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Il piano regolatore di Roma sta attraversando ancora una volta, nella sua lunga e tormentosa storia, una fase difficile?

Si direbbe di sì, se si considerano nel loro schematico susseguirsi una serie di date, passate e future:

1. ‑ Il 18 giugno 1962 il nuovo piano redatto dagli uffici comunali, dai comitati di consulenza tecnico e ministeriale, viene adottato in forza del noto decreto Sullo;

2. ‑ Il 18 dicembre 1962 il Consiglio Comunale adotta il piano, nel frattempo rifatto dagli uffici comunali;

3. ‑ Il 12 aprile 1963 scade il termine per la presentazione delle osservazioni;

4. ‑ Il 18 dicembre 1965 scadranno le misure di salvaguardia sul piano.

Quest'ultima data non è tanto lontana, se si pensa al lungo iter che il piano deve ancora percorrere; attualmente (febbraio 1964) è sempre fermo al Comune per l'esame delle osservazioni.

Si rischia ancora una volta che la data di scadenza della salvaguardia si trasformi in una spada di Damocle, in un ricatto?

Sarebbe l'ennesimo ricatto e l'ennesima spada di Damocle nella storia dei P.R.G. di Roma.

Non è solo la lentezza con cui il piano procede che ci autorizza ad allarmarci: ma è tutto un insieme di fatti che presi forse uno per uno non sarebbero molto importanti, ma nel loro insieme lasciano supporre una chiara volontà politica, sostenuta da alcuni ambienti romani purtroppo ancora troppo influenti.

Definiremo l'insieme di questi fatti « operazione riassorbimento » in quanto lo scopo sembra essere appunto di riassorbire tutti quei provvedimenti che la precedente «operazione Sullo» aveva promosso ed avviate, sia nella redazione del piano vero e proprio, sia nell'impostazione di nuovi strumenti di pianificazione.

L'OPERAZIONE RIASSORBIMENTO

L'«operazione riassorbimento» prende le mosse dalla mancanza di garanzie sufficienti dell'«operazione Sullo», dall'essere stata cioè essa caratterizzata essenzialmente da provvedimenti a termine, scaduti i quali una struttura sostanzialmente immutata e profondamente conservatrice e reazionaria è rimasta, di nuovo, padrona del vapore. L'«operazione riassorbimento» comprende varie fasi.

Una prima fase si è già conclusa. Era quella che aveva come obiettivo la presentazione in Consiglio Comunale per l'adozione di un P.R.G. che non fosse quello pubblicato con il decreto Sullo nel giugno 1962, ma fosse un piano un po' diverso. Evidentemente non si poteva accantonare l’elaborato predisposto dalle commissioni di consulenza tecnica e ministeriale e tornare sic et simpliciter al piano Cioccetti o addirittura al piano del '31, con le sue infinite varianti. Ma si potevano aggiungere alle indicazioni dell'elaborato del giugno tante altre decisioni, una per una magari piccole e quasi insignificanti, ma nel loro insieme capaci, soprattutto se realizzate prima delle altre, di alterare decisamente il quadro generale del piano. Questa fase dell'«operazione riassorbimento» si è conclusa vittoriosamente il 18 dicembre del '62 con l'adozione, appunto da parte del Consiglio Comunale, di questo elaborato riveduto e corretto.

La seconda fase è quella in atto ed ha come sua scadenza il 18 dicembre 1965, quando scadranno le misure di salvaguardia: suo obiettivo è precisamente l'attuazione di quei provvedimenti inseriti nell'edizione dicembre 1962 del P.R.G. e che non erano contenuti nel precedente piano di giugno, in maniera da compromettere attraverso la loro attuazione la situazione di fatto nella direzione contraria alle principali decisioni innovatrici inserite, anche se spesso troppo timidamente, nel piano di giugno.

Per svolgersi tranquillamente in questa seconda fase l’“operazione riassorbimento” ha bisogno che non siano operanti ed efficienti gli strumenti proposti invece per far avanzare l'urbanistica romana nella direzione che fu dell'«operazione Sullo».

Quali sono questi strumenti?

Essi sono indicati dagli ordini del giorno votati dal Consiglio Comunale nella seduta in cui il nuovo PRG fu adottato.

Molti di essi erano stati ispirati di­rettamente dai socialisti che rappresen­tano evidentemente il nuovo corso nel­la politica di centro sinistra al Comune di Roma: a più di un anno di distanza rimangono come un documen­to di buone intenzioni inattuate.

Possiamo elencarle telegraficamente:

1) attuazione del piano attraverso suc­cessivi programmi biennali; 2) il primo programma biennale (1963‑1964, cioè ormai quasi completamente superato) era definito giustamente come « la fase più impegnativa e delicata per l'avvenire del piano stesso »; 3) applicazione delle misure di salvaguardia sulle licenze rilasciate nei tre anni precedenti in contrasto con le nuove destinazioni di zona; 4) riorganizzazione dell'Ufficio Nuovo Piano Regolatore e della Ripartizione Urbanistica (entro il 18 aprile 1963); 5) costituzione di un Ente permanente per la pianificazione territoriale (entro il 18 aprile 1963); 6) abolizione dell'amministrazione autonoma dell'EUR. Solo gli ordini del giorno riguardanti la legge 167 e l'utilizzazione dell'esproprio nelle aree ancora libere del piano regolatore del 1931 hanno trovato seguito.

Oggi, che il primo biennio di attuazione del Piano Regolatore è già quasi interamente scontato, riconosciamo più che mai giusto l'ordine del giorno che definiva il primo programma biennale di attuazione come la fase più impegnativa e delicata per l'avvenire del Piano stesso. In realtà nella voluta mancanza di questo primo programma biennale, nella mancanza di una programmazione per i vari successivi tempi di attuazione, stiamo vivendo una lunga introduzione al nuovo P.R. in cui si cerca proprio di attuare tutto ciò che vi era rimasto dal vecchio.

Il primo tempo di attuazione, la premessa anzi del primo tempo di attuazione, potrebbe avere come titolo «esaurimento delle precedenti decisioni del piano Cioccetti, del piano del '31», e quando queste previsioni saranno esaurite, probabilmente il nuovo piano bisognerà rivederlo da capo, in quanto partirà da premesse ben più negative di quelle da cui era potuta partire l'operazione Sullo.

Rimandiamo, per una conoscenza particolareggiata delle principali osservazioni, al n. 279 di Casabella, dove sono state pubblicate le osservazioni della Sezione laziale dell'INU, e al n. 40 della rivista Urbanistica, in cui sono riportate, oltre alle osservazioni dell'INU, e di « Italia Nostra », anche osservazioni di altre Associazioni ed Enti.

E’ significativo che proprio in corrispondenza di questa gravissima assurdità della legge urbanistica fascista del 1942 si stia tentando a Roma di aprire quel dialogo continuo e costruttivo tra la cittadinanza e l'amministrazione che solo può portare ad una effettiva pubblicizzazione dei problemi cittadini, la cui mancanza è stata giustamente deplorata nel n. 279 di Casabella.

Così «Italia Nostra» ha trasformato le proprie osservazioni in un documento base, in una ipotesi di programmazione attiva e sui principali punti (centro storico, minimi standard del verde, inedificabilità delle aree rimaste libere nelle zone urbanizzate, villa Doria Pamphilj, Gianicolo, Villa Borghese, Villa Ada, Parco delle Marine, Zona archeologica di Porto, Parco dell'Acqua Vergine e dell'Aniene, ecc.) ha continuato a produrre studi e documenti.

IL PARCO DELL'APPIA ANTICA

Il problema indubbiamente più importante dei grandi parchi pubblici della zona romana è il Parco dell'Appia Antica che è stato quindi oggetto, da parte di «Italia Nostra», di un più approfondito e dettagliato studio, che illustriamo in questo articolo, e che è stato redatto con la particolare collaborazione dell'ing. Toscano.

Il Parco Appio è veramente, a nostro avviso, il banco di prova dell'urbanistica romana, è la conferma che la politica urbanistica attuata per il passato dai vari amministratori è stata negativa.

La storia moderna dell'Appia Antica ha inizio ai primi dell'800, quando il Canina ed il Canova vi effettuarono lavori di scavo e di riordino, liberando dagli interramenti le crepidini, rialzando statue e frammenti, E’ da notare, come immediatamente, questi due primi cultori contemporanei dell'Appia, ne intuirono il carattere eccezionale‑ Altrove, essi furono archeologhi, nel senso stretto della parola, interessati al valore scientifico degli scavi, alla catalogazione e ricostruzione, del tutto indifferenti alle situazioni ambientali sovrappostesi nei secoli.

Viceversa già nel 1808 il Canova affermava che sull'Appia Antica tutto andava lasciato in loco, e che l'archeologia di essa doveva diventare qui da scienza arte. Sono gli anni in cui il Canina pianta i famosi cipressi dal Belvedere a Tor Carbone, ed in cui il Prefetto napoleonico di Roma, Conte Camillo De Tournon decreta che tutta la zona dal Campidoglio, attraverso i Fori romani, il Circo Massimo, le Terme di Caracalla, fino all'Appia Antica deve diventare un grande Parco archeologico. Da allora, questa impostazione del problema dell'Appia Antica è stata costantemente ripresa e ribadita, ma ha incontrato anche grosse difficoltà.

Con il crescere della città due pericoli vengono sempre di più a minacciare il parco dell'Appia Antica: il traffico e l'espansione edilizia.

Il primo investe pesantemente la zona dopo il 1932, quando fu aperta la via dei Fori Imperiali.

Ad essa succede la via di S. Gregorio, poi il viale delle Terme di Caracalla fino alle Mura Ardeatine, dove comincia la via Cristoforo Colombo. La unità e la continuità della zona archeologica, dal Foro romano alle Frattocchie, era irrimediabilmente spezzata e l'opera del Baccelli annullata. Da allora la zona archeologica dell'Appia comincia oltre le Terme di Caracalla, all'inizio della via di Porta S. Sebastiano.

L'espansione edilizia investe la zona dell'Appia, invece, intorno agli anni '50.

Sono dapprima lussuose ville, che sorgono tra il km. 3 e il km. 6. Poi sono più massicci gruppi di palazzine, che si affacciano all'orizzonte dell'Appia, sia da nord‑est, lungo la zona della via Latina, sia da sud‑ovest dalla zona di Piazza dei Navigatori e della Cristoforo Colombo. E' chiaro, a questo punto, che l'Appia Antica stessa è in gioco, ed il problema dell'Appia diventa, la battaglia per l'Appia.

Lentamente matura, dapprima in alcuni ambienti, e poi sempre di più nell'opinione generale, il concetto che l'Appia Antica va vista ed affrontata proprio come avevano fatto Canina e Canova, nelle dimensioni e nei rapporti naturalmente della grande metropoli attuale e del suo territorio. La conservazione cioè, non è qui solo un problema archeologico e culturale, ma è un problema di paesaggio e di ambiente.

Oggi, quindi, per Parco Appio intendiamo 2.500 ettari compresi tra le Mura Aureliane in corrispondenza di Porta S. Sebastiano ed il confine del Comune di Roma; al di là ci sono ancora, nel territorio del Comune di Albano, altri 300 ettari, corrispondenti agli ultimi tre km. dell'Appia Antica, prima del suo raccordo con l'Appia Nuova alle Frattocchie. Se aggiungiamo a questi gli ettari corrispondenti alla zona archeologica del Foro romano, del Palatino, del Circo Massimo, del Celio, delle Terme di Caracalla, della via di Porta S. Sebastiano e di Porta Latina, abbiamo un enorme cuneo verde di oltre tremila ettari, che parte da piazza Venezia ed arriva ai piedi dei Castelli romani snodandosi per oltre 18 km.

