dell’Appia, in particolare per l’ambito romano di cui mi occupo (ma senza perdere di vista l’interesse della totalità del percorso fino a Brindisi).

Premesso che l’Appia è considerata da sempre da un lato un “parco archeologico”, dall’altro il simbolo dell’abusivismo e delle ville famose per eccellenza (vi hanno abitato e vi abitano ancora alcuni tra i più famosi personaggi del cinema, della moda, più recentemente dell’imprenditoria) e che si continua a operare in una condizione di equivoco (noto, noto solo in parte, noto e comodo così com’è), è necessario ripartire dall’inizio facendo chiarezza sullo stato normativo e sullo stato di fatto.

Nel 1965 nel PRG della città fu introdotto un decreto che destinava l'intero comprensorio dell'Appia, allora di circa 2500 ettari, a Parco Pubblico, per la tutela integrale degli straordinari valori archeologici, storici, paesaggistici. Già nel 1953 la legge di tutela statale sulle bellezze paesaggistiche aveva vincolato l'intero territorio riconoscendo una stretta connessione tra i monumenti e il paesaggio. In quell’arco di tempo Antonio Cederna non ha mai smesso di scrivere sull’argomento denunciando gli abusi, gli scempi, gli indecenti progetti che venivano presentati, il silenzio delle Istituzioni, le gravi omissioni che allontanavano sempre più la soluzione urbanistica adeguata per l’Appia.

La legge regionale del 1988 ha istituito il Parco Regionale dell'Appia Antica e nel 1997 la zona è stata inclusa tra le aree naturali protette tra le cui principali finalità sono la tutela degli habitat naturali e la valorizzare delle attività produttive compatibili con le esigenze di tutela dell’ambiente, favorendo nuove forme di occupazione.

Per quanto riguarda la tutela archeologica da parte dello Stato vi sono numerosi vincoli archeologici per ampie aree (i vincoli archeologici di settori, diretti e indiretti, apposti negli anni 80/90 sono estesi centinaia di ettari ciascuno), vincoli per specifici monumenti e il vincolo già legge Galasso 431/85 lettera m (oggi DL.vo 42/2004 art. 142 lettera m) che copre l’intero territorio. La strada, con le fasce ai lati, è demaniale dagli interventi ottocenteschi del Canina, ma questo è stato dimenticato.

Le proprietà pubbliche sono irrilevanti rispetto alla vastità del territorio e soprattutto inadeguate rispetto alla presenza di monumenti (sono pubbliche parte dell’area della Caffarella, il complesso di Massenzio, la Villa dei Quintili con la proprietà acquistata di recente di S. Maria Nova, i monumenti lungo la strada, il complesso di Cecilia Metella con il Castrum Caetani, Capo di Bove, anche questa di acquisto recente, piccole porzioni di campagna, una bella proprietà con casale ad uso agricolo acquistata dall’Ente Parco recentemente).

La maggior parte del territorio è quindi in proprietà privata, compresi i monumenti che sono presenti in quasi tutte le ville, i casali, i ristoranti, i circoli sportivi.

Rispetto alle previsioni del Piano Regolatore del 1965, si sono fatti enormi passi indietro, sia nel riconoscimento dell’interesse storico, archeologico, monumentale del comprensorio – ciò che non si è ancora vincolato con vincolo archeologico specifico non si riesce a vincolare o con enormi difficoltà, d’altro canto per ciò che ha solo il vincolo di 431/85 lettera m, ossia paesaggistico, si tende ad allontanare sempre più la competenza e la titolarità della tutela alla Soprintendenza Archeologica – sia nelle previsioni di acquisizione pubblica delle aree e dei monumenti.

L'esistenza del Parco Regionale e di un ente di gestione, nel quale non sono rappresentate le Soprintendenze e il Ministero, contribuisce senza dubbio a limitare alcuni danni ma è strumento inadeguato a garantire una corretta pianificazione e la gestione di una zona che contiene uno dei più ricchi patrimoni archeologici al mondo.

Il Piano d’assetto del Parco che sostituisce il Piano Regolatore, in un rapporto ancora poco chiaro con il Piano Territoriale Paesistico, non tiene conto di tutto il patrimonio monumentale, archeologico e storico intorno al quale e per il quale si sono creati l’ambiente naturale e il paesaggio, non prevede alcuna iniziativa per la conservazione dei monumenti, per l’incremento della conoscenza del patrimonio archeologico di cui il Parco tuttavia beneficia nella promozione della propria immagine. Per assurdo, anzi, nelle norme del Piano d’assetto, i futuri scavi archeologici da parte della Soprintendenza di Stato dovrebbero essere sottoposti all’autorizzazione dell’Ente di gestione!

Questo è lo stato di fatto; passando a considerare le necessità reali di questo territorio - Parco Archeologico, o come si voglia definire - , è opportuno riferirsi alla situazione specifica e non applicare modelli predeterminati, se vi è l’intenzione di voler ancora provvedere ad attuare un programma di tutela e valorizzazione di questo patrimonio, nel senso indicato da Antonio Cederna e altri.

L'Appia rappresenta in modo emblematico il fatto che la tutela archeologica non può essere rivolta alla conservazione dei "ruderi" in senso stretto, come purtroppo si tende a considerare. Inoltre si deve prendere atto che se qualcosa ad oggi si è salvato di quell’insieme inscindibile che la Via Appia forma con la campagna romana, si deve all’attività, e non solo recente come attestano i documenti d’archivio, della Soprintendenza competente per l’archeologia. Si deve inoltre prendere atto che le altre istituzioni alle quale sarebbe demandato il compito della tutela paesaggistica (Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici e per il paesaggio, Regione, Comune) si sono ad oggi limitate ad applicare le leggi nel senso peggiore per la tutela, senza conoscere il territorio, senza mai effettuare controlli, esprimendosi sulla compatibilità della singola situazione (la villa schermata dal verde o l’impianto sportivo o il vivaio) e perdendo completamente di vista la graduale, drammatica trasformazione che tali situazioni, moltiplicate per centinaia, migliaia di casi, avrebbe procurato.

Quello che a me appare chiarissimo e che vorrei fosse acquisito da tutti colori che hanno la responsabilità della pianificazione e della gestione di un ambito come questo - competenze estranea alla Soprintendenza Archeologica, che tuttavia dovrebbe svolgere il ruolo di “consulente” per le specifiche competenze dalle quali non si può prescindere – è che la situazione dell’Appia richiede effettivamente un programma coordinato tra i vari Enti, da attuare d’intesa, gradualmente e che costituisca un “testamento” per il futuro.

Mi limito a citare i punti essenziali senza entrare nel dettaglio.

Si è già avuto occasione di denunciare come la realtà attuale abbia superato ogni possibile immaginazione per la rovina e l’offesa al patrimonio archeologico, ambientale e paesaggistico del comprensorio dell’Appia, tra abusi vecchi e recenti, abusi macroscopici condonati, attività improprie impiantate in modo stabile, monumenti trasformati in alcove per la prostituzione che da sempre qui è stata di casa, la strada e le sue fasce con i monumenti invasi dal parcheggio di auto gratuito vicino all’areoporto di Ciampino.

Un “Parco inesistente”, un “Parco di carta” come è stato definito da Cederna nel 1960 e nel 1994, la realtà è che il “il più straordinario comprensorio archeologico e paesistico di Roma”, in spregio ai vincoli, alle leggi, al Piano regolatore, era e resta il “suburbio residenziale” della città ancora al centro di interessi di vario genere che allontanano ogni giorno di più ogni tentativo per la creazione di un vero Parco.

Credo fermamente che lo straordinario valore storico, archeologico oltre che ambientale e naturalistico, di questo territorio debba essere riconosciuto senza riserve con un atto legislativo che superi le lungaggini burocratiche dei vincoli e gli ostacoli dei tribunali amministrativi e la sua cura debba essere affidata a istituzioni in grado di rimanere estranee ad ogni forma di compromesso.

Per questo è necessario e non più procrastinabile che Ministero, Regione e Comune individuino la forma più corretta e completa per la pianificazione e la gestione di questo incommensurabile patrimonio.

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Finisce il manto regale delle antiche pietre laviche. E, all´altezza della traversa di via degli Armentieri, quando l´Appia diventa d´asfalto e buche, due turisti stranieri vengono avvicinati da una prostituta. Si è staccata dal gruppetto di donne sedute sotto un albero, tra tracce di fuochi e rifiuti. E li invita: «Annamo? Let´s go, Let´s go!». L´offerta non è a salire in macchina. Ma in un´antica tomba romana che dà sulla strada. È un tugurio, con dentro una branda lercia. La vista dell´interno è protetta da una tendina. Una giovane prostituta la scosta ed esce. Le è accanto il cliente con cui si prende a parolacce perché non le vuole dare i 15 euro pattuiti.

Sembra di essere nella Roma di Fellini. E invece siamo nel parco archeologico dell´Appia antica. Non il lungo ed efficiente viale carico di storia dove - prima e anche subito dopo il Gra - passeggiano turisti e guide. Ma il tratto dove non sono mai arrivati gli operai che, per il Giubileo, grazie a un corposo finanziamento del Comune e della Soprintendenza statale, nel tratto restaurato riportarono alla luce l´antico basolato e misero in posa, se le pietre romane non c´erano più, i sampietrini ottocenteschi. Via degli Armentieri è perciò un limite: dove finisce la strada curata, inizia il degrado. Soprattutto sociale.

Davanti alla tomba successiva, altre due donne siedono davanti a un focherello. E alcuni ceppi fumanti, poco oltre, stanno a dire che la prostituta s´è allontanata da poco. Eppure il cartello del "Parco regionale Appia Antica" recita che è «vietato accendere fuochi all´aperto»; tanto che la Soprintendenza vieta ai padroni delle ville che si trovano nel parco di accendere persino le fiaccole perché la cera rovina le antiche pietre e il fuoco mette in pericolo la vegetazione.

Ma non è certo questa la violazione più macroscopica. C´è un cippo funerario sul quale ignoti hanno scritto con la vernice spray. E c´è - nonostante il cartello dica che «è vietato circolare e sostare con auto e moto al di fuori della strada carrabile» - un continuo via-vai di uomini soli. Entrano con l´auto in gigantesche pozzanghere, dalle quali c´è il rischio di non uscire tanto sono profonde, alla ricerca di amanti da adescare. O di un ragazzo da pagare. Lo scambio di avance e di soldi diventa macroscopico superata la traversa di via Fioranello. E i luoghi degli incontri diventano gli alberi e i cespugli ai lati dell´Appia Antica. Dodici miglia nel Comune di Roma sulle quali sono competenti Campidoglio, Soprintendenza e Regione. E che oggi sono una strada percorribile dalle auto, con i pneumatici che ricalcano il segno lasciato sui lastroni dagli antichi carri romani diretti a Sud.