Accenniamo brevemente ai problemi relativi alla zona tra Piazza Venezia e Porta S. Sebastiano, dove occorrerebbe attuare una maggiore apertura ed accessibilità delle varie zone cintate, creare dei percorsi pedonali, collegare il parco di villa Celimontana con la via delle Terme di Caracalla, collegare il parco di Montedoro con la via di Porta S. Sebastiano, ecc. Ma soprattutto occorrerebbe conservare questa zona, ed anche questo è diventato un problema, ed un problema, a quanto pare, che ammette solo la soluzione negativa.

L'APPIA ANTICA E IL TRAFFICO

Al di fuori delle Mura, il problema del traffico è oggi costituito dalla necessità di creare dei collegamenti trasversali rispetto al Parco Appio, ossia sostanzialmente perpendicolari alla via Appia Antica. I problemi, invece, dello scorrimento nella stessa direzione dell'Appia antica, sono sostanzialmente risolvibili all'esterno del Parco Appio. Gli attraversamenti hanno, come loro scopo principale, quello di collegare le enormi espansioni subite dalla città a nord e a sud del Parco Appio; cioè di creare dei collegamenti diretti tra zone residenziali e direzionali situate a nord dell'Appia Nuova e nella zona Cristoforo Colombo‑EUR. Oggi l'ultimo collegamento, più o meno diretto, tra la parte est della periferia romana e l'EUR è rappresentato dalla via di Porta Ardeatina, che scorre lungo le Mura Aureliane, all'esterno di Porta San Sebastiano. Dopo questo non c'è più alcun collegamento fino al grande raccordo anulare dell'ANAS, situato 9 km. all'esterno delle Mura Aureliane e con funzioni assolutamente extra urbane.

Il PR del 1962, prevede in questo spazio di 9 km., quattro grandi attraversamenti:

1. ‑ A 200 metri da Porta S. Sebastiano, adiacente al sovrappasso ferroviario della Roma‑Pisa in prosecuzione della via Cilicia e come congiungente del viale Marco Polo. L'opera era stata iniziata alcuni anni fa, ed è stata sospesa perché avrebbe comportato la demolizione dei ruderi dell'Arco di Vero e del Tempio di Marte. Non si capisce, perciò, come essa sia stata mantenuta nel Piano, dato che tale ostacolo è evidentemente inamovibile, e dato oltre tutto che questo primo attraversamento è funzionalmente superato dall'attraversamento illustrato al successivo n. 2.

2. ‑ A 400 metri da Porta S. Sebastiano, è previsto un altro attraversamenio in corrispondenza del Fosso Almone o Marrana della Caffarella. A diffeferenza del precedente, non sembra che questo attraversamento sia ostacolato da monumenti o da ruderi.

Il PR lo indica con un sovrappasso che ostacolerebbe l'ultima veduta ancora libera della Porta S. Sebastiano e delle mura Aureliane. Sembra però che l'indicazione di sovrapassaggio nel PR sia un errore,e che gli Uffici competenti intendano realizzare questo attraversamento con un sottopassaggio.

3. ‑ Attraversamento dell'Asse attrezzato e della Metropolitana che dovrebbe correre parallela all'Asse attrezzato al km. 3 dell'Appia Antica in corrispondenza del piazzale del Belvedere, subito dopo la Tomba di Cecilia Metella. Questo attraversamento è previsto in galleria, ma occorre che questa sia molto lunga, in modo da conservare a tutte le adiacenze del Belvedere e al Pagus Triopius l'attuale carattere.

4. ‑ Attraversamento dello scorrimento esterno al km. 8 circa, poco dopo la ferrovia Roma‑Napoli e a un chilometro e 200 metri dal grande raccordo anulare ANAS, in località Torre Selce. Anche questo attraversamento avviene in galleria, che è possibile attuare utilizzando le cave di selce delle FF.SS. a nord, mentre a sud il terreno scende rapidamente, dato, che l'Appia Antica è qui in quota.

Perciò, riassumendo, sarebbe necessario abolire il primo attraversamento e realizzare il secondo ed il terzo mediante sottopassaggi con lunghissimi tratti di galleria. In tale modo il panorama dell'Appia Antica potrebbe essere sufficientemente salvaguardato e la situazione del traffico resterebbe identica a quanto previsto nel PRG.

L'ESPANSIONE EDILIZIA SULL'APPIA

L'altro grave problema è quello dell'investimento dell'Appia da parte dell’espansione edilizia. Si presenta sotto due aspetti:

1. ‑ Presenza all'interno del comprensorio del Parco Appio di nuclei residenziali, lottizzazioni ecc.

2. ‑ Pressione dei quartieri limitrofi sui confini del Parco.

Esaminiamo anzitutto il primo punto. Fino a 20 anni fa, circa, le uniche case che fiancheggiavano l'Appia Antica e le immediate adiacenze, erano pochi isolati casolari rurali risalenti per lo più agli ultimi tre secoli. Subito dopo l'ultima guerra cominciarono le costruzioni di lussuose ville, soprattutto nella zona del Belvedere a Tor Carbone. I vincoli imposti erano insufficienti ad una reale difesa del panorama l'Appia, consistendo essenzialmente nell’obbligo di usare tegole antiche e nel distacco di 100 metri dal filo stradale dell'Appia. L'obbligo di non innalzarsi per più di un piano fuori terra era facilmente violato.

Il primo scandalo sull'Appia Antica fu appunto la Pia Casa S. Rosa che fuoriesce dal terreno di ben quattro piani.

Tutte le zone interessate da queste costruzioni sono indicate nell'attuale Piano regolatore come parco privato, vincolato con l'obbligo di conservare l’attuale consistenza edilizia con le relative sistemazioni a verde con esclusione di nuove costruzioni. A questo vincolo si sovrappone quello archeologico e paesaggistico, ossia le disposizioni leggi 1 giugno 1939 n. 1809 e 29 giugno 1939 n. 1497 ed il regolamento 3 giugno 1940 n. 1357. Il pericolo quindi di ulteriori costruzioni a ridosso dell'Appia dovrebbe essere evitato. Resta il fatto che in alcuni dei tratti più belli e facilmente raggiungibili la godibilità pubblica è limitata alla Appia Antica, chiusa dalle recinzioni di private proprietà. Il problema di un riacquisto di quanto costruito negli ultimi 20 anni, deve sere oggi necessariamente rinviato, sebbene la legge La Malfa per la via Appia, presentata durante la seconda legislatura ma non perfezionata, prevedesse una forma di ricessione allo Stato. Per consentirne però in futuro la realizzabilità è necessario che il PR indichi come parco pubblico tutte le zone classificate invece come parco privato vincolato.

Un successivo più massiccio tentativo di intrusione edilizia nella zona dell'Appia Antica si profilò nel 1959, quando il Comune compilò un piano particolareggiato per la valle della Caffarella, situata immediatamente a nord‑est del tratto della via Appia Antica tra la ferrovia Roma‑Pisa e la via Almone. Tale piano lasciava in realtà a parco solo le zone di fondo valle occupate in parte strade di scorrimento e da nodi stradali, consentendo in tutta la zona migliore una fortissima edificabilità. Rimasto sino ad oggi ineseguito. Sia per le more del nuovo Piano che per l’opposizione della pubblica opinione, il piano particolareggiato della Caffarella è però inserito nel piano regolatore. Per queste aree è istituita una apposita sottozona edilizia denominata E 3. Ad essa si applicano quelle disposizioni del decreto ministeriale 11 febbraio 1960 e 22 febbraio 1960 del Ministero della Pubblica Istruzione che approvano il piano paesaggistico dell'Appia Antica e della Caffarella laddove non contrastino con le previsioni delle destinazioni del PRG. Inoltre anche queste zone sono sottoposte a vincoli archeologici e paesistici come sopra indicato.

Le zone edilizie E 3 nella valle della Caffarella permangono come grave intrusione non solo dal punto di vista paesistico ma anche dal punto di vista sociale. Esse ostacolano infatti l'accessibilità diretta al Parco dell'Appia Antica da tutto il popolarissimo quartiere sorto intorno alla via Latina subito dopo piazza Zama.

L'intera edificabilità prevista nella valle della Caffarella e più ad est nella zona di Lucrezia Romana andrebbe abolita. Esaminando gli elaborati del nuovo piano regolatore non si può non constatare con rammarico che alcune altre minacce all'integrità del Parco Appio hanno purtroppo resistito. Si tratta di altre due zone ugualmente E 3 con caratteristiche e vincoli di cui sopra, situate, una immediatamente dietro a Cecilia Metella, l'altra immediatamente dietro la chiesa di San Sebastiano. Queste vanno completamente abolite e sostituite da zone a parco pubblico.

L'ESPANSIONE EDILIZIA INTORNO ALL'APPIA

Passiamo ora ad esaminare la pressione dei quartieri limitrofi sui confini del Parco, pressione che va esaminata sotto un duplice aspetto: paesaggistico e sociale. E’ chiaro che il grande Parco Appio svolgerà, nei confronti dei quartieri confinanti, tutte le funzioni delle zone verdi e degli spazi verdi. Questi quartieri sono popolatissimi, ma completamente privi di altre aree verdi. I bordi del grande Parco Appio dovranno svolgere perciò la funzione di parchi di quartiere, inquadrati naturalmente nelle particolari esigenze paesistiche e nelle caratteristiche del Parco.

Per rendersi conto della povertà di verde dei quartieri confinanti con il Parco Appio e della sua assoluta urgenza ed importanza, si tenga presente che in base ai raggi di azione ed ai minimi standard urbanistici l'area del Parco Appio richiesta per le esigenze di verde di quartiere dalle aree edificate a nordest e a sud‑ovest impegnerebbe ben 980 ettari, ossia un terzo di tutto il verde da piazza Venezia alle Frattocchie, e ciò senza tener conto dei nuovi insediamenti che potrebbero richiedere un aumento del 20% circa. Applicando i criteri dei raggi di azione e ricostruendo, sia pure approssimativamente, la quantità di popolazione delle varie zone, in base alle zone statistiche censite, sono circa 22 i parchi di quartiere inesistenti che verranno surrogati dal Parco Appio e si può valutare, ottimisticamente, a mezzo milione di abitanti quelli che trarranno immediato giovamento dall'esistenza del Parco.

Globalmente possiamo dire che nel nuovo PR a nord‑est dell'Appia Antica, ossia lungo la via Latina, Appia Nuova, Tuscolana, dalle Mura Aureliane fino a Cinecittà, viene mantenuta la situazione attuale con i completamenti e le urbanizzazioni già in corso. L'unica eccezione è rappresentata da alcune zone di espansione, previste dinanzi al Centro sperimentale di cinematografia ed a Cinecittà. Si tratta di due zone E 3, cioè con quei particolari vincoli sopra descritti e con il solito vincolo archeologico e paesistico, e di una più consistente zona E 1 da realizzarsi con comprensorio unitario, anch'essa vincolata archeologicamente e paesisticamente.

I primi due nuclei che insistono nella zona archeologica di Lucrezia Romana antistante a Cinecittà andrebbero aboliti, mentre il terzo andrebbe forse solo ridotto di area.

Il problema principale per questi quartieri di nord‑est è soprattutto quello di creare degli opportuni cunei verdi di penetrazione in maniera da facilitare nel modo migliore l'accessibilità al Parco.

Per quanto riguarda la pressione dei quartieri confinanti dalla parte opposta, e cioè a sud‑ovest, la situazione è nettamente diversa nel primo tratto lungo la via Ardeatina dal Quo Vadis all'allineamento di San Sebastiano e nel tratto successivo.

Nel primo ci troviamo di fronte ad una urbanizzazione già completa in molte zone, e che il Piano prevede di completare. Si tratta di palazzine di cooperative più che di grosse iniziative, e la densità complessiva è inferiore che nei quartieri edificati a nord‑est, ma i risultati paesistici raggiunti sono ugualmente negativi. Nel secondo tratto, invece, l'attuale espansione edilizia della città è ancora molto lontana dall'Appia Antica: 4 km. in linea d'aria e anche più, fino alla Cristoforo Colombo, all'EUR, alla Cecchignola.

Il nuovo Piano prevede una grossa serie di comprensori E 1 fino alla via Ardeatina e lungo il lato nord‑ovest di questa, 8 comprensori di zone E 3, cioè con i particolari vincoli già visti per la Caffarella e per Lucrezia Romana, e con il vincolo archeologico e paesistico.

C'è da chiedersi se questa espansione era assolutamente necessaria, o se non era invece possibile in questa zona, completamente verde, consentire che il Parco Appio confinasse liberamente con la campagna. L'abolizione degli 8 coniprensori E 3 oltre l'Ardeatina e il comprensorio E 1 a ridosso delle cave Ardeatine e delle Catacombe di San Callisto sarebbe comunque auspicabile.

L'urgenza e l'importanza del Parco Appio sono state del resto confermate in Consiglio Comunale il 18 dicembre 1962, quando è stato approvato tra gli altri ordini del giorno contemporanei all'adozione del nuovo PR il seguente: «Il Consiglio Comunale, udita la relazione dell'assessore Petrucci sul progetto di PR, ritenuto che il parco dell'Appia Antica è uno degli elementi di essenziale fondamentale importanza nell'assetto urbanistico della città, considerato inoltre l'incommensurabile valore storico, religioso, artistico e turistico della zona da salvaguardare da qualsiasi deturpazione, considerato peraltro che la spesa relativa può essere senz'altro affrontata, delibera di autorizzare la Giunta ad operare con tutti i mezzi opportuni e con ogni sollecitudine per l'acquisizione e la sistemazione del predetto parco Pubblico».

Il parco dell'Appia Antica sarebbe stato quindi incluso necessariamente nel primo programma biennale di attuazione del PRG se questo primo programma biennale fosse stato redatto.

LA BATTAGLIA PER L'APPIA CONTINUA

Intanto, in sua assenza, il problema dell'Appia è diventato ancora più drammatico e urgente. E’ un susseguirsi continuo di manomissioni.

Improvvisamente, poi, nello scorso autunno, nuovi lavori di sterro venivano iniziati nella zona tra l'Appia Antica e l'Ardeatina, in un'area di ben 720.960 mq., interessata da un progetto di lottizzazione, presentato in data 17 ottobre 1962 (e cioè quando il piano regolatore del giugno era già diventato operante) dalle Società Acacia Farnesiana, Acacia Rustica e Pinus Excelsa. Si direbbe, dagli strani nomi botanici di queste società, che esse intendessero realizzare dei vivai arborei. Viceversa la loro intenzione era quella di costruire 59 villette a schiera e 108 ville, oltre i servizi. Ciò che appare inaudito, è che un simile progetto abbia avuto il benestare della Sovraintendenza ai Monumenti, e che sia stato fermato dall'Amministrazione Comunale solo dopo essere stato segnalato in Consiglio Comunale dall'opposizione, ed essere diventato il centro di una campagna giornalistica ad opera di Paese‑Sera.

L'attuazione dell'ordine del giorno sopra riportato è quindi sempre più urgente e indifferibile. Essa è veramente tanto difficile o addirittura impossibile come sembrerebbe?

Effettivamente, in tutta la zona del Parco Appio, le proprietà comunali e demaniali sono purtroppo minime. Perfino la maggior parte dei monumenti che non rientrano nella stretta fettuccia costituita dall'Appla Antica e dalle sue crepidini ricadono in proprietà private.

Tipico il caso di Casal Rotondo che, pur essendo uno dei più caratteristici monumenti dell'Appia, è un'abitazione privata, nel cui interno i proprietari hanno potuto addirittura costruire, pochi anni fa, una piscina.

Il Comune possiede una particella di poche migliaia di metri quadrati a circa 200 metri dall'Appia Antica, ad est della via di Cecilia Metella. Lo Stato possiede il Forte Appio poco oltre il IV chilometro, ed un'area dinanzi all'aeroporto di Ciampino, poco prima di via Floriana, in cui sono installate attrezzature radio connesse con il funzionamento dell'aeroporto. Per il resto tutte le aree rientranti nel Parco Appio sono private.

Si era parlato al tempo del piano paesistico e del piano archeologico nel 1959 di una donazione da parte dei maggiori proprietari a nord‑ovest dell'Appia Antica di una notevole quantità di terreno, ma tale donazione, avendo come tacito ma palese controaltare l'autorizzazione ad edificare nelle restanti aree secondo il piano particolareggiato della Caffarella, non ha avuto alcun seguito. Le proprietà private possono essere distinte, per il loro carattere, in tre tipi:

1. ‑ Aree già urbanizzate ed edificate e la cui privata attuale utilizzazione è sancita dal piano: zone destinate a parco privato, a completamento, a ristrutturazione. Per esse non vi è altro da fare che prendere atto di quanto è purtroppo avvenuto nei decenni passati, e constatare che il Piano attuale vincola in modo da evitare peggioramenti, rifacimenti o cambiamenti qualsiasi.

2. ‑ Aree non urbanizzate, ma già interessate direttamente dall'espansione della città e per le quali progetti edilizi di lottizzazioni sono stati già ventilati o progettati. Si tratta sia delle zone in cui il PR ammette edificabilità all'interno dei confini del Parco Appio, sia di quelle in cui l'edificabilità non è ammessa dal Piano, ma si può prevedere che sarà richiesta in sede di osservazioni al piano dai proprietari che faranno poi sempre di tutto per ottenere facilitazioni anche in sede di piani particolareggiati o di lottizzazione.

3. ‑ Aree allo stato agricolo e non interessate finora dalle espansioni della città.

Evidentemente i proprietari delle aree del primo tipo sono attualmente fuori causa. Viceversa il discorso è estremamente complicato per quanto riguarda i proprietari del secondo tipo. A questo secondo tipo appartengono due gruppi di aree: a nord la zona compresa tra le Mura Aureliane e le ultime case costruite lungo la via Latina fino alla Tomba Latina, le ultime case verso sud dei quartieri Quadraro e Tuscolano, il Centro sperimentale di cinematografia, la via Tuscolana. le aree della Società Generale Immobiliare al Curato, lo scorrimento esterno di PR, la via Appia Nuova, la via Appia Pignatelli, le zone destinate a parco privato a nord‑ovest dell'Appia Antica di fronte alle Catacombe di San Callisto, l'Appia Antica dal Quo Vadis alle Mura. A sud, appartengono allo stesso secondo gruppo le aree situate tra le vie delle 7 Chiese. via Ardeatina. confini dei comprensori a nord‑ovest dell'Ardeatina, confini delle zone destinate a parco privato tra il Forte Appio e l'Asse attrezzato, Asse attrezzato, via Appia Antica.

Il gruppo nord di queste aree interessa circa 800 ettari che sono, nella quasi totalità, proprietà di Alessandro Gerini ed Isabella Gerini, separatamente, insieme o associati ad altri minori proprietari, tra cui l'Istituto Salesiano per le Missioni, ente morale di culto con sede in Torino, e la Società terreni e trasformazioni agricole TETA, società per azioni con sede in Roma. Tra questi due enti e Alessandro Gerini risultano a catasto rapporti di comproprietà, usufrutto, livellarietà, ecc. Queste aree hanno sempre avuto ed hanno tuttora un reddito agricolo mediamente buono e ottimo in certe zone, per cui non hanno mai rappresentato per i proprietari un passivo o anche solo un immobilizzo di capitali improduttivi. Inoltre, quasi tutte le aree di proprietà Cerini erano già sottoposte a vincoli archeologici e di PR quando i Gerini le ereditarono, e i vincoli attuali non possono costituire perciò un cambiamento di destinazione e creare dei diritti ai proprietari.

Tanto è vero che voci, naturalmente non confermate, e non contrattabili hanno insistentemente accennato al fatto che i Gerini fossero disposti a cedere la maggior parte delle loro aree in cambio della destinazione a edilizia intensiva della parte più settentrionale delle loro proprietà; all'incirca 60 ettari in zona urbanisticamente già compromessa tra la via Tuscolana e il Centro sperimentale di cinematografia. Purtroppo si deve constatare dagli elaborati del PRG che questa destinazione a quest'area è stata concessa senza che fosse perfezionata alcuna controdonazione da parte dei proprietari. Un'occasione perduta, ma se ne possono ricreare subito delle altre.

Infatti, nei circa 600 ettari dei Gerini, oltre ai 60 ettari di cui sopra, ve ne sono altri 120 di zona edíficabile con particolare vincolo: le zone E 3. Abbiamo detto sopra come l'edificabilità di queste zone deve essere abolita, ed esse devono essere trasformate a parco pubblico. Se in sede di controdeduzioni al PRG si accetterà questa necessaria trasformazione, tutte le aree di questa zona nord del Parco Appio saranno acquisibili partendo dal valore che può competere a delle zone agricole vincolate archeologicamente da sempre e vincolate dal PR. Anche in mancanza di strumenti legislativi, come quelli che si spera possano essere tra poco in atto anche in Italia, la cosa non dovrebbe atterrire neppure le deficitarie finanze del Comune di Roma.

Prima di esaminare le aree del secondo gruppo, sit ate cioè tra l'Appia e l'Ardeatina, ci conviene esaminare le aree del terzo gruppo, ossia quelle allo stato agricolo e non interessate finora dall'espansione della città.

In questo terzo gruppo rientra la metà del Parco Appio compreso nel Comune di Roma e tutti i 300 ettari circa del Comune di Albano, cioè un totale intorno ai 1.500 ettari. Si tratta di tutte le zone oltre la villa dei Quintili sul lato sinistro dell'Appia ed oltre il Forte Appio sul lato est. Queste aree possono essere acquistate a prezzo agricolo, valutato tenuta per tenuta. Salvo casi sporadici esse non hanno mai subito una differente contrattazione di mercato. Occorre considerare anche che questa parte del Parco Appio ha oggi un valore di riserva per gli anni futuri; se ne può perciò dilazionare l'acquisto in un piano progressivo, a lunga scadenza garantito dai vincoli precisi contenuti nel PR. Inoltre, l'utilizzazione agricola rimarrà possibile in un primo tempo per tutte queste aree, ed anche quando progressivamente sarà il caso di farle cessare altre fonti di utilizzazione saranno sempre possibili: da fattorie modello comunali aperte al pubblico a un campo di golf dato in gestione ad apposita società. I numerosi casali della zona potrebbero inoltre essere affittati dal Comune, diventatone proprietario, sia a privati che ad associazioni. Con un buon piano, cioè insieme di gradualità dell'acquisto e di redditività dei beni acquistati, potrebbe essere possibile ridurre annualmente l'aggravio derivante dall'acquisto o dall'attrezzatura a verde pubblico di questi 1.500 ettari più esterni del Parco Appio.

Abbiamo lasciato per ultime le zone del secondo gruppo a sud‑ovest tra il Parco Appio e l'Ardeatina, perché si tratta di zone oggi agricole, ma destinate dal PR a varie edificabilità come sopra accennato.

Si danno tre possibilità:

1 ‑ In sede di osservazione e perfezionamento legale del piano viene cambiata la destinazione di queste aree che passano da zone edificabili a parco pubblico. Allora esse rientrerebbero nel terzo gruppo: aree agricole.

2. ‑ In PR viene lasciata l'attuale destinazione, ma il Comune decide di attuare lo stesso anche in questa zona parco con la conseguenza che si dovranno acquistare le aree a prezzo a‑ aree edificabili, anche se con bassa cubatura e numerosi vincoli.