«Ma questo non è niente. Venga di notte e vedrà il traffico e la prostituzione che c´è» denuncia Franco Pelizon, che abita in una villa. «Fino a tre-quattro anni fa venivano, se sollecitati, a tappare le buche. Ma negli ultimi tempi non s´è visto più nessuno». Il cartello regionale dice anche che è vietato abbandonare i rifiuti. Tra le colonne e i rocchi stesi nell´erba del tempio di Ercole Silvano, ci sono invece cartacce, bottiglie, plastiche. «Recentemente sono venuti a portare via frigo arrugginiti, vecchie tv, water e materassi: le discariche abusive che spuntano spesso lungo i lati della strada», racconta Isabella Gorini, presidente della società che nella villa di Fiorano, dei Boncompagni-Ludovisi, organizza eventi e affitta i saloni per cerimonie e set cinematografici. La dimora novecentesca ospita anche un´Accademia di cultura gastronomica mentre poco più in là c´è il Circolo della caccia alla volpe. «Soci e clienti - spiega la Gorini - hanno problemi a raggiungerci con questa strada dissestata. Ed è capitato che qualcuno sia stato aggredito da chi gli offriva servizi sessuali».

Un´anziana prostituta - una delle poche ultra settantenni romane che continuano a battere sull´Appia - esercita di fronte alla Berretta del Prete. Il monumento è stato restaurato con i, pochi, fondi a disposizione della Soprintendenza. Ed è difeso a da una cancellata verde che impedisce di trasformare il sepolcro in lupanare. È un avamposto che segna una strada da percorrere per sottrarre la Regina viarum al degrado: restauri e cancelli.

Di Carlo: «Inopportuno La Regina all'Appia»

Paolo Brogi – Corriere della Sera, ed. Roma, 5 novembre 2006

Sull'Appia Antica siamo alla partita grossa. Un safari in piena regola. Trofeo più ambito, la testa di Adriano La Regina. Sull'ex sovrintendente archeologico di Roma, candidato alla presidenza dell'Ente Parco dell'Appia, la maggioranza alla Pisana è in difficoltà. A sparare pallettoni contro di lui, candidato al Parco dell'Appia insieme ad altri due esponenti certamente di minor prestigio come Marco Agliata e Daniel Franco, è la «Margherita». Il capogruppo Mario Di Carlo esce allo scoperto e lo definisce «inopportuno».

Il presidente della Regione Piero Marrazzo sembra subire l'offensiva e intanto prende tempo: così è slittata di nuovo, ancora di una settimana, la giunta che stamattina doveva dire sì alle «terne» di candidati per le presidenze degli 11 parchi del Lazio già consegnate a Marrazzo da 15 giorni dall'assessore all'ambiente Filiberto Zaratti. Quelle terne contengono 33 nomi tra i quali Marrazzo dovrà scegliere gli 11 presidenti. Su La Regina è bagarre.

La giunta prevista per oggi è stata rinviata ieri all'ultimo momento. Ufficiosamente per la grana del buco nei conti della sanità, di fatto anche per il mancato accordo sui parchi, un «affaire» scandaloso che si trascina da 18 mesi con gli enti parco commissariati e con una situazione di degrado e incertezza nei fatti che si abbatte sui piccoli scrigni verdi del Lazio. I rischi che incombono su tesori come l'Appia Antica sono evidenti: le immagini della celebre consolare che ci giungono dall'altezza dell'areoporto di Ciampino, dove è ormai ridotta a un parcheggio a cielo aperto insieme alla vicina via di Fioranello, parlano da sole. Così è un parco abbandonato a se stesso.

La Margherita dunque si oppone ad Adriano La Regina. Il celebre archeologo ed etruscologo, di cui una mostra appena aperta alle Olearie Papali celebra di fatto attraverso il lavoro dei suoi collaboratori un quarto di secolo di scavi, ritrovamenti e scoperte a Roma, è dichiarato «inopportuno» dal capogruppo della Margherita alla Pisana, Mario Di Carlo. Il fatto che a favore di Adriano La Regina siano scesi in campo anche altri esponenti della Margherita come l'ex ministro Willer Bordon non stempera la crociata di Di Carlo che dice: «Abbiamo ricevuto decine e decine di sollecitazioni da parte di abitanti e operatori dell'Appia, che ci hanno ricordato che all'atto della discussione del piano di assetto, la sovrintendenza archeologica retta da La Regina si mise di traverso nella formulazione, adducendo come motivo la necessità di fare acquisizione al pubblico delle proprietà interne al Parco dell'Appia. Perciò ritengono inopportuna la nomina. E noi la pensiamo come loro. L'abbiamo fatto presente alla maggioranza e a Marrazzo. Quanto ai nomi dei presidenti, non siamo certo noi a farli...».

Ad essere agitato è lo spauracchio «espropri». Una questione che la responsabile archeologica dell'Appia, Rita Paris, definisce «sorprendente». «La sovrintendenza - spiega Rita Paris - non ha mai fatto neanche un centimetro di espropri. Dall'84 abbiamo acquistato la Villa dei Quintili, Santa Maria Nova e Capo di Bove esercitando una sola prelazione ed effettuando bonari acquisti. La linea seguita è stata quella del graduale accrescimento del Parco tramite acquisti concordati. Nessuno ha mai posto il problema di acquisizioni di massa».

A favore di La Regina sono scesi intanto in campo, con un appello sottoscritto da moltissimi operatori culturali, decine di urbanisti (da Vezio De Lucia a Italo Insolera), archeologi (da Anna Gallina Zevi a Clementina Panella, Silvio Pancera), ambientalisti (da Desideria Pasolini dall'Onda a Gaia Pallottino). Una ferma presa di posizione è stata espressa ieri da Carlo Ripa di Meana e Fulco Pratesi, presidenti di Italia Nostra e Wwf: «Il veto contro La Regina è inaccettabile». Come andrà a finire?

«Veti? Solo perché difendo l'Appia»

Paolo Brogi - Corriere della Sera, ed. Roma, 6 dicembre 2006


Il «professore» è chino sulle carte, nell'ufficio dell'Istituto di Archeologia a Palazzo Venezia. Adriano La Regina viene dalle lezioni di etruscologia alla Sapienza, pensa ai suoi scavi archeologici in Molise, ascolta con aria sconcertata la bagarre che riguarda il suo nome come candidato presidente al Parco dell'Appia Antica. Ma quando sente quanto afferma di lui il capogruppo della Margherita alla Regione Mario Di Carlo inevitabilmente s'infervora. Di Carlo ha posto il veto sul suo nome, perché - ha continuato a ripetere anche ieri - «La Regina ha osteggiato il piano di assetto sull'Appia Antica». Aggiungendo: «La Regina sostenne la tesi dell'acquisizione dell'intero comprensorio al patrimonio pubblico». «Non è così, non è così...», sbuffa subito l'archeologo.

Professore, nel 2002 quale era la sua posizione sul piano di assetto? La dipingono come un incallito espropriatore...

«Feci alcune osservazioni sulla scarsa attenzione ai valori archeologici. L'Ente Parco aveva preparato quel documento senza neanche sentirci. Così facemmo le nostre critiche. In che senso? Nel senso di tutelare non solo i caratteri ambientalistici del parco, ma anche quelli archeologici. Insomma, parliamo del Parco dell'Appia Antica. È un posto noto in tutto il mondo prima di tutto come sito archeologico ancor prima che ambientale».

L'accusano di voler espropriare?

«Ma quando mai! Ho sempre sostenuto che sarebbe stato importante avere disponibilità finanziaria per far fronte non solo alla manutenzione ma anche, al momento giusto, per l'acquisizione di ulteriori proprietà nella zona del parco. Mai messo in conto l'esproprio, un atto forzoso difficilmente realizzalibile e non gestibile se inteso come atto esteso. Ci siamo adoperati invece perché la pubblica amministrazione potesse competere sul libero mercato e perché potesse esercitare, quando possibile, il diritto di prelazione che non lede la proprietà».

Risultato?

«In trent'anni, sotto la mia direzione, tre acquisti importanti come la Villa dei Quintili e la sua messa a disposizione della città, Capo di Bove adesso aperta gratuitamente al pubblico e Santa Maria Nova che completa i Quintili. Questi sono i ritmi della pubblica anmministrazione, in un contesto che non si può certo permettere lussi...».

Oggi l'Appia è più ricca grazie a quei tre acquisti. Basta?

«Mi ha sempre affascinato l'idea di sollecitare una concezione più ampia di tutela dell'Appia, come monumento unitario che va da Roma a Brindisi attraversando varie regioni e paesaggi che richiamano condizioni che non esistono quasi più. C'è necessità di una legge nazionale per tutelare e valorizzare l'intero percorso. Il Parco dell'Appia Antica può svolgere una funzione promozionale importante».

Intanto l'Appia, all'altezza di Ciampino, è ridotta a un parcheggio extra dell'aeroporto...

«È urgente fermare i processi di decadimento. Così come bisogna imprimere più slancio alla promozione degli ambiti naturalistici del Parco, da Tormarancia alla Caffarella. Ci sono spazi destinati a giardino, altri a conservazione naturalistica, altri di tutela archeologica. Ci sono poi nel Parco insediamenti della pubblica amministrazione e dello Stato, strutture ministeriali e militari, che con opportune permute potrebbero essere dislocati altrove. Poi c'è il Forte Appio da recuperare. Insomma, non mancano gli obiettivi da raggiungere. Quanto a me, mi posso impegnare certamente a svolgere funzioni di concerto con l'amministrazione regionale e quella comunale. Alla mia età non si diventa nè migliori nè peggiori, si è quel che si è...».

Della sua candidatura si parla ormai da quasi un anno e mezzo...

«È singolare. Ognuno prenda le proprie decisioni. Gli assessori all'Ambiente mi hanno sollecitato. Non sta a me decidere. Abbiano però la cortesia di far sapere quel che pensano di fare».