3. ‑ In PR viene lasciata l'attuale destinazione e la conseguente urbanizzazione viene realizzata. Il valore delle aree rese così edificabili è evidentemente incrementato dall'immediatamente retrostante Parco Appio. Precisamente in base ai raggi di azione si può presumere una influenza diretta di una striscia di circa 200 ettari appartenente al terzo gruppo: cioè agricolo. L'acquisto di questi 200 ettarì di parco pubblico dovrebbe rientrare, in questo caso nell'urbanizzazione di queste aree adiacenti: equivarrebbe cioè ad una specie di tassa di maggior onere di urbanizzazione.

IL FUTURO DEL VERDE A ROMA

Ormai, come risulta chiaramente sfogliando le pagine di questo numero di « Casabella », il problema del verde a Roma non è più allo stato iniziale. Associazioni e professionisti hanno studiato ed elaborato un notavole materiale che può costituire complessivamente un primo schema di quella che potremmo chiamare la dottrina del verde a Roma. Per passare da questa fase ad una fase successiva non bastano più però associazioni e individui; occorre l'intervento diretto, continuo, preciso degli uffici comunali, di quei tali organismi che sarebbero dovuti nascere cioè con il PRG come strumenti del PRG, impostati secondo principi e criteri adatti a quel nuovo corso ci cui il PRG doveva essere l'atto iniziale.

Oggi è proprio questo che vogliamo: si chiuda definitivamente l'«operazione riassorbimento», subito ed immediata mente, e si riprenda il discorso avviato l’“operazione Sullo” e proseguirà con gli ordini del giorno approvati dal Consiglio Comunale il 18 dicembre 1962; perché ci dispiacerebbe troppo dover constatare ancora che l'amministrazione di centro‑sinistra subisce passivamente certi atti che potevano essere approvati dalla politica della precedente amministrazione, ma non lo possono essere certamente da questa.

Vorremmo tra poco poter raccontare anche per Roma qualche cosa di analogo a ciò che si dice è successo a Parigi. All'inizio del '60 fu costruito un grandioso passaggio sotterraneo a più vie sovrapposte tra l'avenue de la Porte d'Asnières e il boulevard Berthier nella periferia nord della città. Richiesto a un addetto a questi lavori quanti alberi erano stati abbattuti o comunque sarebbero stati abbattuti per questi grandiosi lavori, egli rispose sdegnato ed in maniera perentoria: «Pas un arbre, messieurs!».

1881

Rodolfo Lanciani, "ingegnere per gli scavi", propone al Ministro della Pubblica istruzione l'esproprio dell'area in cui sono compresi il Ninfeo di Egeria e il Bosco Sacro, facenti parte della tenuta della Caffarella dei Torlonia.

1887

Guido Baccelli e Ruggero Bonghi propongono un "giardino parco archeologico" lungo l'Appia da Roma a Brindisi. Il 14 luglio viene approvata la legge n. 4730, proposta dagli stessi Bonghi e Baccelli, che dichiara di pubblica utilità l'isolamento dei monumenti nella zona meridionale di Roma e il loro collegamento per mezzo di passaggi e pubblici giardini". Il perimetro della zona vincolata comprende 227 ettari di cui 87 già demaniali.

1918

Dopo circa sette anni di lavori, viene consegnata al Comune la Passeggiata Archeologica, un grande parco tra il Circo Massimo e le Terme di Caracalla, chiuso in origine da una cancellata.

1931

Il nuovo Piano regolatore (tra gli autori Marcello Piacentini) definisce l'area dell'Appia "grande parco" e destina a "zona di rispetto" una fascia di territorio compresa tra Via Tuscolana e Ardeatina. Nella pratica il rispetto riguarderà due fasce di inedificabilità di 150 metri paralleli alla via, al di là delle quali possono essere costruiti edifici a due piani.

1932

Mussolini inaugura Via dell'Impero: la realizzazione della strada ha comportato la demolizione di un intero quartiere e lo sbancamento della Velia.

1934

L'Appia viene asfaltata fino al bivio per l'aeroporto di Ciampino.

1936

Con la realizzazione dell'Esposizione universale (Eur), l'Appia diviene un ostacolo ingombrante tra i quartieri ad oriente in sviluppo verso i Colli e il nuovo sviluppo a sud.

1939

Viene presentato il primo di una serie di piani particolareggiati destinati a sconvolgere l'Appia e mai attuati a causa della guerra.

1940

Il Comune espropria il complesso della Tomba di Romolo e del Circo di Massenzio.

1949

Il Piano particolareggiato n. 111 dà il via a un'alluvione di cemento che sommer­ge una vasta area compresa tra l'Appia Nuova, Via dell'Almone e via Appia Pignatelli.

1950

Al quarto chilometro inizia la costruzione della Pia Casa S. Rosa , ospizio per bambini minorati. I tre piani autorizzati dal comune e il quarto abusivo (mai demolito) dell'edificio intaccano il vincolo di rispetto con divieto "di massima" di ogni costruzione, istituito (addirittura) dal piano littorio del '31. La benefica istituzione apre la strada alla distruzione della regina viarum. Avere una casa sull'Appia Antica diventerà uno status simbol.

L'Appia Antica costituirà un "cuneo verde" tra le espansioni di Roma "verso i colli e verso il mare" (cioé tra i quartieri dell'Appio‑Latino da una parte e la Cristoforo Colombo dall'altra), "una riposante fascia di verde, dalla quale emergeranno, testimonianza perenne di storia e civiltà, i resti dei gloriosi monumenti": lo afferma una relazione di giunta del 21 ottobre. Contemporaneamente viene inaugurato il tronco di Raccordo Anulare che col­lega l'Aurelia con l'Appia, tagliando in due l'Appia Antica all'altezza del VII miglio.

1952

Marcello Piacentini presenta in un suo libro uno schema di nuovo piano regolatore, che prevede altre 9 strade che attraversano l'Appia e addirittura un "Appia novissima" da costruire a 300 metri dall'Antica.

1953

Nei primi cinque chilometri della via si contano già una settantina di ville, per lo più con regolare licenza. Ne "I Gangster sull'Appia" (8 settembre), Antonio Cederna denuncia il progetto della Società Generale Immobiliare che prevede la costruzione di un quartiere 'Ai alta classe" tra i ruderi della Villa dei Quintili. In seguito alle proteste il progetto viene bocciato e la Villa dichiarata di "interesse particolarmente importante". Del 14 dicembre è il generico decreto di "notevole interesse pubblico dell'Appia": come tutti gli altri che seguiranno, serve soltanto a sottoporre i progetti edilizi al soprintendente, il quale si accontenta di imporre il colore degli intonaci e l'uso delle tegole usate. Dodici giorni dopo il Ministero dei Lavori Pubblici autorizza la costruzione di un quartiere di palazzine subito fuori Porta S. Sebastiano.

1954

In febbraio una lettera di uomini di cultura denuncia la situazione; in marzo una proposta di legge (La Malfa) prevede la demolizione degli edifici costruiti. Il ministro della Pubblica istruzione (Martino) nomina una commissione, presieduta da Umberto Zanotti Bianco, per la stesura di un piano territoriale paesistico. Nei cinque anni della sua faticosa elaborazione, continuano a essere rilasciate licenze e l'Appia diventa un corridoio murato tra proprietà private.

1955

Il 9 ottobre il Papa benedice la prima pietra di uno stadio olimpico da costruire tra Appia e Ardeatina, sulle catacombe di S. Callisto. La sollevazione della stampa manda a monte il progetto.

1956

Una mostra organizzata a Palazzo Venezia dal Ministero della pubblica istruzione progetta la demolizione di alcuni casali, non delle ville abusive.

1957

Il mausoleo di Casal Rotondo viene trasformato in villa panoramica.

1958

Il piano paesistico, pubblicato tra l'esultanza dei proprietari, sancisce l'invasione edilizia della campagna romana: destina a verde pubblico solo una striscia di terra di pochi metri ai lati della strada e prevede la costruzione di 4,8 milioni di metri cubi. Una forte opposizione determina il ritiro del Piano.

1959

Il "piano archeologico" confezionato dall'architetto Moretti per la valle della Caffarella si rivela un basso baratto tra i proprietari (marchese Gerini) e il Comune. Il piano prevede la costruzione di circa 200 edifici nella Valle della Caffarella.

1962

Il nuovo piano regolatore adottato a strettissima maggioranza dal consiglio, comunale destina a Parco pubblico la campagna dell'Appia solo dal quarto chilometro in giù. Per la parte più vicina a Roma sono ammessi insediamenti edilizi per 2,5 milioni di metri cubi. La reazione di Italia Nostra (presidente Tito Staderini) è durissima.

1961

In seguito alle proteste di Italia Nostra, il sindaco ordina la demolizione di una villa abusiva costruita su una torre di cinta del Castello Caetani. La villa non sarà mai demolita.

1965

Il 16 dicembre il ministro dei lavori pubblici Giacomo Mancini approva con modifiche il piano regolatore e destina finalmente a parco pubblico i 2500 ettari della campagna dell'Appia Antica. E' uno degli eventi più importanti della storia dell'urbanistica romana, ma è anche uno dei più disattesi. Per anni il comune non muove un dito per arginare l'abusivismo dilagante. Le tenute vengono frazionate, i casali sono trasformati in ville. Verso l'Ardcatina sorge addirittura un villaggio abusivo.

1968

Accogliendo il ricorso di alcuni proprietari la quarta sezione del Consiglio di Stato definisce illegittima la destinazione a parco pubblico dell'intera zona dell'Appia Antica. La sentenza non ha effetto perché la "variante generale" al piano regolatore ha già recepito le prescrizioni dei Lavori Pubblici.

1969

Dal '69 al '74 si susseguono le proposte di legge (Giolitti e La Malfa, Cifarelli, Giannantoni e Trombadori) per l'esproprio a prezzo agricolo delle aree in base alla legge 865 del '71.

1972

Il Comune avvia l'esproprio di 86 ettari della Valle della Caffarella.

1973

Al bordo della Caffarella, angolo Via Latina e Via C.Mondaini, viene abbattuto il Borghetto Latino, agglomerato di baracche abusive sorto negli ultimi anni della seconda Guerra Mondiale.

1976

La Regione approva l'esproprio di 86 ettari nella Caffarella.

Si inaugura a Palazzo Braschi la grande mostra organizzata dalla sezione romana di Italia Nostra, dove viene presentato il "Piano per il parco dell'Appia Antica": è il risultato di più, di due anni di lavoro di un'equipe di specialisti, coordinata da Vittoria Calzolari.

1977

La giunta di sinistra delibera l'esproprio, subito fuori le mura, di altri 110 etta­ri della Caffarella.

1978

Il soprintendente Adriano La Regina lancia l'allarme sulla condizione dei monumenti e il Ministero per i beni culturali nomina una commissione per lo studio delle sculture all'aperto.

1979

La proposta della soprintendenza di un nuovo grande parco archeologico nel centro di Roma viene fatta propria dal sindaco Argan: prevede la graduale rimozione dell'ex via dell'Impero per riportare alla luce le antiche piazze imperiali. Il parco si collegherà con il grande parco dell'Appia Antica.

1980

Il Consiglio di Stato annulla per un cavillo formale gli atti di esproprio della Caffarella e resituisce ai proprietari una settantina di ettari già espropriati. Il comune è costretto a interrompere l'iter espropriativo in atto.

Da febbraio Via dei Fori Imperiali viene chiusa al traffico di domenica.

Un appello di Italia Nostra raccoglie le fin‑ne di 240 studiosi per l'abolizione di Via dei Fori Imperiali. In dicembre hanno inizio i lavori per l'eliminazione di via del Foro Romano: il Foro viene unificato con il Campidoglio.

1984

Viene pubblicato in due volumi il fondamentale studio promosso dalla sezione romana di Italia Nostra per il Piano dell'Appia Antica già oggetto della mostra a Palazzo Braschi del 1976.

1985

Il tempestivo intervento della Soprintendenza archeologica consente l'acquisizione di ventidue ettari tra Appia Antica e Appia Nuova, attorno ai ruderi della Villa dei Quintili.

1987

Il primo febbraio viene presentata una proposta di legge regionale da parte del PCI per la costituzione del Parco.

Legambiente costituisce il Comitato del Parco degli Acquedotti.

1988

Mentre il Comune riapre il cantiere di scavo del Foro di Nerva, il 10 novembre la Regione Lazio approva la legge n.66 "Istituzione del Parco regionale dell'Appia Antica". La legge prevede la costituzione "entro un anno" dell'a­zienda ccnsorziale, ovvero l'ente che deve realizzare e gestire il Parco pubbli­co dell'Appia Antica. 1 tempi tuttavia non vengono rispettati e l'Azienda non verrà mai messa nella condizione di operare: il consiglio di amministrazione è nominato solo nel '93, la sede viene fornita nel '95, e i soldi verranno stanziati alla fine dello stesso anno.

1989

Il 26 aprile i deputati Cederna e Bassanini presentano una proposta di legge relativa ad interventi per la riqualificazione di Roma. La proposta indica come di interesse nazionale la realizzazione del "Parco archeologico dell'area cen­trale, dei Fori e dell'Appia Antica". Per quanto riguarda l'acquisizione dei beni immobili, la proposta prevede l'applicazione del titolo Il della legge 865, determinando, in generale, l'indennità di esproprio dei terreni di base al loro valore agricolo o a quello che deriva loro dalle utilizzazioni lecite cui vengono adibiti.

1990

Il Parco dell'Appia Antica viene inserito nella legge di Roma Capitale (396/90).

Legambiente presenta un libro bianco sull'abusivismo nell'Appia.

1991

"Parco dell'Appia: chi l'ha visto?": Legambiente e Italia Nostra denunciano i ritardi nell'applicazione della Legge regionale.

Ha inizio il "restauro conservativo" di un vecchio casale agricolo nei pressi di Cecilia Metella: malgrado le denunce dei vigili urbani, nel '93 la villa viene "condonata".

1992

Il programma di intervento per Roma Capitale stanzia 26 miliardi per "utiliz­zazione e esproprio della Valle della Caffarella, e 3 miliardi per studi, proget­tazione e avvio del parco dell'Appia Antica e dell'area centrale e dei Fori".

1993

Antonio Cedema viene nominato presidente dell'Azienda consortile del parco dell'Appia Antica: malgrado ripetute richieste e numerosi articoli di denuncia, il consorzio rimane senza una sede agibile e senza fondi fino alla fine del 1995. Un convegno internazionale organizzato da Legambiente e dall'Ufficio italiano del Parlamento Europeo, col patrocinio dell'Unesco, chiede la tutela sovranazionale e la legislazione nazionale dell'Appia Antica.

Grazie all'impegno di Gianfranco Amendola, l'appello viene sottoscritto da 166 deputati al parlamento europeo.

L'attività dell'Azienda è paralizzata dalla difficoltà di raggiungere il numero legale, anche a causa della mancata sostituzione da parte della Regione di alcuni consiglieri dimissionari.

1996

Con i primi fondi disponibili, l'Azienda consortile incarica Italo Insolera di redigere gli studi preliminari al piano di assetto del Parco: gli studi vengono consegnati entro la fine dell'anno.

Una conferenza stampa di Italia Nostra e Legambiente, con la partecipazione della Soprintendenza e dei sindacati, denuncia il bilancio fallimentare dell'Azienda e chiede una legge nazionale per l'Appia.

Il 27 agosto muore Antonio Cedema. Ha scritto oltre centoquaranta articoli sulla vicenda dell'Appia.

1997

9 marzo 1997: circa centomila romani festeggiano la prima domenica a piedi sull'Appia.

Proprio l'assessore Regionale all'ambiente Hermanin commissaria l'Azienda consorziale del Parco denunciando "le gravi difficoltà di gestione in cui versa da lungo tempo". Tutti i problemi del parco dell'Appia rimangono a tutt'oggi senza risposte.

In questi giorni, nel corso di un intervento per la bonifica di parte della tenuta di S. Maria Nova, sull’Appia Antica, recentemente acquistata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma, è tornato alla luce un lungo tratto di strada romana basolata. Si tratta, con ogni probabilità, di una strada che collegava la Via Appia con la Via Latina, lo fanno pensare l’andamento e altre parti del tracciato trovate in passato nelle vicinanze. La strada partiva dal quinto miglio dell’Appia, luogo sacro pieno di memorie, limite dell’ager romanus, con la grandi tombe a tumulo, riconosciute dalla tradizione degli Orazi e Curiazi, la struttura forse un ustrino, il grande Sepolcro a Piramide, la Villa dei Quintili.

La strada basolata si trova solo in parte nella nuova proprietà pubblica, dove sarà lasciata a vista, per il resto rimarrà obliterata sotto muri, recinzioni, villette, proprietà private che, fino a qualche tempo, fa erano solo campagna. Allora ci si ritrova disorientati con il gruppetto di esperti che lavora per l’Appia, come un unico corpo di fronte al fenomeno che ogni giorno questo territorio fa scoprire, nel bene e nel male, sempre in bilico tra i risultati raggiunti e l’abisso dei problemi.

Le scoperte a Roma non ci sorprendono, sono all’ordine del giorno ma sull’Appia il miracolo poteva ancora accadere, fino a 50 anni fa, ma anche fino a 20 anni, anche meno, ancora oggi potrebbe accadere. Perché i monumenti, la strada basolata e tutto il patrimonio che c’è sarebbero ancora recuperabili e potrebbero essere una risorsa eccezionale, unica al mondo, da mettere a disposizione di tutti.

Lascio la Villa dei Quintili al tramonto e, come sempre, mi sorprendo per la bellezza indescrivibile dei luoghi, per la luce rossa tra le grande arcate dei monumenti, per la quiete che riesce a ignorare il traffico intenso che passa accanto.

Come sempre mi domando: cosa si può fare, come si può salvare tutto questo e farlo godere a tutti. Non sono riusciti personaggi importanti, non è riuscito Antonio Cederna, non sarà possibile.

Ma almeno, mi dico, non dovrà passare sotto silenzio, almeno si deve tentare di comunicare cosa accade lì ogni giorno, quanto sia costoso un piccolo risultato, quanto sia disarmante muoversi tra ricorsi, cause perse, sentenze ingiuste, tentativi continui di aggressione del bene prezioso che è il territorio: di tutto questo non si può dare colpa ai privati che perseguono il proprio interesse individuale ma piuttosto assegnare le responsabilità alle amministrazioni pubbliche che non fanno, fanno finta di ignorare, lasciano correre, mostrando poco interesse. Tutti i problemi rimangono affastellati in un ufficietto che ha il compito della tutela e della valorizzazione archeologica di questo comprensorio, che non ha una connotazione particolare, che va avanti solo per l’impegno personale di chi vi lavora, troppo spesso incredulo di fronte agli accadimenti. Si deve lasciar correre e ratificare tutto quello che è stato fatto illecitamente, si deve ostinatamente riaffermare che si tratta dell’Appia antica, ci si deve convincere che lo stato di fatto è più forte di ogni ragione di salvarla, che forse stiamo esagerando?

Rivolgere a eddyburg queste riflessioni è un modo per comunicare con i suoi lettori, che, sicuramente, potranno comprendere, per sentirsi meno soli e dare spazio a un “osservatorio” sull’Appia che possa informare, rispondere, vigilare.

Altri, forse, avranno voglia di segnalare, di rispondere, di porre quesiti e sarebbe davvero un gran successo poter creare una piccola rete di consenso per l’Appia.

Intanto, per non dimenticare rileggiamo Cederna, quanto mai attuale, e troviamo qui la forza per andare avanti.

Chissà mai accada un miracolo!

“ Per tutta la sua lunghezza, per un chilometro e più da una parte e dall’altra la via Appia era un monumento unico da salvare religiosamente intatto, per la sua storia e per le sue leggende, per le sue rovine e per i suoi alberi, per la campagna e per il paesaggio, per la vista, la solitudine, il silenzio, per la sua luce, le sue albe e i suoi tramonti…Andava salvata religiosamente perché da secoli gli uomini di talento di tutto il mondo l’avevano amata, descritta, dipinta, cantata, trasformandola in realtà fantastica, in momento dello spirito, creando un’opera d’arte di un’opera d’arte: la Via Appia era intoccabile, come l’Acropoli di Atene” (da I Gangsters dell’Appia, Il Mondo 8 Settembre 1953).

PROGETTI E PROSPETTIVE PER IL PARCO DELL'APPIA ANTICA

di Vittoria Calzolari

(in: La via Appia, a cura di Stefania Quilici Gigli, Roma 1990)

I primi trent’anni della storia moderna dell’Appia Antica ripercorsi da una protagonista. Dal volume La via Appia (a cura di Stefania Quilici Gigli), Roma, 1990 (m.p.g.).

1. 1946‑1976: trent'anni di alterne vicende

All'inizio del 1976 in una mostra e convegno a Palazzo Braschi, fu presentato lo studio «Piano per il Parco dell'Appia Antica» preparato dalla Sezione di Roma di Italia Nostra. Sembrava che si stesse felicemente concludendo una travagliata vicenda trentennale che aveva visto la «questione Appia Antica» ora totalmente perduta, ora riemergente e quasi al sicuro da quella che Goethe ‑ parlando di luoghi come l'Appia Antica ‑ definiva «la follia devastatrice alla quale tutto deve cedere» [1].

Trent'anni prima del 1976, nell'immediato dopoguerra, era ripresa l'attuazione dei piani particolareggiati previsti dal Piano Regolatore del 1931, dando il via a una nuova ondata di edifici intensivi, palazzine, ville intorno alla Valle della Caffarella, al Quarto Miglio, sull'Appia Antica: queste costruzioni e quelle abusive che ad esse si sono aggiunte hanno sostanzialmente trasformato gli accessi alla via Appia Antica, il carattere delle strade interne, i profili della campagna circostante.

Vent'anni prima il drammatico appello di un gruppo di uomini di cultura (primo firmatario Corrado Alvaro ultimo Umberto Zanotti Bianco) [2] contro la devastazione del territorio dell'Appia, sembrava avere toccato amministratori e politici, fino allora silenziosamente o attivamente acquiescenti. Nell'appello del febbraio 1954, si denunciava lo scempio, si chiedeva il rispetto assoluto delle parti ancora libere, la demolizione degli edifici abusivi, la preparazione di un piano unitario da inserire nel Piano Regolatore.

Come risultato il Consiglio Comunale di Roma approvava un ordine del giorno per la sospensione delle licenze edilizie, il Ministero della Pubblica Istruzione avviava lo studio del Piano Paesistico dell'Appia Antica attraverso una commissione presieduta da Zanotti Bianco. Il Piano paesistico pubblicato nel 1955 prevedeva alcune macchie di edilizia estensiva, ma era sufficientemente tutelante. Ma, sotto la pressione dei proprietari di aree, veniva rielaborato e sostanzialmente peggiorato nella riedizione del 1960. Di fatto il piano di tutela diventava un piano di edificazione con quasi cinque milioni di metri cubi costruibili entro il perimetro del parco; un trattamento speciale veniva riservato alla valle della Caffarella ‑ prevalentemente proprietà di Torlonia e Gerini ‑ nella quale alla promessa di cessione al Comune delle aree di fondovalle corrispondeva una accresciuta edificabilità dei terreni elevati.