«Nel decennale della scomparsa di Antonio Cederna la nomina di Adriano La Regina a presidente del parco dell´Appia Antica pareva a noi doverosa, pressochè scontata». Si apre così l´appello partito sabato scorso sul sito www.eddyburg.it per la nomina dell´ex soprintendente archeologico ai vertici dell´Appia Antica che ha già raccolto numerose adesioni di uomini di cultura. Per esempio, Vezio De Lucia, Paolo Berdini, Stefano De Caro, Anna Gallina Zevi, Rita Paris, Filippo Coarelli, Carlo Pavolini, Maria Annalisa Cipriani, Gaia Pallottino. L´appello è in vista della giunta regionale di domani, in cui l´assessore all´Ambiente Filiberto Zaratti porterà in votazione la delibera sulle nomine dei parchi con il nome di La Regina, contestato dalla Margherita.

La Margherita contro la decisione di mettere l'illustre professor La Regina a capo del parco dell'Appia Antica. Un bel pezzo di maggioranza per niente convinta dal nome di Marco Di Fonzo, caldeggiato dall'assessore all'Ambiente Filiberto Zaratti, per Veio. E ancora tanti mugugni e un accordo che non si trova. Tanto che le nomine dei presidenti degli enti parco sono di nuovo bloccate.

Pochi giorni fa il presidente della Regione aveva fissato l'ultima scadenza: entro fine novembre doveva arrivare la fumata bianca per le aree protette. Invece, dopo tanti rinvii, il nuovo dietrofront.

Zaratti avrebbe dovuto presentare ieri in giunta le terne di nomi tra cui Piero Marrazzo dovrà scegliere i nuovi presidenti. Rinviata a domani la riunione della giunta, le decisioni restano comunque in alto mare. Gli 11 parchi del Lazio, commissariati all'inizio dell'era Marrazzo, sono rimasti a bagnomaria da oltre 1 anno e la voce circolata con insistenza era che quelle poltrone dovevano essere utilizzate come contentino, per chi avesse perso il suo incarico istituzionale, se ci fosse stato un rimpasto in Regione. Ma anche dopo la richiesta di accelerare arrivata

da Piero Marrazzo non c'è stato niente da fare.

Il nodo da sciogliere resta quello dei parchi romani.

«Il nostro partito si è fatto interprete di chi vive e lavora nel Parco dell'Appia: per loro sarebbe una provocazione mandare lì Adriano La Regina, che quando era soprintendente avrebbe voluto l'acquisizione pubblica di tutto il parco, quindi anche delle loro case. Nessuno - spiega un esponente Dielle - contesta il valore di La Regina, basta nominarlo al parco di Veio, anziché all'Appia». E se c'è chi vede in questa posizione il riflesso della vecchia ruggine tra il "signor no" e Francesco Rutelli, sono ancora di più, nel centrosinistra, quelli che si oppongono alla scelta, per Veio, di Di Fonzo, a suo tempo nominato da Storace all'Appia Antica e ora, pare, gradito all'attuale parlamentare Angelo Bonelli. A Di Fonzo anche i Ds preferirebbero Fernando Petrivelli. E nelle polemiche fa capolino pure una resa dei conti fra i Verdi. «Purtroppo Zaratti - commenta Giuseppe Mariani, collega di partito dell'assessore -ha commesso un errore non condividendo le scelte con la maggioranza. È sbagliato il metodo».

I predoni dell'Appia Antica. Catering tra le catacombe

Alberto Custodero – la Repubblica, 19 agosto 2007

Ruspe fuorilegge nel cuore del parco dell'Appia Antica, per trasformare l'ex villa di Silvana Mangano in un centro feste e convegni. Fra le catacombe di Domitilla e san Sebastiano, il mausoleo di Cecilia Metella e gli Aquedotti Romani della valle della Caffarella, è stato sequestrato dalla procura di Roma, nei giorni scorsi, un cantiere destinato a diventare, su un´area di 3500 metri, un parcheggio per 130 auto. Ma chi ha interesse di sfidare i severissimi vincoli ambientali dell'Ente voluto fortemente dal politico-archeologo-ambientalista Antonio Cederna, e rischiare una denuncia per trasformare un prato del parco che ci invidia il mondo (2400 anni di storia in 3500 ettari ai lati del basalto della Regina Viarum), in un parcheggio auto? Il proprietario della società che stava effettuando i lavori, la Veronica Immobiliare Srl, è Sergio Scarpellini (presidente dell'omonimo gruppo che controlla 34 società), titolare di numerosi immobili del centro di Roma affittati al parlamento. E progettista della Romanina, la nuova periferia di Roma che vuole edificare con «cantieri consensuali» in accordo con enti locali e cittadini. Ma perché un imprenditore della sua portata che ha la costruzione della Nuova Roma (come la chiama lui stesso), come sogno nel cassetto, non è riuscito a mettersi d'accordo con l'ente parco? Ma, anzi, ha devastato quel fazzoletto di verde tutelato dai vincoli archeologici e paesaggistici andando incontro al sequestro penale del cantiere? Le indagini dei guardiaparco dirette da Guido Cubeddu - e sotto la supervisione del presidente dell'Ente, professor Adriano La Regina - dopo aver bloccato ruspe, camion e aver apposto i sigilli giudiziari ai lavori, hanno scoperto che il parcheggio sarebbe dovuto servire per trasformare la villa che Scarpellini acquistò dall'attrice Silvana Mangano, in via Appia Antica 199, in un centro di ristorazione di lusso gestito con il sistema del catering. Ma come ha potuto la Veronica Immobiliare entrare nel parco con camion e scavatori convinti di farla franca e portare a termine i lavori? Gli investigatori hanno scoperto che la Srl era in possesso di un «apparentemente anomalo nulla osta» per trasformare «l'area agricola in un fondo stabilizzato». Successivi accertamenti, però, hanno consentito di scoprire che la Srl di Scarpellini aveva ottenuto varie autorizzazioni dal servizio Giardini e dall´Aga (la tutela dei vincoli paesaggistici), del Comune di Roma, dalla Soprintendenza archeologica e, sorpresa, anche dallo stesso Ente Parco. Ma in tutte quelle pratiche burocratiche, formalmente regolari, c´era qualcosa che non quadrava: non ce n´era una uguale all'altra. «Le planimetria - si legge nel verbale di sequestro - e la definizione dei lavori erano diverse a seconda degli enti presso cui erano depositate: al Municipio XI carte, all'Ente Parco altre». E poi timbri non originali e (in una planimetria depositata dalla Veronica al Parco), perfino il disegno di «un cancello di accesso da via Appia Antica 199 che non è mai esistito». La procura, per fare chiarezza su quel vespaio burocratico, sta ora «vagliando la posizione dell'ex direttore del parco» che ha rilasciato alla Srl il nulla osta».

L'Appia Antica, va detto, è da tempo al centro di polemiche per il fenomeno diffuso dell'abusivismo edilizio (le richieste di condoni presentate al comune di Roma sono più di 5 mila), per la presenza delle baracche di nomadi, per il degrado rappresentato dalla prostituzione in località Fioranello, e, infine, per la presenza di numerosi parcheggi abusivi in prossimità dell'aeroporto di Ciampino. Ora il parco sta lentamente perdendo la sua vocazione originaria - la conservazione dei beni archeologici - per diventare il più grande centro di ristorazione abusiva di Roma. Sono molte, infatti, le antiche e lussuose ville - molte delle quali abitate negli anni della Dolce Vita da Vip e attori - trasformate oggi in centri di convegni e feste organizzati da società di catering che offrono anche fuochi d'artificio non autorizzati. Per citarne alcune, villa Apolloni della Appia Antiqua Aedes, una società che ha come proprietaria, fra l'altro, una finanziaria portoghese. Villa san Sebastiano del principe del Gallo di Roccagiovine, villa Dino Editore, villa Dei Quintili e villa Fiorano. Molte di queste, per poter svolgere l'attività commerciale di catering, compiono lavori di ristrutturazione e di cambio di destinazione d'uso del tutto abusivi, salvo poi chiedere i condoni edilizi. È il caso, ad esempio, di villa Apolloni, i cui responsabili legali sono stati denunciati alla procura tempo fa per aver svolto una serie di lavori o abusivi, o difformi rispetto alle richieste di condono. «Proprio in quella villa - ha raccontato Guido Cubeddu - il 9 agosto ci sono stati fuochi artificiali senza permesso. Tutte le nostre squadre, però erano impegnate a spegnere un vasto incendio nel parco, e così non siamo riusciti a sanzionare i fuochi pirotecnici non autorizzati». Un'altra villa, la Sant'Urbano della famiglia Sbarra (attraverso la Erode Attico Spa), ha una storia tutta particolare. La procura di Roma l'aveva confiscata al proprietario, ingegner Danilo Sbarra, coinvolto in una vicenda giudiziaria. Alla sua morte, gli eredi hanno continuato a svolgere l'attività di catering fino a quando, qualche settimana fa, la Corte d'Appello ha annullato la confisca. La vicenda si concluderà in Cassazione alla quale ricorrerà la procura generale.

Il sospetto dei guardiaparco e del presidente dell'Ente, tuttavia, è che tutta questa attività di catering sia incompatibile, se non addirittura fuorilegge, un modo, cioè, per aggirare le normative sulla ristorazione che prevede il rilascio di licenze commerciali e autorizzazioni sanitarie. Documenti che è molto difficile, se non impossibile - in un parco archeologico nel quale non esiste la rete fognaria - ottenere. È per questo che Guido Cubeddu lancia un appello: «venga la guardia di finanza a fare accertamenti su queste ville, perché a mio giudizio dietro i paravento del catering stanno mascherando attività di ristorazione che andrebbero tassate e autorizzate con tutti i permessi previsti dalla legge».

"Bisogna reprimere o il Parco muore"

Intervista di Alberto Custodero ad Adriano La Regina – la Repubblica, 19 agosto 2007

«La situazione di deterioramento della via Appia Antica e del suo comprensorio è un problema gravissimo. Il Parco dal punto di vista sostanziale non esiste ancora: l'ente è ancora sulla carta. Nella realtà, ci sono un quartiere residenziale di lusso con attività anche incongrue. E una serie di monumenti storici». Il professor Adriano La Regina, presidente dell'Ente Parco, richiama l'attenzione della politica e degli enti pubblici affinché intervengano per garantire l'esistenza e la sopravvivenza del parco urbano fra i più grandi d´Europa.