Dieci anni prima del 1976 il Decreto Ministeriale di approvazione del Piano Regolatore Generale di Roma aveva dato la risposta più insperatamente positiva alle sollecitazioni espresse, durante il convegno del 10 novembre 1965 presso il ridotto del Teatro Eliseo, da uno schieramento di forze culturali e di alcune forze politiche estremamente deciso e unitario nelle sue richieste: si chiedeva che venisse garantita la tutela completa del territorio dell'Appia Antica modificando, in fase di approvazione ministeriale, il Piano Regolatore adottato dal Comune di Roma nel 1962: questo, pur avendo sensibilmente migliorato il Piano Paesistico, manteneva molte macchie edificabili nelle parti più vicine alle Mura Aureliane.

Il decreto firmato da Giacomo Mancini, allora Ministro dei Lavori Pubblici, destinava a parco pubblico ‑ Zona N del Piano Regolatore l'intera area di 2517 ettari compresa in un perimetro sensibilmente ampliato rispetto a quello del Piano Paesistico.

All'entusiasmo del momento seguivano però alcuni anni di totale assenza di iniziative pubbliche e di ripresa di più o meno palesi iniziative private ‑ frazionamento di terreni, ristrutturazioni di casali, cambi di destinazioni d'uso, oltre alle costruzioni abusive concentrate soprattutto nella zona di Cava Pace. E tuttavia con la forte ripresa dell'iniziativa di base e delle associazioni culturali della fine anni sessanta ‑ inizio anni settanta sui temi della vivibilità urbana, del verde, della tutela delle memorie storiche, anche il tema dell'Appia Antica viene riportato all'attenzione dei cittadini e degli amministratori.

In questo clima viene presentata nel 1969 la proposta di legge Giolitti‑La Malfa, che per la prima volta impegna in modo concreto il Governo a concedere al Comune di Roma un contributo di 30 miliardi per l'esproprio e la sistemazione dell'intero comprensorio.

In questo clima nel 1972 l'Amministrazione Comunale di Roma predispone l'esproprio di 80 ettari della Valle della Caffarella (da fuori Porta S. Sebastiano fino al Casale della Vaccareccia) utilizzando la possibilità data dalla recente legge n. 865 del 1971 di acquistare i terreni a prezzo agricolo.

In questo clima viene sviluppato il Piano per il Parco dell'Appia Antica promosso da Italia Nostra.

Quasi in contemporanea ‑ e forse in qualche modo sollecitati dalla risonanza che ebbe allora il Piano ‑ si verificarono altri due fatti positivi per l'Appia Antica: l'approvazione da parte della Regione Lazio dell'esproprio degli 80 ettari deciso dal Comune quattro anni prima (D.R.L. n. 220 del 9/2/1976) e la decisione da parte del Comune di avviare la seconda fase di esproprio ‑ 110 ettari ‑ che avrebbe completato il parco della Caffarella. Senonché nell'ultima seduta del Consiglio Comunale prima delle elezioni del giugno 1976 ‑ alla delibera venne a mancare l'appoggio della maggioranza.

E tuttavia sui prati della valle della Caffarella nelle settimane prima delle elezioni si svolsero raduni, feste e «corse per il verde» nella speranza che l'attesa trentennale fosse ormai arrivata alla soluzione.

2. Il Piano per il Parco dell'Appia Antica ‑ 1976

Lo studio del Piano per il Parco dell'Appia Antica è stato elaborato tra il 1973 e il 1976 su iniziativa della Sezione Romana di Italia Nostra da un gruppo di lavoro interdisciplinare di cui facevano parte esperti in archeologia, storia territoriale, geologia, botanica, forestazione, urbanistica, paesistica, legislazione [3]; è stato presentato nel febbraio 1976 in una mostra a Palazzo Braschi, accompagnata da una serie di incontri e visite guidate; è stato ripresentato nel 1984 ‑ aggiomato e integrato con il quadro della situazione del verde del settore est e con le proposte per l'Appia nel frattempo intervenute ‑ in una pubblicazione alla quale si rimanda per una documentazione più approfondita [4].

Il carattere, l'interesse e anche l'attualità di questo studio credo siano fortemente legati a quanto si è saputo cogliere, allora, del particolare momento culturale e sociale di cui ho detto e di conseguenza all'avere assunto come ipotesi, nelle indagini e nelle proposte, la reale fattibilità di quell'opera. Lo studio è stato sviluppato ‑ come detto ‑ da esperti di diverse discipline, ciascuno dei quali ha condotto una ricerca specifica sul suo campo, ma anche con la costante, attiva collaborazione di chi conosceva i luoghi perché ci viveva, con la collaborazione dei gruppi culturali locali e delle circoscrizioni, assai più vitali allora di oggi. Obiettivo comune era trovare un filo conduttore tra le diverse categorie di valori, intorno al quale costruire l'unità formale e organizzativa del parco: e ciò non solo per motivi estetici, o storici, o urbanistici, ma anche perché alla nascita di un'immagine unitaria nella mente e nell'opinione pubblica era legata la possibilità di fare davvero il parco e tutelarne l'integrità, continuamente minacciata dalle iniziative tendenti a sottrarre delle parli a un complesso «così vasto e così eterogeneo».

Come elemento‑base di struttura sono stati assunti nel progetto del Parco i grandi lineamenti geomorfologici (colata lavica di Capodibove, canaloni, dossi, cave, ecc.) ai quali si legano i lineamenti e le potenzialità vegetazionali e colturali (vegetazione delle zone umide di fondovalle, dei pendii e dossi, delle cave, dei ruderi, boschi, prati‑pascolo, ecc.).

Alla morfologia, alle acque, ai paesaggi vegetali si legano anche le scelte insediative e le strutture archeologiche e storiche, viste come sistema unitario da ricomporre, dai Fori fino alle Frattocchie e poi, attraverso il Parco dei Castelli, al Tuscolo. Coerentemente con questa linea progettuale lo studio ha compreso i seguenti argomenti:

‑ lettura contestuale del territorio sotto il profilo fisico, storico, della proprietà, del suo uso attuale e rapporto con la città attraverso rilevamento diretto sul posto e documentazione catastale, d'archivio, presso uffici, ecc.;

‑ proposta di sistemazione complessiva del parco dal Campidoglio fino ai confini comunali, fondata sulla restituzione dell'unítà geomorfologica, storica, paesistica, ma anche sul soddisfacimento della domanda di verde, di cultura e svago di chi abita ai margini del parco e dell'intera cìttà (sì veda l'allegato schema di assetto del parco);

‑ studio della reale fattibilità della proposta, sotto il profilo giuridico, finanziario e attuativo.

Un intento del Piano è stato infatti quello di offrire un metodo per programmare e attuare il parco che coordinasse i problemi tecnici con quelli istituzionali e legislativi. Lo schema di legge per il finanziamento e la costituzione del parco e l'organo di gestione ipotizzati (un'azienda consortile con la partecipazione della Regione Lazio, Provincia di Roma, Comune di Roma, associazioni culturali e scientifiche) erano evidentemente abbastanza idonei, tanto che sono stati assunti quasi per intero nella Proposta di legge regionale recentemente approvata. Si prevedeva allora che il parco venisse attuato in dieci anni con un investimento statale di 45 miliardi (15 per espropri, 30 per sistemazioni), utilizzando la possibilità data dalla legge n. 865 /71 che consentiva di espropriare aree non urbanizzate al prezzo del terreno agricolo [5].

Altro tema dello studio era la gestione: si prefigurava come la gente avrebbe utilizzato il parco concentrandosi nelle parti attrezzate e diradandosi in quelle più «naturali»; si individuavano le essenze e le formazioni vegetali più adatte a svilupparsi spontaneamente, in quanto autoctone, e insieme adatte a creare un paesaggio coerente con la natura e la storia dei luoghi; si studiava in particolare il problema della fruibilità e insieme tutela dei monumenti, dei percorsi storici, delle cavità di interesse storico e scientifico. Il tutto nell'intento di ridurre al minimo, attraverso la progettazione, gli enormi problemi di manutenzione e gestione che rendono la conduzione di un parco (e in particolare di un parco archeologico) ancor più difficile della sua creazione.

3. Dal 1978 ad oggi

Una delle prime iniziative della nuova amministrazione comunale di Roma ‑ giunta di sinistra con sindaco G.C. Argan ‑ fu l'approvazione della delibera per l'acquisizione della Caffarella restata sospesa. Ma, a partire dal 1977, il vento di restaurazione che cominciava a scalzare le fondamenta della disciplina e della prassi urbanistica investì anche la questione Appia Antica; a ciò si aggiunse, da parte delle amministrazioni locali, una non sufficiente prontezza ed energia di iniziativa.

Nel 1978 ‑ mentre il Comune prendeva in consegna la parte della Caffarella già espropriata ‑ il Consiglio di Stato accoglieva i ricorsi dei proprietari contro l'esproprio, per il mancato stanziamento di fondi adeguati. Di conseguenza nel 1980 il Comune doveva restituire gli atti di proprietà e i terreni; contemporaneamente una sentenza della Corte Costituzionale invalidava i criteri di esproprio basati sul valore agricolo dei suoli contenuti nella legge n. 865/71 e nella successiva «legge sui suoli» n. 10/77, senza peraltro dare nuovi criteri: si determinava così la situazione ‑ che tutt'oggi perdura ‑ di impossibilità per le pubbliche amministrazioni di acquistare a costi ragionevoli e prevedere l'entità degli impegni finanziari da assumere.

Nel 1981 il Comune tentava di rientrare in possesso dei terreni perduti utilizzando la facoltà di occupazione per «opera necessaria e urgente» data dalla legge n. 1/78; ma si trattava, per i motivi detti prima, di un'operazione al buio sotto il profilo dell'impegno finanziario; i 5,5 miliardi inclusi nel bilancio comunale 1982 per finanziare l'opera ‑ come richiesto dalla legge ‑ erano ormai certo insufficienti, per l'enorme lievitazione dei prezzi dei terreni causata dalla sentenza di cui si è detto. Il progetto di sistemazione della Valle della Caffarella preparato dall'Ufficio Giardini del Comune ebbe tutte le approvazioni prescritte ma restò sulla carta.

Nel 1984 decadono i vincoli ‑ più volte prorogati ‑ della destinazione a parco pubblico prevista dal Piano Regolatore: si è in prossimità delle nuove elezioni del 1985, si parla di un nuovo Piano Regolatore Generale per Roma, non si riesce ‑ come tentato ‑ a rinnovare in tempi utili almeno i vincoli, con un piano‑stralcio. Così il Piano Paesistico del 1960 torna ad essere il solo strumento di tutela; ma di quale tutela!

A partire dal 1985 nella vicenda dell'Appia Antica, insieme ad alcuni spiragli di speranza, vi sono nuovi pesanti motivi di preoccupazione. Tra questi: il moltiplicarsi delle operazioni di frazionamento dei suoli e di liquidazione delle aziende agricole ancora efficienti, il moltiplicarsi di piccoli manufatti abusivi e discariche, la richiesta da parte dei proprietari di realizzare nella Valle della Caffarella un campo di golf su 110 ettari e, da parte dello stesso Comune, la riproposizione di una strada di collegamento tra via Cilicia e via Latina che taglierebbe l'imbocco della Caffarella e che era stata eliminata dalle previsioni perché fortemente incompatibile con l'ambiente del parco.

Tra i fatti virtualmente positivi rientra l'obbligo per la Regione Lazio, a seguito della legge n. 431/85, di predisporre un nuovo Piano Paesistico per l'Appia Antica. Tale piano, redatto con due anni di ritardo rispetto al termine del 31 dicembre '86 posto dalla legge, non è mai stato discusso in Consiglio regionale né presentato al pubblico: è un oggetto misterioso, il che naturalmente non rassicura.