Presidente, perché questo allarme?

«Il parco è ancora una prospettiva. Qualunque visitatore venga, non si rende conto di essere in un'area protetta, ma si trova nell'inferno del traffico della via Appia dove non è neanche possibile camminare. E poi c'è stato questo sviluppo selvaggio delle trasformazioni delle ville».

Cosa si dovrebbe fare per porre in qualche modo rimedio a fenomeni come quello del catering che rischiano di snaturare la vocazione del comprensorio archeologico?

«Se si parla di costituire un parco pubblico, tutti saltano addosso pensando che si vogliano fare espropri. Questo è falso, ma è doveroso costituire un forte nucleo di proprietà pubblica e condizionare i privati a finalità congrue con il parco. Per farlo, ci vogliono anche comportamenti repressivi nell'interesse pubblico».

Come fare a conciliare l'esistenza del parco e il rispetto della proprietà privata presente nella maggior parte del suo territorio?

«Se si vuole veramente costituire il parco bisogna dargli una dotazione finanziaria per poter almeno esercitare il diritto di prelazione quando qualche privato vende».

Oggi il Consiglio Comunale di Marino ha all´ordine del giorno due diverse proposte di lottizzazione nella zona di Santa Maria della Mole, zona che dovrebbe rientrare nell´ampliamento del Parco dell´Appia il cui disegno di legge da due anni è fermo alla Regione. Se le proposte verranno approvate, due nuovi centri commerciali sorgeranno in quello che avrebbe dovuto diventare il parco archeologico d´eccellenza lungo l´antica strada consolare. È solo l´ultimo episodio di uno stillicidio di lottizzazioni che sta snaturando il progetto avviato con la creazione del Parco dell´Appia e il suo presidente, Adriano La Regina, non nasconde la sua preoccupazione:

«Questo Parco sembra interessare molto poco: non esce dalla condizione di crisi in cui l´ho trovato. L´ho detto sin dal giorno dell´investitura: la condizione per la mia permanenza era che si desse luogo all´ampliamento del Parco, passando dagli attuali 3500 ettari a 5000 ettari. Sulla base della prospettiva di questi 1500 ettari in più si poteva pensare ad una valorizzazione del Parco: se invece resta così com´è non vale la pena di impegnarsi».

Ce l´ha col comune di Marino?

«Il comune di Marino sta procedendo tranquillamente come un carro armato, insofferente di ogni norma di attenzione, alla trasformazione di zone pregiate del territorio che dovrebbe entrare a far parte del parco. Ma è l´ultimo anello della catena. Questo succede perché la Regione Lazio tiene da due anni nel cassetto il disegno di legge sull´ampliamento del Parco. Continuando così, con questa lentezza, quando la legge andrà in discussione non servirà più. Questo letargo, a voler essere cattivi, potrebbe essere inteso quasi come voglia di lasciar correre».

Quale altro Comune è interessato all´ampliamento?

«Il Comune di Ciampino e quello di Roma. E anche il Comune di Roma ha responsabilità nello stato di degrado del Parco, nonostante i molti appelli che ho lanciato in passato».

Perché?

«Perché l´Appia Antica oggi è impraticabile a causa del traffico che è infernale, con un inquinamento altissimo, devastante sia per i beni archeologici che per la gente che li visita. Non è possibile nemmeno andare a fare una passeggiata da Porta San Sebastiano all´Appia, si rischia di essere investiti. E si tratta per il 90% di traffico di attraversamento. La soluzione ci sarebbe: non chiudere l´area alle macchine ma proibire solo il traffico di attraversamento».

In che modo?

«Oggi con le telecamere e con i mezzi che si hanno si può selezionare il traffico di attraversamento da quello locale, quello cioè di chi va in un ristorante, oppure a vedere un monumento. Basta controllare le targhe, in entrata e in uscita. Chi entra da Porta San Sebastiano ed esce a Ciampino, o viceversa, non è andato a far visita a un amico, ma ha solo scelto quella strada perché è più corta. È un intervento che il Comune di Roma dovrebbe studiare».

I Comuni, la Regione: sono loro i responsabili del mancato decollo del parco dell´Appia?

«No, ha le sue responsabilità anche il ministero per i Beni culturali, che ha la facoltà di imporre una tutela per i beni archeologici e ambientali, e, quanto a questi ultimi, ha le stesse responsabilità anche il ministero dell´ambiente. Bisognerebbe che ognuno facesse la sua parte, nelle diverse competenze, in sede comunale, regionale e statale. Ma l´importante è uscire da quest´inerzia, non ha senso lasciar rovinare così il progetto del parco».

Un gruppo di tecnici di una società telefonica che - «per allenarsi agli interventi ad alta quota», ci dice candidamente uno di loro mentre scende da una jeep col marchio della Wind - scalano, dotati di caschi e imbracature da montagna, una tomba romana a tumulo, il tutto mentre intorno è un via vai continuo di auto e di uomini che vendono o offrono il loro corpo ad altri maschi. E, qualche centinaio di metri più in la, operai di una ditta edile che fanno la fresatura della strada in vista della gettata di asfalto: ma sullo stesso tratto viario dove gli archeologi si apprestano a lavorare per riportare alla luce le pietre di basalto della Regina viarum. Sembra un film di Bunuel ma è tutto vero. Benvenuti nello stato di abbandono dell´Appia Antica.

Casca dalle nuvole Rita Paris quando l´avvertiamo dei freeclimber impegnati a scalare una delle circa cento tombe monumentali che la Soprintendenza archeologica di Roma ha catalogato e, fondi permettendo, s´appresta a restaurare. «È talmente assurdo che non ci credo» risponde l´archeologa al telefono. Poi, mandato qualcuno a controllare, richiama: «Nessuno ci ha chiesto nulla, anche perché non avremmo mai dato l´autorizzazione a un intervento deleterio per l´integrità del monumento. D´altro canto, siamo talmente pochi che qualcosa ci sfugge».

Ci sarebbero le guardie del Parco regionale dell´Appia, 40 uomini circa a controllare abusi edilizi e tutela del verde: troppo pochi anche loro, vista l´importanza e la vastità del sito. «Così non si può andare avanti» sbotta l´archeologo responsabile dell´Appia. «Lunedì siamo andati a fare un sopralluogo con l´architetto Massimo De Vico - rivela Rita Paris - perché dal primo settembre dobbiamo far partire il restauro dei 650 metri che vanno dall´incrocio di via degli Armentieri verso Sud. Ebbene, abbiamo trovato un cantiere della "Società strade sicure" che, per conto del dodicesimo dipartimento del Comune, ha fatto la fresatura del vecchio asfalto ed è pronta a realizzarne uno nuovo. Anche qui, nessuno ci ha chiesto il permesso».

La Soprintendenza - che ha un budget annuale di un milione per la manutenzione ordinaria di monumenti quali villa dei Quintili e Cecilia Metella - risparmia circa 300mila euro l´anno per interventi speciali. Come il tratto dell´Appia, "asfaltato". «La filosofia è quella dei chilometri già restaurati coi fondi del Giubileo: riportare alla luce il basalto e, dove manca, fare un manto di sampietrini, intervento corretto filologicamente poiché si tratta dello stesso materiale». E i blocchi di peperino e i rocchi di colonna a terra del cosiddetto tempio Ercole? Luogo sacro o stazione di posta andranno a trovare Antonella Rotondi e Giorgio Gatta? «Lo capiremo con lo scavo, dal quale ci aspettiamo notevoli risultati. Dai resti - rivela la Paris - si capisce che è un altro edificio importante della Regina viarum».

Cecilia Metella, guerra intorno a un vincolo archeologico. L'offensiva contro il «vincolo » di tutela posto intorno all'area di Cecilia Metella ha ricevuto un primo contraccolpo ieri nel Comitato di settore dei Beni archeologici del ministero. Il ricorso amministrativo intentato dalla famiglia Greco, Roberto e Gabriella, titolari di una grande proprietà interna all'area posto sotto vincolo, è stato respinto. L'organo consultivo del ministero ha inviato infatti parere negativo alla direttrice generale dell'archeologia, Anna Maria Reggiani. Sullo sfondo si profila un nuovo pericolo, il ricorso che gli stessi Greco stanno promuovendo al Tar.

Sembra incredibile, ma è così: il vincolo su una delle aree più prestigiose dell'Appia Antica, il suo cuore costituito da una quindicina di ettari intorno al famoso mausoleo di Cecilia Metella, non esisteva fino a poco tempo fa. A chiedere di vincolare la prestigiosa area è stata la sovrintendenza archeologica e in particolare la struttura che si occupa del patrimonio dell'Appia, diretta da Rita Paris. E così nel dicembre scorso il direttore regionale dei Beni culturali, Luciano Marchetti, ha finalmente firmato un decreto di vincolo. Il vincolo però è stato subito impugnato dalla proprietà coinvolta, quella dei Greco. «Sotto vincolo - spiega Rita Paris - è l'area che corrisponde al Triopio di Erode Attico, una vasta proprietà che inglobava la Caffarella e i cui limiti a sud ci sono stati confermati dai recenti ritrovamenti a Capo di Bove. La linea è di completare la copertura dell'intero parco dell'Appia col vincolo archeologico».».

A essere tutelato è il quadrilatero che ha come confini il Circo di Massenzio, l'Appia Antica, l'Appia Pignatelli e via di Cecilia Metella. Insomma 15 ettari di altissimo valore archeologico che contengono la parte più spettacolare di Cecilia Metella, le mura del Castrum Caetani, un acquedotto sotterraneo e varie altre meraviglie. L'offensiva anti- vincolo non risparmia però colpi: il primo è stato il ricorso amministrativo bocciato ora dal comitato di settore in cui siedono autorità accademiche come l'archeologo Claudio Sassatelli o il professor Mario Torelli. La battaglia si sposta al Tar.

In occasione della presentazione del volume “Un italiano scomodo. Attualità e necessità di Antonio Cederna”, a cura di Maria Pia Guermandi e Valeria Cicala, 2007 Bononia University Press, si è svolto a Roma, nella sede del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme, il 6 giugno 2007, un convegno dal titolo: “Politiche culturali e tutela: dieci anni dopo Antonio Cederna”. Dell'iniziativa che è stata occasione di ricordo di Antonio Cederna, ma anche di discussione sugli attuali problemi della difesa del patrimonio culturale e paesaggistico e sulla situazione dell'urbanistica italiana ed in particolare romana, pubblicheremo in eddyburg alcuni interventi a partire da quello di Rita Paris dedicato all'Appia Antica, per la cui tutela Cederna si battè per più di quarant'anni. (m.p.g.)