Tra i fatti positivi è l'approvazione da parte del Consiglio regionale del Lazio della legge per l'istituzione del «Parco regionale suburbano dell'Appia Antica» del 21 Settembre 1988. La legge istitutiva riprende per molti aspetti come già detto ‑ lo schema di legge allegato al Piano del 1976. Sono finalità del parco:

‑ tutelare monumenti e complessi archeologici e diffondere la conoscenza;

‑ preservare e ricostituire l'ambiente naturale,

‑ creare e gestire attrezzature sociali, culturali e ricreative, compatibili con il carattere del parco.

Entro un anno dall'approvazione della Legge si sarebbe dovuto costituire l'organo di gestione ‑ un'Azienda consorziale formata da Regione, Provincia, Comuni di Roma, Marino, Ciampino, Circoscrizioni e il Comitato Tecnico-scientifico; entro altri 12 mesi questi avrebbero dovuto predisporre un piano di assetto del parco. Senonché, dopo un anno e mezzo, nulla di questo è accaduto. Resta di positivo il fatto che con l'approvazione della Legge sono entrati in vigore vincoli di salvaguardia che impediscono edificazioni e trasformazioni e si sono per lo meno esplicitate le finalità e la struttura di gestione. Emergono ‑ e andrebbero al più presto corretti ‑ alcuni limiti, non si sa quanto dovuti a dimenticanza o a vincoli di tipo politico: come lo scarso rilievo dato all'aspetto archeologico (non è previsto un archeologo nel comitato tecnico‑scientifico), come una pericolosa sovrapposizione tra piano di assetto del parco e programma di sviluppo dell'Azienda ed una non chiara identificazione di cosa va acquisito al patrimonio pubblico, in che tempi e con quali finanziamenti.

Del Parco dell'Appia Antica si è occupato anche il Decreto per Roma Capitale, quattro volte reiterato e non approvato, poi decaduto e non più ripresentato dopo essere stato discusso per un anno nella Commissione parlamentare territorio: prevedeva un finanziamento di 140 miliardi per espropri di terreni dell'Appia e del Sistema direzionale orientale, senza specificare quanto andasse all'una o all'altro.

Più specifica, più completa la Proposta di legge n. 3858 del 26/4/89 «Interventi per la riqualificazione di Roma capitale della Repubblica» (a firma di Cederna, Bassanini, ecc.), riguardante la realizzazione del Sistema direzionale orientale, la realizzazione del Parco archeologico dell'area centrale dei Fori e dell'Appia Antica, il potenziamento dei sistemi di trasporto pubblico su ferro.

La questione dell'Appia Antica viene dichiarata «di preminente interesse nazionale» e interamente affidata alla responsabilità dello Stato: per il finanziamento (2 1.000 miliardi nel periodo 1989‑2000) e per l'attuazione (espropri, coordinamento organizzativo, prima fase progettuale affidata ad un comitato presso la Presidenza del Consiglio e al Dipartimento per Roma Capitale). 1 compensi per gli espropri sono basati sulla legge n. 865/71, ma graduati in base al valore d'uso; i finanziamenti derivano da speciali imposte aggiuntive su tabacchi e olii combustibili per autotrazione. 1 vantaggi di questa legge stanno nello snellimento delle procedure, nella chiarezza delle indicazioni sulle acquisizioni e nello sforzo di proporre soluzioni innovative; i pericoli nell'eccesso di centralizzazione. La Proposta di legge all'inizio del 1990 non ha avuto ancora alcun esito.

4. Prospettive

Giunti al 1990 la situazione dell'Appia Antica è di gravità estrema: basti ricordare che non un solo metro quadro è davvero passato alla proprietà pubblica né è stato sistemato, oltre le aree archeologiche e il Parco Ardeatino, già posseduti; l'unica legge ‑ approvata ma non attuata ‑ che dia qualche tutela e prospettiva di assetto del parco è la legge regionale del 1988.

In questa situazione, come nei momenti più difficili della vicenda Appia Antica, è indispensabile ‑ credo ‑ un'azione rinnovata, concorde, decisa e propositiva delle forze culturali e in primo luogo del settore disciplinare più coinvolto nei destini dell'Appia Antica, quello dell'archeologia.

Tale iniziativa è d'altra parte già in corso e si sta consolidando ‑ attraverso un movimento costituito dal Comitato per il Parco della Caffarella e dal Comitato parchi dell'area metropolitana di Roma (cui aderiscono Italia Nostra, INU, Lega ambiente, WWF, e altre associazioni ambientaliste).

Questo incontro di studio, che ha portato nuovi contributi alla conoscenza del significato storico e culturale dell'Appia Antica, è l'occasione per un ulteriore contributo attraverso un documento che affermi l'urgenza di realizzare finalmente il Parco dell'Appia Antica e solleciti le istituzioni a farlo.

Il documento ‑ di cui possono essere qui posti i termini fondamentali e che potrà poi essere approfondito con la collaborazione di altri organismi culturali ‑ dovrebbe chiedere garanzie e fare proposte per la predisposizione di un progetto unitario fondato su di una chiara idea‑guida (la ricostituzione del sistema storico‑ambientale); per i criteri di tutela ‑ anche immediata ‑ di fruibilità, di acquisizione all'uso pubblico; per i modi di finanziamento e gestione; per i tempi entro i quali il comprensorio dell'Appia Antica potrà davvero e definitivamente divenire parte del patrimonio culturale di Roma.

Il documento si deve rivolgere:

‑ al Parlamento, affinché assuma la questione dell'Appia Antica come di preminente interesse nazionale ed emani una legge di finanziamento e modi di acquisizione per l'intero comprensorio;

‑ alla Regione Lazio, affinché presenti alla pubblica discussione il Piano Paesistico dell'Appia Antica e proceda nell'attuazione della Legge Regionale;

‑ al Comune di Roma, affinché attraverso un provvedimento‑stralcio rinnovi il vincolo del Piano Regolatore sul territorio dell'Appia, formalizzi l'efficacia della Carta storico‑archeologica dell'Agro Romano e prenda tutti i provvedimenti immediati per tutelare e migliorare l'integrità dei terreni dell'Appia.

Credo che questa iniziativa, a conclusione dell'incontro in onore di Massimo Pallottino, possa avere anche il significato di omaggio a uno studioso che in tutta la sua attività ha considerato l'archeologia come parte vitale della cultura della città e di un suo ulteriore contributo a questa idea.

[1]W. Goethe, Viaggio in Italia, Firenze 1980.

[2]L'appello pubblicato nel febbraio 1954 era firmato da C. Alvaro, G. Bacchelli, V. Brancati, A. Cecchi, E. Craveri Croce, G. de Sanctis, U. La Malfa, C. Levi, A. Moravia, M. Pannunzio, N. Ruffini, G. Salvemini, I. Silone, M. Valgimigli, U. Zanotti Bianco.

[3]Il gruppo di lavoro che ha svolto lo studio del Piano per il Parco dell'Appia Antica era costituito da: V. Calzolari, S. Carata, M. Olivieri per lo studio urbanistico‑paesistico; L. Benevolo e G. Ferraro per lo studio dell'area interna alle mura; A. Battista, V. Gìacomini per lo studio botanico e vegetazionale; V. Caselli per lo studio idrogeologico; F. Drago per le colture e uso del suolo; G. Gisotti per la geopedologia; L. Quilici per lo studio storico‑archeologico; L. Cassanelli per la storia territoriale; G. Cervati, L. Cervati e P.M. Piacentini per gli aspetti giuridico‑amministrativi. V. Calzolari ha coordinato lo studio. Il gruppo operativo è stato affiancato da un gruppo di rappresentanti dell'Associazione Italia Nostra con M. Antonelli, I. Belli Barsali, A. Cederna, F. Giovenale, G. Luciani, A. Quarra, A. Thierry, A. Toscano.

[4]ITALIA NOSTRA ‑ SEZIONE DI ROMA, Piano per il Parco dell'Appia Antica, Roma 1984.

[5]Alla stessa legge n. 865/71 si erano rifatte nel 1974 la proposta di legge del gruppo parlamentare P.C.I. (Ciai, Giannantoni, Trombadori, Vetere, ecc.) che prevedeva un finanziamento statale di 8 miliardi in 12 anni per l'esproprio dei terreni e quella delgruppo D.C. (Jozzelli e altri)che prevedeva un esproprio limitato alle sole aree non occupate con un finanziamento di 4 miliardi (vedi Piano per il Parco dell'Appia Antica, sopra cit., pp. 193‑195).

Strada a parte, il novanta per cento del territorio è oggi dei privati, e qualcuno dice che pensare di acquisirlo tutto è da ipocriti. L' Ente Parco ha confezionato un piano regolatore per l'intera zona e il Soprintendente Adriano La Regina lo ha bocciato con durezza.

L' ambientalista e il Soprintendente: la guerra è appena all'inizio. Anzi manca ancora l' atto ufficiale di dichiarazione. Ma la posta è altissima. Sono in gioco il destino della via Appia antica e chi dovrà governare l' immenso territorio che la circonda: tremilacinquecento ettari, un pezzo di campagna romana che infila il verde brunito dei pini a ombrello dentro la città,dai Castelli fino a Porta San Sebastiano e di lì al Circo Massimo,ai Fori e a Piazza Venezia, facendosi largo in mezzo a zone dove più sfacciata è stata la speculazione edilizia e trascinando mausolei, sepolcri e colombari della Roma repubblicana e imperiale.