Dell’Appia mi occupo dall’inizio del 1996; pochissime sono state le occasioni di incontri ufficiali in cui era presente anche Antonio Cederna, presidente dell’Azienda Consortile del Parco dell’Appia, ancora non operativa all’epoca.

Grata per la fiducia che Adriano La Regina aveva voluto riporre in me e che Angelo Bottini ha confermato, mi sono resa conto ben presto che l’insieme delle leggi a tutela dell’Appia non era tuttavia sufficiente a garantirne la salvaguardia; sebbene negli uffici della Soprintendenza Archeologica di Roma pervenissero da sempre numerosissime richieste di pareri per ogni tipo di intervento da realizzare e nonostante sembrasse universalmente acclarato che l’Appia riveste elevatissimo interesse archeologico e monumentale.

Nel 1998 siamo riusciti a far approvare il decreto ai sensi della legge 431/85 (legge Galasso) art. 1, lettera m) sulle zone di interesse archeologico che si sovrapponeva alla precedente L. 1497/39 e a estesi settori di vincolo archeologico per buona parte del territorio (ma non la totalità) che riperimetrava tutto il comprensorio dell’Appia (dall’Ardeatina all’Appia Nuova), con aggiunta di aree di grande pregio come la tenuta di Tor Marancia, che Cederna aveva individuato tra le priorità per la salvaguardia di tutto il sistema. Nell’impegno per Tor Marancia ho avuto la fortuna e l’onore di lavorare a strettissimo contatto con Italo Insolera, Vezio De Lucia e Carlo Blasi, illuminanti per questo e altre problematiche a seguire, sempre ancora oggi, insieme a Vittoria Calzolari, punti di riferimento insostituibili.

Mi sentivo più tranquilla con la copertura della L.431/85, lettera m) ma mi sbagliavo, perché, a parte la procedura indicata nell’art.13 della Legge Regionale 24/98 sulla tutela e pianificazione paesaggistica in merito alla necessità anche dei pareri della Soprintendenza Archeologica, la tendenza era ed è, anche in ambito ministeriale, di non riconoscere alla Soprintendenza Archeologica che ha proposto il provvedimento di vincolo non solo la titolarità del procedimento ma alcuna competenza, trattandosi di un vincolo paesaggistico.

Anche l’avvio dell’operatività dell’Ente Parco - nel frattempo la legge istitutiva aveva lasciato il posto alla legge sulle aree naturali protette, con modifiche nello statuto e nella composizione della CdA dell’Ente da cui era scomparsa ogni rappresentanza del Ministero, con cui ho sperato di poter condividere, pur nelle distinte competenze, il peso di un impegno così oneroso - incominciò a creare qualche problema di conflittualità per il ruolo preminente e totalizzante che si voleva riconoscere all’Ente. All’Ente spettano compiti di pianificazione, gestione, tutela, promozione e altro su un territorio il cui preminente valore è archeologico storico monumentale paesaggistico, senza alcuna partecipazione delle Soprintendenze.

Quindi ho dovuto combattere non poco con tutti gli uffici dell’amministrazione comunale per poter continuare, almeno come prima, a svolgere i controlli e esprimere i pareri per ogni intervento. D’altro canto cosa non riveste interesse archeologico in un tale contesto?

Mentre faticosamente si cercava di andare avanti nella tutela quotidiana, con le pochissime ma affiatate persone che compongono il poco attrezzato ufficietto dell’Appia in Soprintendenza, le uniche con me a conoscere effettivamente lo stato delle cose, si è tentato di far passare qualche altro vincolo specifico (con scarsissimi risultati), si è arricchito il patrimonio con scavi, restauri, si sono aperte al pubblico la Villa dei Quintili, il complesso di Cecilia Metella con il Palazzo Caetani, si è ridata dignità alla strada e ai monumenti che la fiancheggiano, si è acquisita qualche proprietà tra polemiche inimmaginabili come quella suscitata per la prelazione di Capo di Bove, rivelatasi area archeologica di primario interesse, dove verrà a brevissimo ospitato l’archivio che la Famiglia Cederna ha voluto donare allo Stato, secondo un piano di ricerca e di studi che sarà ampiamente condiviso.

Ecco, contemporaneamente, manifestarsi travolgente il fenomeno dei condoni edilizi che dalla fine degli anni ‘90 a migliaia si stavano rilasciando per questo territorio, come per altri di pregio della città, senza la minima considerazione dell’esistenza di vincoli.

Riunioni da far venire il mal di fegato dove tra violente manifestazioni di arroganza e incompetenza dovevo cercare di dimostrare che, nell’insieme delle leggi esistenti, il nostro parere era necessario e che si stava trattando dell’Appia per la cui difesa Cederna aveva speso una vita. In questi contesti non ho mai trovato una sola persona a cui stesse a cuore il destino di questo territorio. A nulla sono valsi i tentativi di trovare un sostegno presso il Ministero a vari livelli, le denunce alla Procura e presso gli organi della stampa che sono parsi in questi anni i più interessati al problema e non solo per uno scoop giornalistico.

E’ per questo che chiederei di selezionare attentamente le figure che possano parlare o scrivere o promuovere iniziative per Antonio Cederna, il cui nome, a mio avviso, è stato usato da molti senza consapevolezza e dunque indegnamente.

Potrei parlare ore, far vedere immagini, citare esempi eclatanti. Non riuscirei comunque a rendere l’idea del reale stato delle cose, dell’intrigo dei problemi di competenze, di interessi privati.

Di fatto il piano regolatore dell’Appia è stato l’abusivismo o come si dice lo sviluppo edilizio spontaneo che ha portato a stralciare la zona di Cava Pace dai perimetri del Parco e presto porterà, secondo anche le previsioni di alcuni punti del Piano di Assetto del Parco, a riconoscere di fatto le trasformazioni per gli abusi, distinguendo le zone con una gerarchia che non doveva esistere, perché già 50 anni fa se ne era riconosciuta la continuità e l’omogeneità e quindi prescritta l’integrità della conservazione.

I diritti dei privati sono sempre sostenuti da licenze per commercio o attività del tutto improprie rilasciate da uffici della stessa amministrazione che dovrebbe conoscere le limitazioni imposte dalle proprie leggi. Ci ritroviamo così di fronte, quando va bene, a vivai spontanei cresciuti a dismisura che si attrezzano ovviamente con uffici e ristoranti, a impianti sportivi completamente abusivi con campi, club house, ristoranti, piscine, sempre molto ambite dai poveri sfortunati che non sono riusciti a farle passare nei condoni precedenti e che si presentano travestite da riserve idriche o cose del genere, con tanto di pressioni di personaggi politici. Ma non mancano i rimessaggi di grossi veicoli, di roulottes, di materiale per edilizia, i capannoni industriali e la recente intensa attività edilizia, con una variegata gamma di tipologie, che ha completamente occupato le aree preziose della campagna romana, con continue esigenze di crescita, raramente mascherate da attività agricola. I casali più belli ospitano cerimonie e feste, gareggiando con fuochi d’artificio dove dovrebbe dominare il silenzio, allontanando sempre più la presenza dell’intermittenza luminosa delle lucciole.

E non parliamo degli intoccabili a cui è stato consentito di acquistare importanti proprietà con monumenti universalmente noti e che non hanno voluto o saputo avere il rispetto per il luogo scelto esagerando nelle trasformazioni e negli usi.

Da anni vado ripetendo che almeno dall’approvazione del PRG nel 1965 il decreto introdotto direttamente dal Ministro Mancini a tutela di tutto il comprensorio dell’Appia per i suoi straordinari valori archeologici, storici, paesaggistici, ne aveva prescritto la assoluta inedificabilità e la destinazione a parco pubblico ma tutti sembrano ignorare questo atto fondamentale che solo sarebbe bastato a salvare almeno l’integrità delle aree se non ad acquisirle tutte al pubblico.

La lettura e la periodica rilettura di tutti gli articoli di Cederna sull’argomento fa sembrare tutto più incredibile: ciò che lui ha denunciato dal 1953 e che appariva intollerabile già allora è stato superato da migliaia di altre illegalità portate avanti con arroganza e tenacemente difese da grandi studi legali, spesso sostenute dai pareri dei tribunali, a danno del patrimonio e dell’interesse pubblico.

Rispetto a quel decreto e all’illuminato appello rivolto al Governo nel 1954 da parte di importanti personaggi del mondo politico e culturale (pubblicato da Cederna su il Mondo) che mette in relazione i ruderi, i monumenti, le statue con la campagna romana come un tutto inscindibile e come “monumento da conservare religiosamente intatto, quale patrimonio comune dell’umanità”, si assiste oggi a un vergognoso arretramento nel senso della tutela in particolare archeologica che si vuole circoscrivere sempre più alla testimonianza emergente, neutralizzando ogni tentativo di una visione più ampia.

Spesso credo che dovrei lasciare questo incarico esprimendo pubblicamente l’impossibilità e l’inutilità di andare avanti, se non accade qualcosa, in quanto tutto sembra finire nelle stanze del mio ufficio…., per lo più dovendosi difendere anche da quelle persone o istituzioni dalle quali ci si aspetterebbe aiuto, condivisione, forza.

E questo mentre al di fuori si crede che l’Appia sia un Parco, mentre una cartellonistica ne segna il perimetro, mentre i turisti disorientati si domandano dove sia questo Parco, come può essere visitato, al di là di quel poco di pubblico che esiste (Caffarella, Massenzio, Quintili, la strada stessa).

Non è frequente l’occasione di un incontro così in cui con tante persone amiche e competenti si è nella felice circostanza della presentazione di un volume come questo: oltre al merito degli elevati contenuti sembra sia arrivato, come per magia, un nuovo impulso ai temi trattati e si è accesa, almeno in me, una speranza nuova. Desidero ringraziare per questo splendido dono tutti quelli che vi hanno contribuito e in prima linea le curatrici del volume.

Tra lucciole e auto pirata l'assedio dell'Appia Antica

Corriere della Sera, ed. Roma, 26 aprile 2007

Appia Antica, all'angolo con via degli Armentieri. Giorni scorsi, un'archeologa e una prostituta. «Mi scusi, potrebbe scansarsi?». «Ahò, ma io sto' a lavorà...». «Anch'io...». «E che dovresti fa'?». «Devo guardare l'epigrafe su cui è seduta». «L'epì...che?» Disastri dell'Appia Antica. Auto che vanno su e giù indisturbate rallentando tutt'al più un po' all'altezza dei tratti in basolato. Prostituzione femminile e soprattutto maschile, all'altezza di via di Fioranello dove le auto comodamente parcheggiate sulla strada consolare appartengono indistintamente ai frequentatori gay e agli utilizzatori del vicino aeroporto di Ciampino.

E soprattutto, proprio all'altezza degli Armentieri, ecco il gran ritorno a ridosso della strada di capannoni industriali e commerciali, vendite al minuto e all'ingrosso, rimessaggi estesissimi di roulotte, caravan e perfino gommoni. Capannoni e rimessaggi interamente abusivi. «Certo, noi non abbiamo dato mai nessun assenso - spiega Livia Giammichele della Sovrintendenza archeologica di Roma, reduce da un sopralluogo - . E in passato a più riprese abbiamo segnalato agli organi dello stato questo scempio che deve essere arrestato».

Siamo nel tratto dell'Appia Antica che dal Raccordo Anulare va a sud in direzione di via di Fioranello, la strada che l'attraversa sbucando di fronte ai parcheggi dell'aeroporto di Ciampino. Una gara di appalto è stata appena conclusa e sono stati assegnati i prossimi lavori di risistemazione della grande strada consolare, grazie allo stanziamento di un milione di euro. C'è da rimettere a posto un chilometro circa dell'Appia. L'intervento segue la risistemazione dei tratti a monte dell'Appia Antica che hanno raggiunto e superato il punto in cui grazie al nuovo tunnel del Raccordo Anulare è stato ricongiunto il percorso interrotto negli anni '60 dalla costruzione del Gra.

Un primo tratto, da via di Porta San Sebastiano fino al Gra, è stato restaurato grazie ai fondi del Giubileo. Successivamente il restauro è sta protratto dal Gra a via degli Armentieri. Ora si vorrebbe andare avanti. Ma in quale scenario?

Basta guardare via degli Armentieri, prima traversa a destra sull'Appia Nuova uscendo da Roma dopo il Raccordo, per rendersi conto del nuovo assalto all'Appia in pieno corso. Un'officina meccanica sulla destra, una rivendita di attrezzi da giardino sulla sinistra, il tutto con grandi capannoni e spazi usati per macchine ed attrezzi. Poi ecco il rimessaggio con uno spazio per centinaia di metri ingombro di caravan e mezzi nautici. È un assedio che lascia fuori per fortuna ancora spazi verdi di campagna romana, la povera Appia vivacchia ai limiti subendo la presenza di chi la usano per i propri comodi, scorrazzando con auto e moto di notte e anche di giorno. «È uno scandalo che sembra non interessare a nessuno - spiega Rita Paris, l'archeologa della Sovrintendenza responsabile della zona - . Ma le autorità e gli enti che hanno il potere di decidere sul destino dell'Appia conoscono questa realtà? Mi pare di no, perché la situazione è talmente vergognosa e indecorosa...Senza rendersene conto, però, c'è chi gioca al massacro continuando a dare concessioni che non dovrebbero essere date, ma che procurano insediamenti di attività e innescano nuovo degrado. Qualcuno si riconosce come responsabile di tutto ciò?». Messaggio inviato al Comune di Roma e alla Regione Lazio: si devono svegliare perché quella che potrebbe essere una delle porte del Parco dell'Appia giace in uno stato miserevole.

La Regina: «Colle della Strega, stop al cemento»

Corriere della Sera, ed. Roma, 27 aprile 2007

Appia Antica, si apre una nuova stagione. Insediato finalmente ieri mattina, dopo venti lunghi mesi di parentesi commissariale, il nuovo consiglio di amministrazione del Parco dell'Appia con in testa il suo presidente, il professor Adriano La Regina. Ne fanno parte Toni De Amicis, vicepresidente (rappresentante della Coldiretti), Ivana Della Portella (Zetema), Oreste Rutigliano (Italia Nostra), Romolo Guasco (Provincia), Alessio Amodio (Comune), Sandro Lorenzatti (Regione).

E subito, dopo mesi e mesi di ristagno, costellati da assalti e incursioni, ecco arrivare al pettine i primi nodi. Il primo si chiama Colle della Strega, appartiene al territorio adiacente all'attuale territorio del Parco. La proposta di ampliamento giacente alla Regione dovrebbe tutelare anche questi terreni. Ma lì invece sta per scattare una colata di cemento osteggiata da parte della giunta (con gli assessori Zaratti e Nieri in testa), uno sciopero della fame è in corso davanti alla Regione da parte dei residenti della zona che si battono contro questo nuovo insediamento, a suo tempo osteggiato dallo stesso La Regina quando era ancora sovrintendente archeologico di Roma. E ora?

«Questa colata di cemento al Colle della Strega - dice subito fuori dai diplomatismi Adriano La Regina prendendo la parola come primo atto del suo insediamento - è assolutamente da evitare e questa rimane per me una condizione determinante per restare a presiedere l'ente». Stop. Forse, anche prevedendo queste parole che aggiungono «grana» a grana tra le tante che dirompono dentro la maggioranza alla Pisana, il presidente della Regione Piero Marrazzo ha dato ieri forfait e non ha presenziato così come annunciato e previsto all'insediamento dell'uomo che pure ha scelto. Doveva esserci, un improvviso impegno l'ha dirottato altrove. Al suo posto è rimasto ieri Filiberto Zaratti, verde e assessore all'ambiente, che ha affrontato il tema delle «criticità» che angustiano il Parco. «C'è intorno all'Appia un'eccessiva presenza di capannoni abusivi - ha ricordato Zaratti - . È una vergogna non solo per Roma ma per tutto il Paese». «Quando gli stranieri si chiedono cosa sia un Parco - aggiunbge la regina - non possono certo ritrovarsi in questa situazione dove trionfa il traffico». Zaratti ha anche ricordato che il consiglio regionale deve affrontare la proposta di legge adottata dalla Giunta per il raddoppio del Parco dell'Appia, con l'estensione alle aree in cui dovrebbero sorgere insediamenti abitativi come quello del Colle della Strega o l'altro del Divino Amore dove il comune di Marino vorrebbe costruire 800 mila metri cubi di immobili.

E proprio questi due insediamenti sono stati messi all'ordine del giorno, come prioritari, della prima riunione del Cda del Parco dell'Appia. «Abbiamo deciso di acquisire tutte le carte in materia - spiega De Amicis - . E inoltre abbiamo subito sollecitato una consilenza legale che contiamo di avere per la riunione della prossima settimana».

Lancia in resta, dunque, sul fronte dei problemi che angustiano il grande Parco dell'Appia. Ieri, nel corso dell'insediamento, è stato affrontato anche il problema degli abusi che incombono su varie aree adiacenti all'Appia Antica. Sul problema, l'assessore Zaratti ha proposto «un incontro urgente tra Parco, Regione e Comune per vedere nel concreto che cosa fare». L'assessore all'ambiente del Comune, Luigi Esposito, intervenuto subito dopo ha offerto la propria disponibilità. «Vedremo di che si tratta - ha detto - . Gli insediamenti abusivi vanno aboliti. Bisogna anche appurare se ci siano incongruenze tra i rilasci delle licenze e le zone protette. Per le delocalizzazioni bisogna poi seguire le procedure». Il problema, comunque, è rinviato a un'apposita riunione.

Vandali devastano il mosaico di Montanus

Corriere della Sera, ed. Roma, 28 aprile 2007

Il mosaico del gladiatore Montanus, scoperto pochi giorni fa dagli archeologi nel complesso di Santa Maria Nova sull'Appia antica, notizia che al ritrovamento avevamo subito segnalato per la sua importanza scientifica, è stato devastato la scorsa notte nel corso di un'irruzione vandalica. Nel piccolo complesso termale è stato dissestato anche un pavimento in peperino di un ambiente adiacente al «calidarium» ed è stato scavato un grosso buco sotto un'ipocausto del forno usato per riscaldare l'acqua della struttura termale. Abbattuto infine un muretto a secco residuo degli scavi ottocenteschi nella villa.

Il ministero dei Beni culturali ha espresso «indignazione per l'atto vandalico e viva preoccupazione per l'ipotesi che si tratti di un gesto mirato, come lascerebbero intendere - dice il comunicato del Mibac - la scarsa notorietà dello scavo e la lontananza dalla viabilità di maggior traffico». «Non più tardi di ieri del resto - aggiunge il Mibac - da parte della Soprintendenza erano stati lamentati sulla stampa il degrado e l'indecorosa situazione della zona circostante il Parco dell'Appia Antica».

Più fattivo l'intervento a caldo del Parco dell'Appia che ieri, appresa la brutta novità, ha proposto attraverso il professor Adriano La Regina, suo nuovo presidente appena insediato, un piano di telecamere sull'Appia Antica. «Proporremo al Comune la installazione di telecamere ai principali varchi della strada - spiega La Regina - . Se non altro sapremo chi entra ed esce. Varrà almeno come deterrenza...». L'assessore ai Lavori pubblici Giancarlo D'Alessandro, appresa la proposta, ha sposato l'idea: «Buona proposta, appena ce la formuleranno, la valuteremo molto volentieri».

Ad accorgersi dell'irruzione notturna sono stati ieri mattina gli operai della Socore, la ditta impegnata nei lavori di scavo e di restauro dentro Santa Maria Nova. «Appena arrivati abbiamo visto che i teloni posti sui mosaico erano stati manomessi - spiegano gli operai - . E sotto c'era quel disastro...». Sul posto sono accorsi di lì a poco gli archeologi della sovrintendenza, guidati da Rita Paris. Poi sono arrivati i carabinieri della stazione locale, Quarto Miglio, col comandante Vincenzo Senatore. Un giovane pastore che dorme in una roulotte nelle vicinanze ha avvertito latrati dei cani intorno all'una di notte. Forse l'irruzione è avvenuta allora.

Cosa cercare in un'impianto termale? Era forse un sopralluogo per un intervento futuro? Oppure è stata una pura e semplice intimidazione, portata a termine con facilità in un complesso dove non è difficile superare le barriere esterne? Viva è la preoccupazione degli archeologi per la limitrofa Villa dei Quintili, sorvegliata dai vigilantes dell'Ales, con cui è in corso una rinegoziazione dell'impegno che ora forse verrà esteso anche a Santa Maria Nova. Ma è tutta l'Appia a restare bersaglio di predoni e vandali. Nel piccolo museo dei Quintili c'è da poco la statua di un «togato» che fino allo scorso novembre era sull'Appia, in un mausoleo all'altezza del Gra. Ma un giorno alcuni podisti che facevano jogging chiamarono trafelati alla Villa: qualcuno stava cercando di asportarla. Il togato è stato salvato grazie solo a quella telefonata.

Non pensavo proprio, il 23 febbraio scorso, che l’invito a scrivere per eddyburg un aggiornamento sull’esproprio della Caffarella, a me rivolto da Maria Pia Guermandi incontrata all’inaugurazione dell’emozionante mostra di Palazzo Massimo “I segni del potere”, si dovesse tradurre in un tristissimo necrologio. Tanto più che in quell’occasione avevamo in tanti potuto congratularci con Adriano La Regina per la notizia della sua nomina a presidente del Parco dell’Appia Antica, attesa assurdamente da tanto, troppo tempo.

È morto prematuramente questa notte Mario Leigheb, fondatore e principale animatore, appassionato, intelligente, infaticabile, del Comitato per il Parco della Caffarella, che costituì nel 1984 insieme ad un gruppo di giovani di allora “con l’obiettivo dell’esproprio dell’area per la realizzazione del parco pubblico all’interno del più vasto progetto del parco dell’Appia Antica”. A lui soprattutto si deve, e dovrebbe essere dedicata, la recentissima vittoria conseguita, sul filo di lana, per segnare un’importante tappa nel perseguimento di questo strategico obiettivo.

Il 21 febbraio, infatti, si era tenuta al Teatro Orione una tavola rotonda annunciata con un manifesto eloquente: sotto il titolo “quale futuro per il Parco della Caffarella” c’era una bella foto del cosiddetto bosco sacro di Egeria sul quale campeggiavano quattro grandi e inquietanti punti interrogativi.

L’allarme consisteva nel fatto che l’esproprio, avviato sulla base di una delibera del 1996 e siglato il 3 marzo del 2005 dal sindaco Veltroni (40 ettari di terreno ed alcuni edifici, tra cui il casale rinascimentale della Vaccareccia, perno della storica tenuta dei Caffarelli, poi passata ai Pallavici, quindi ai Torlonia e, in gran parte, ai Gerini) potesse dissolversi con la retrocessione ai privati per mancata presa di possesso da parte del Comune entro due anni, quindi il 3 marzo prossimo. I relativi atti formali risultavano infatti programmati secondo un calendario che scavalcava tale data, suscitando la fortissima preoccupazione che si offrisse così un favorevole fianco a quella solita mole di ricorsi capaci di affossare l’esproprio per vizio procedurale. Ciò era già avvenuto con la prima delibera di esproprio della Caffarella, approvata addirittura nel 1972, dopo la quale si era dovuto attendere il Giubileo del 2000 per ottenere una prima realizzazione di 77 ettari di parco.

Personalmente tale delibera me l’ero trovata sui tavoli del Consiglio della IX Circoscrizione, di cui allora facevo parte, e le speranze erano state davvero tante, così come man mano, in seguito, le delusioni. Nel 1976 si apriva il periodo delle giunte di sinistra e Vittoria Calzolari coordinava la prima proposta organica per il Parco dell’Appia. Poi quelle giunte si esaurivano, cadevano nel 1985 per lasciare il passo ai sindaci Signorello, Giubilo, Carraro, quindi a Rutelli e Veltroni. Intanto era nato il comitato di cui Mario è stato la vera anima e che perciò ha attraversato le più varie stagioni politiche amministrative costituendo un pungolo continuo per amministratori di ogni parte politica. Questo sempre con coerenza di obiettivi e con uno spiccato senso di autonomia, capace di parlare a testa alta di fronte a chiunque, anche per il supporto di un’ampia partecipazione popolare e il coinvolgimento di alte personalità della cultura in una miriade di iniziative: dalle denunce di abusi e inadempienze, alla sollecitazione di interventi, all’elaborazione di proposte, al costante impegno nell’offrire a tutti i cittadini romani efficaci stimoli culturali attraverso sistematiche visite guidate al patrimonio archeologico e naturalistico della Caffarella e di tutto ciò ad essa connesso, come le Mura Aureliane, le Tombe Latine, gli Acquedotti. Inoltre: produzione di pubblicazioni e il costante aggiornamento di un sito web sul quale si può trovare proprio tutto in merito alla Caffarella, compreso un parco virtuale letterario.

Il giorno della suddetta tavola rotonda è stato attraversato dalla commozione, perché non c’era persona che non avesse conosciuto Mario, del cui male incurabile si sapeva anche se si sperava ancora: dai professori Vittoria Calzolari e Carlo Blasi, a Rita Paris della Soprintendenza Archeologia, ai presidenti del IX, X e XI Municipio, a tutti gli altri.

Ho avuto il compito di coordinarla e voglio segnalare che nell’introduzione, oltre ad indicare sommariamente i “capitoli” principali di quel grande libro che si aprì per il Parco dell’Appia Antica nel 1965 col decreto di approvazione del Piano regolatore di Roma ad opera dell’allora ministro socialista Giacomo Mancini e sulla spinta di personalità come, tra gli altri, Antonio Cederna, ho voluto fare un accenno alla recentissima proposta di legge presentata in Parlamento e perorata in eddyburg sui “princìpi fondamentali” in materia urbanistica, in particolare per quanto riguarda i vincoli e gli espropri.

Durante la tavola rotonda l’assessore comunale all’Ambiente, Dario Esposito, ha dato lettura di una lettera con cui il sindaco Veltroni decideva di attuare la presa di possesso degli immobili della Caffarella entro il 28 febbraio, aprendo così un nuovo capitolo: quello dei restauri e della gestione di tutti i beni. L’assessore regionale al Bilancio Luigi Nieri, intervenuto quasi a fine serata, ha espresso a sua volta un particolare impegno, anche per impedire che, dopo la definitiva acquisizione, si crei una specie di terra di nessuno che riproponga pericoli vari.

Erano corse voci che fino all’ultimo momento ci fosse chi, in Giunta, non condividesse l’esproprio e propendesse invece per accordi con la Fondazione Gerini, attribuendo ad essa perfino la programmazione degli interventi e la gestione degli immobili.

Almeno per ora il pericolo sembra sventato e oggi, 27 febbraio, giunge notizia che è stata finalmente attuata la presa di possesso del casale della Vaccareccia. È molto triste, ma emblematico che ciò sia avvenuto il giorno stesso della morte di Mario Leigheb, che si è battuto per più di venti anni per ottenere questo risultato. Ma possibile che i tempi per realizzare obiettivi di tale genere siano così lunghi e irti di difficoltà, mentre tante “operazioni immobiliari”, spesso nefaste, hanno la velocità della luce?

La riproduzione dell'acquerello di Ettore Roesler Franz è tratta dal sito http://www.ettoreroeslerfranz.com/ViaAppia/ViaAppiaHomePage.htm

Enti Parco, una schiarita e un temporale in arrivo. La schiarita è arrivata ieri mattina dalla giunta regionale che finalmente ha dato il via libera alle nomine dei presidenti degli 11 Enti Parco della Regione, in attesa da 19 mesi dei nuovi vertici. Con le «terne» scatta il conto alla rovescia per le nopmine che il presidente Marrazzo farà entro una decina di giorni. Per Adriano La Regina candidato al Parco dell'Appia, nonostante le contestazioni, è semaforo verde. Filiberto Zaratti, assessore all'ambiente propositore delle «terne», dice: «Finalmente finirà il commissariamento dei parchi regionali».

Ma intanto scoppia il temporale. Con un colpo a sorpresa infatti la Commissione Bilancio ha approvato una nuova norma che riduce i Parchi ad agenzie, azzerandone i consigli di amministrazione e passandone tutti i poteri ai direttori generali. La norma, adottata per stringere la cinghia e moralizzare gli Enti, si sta rivelando piuttosto spinosa. Perplesso l'ufficio legislativo della Regione, sul piede di battaglia le associazioni ambientaliste. Spiega Mirella Belvisi di Italia Nostra: «Ma come fanno? I parchi dipendono da una legge nazionale, che tra l'altro prevede espressamente gli enti locali...Come può una norma regionale modificare questo quadro?». Sul problema Zaratti annuncia: «Dovrà comunque passare dal consiglio regionale. Vedremo. Se necessario presenterò una proposta di legge per garantire elle comunità locali e associazionismo...».

Intanto le terne: per approvarle, superando i contrasti interni alla mnaggioranza (la Margherita contro il nome di La Regina) è stato adottato il sistema di votare per ogni parco con una singola delibera. In questo modo al momento di decidere sull'Appia (la terna prevede i nomi di Adriano La Regina, Marco Agliata e Franco Daniel) i tre assessori della Margherita e quello Udeur si sono «assentati». L'importante è che tra una decina di giorni, feste permettendo, il presidente Marrazzo potrà annunciare gli undici nuovi presidenti scelti nelle terne. Prima però le terne passeranno dalla Commissione ambiente e registreranno i pareri consultivi dei sindaci.

Nel dettaglio a parte i tre nomi per l'Appia le terne prevedono Paolo Henrici De Angelis, Giulia Collosi, Andrea Ferraretto (Tevere-Farfa), Enrico Memeo, Domenico Pelliccia, Roberta Mangiavacchi (Monti Simbruini), Gianluigi Peduto, Ascenzo Lavagnini, Luca Maria Falconi (Castelli Romani), Francesco Petretti, Ciro Pignatelli, Luigi Iovino (Roma Natura), Leandro Liotti, Aldo Dominaci, Massimo Fieramonti Monti Nevagna e Cervia), Paolo Piacentini, Luigi Bombelli, Luigi Rossi (Lucretili), Marco Di Fonzo, Fernando Petrinelli, Chiara Corradi ( Veio), Giovanni Ialongo, Daria Dell'Acqua, Paolo Giardino (Monti Aurunci), Cesare Bassanelli, Umberto Pessolano, Elena De Luca (Bracciano- Martignano), Erminia Cicione, Maria Terenzi, Antonella Cantaro (Riviera di Ulisse).

"Parco Appia, proporrò La Regina"

Cecilia Gentile, - la Repubblica, ed. Roma, 14 dicembre 2006

Parco dell´Appia Antica, è il giorno della resa dei conti. Oggi verranno allo scoperto i veti e le resistenze alla nomina di Adriano La Regina a presidente. Succederà perché stamattina l´assessore regionale all´Ambiente Filiberto Zaratti, su richiesta del governatore Piero Marrazzo, si confronterà con tutti i capigruppo. «Ma a prescindere dall´esito dell´incontro - mette subito in chiaro Zaratti - io la delibera la porterò domani (oggi, ndr) in giunta per la votazione. Poi ognuno dovrà prendersi le proprie responsabilità».

Ormai non è più un segreto che la Margherita non vuole l´ex soprintendente archeologico di Roma alla guida del parco regionale. Un veto che, con un fastidioso effetto a catena, blocca anche le nomine per gli altri parchi regionali.

«Sulle aree protette - protesta Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio - la Regione sta facendo da troppo tempo balletti inaccettabili agli occhi dei cittadini che vivono, lavorano, visitano gli oltre 211.800 ettari di riserve del territorio regionale. Quello che doveva essere un breve commissariamento ha consegnato i parchi ad oltre quattrocentottanta giorni di solitudine. Dopo anni in cui - continua Parlati - per i parchi la minaccia è stata quella dei tagli dei perimetri tentata dalla giunta Storace, l´indecisionismo di Marrazzo e della sua giunta stanno portando seri rischi di nuovi scempi a quei territori».

Già da ieri pomeriggio Zaratti ha fatto un giro di telefonate tra i capigruppo, senza riuscire a schiodare la Margherita e il suo capogruppo Mario Di Carlo dal veto a La Regina. «La posizione della Margherita è isolata e poco difendibile - dichiara Zaratti - Non si capisce perché, se lo stesso ministro Francesco Rutelli leader della Margherita ha pensato all´ex soprintendente per coordinare il rilancio dell´Appia da Roma a Brindisi, i suoi colleghi della Regione abbiano tanto da ridire sulla sua nomina a presidente del parco dentro la città di Roma».

La proposta di Rutelli di affidare a La Regina il progetto per la valorizzazione della strada consolare ha insospettito i sostenitori dell´ex soprintendente: come se l´incarico servisse per sostituire la nomina a presidente del parco. E infatti lo stesso La Regina si è affrettato a rispondere che accetterà, ma solo se verrà messo alla guida del parco dell´Appia Antica.

«Aver proposto La Regina per il rilancio di tutto il tracciato dell´Appia è un´ottima idea - dice Esterino Montino, segretario dei Ds romani - E´ chiaro che deve esserci una connessione ed un´integrazione tra questo incarico e quello alla guida del parco regionale. In questo senso l´ex soprintendente è la persona giusta, autorevolissima e tra le più competenti. A questo punto mi auguro che il presidente Marrazzo e la sua giunta domani (oggi, ndr) procedano in modo sollecito a dare un governo all´Appia Antica e agli altri parchi della regione».

Parco Appia per La Regina è ancora fumata nera

la Repubblica, ed. Roma, 15 dicembre 2006

Prima una lunghissima discussione poi la conclusione in un nulla di fatto: sulla nomina a presidente del parco dell´Appia Antica di Adriano La Regina non c´è stato nessun pronunciamento da parte della giunta regionale. Sospese anche le nomine a capo degli altri parchi cittadini. Anzi dalla camera plenaria è venuta fuori la decisione di far votare singolarmente la nomina di ogni parco, così le delibera da approntare si moltiplicano. Insomma, ieri sera nonostante le pressioni del Ds e dei Verdi, ha vinto l´ostruzionismo della Margherita sulla totalità della "questione parchi" che rimane ancora ai nastri di partenza. Tutto è però rimandato a lunedì mattina quando in un prosieguo di giunta verrà presentata una delibera per ogni singolo parco. Tutte le delibere dovranno essere inderogabilmente votate quella stessa mattina. E c´è un´unica certezza: le terne dei nomi candidati non sono state cambiate e non cambieranno.

Ora il braccio di ferro sulla nomina di La Regina arriva al round finale. La prime avvisaglie della querelle si sono avute quando il ministro dei Beni culturali Francesco Rutelli ha proposto all´ex soprintendente archeologico di Roma a coordinare e guidare il progetto che il suo dicastero sta mettendo a punto per il rilancio dell´Appia Antica da Roma a Brindisi. L´iniziativa sarà collegata alla rete delle vie e degli itinerari storici, culturali e religiosi affidata al coordinamento del professor Antonio Paolucci. Ma La Regina già due giorni fa annunciò che la sua priorità era un´altra: sciogliere il nodo sulla sua nomina a presidente del Parco dell´Appia Antica, all´interno della città. La delibera è pronta da mesi. L´ha depositata in giunta regionale l´assessore all´Ambiente Filiberto Zaratti e prima di lui il suo predecessore, Angelo Bonelli, adesso deputato. Ma il veto della Margherita sulla nomina dell´ex soprintendente ha paralizzato ogni decisione. La Regina ha già espresso le sue idee: «A suo tempo mi era stato prospettato dalla Regione di occuparmi del parco dell´Appia Antica come presidente del consiglio direttivo. Dopo mesi aspetto ancora una loro decisione in tal senso. Solo se verrò nominato presidente sarò felice di inquadrare il parco dell´Appia in una prospettiva più ampia. Ma l´atto della Regione è prioritario».

Parco Appia, spunta un muro di cinta Legambiente: "Scempio edilizio"

la Repubblica, ed. Roma, 15 dicembre 2006

Un muro, anzi due lunghe muraglie: lunghi uno una settantina di metri, quello lungo via Porta Ardeatina, a un passo dalla porta San Sebastiano, e l´altro almeno un centinaio lungo via Marco Polo, e si sta in entrambi i cantieri in pieno parco dell´Appia antica. "Tutto regolare" sembrano dire i cartelli ben esposti all´esterno, che citano autorizzazioni di sovrintendenza, ente parco, regione etc.... "Uno scempio edilizio" attacca invece Legambiente che, in una articolata denuncia, spiega perché questi due muraglioni, ma in particolare quello verso porta San Sebastiano, altro non sono che l´ennesimo esempio di come si possa deturpare un patrimonio ambientale e archeologico, per di più davanti alla magnificenza delle Mura Aureliane.

In entrambi i cantieri appare anche il nome del committente dei lavori, la finanziaria Tosinvest, nota società che opera nel settore della sanità. I muri sono in corso di realizzazione intorno a una delle proprietà della famiglia Angelucci, la villa sull´Appia antica i cui terreni si estendono tra via Marco Polo e via di Porta Ardeatina dentro il parco dell´Appia. Parco, va ricordato, gestito e controllato da un ente su cui da tempo si attende la nomina del nuovo presidente che da mesi era stata promessa al severo ex soprintendente Adriano La Regina. Spiega Mauro Veronesi, responsabile territorio di Legambiente: «Alcuni giorni fa agli uffici dell´Osservatorio Regionale Ambiente e Legalità di Legambiente Lazio, è giunta una segnalazione di protesta per un cantiere che costruiva un invadente muro di cinta in via di Porta Ardeatina, con cartello che cita autorizzazioni, quasi di fronte a Porta S. Sebastiano, nel cuore del Parco. E però, continua Legambiente, nel cartello che autorizza il cantiere in corso si parla del "ripristino" di un muro pre-esistente: ebbene, in quel tratto un muro non è mai esistito, e quindi si tratta di un nuovo intervento. Inoltre, le norme di salvaguardia del Piano del parco dicono che è possibile installare e manutenere recinzioni in palo di castagno: ma, appunto, recinzioni, non muri. E ancora: nel cartello si legge, tra l´altro, che il cantiere è stato autorizzato dalla Sovrintendenza Archeologica. Alla nostra associazione - continua Veronesi - alcuni anni fa fu vietato dalla stessa Sovrintendenza l´installazione di un gazebo mobile informativo, davanti a Cecilia Metella, nell´ambito della campagna "SalvalArte" perché la presenza avrebbe "offeso" il parco. E quel "neo-muro", invece, lo nobilita?» Legambiente ha già inviato una nota a tutti gli Enti citati nell´autorizzazione e, in base alla risposta, "valuterà ulteriori iniziative".

Il ministro dei Beni culturali Francesco Rutelli ha proposto all´ex soprintendente archeologico di Roma Adriano La Regina di coordinare e guidare il progetto che il suo dicastero sta mettendo a punto per il rilancio dell´Appia Antica da Roma a Brindisi. L´iniziativa sarà collegata alla rete delle vie e degli itinerari storici, culturali e religiosi affidata al coordinamento del professor Antonio Paolucci.

La notizia arriva in serata con una nota del ministero, ma al soprintendente in questione, in carica dal 1976 fino al gennaio 2005, non suscita alcuna emozione.

Anzi. Per lui la priorità è un´altra: sciogliere il nodo sulla sua nomina a presidente del Parco dell´Appia Antica, all´interno della città. La delibera è pronta da mesi. L´ha depositata in giunta regionale l´assessore all´Ambiente Filiberto Zaratti e prima di lui il suo predecessore, Angelo Bonelli, adesso deputato. Ma il veto della Margherita sulla nomina del soprintendente che l´ex sindaco di Roma Rutelli chiamava "signor no" ha paralizzato ogni decisione.

La giunta regionale è convocata per domani alle 14.30, ma nemmeno in questa occasione c´è all´ordine del giorno la votazione sulle nomine, anche se Zaratti potrebbe portarla all´ultimo momento, come si dice "fuori sacco". Dal canto suo Zaratti ha intenzione di andare fino in fondo: «Porterò in votazione la delibera, poi ognuno si assumerà le sue responsabilità», dichiara. Sembra una lotta contro i mulini a vento: l´ordine del giorno è già zeppo di argomenti da discutere e votare.

La Regina ha le idee chiare. «A suo tempo - dice - mi era stato prospettato dalla Regione di occuparmi del parco dell´Appia Antica come presidente del consiglio direttivo. Dopo mesi aspetto ancora una loro decisione in tal senso. Solo se verrò nominato presidente sarò felice di inquadrare il parco dell´Appia in una prospettiva più ampia che comprenda l´intero tracciato della strada consolare, da Roma a Brindisi. Ma l´atto della Regione è prioritario».

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