I contendenti. Su un fronte è schierato l' ente che gestisce il Parco dell'Appia, guidato da Gaetano Benedetto, ambientalista di consumata esperienza, vicepresidente nazionale del Wwf. Sull' altro è attestato Adriano La Regina, da ventisei anni soprintendente ai Beni archeologici di Roma, uomo tenace e ruvido, tutore inflessibile, che il grande prestigio in Italia e all' estero tengono saldo al suo posto nonostante i numerosi tentativi di scalzarlo. La miccia è innescata. L' Ente Parco ha confezionato il "Piano di Assetto" dell'Appia, in pratica il piano regolatore dell' intera area. E' un documento atteso da decenni, per il quale il povero Antonio Cederna avrebbe invocato il Padreterno affinché gli fosse concesso qualche anno in più di vita. Il Piano è alle limature finali: deve essere consegnato alla Regione nelle prossime settimane e dopo una serie di passaggi avrà valore di legge. Ma su di esso piovono dalla Soprintendenza una quantità di osservazioni negative. La Regina ha incaricato tre illustri esperti (il botanico Carlo Blasi e gli urbanisti Italo Insolera e Vezio De Lucia) di esaminare il documento. Che è stato bocciato: le previsioni contenute, si legge in una lettera che La Regina ha spedito a Benedetto,«costituirebbero danni gravissimi al patrimonio di interesse universale dell'Appia Antica». Punto e basta. Il parco dell'Appia ha la forma di un cuneo che si stringe man mano che arriva al cuore della città. Nonostante tutto è ancora un prodigio. In una giornata come questa, con il cielo terso e la luce fredda, brilla il verde scuro delle alture ondulate, sormontate dai cipressi. Si chiama parco, ma ha ben poco di un parco. Men che meno di un parco pubblico (come il Piano regolatore di Roma, approvato nel 1965, auspicava dovesse diventare): il novanta per cento del territorio è privato, recintato da alti muraglioni che occultano tombe e ninfei. Pubblica è solo la strada, o quasi. E' qui uno dei principali punti della contesa. La Regina sostiene che l' essenza del parco è il suo patrimonio archeologico e che non si deve rinunciare all'obiettivo di acquisire pezzo dopo pezzo tutta l' area. E' un cammino lungo e costoso (una media fra i quaranta e i cinquantamila euro a ettaro — ottanta, cento milioni di lire). Ma La Regina pensa in grande: «Nessuno di noi vedrà il lieto fine di questa storia: ci vorranno cento, duecento anni? Non capisco perché bisogna rinunciare. L'Appia è fra i più grandi comprensori paesaggistico archeologici del mondo. Se lo Stato non fa uno sforzo a lunga scadenza per l'Appia, per cos'altro deve farlo?». Niente espropri, per carità di Dio. Niente vessazioni contro i privati. «Lo Stato può esercitare il diritto di prelazione su molti terreni», suggerisce La Regina. «Abbiamo acquistato così la Villa dei Quintili e quella dei Sette Bassi e recentemente un appezzamento di quasi un ettaro dietro la tomba di Cecilia Metella. L' importante è avere di mira l' obiettivo e concentrare gli sforzi di tutti, autorità centrali e locali, in questa direzione». Sugli entusiasmi di La Regina, coltivati nei decenni con Cederna, Vittoria Calzolari e Italia Nostra, cala una doccia gelata: nella bozza del Piano d' assetto, la scelta di rendere pubblica tutta l'Appia fissata nel ‘65 viene definita "ideologica e ipocrita". Non si esclude di acquistare altri terreni (molti proprietari, si dice, sarebbero dispostissimi a vendere). Ma quell' orizzonte svanisce. E anzi il problema si ribalta: le previsioni di acquisto sono diventate irrealistiche e nel frattempo, mentre sull' Appia vigevano vincoli rigidissimi di inedificabilità, non è mai corrisposta un' adeguata vigilanza contro gli abusi che nel corso dei decenni sono cresciuti fino a raggiungere il milione di metri cubi. Quindi, dicono all' Ente Parco, bisogna seguire un' altra strada. Ma quale? Risponde Benedetto: «Bisogna distinguere, dentro l'Appia, fra zona e zona. In alcune devono rimanere il rispetto assoluto e il divieto a non edificare. In altre, dove si svolgono attività agricole, dobbiamo consentire delle costruzioni minime per incentivare le coltivazioni biologiche, che servono a una migliore manutenzione dei tratti di campagna romana. Dobbiamo coinvolgere nella tutela i proprietari, solo così l'Appia potrà essere salvaguardata per davvero». Sentir parlare di sfruttamento agricolo, pur non intensivo, dell'Appia, procura a La Regina un attacco d'orticaria. «L'Appia non è una tenuta come un' altra, dove si fa dell' ottimo latte», sibila. L'Appia è l'Appia, ripete Rita Paris, dirigente della Soprintendenza: «Nel piano non si prevedono zone di riserva integrale e invece si propone di trasformare l' Appia in un luogo di promozione economica e sociale. Addirittura parlano di un marchio doc per i prodotti, come se il marchio dell'Appia non fosse già contenuto nel suo patrimonio. E poi guardi qui, all' altezza della chiesa del Domine Quo Vadis è previsto persino un allargamento della strada». Si fronteggiano due modi diversi di intendere la tutela. Due diverse formazioni culturali. Una visione più integrale e una più pragmatica. Persino due caratteri. Anche il Piano di Assetto contiene previsioni ambiziose. Per esempio ricucire alcuni territori strappati interrando in un punto la linea ferroviaria, in un altro un tratto dell'Appia nuova, che è quasi un emblema del caos urbanistico romano. Ma il giudizio della Soprintendenza resta severo: «Se prevalesse questa linea la gestione del parco sarebbe solo dell'Ente e noi per scavare dovremmo chiedere l' autorizzazione». I nodi da sciogliere sono intricati. Nel frattempo l'Appia deve vivere. E passi per i casali ottocenteschi o le ville primi Novecento e persino per quelle degli anni Cinquanta: da queste magioni, abitate dagli Zeffirelli, le Lollobrigide, i Fiorucci, i Greco (quelli della catena Baloon), da una crema di professionisti e costruttori si alzano lamenti alla Soprintendenza perché il fondo stradale che di nuovo sfoggia il basolato antico fracassa gli avantreni delle Bmw. Il fatto è che il parco dell'Appia non è un parco perché è una specie di paradiso dell'abuso. Oltre il raccordo anulare, poi, lungo i bordi dell'Appia si ammassano gli scarichi di calcestruzzi e le macchine scorrazzano senza ritegno, parcheggiano sotto un sepolcro, o, inservibili, giacciono con le loro carcasse puzzolenti a fianco di una stele. Quando cala il sole arrivano gli spacciatori, si traffica con le batterie e gli spinterogeni rubati e si radunano a gruppetti le vecchie prostitute romane di fattezze felliniane che quasi non si vedono più da nessun'altra parte. Mauro Veronesi è di Legambiente ed è consulente del Parco. Gli abusivi dell'Appia li conosce uno per uno. Fra il 1974 e il 1999 sono stati costruiti illegalmente quaranta campi da tennis, sette piscine, trentacinque abitazioni, quattro campi di calcetto, uno di baseball e uno di bocce, una pista di pattinaggio, due piazzole per il tiro con l'arco; ma soprattutto quarantaquattro capannoni industriali, dieci piazzali per l' esposizione di auto, ventotto magazzini commerciali, trenta edifici per uso agricolo, novantadue orti. «E' una quantità di cubatura pari a cinque Hotel Fuenti», commenta Veronesi, «con circa tremila nuove auto che circolano per l'Appia». Chiusa l'era delle ville per cinematografari, qui impera l'abusivismo commerciale. Si sfrutta la principale qualità dell'antica strada romana, gioiello dell'ingegneria repubblicana (fu progettata nel 312 avanti Cristo), quella di collegare rapidamente il centro dell'Urbe, il Lazio e il Sud Italia. Pur avendo scarse competenze di urbanistica dei primi secoli, Salvatore Bonanno ha ritenuto che il luogo migliore per impiantare la più grande concessionaria romana della Hyunday fosse qui, in un bellissimo fienile ottocentesco, dietro la tomba di Geta. Dalla strada non si vede granché, ma se si sale sul tetto dell'edificio di fronte, una cartiera dismessa dove ha sede l'Ente Parco, si resta senza fiato: sul retro del fienile, rubando terreno al Parco della Caffarella, sono sistemate un'autofficina, un deposito di pezzi di ricambio, un autolavaggio e uno spaziosissimo piazzale colmo di macchine luccicanti al sole. Tutto l'immobile è di proprietà del Comune di Roma, che pur avendo dato la disdetta dieci anni fa, continua a incassare l'affitto. Contemporaneamente i vigili, che dipendono anche loro dal Comune di Roma, hanno denunciato Bonanno per una sfilza di abusi. Ma il giorno stesso in cui arrivarono le ruspe per demolire una costruzione, arrivò a Bonanno anche la residenza, nell'edificio da abbattere, per sé e per la vecchia zia: come si fa a buttar giù una casetta con due persone che ci abitano? Sono infinite le coincidenze che agevolano la vita di Bonanno. Per esempio quella di avere come avvocato un ex vigile. O quella di vedersi trasferito il numero civico del fienile-concessionaria da una circoscrizione all'altra (e con il numero civico anche le pratiche per gli abusi, che ripartono daccapo). O infine quella di farsi sostenere da Forza Italia, per la quale si candida, senza successo, alle elezioni circoscrizionali. L'Appia non è tutta così. Dietro la Hyunday si estende la valle della Caffarella, che in buona parte è pubblica (132 ettari) ed è percorsa da viali che costeggiano il ninfeo di Egeria e si spingono fino al monumento che Erode Attico costruì per la moglie, Annia Regilla. Più a sud si allunga la tenuta della Farnesiana, con i suoi tre casali e la cupola di San Pietro che spunta da una siepe. E verso l' Ardeatina luccicano gli olmi e i pioppi di Tor Marancia. Qui era previsto che sorgessero due milioni di metri cubi di cemento, ma l'amministrazione di Walter Veltroni ha deciso di convertire l'area a parco pubblico. Nessuno ci credeva. Salvo quel testardo di La Regina, aiutato dai comitati sorti fra l'Ardeatina e la Garbatella, che a furia di chiedere la luna, qualche volta riesce a ottenerla.





Sono passati oltre vent’anni dalla creazione del parco regionale dell’Appia Antica, fortissimamente voluto da Antonio Cederna e previsto fin dal Piano regolatore del 1962. Circa 3.500 ettari di verde ricco di archeologia attorno alla «regina delle strade» romane sono sotto tutela, dal territorio di Marino fino alle Mura Aureliane. Anni fa la giunta regionale aggiunse altri 1.500 ettari, ma il consiglio non ne ha mai discusso. Il parco ha 45 dipendenti, tra cui una dozzina di sorveglianti, e un bilancio francescano. Valeva la pena istituire questa riserva urbana? Adriano La Regina, l'ex sovrintendente archeologico che ha tutelato Roma per un trentennio, è a capo del parco e dice che sì, «ne è valsa la pena». È stato evitato lo scempio attuato in ogni altra parte periferica della città, sono al sicuro preziose aree verdi seminate di importanti testimonianze del passato. Sono stati perfino creati nuovi spazi per la fruizione pubblica, tenuto conto che i terreni del parco sono in massima parte privati.

Ma cosa c’è che non va, allora? La Regina non riesce a vedere negli amministratori locali l’impegno che meriterebbe un vero e proprio bacino culturale mondiale com’è il parco. L’area è attraversata da un intenso traffico come se non fosse «speciale», non c’è neppure una Ztl. Le violazioni ai vincoli spesso non vengono sanzionate, i soldi arrivano col contagocce. Il parco è vissuto come una semplice area protetta, da difendere. Ma non da valorizzare con un impegno corale, di tutte le amministrazioni. Insomma, «sembra che basti che ci sia, ma non c’è l’intenzione di farlo fiorire facendolo diventare un esempio per tutto il mondo. Forse — dice mesto La Regina — non ci si rende conto di cosa rappresenta in termini culturali ».

Negli anni in cui «valorizzare» un bene pubblico significa solo metterlo a reddito, si capisce la distrazione e il disinteresse generale per la «fioritura» di un parco che difficilmente può fare cassa per superare le spese. Il valore del parco dell’Appia Antica è incommensurabile e non passa attraverso i ticket che si potrebbero vendere. Perché dunque non «valorizzarlo» come si deve, con un grande progetto che chiami a raccolta politica, amministrazioni, cultura, finanza. Ma per carità, un progetto onlus. Niente equivoci.

Adiacente all’acquedotto dei Quintili, nel cuore del parco dell’Appia antica, il grande supermercato era privo di qualsiasi licenza edilizia. Una struttura che misurava ben 540 metri quadri (circa 1.700 metri cubi) ed era sequestrata fin dal 2008: ieri la Procura di Roma ha autorizzato il dissequestro per la demolizione.

E così al posto dell’acciaio e del cemento verrà un parco pubblico attrezzato a disposizione dei romani e del quartiere. «Si tratta della più imponente operazione antiabusivismo edilizio conclusa nel parco dell’Appia antica - afferma il vicepresidente della Regione Esterino Montino - Inoltre è la prima volta che in base alle legge regionale del 2008 si procede all’acquisizione al patrimonio pubblico di un terreno offeso dall’abuso e alla sanzione per chi ha commesso l’illecito. Deve essere ormai chiaro a tutti che le ruspe non si fermeranno e che nessun tipo di abuso sarà più tollerato in quell’area ». La demolizione di ieri, i lavori proseguiranno anche oggi, vanta anche un altro primato. «Per la prima volta spiega il presidente dell’XI Municipio Andrea Catarci - si acquisirà l’area dell’abuso, 2.200 metri quadri con l’obiettivo di realizzare un’area verde attrezzate ».

Le spese di demolizione, circa 25 mila euro, come previsto dalla legge regionale sono state anticipate dalla Regione, ma saranno addebitate a totale carico dell’abusivo, oltre una multa di 20 mila euro. Appartenente alla società Colombina srl, l’edificio ha avuto un lungo contenzioso iniziato circa due anni fa, che si è concluso con le sentenze del Tar e del Consiglio di Stato, che hanno ritenuto perfettamente legittimo il provvedimento definitivo di demolizione emesso dal Municipio XI il 5 dicembre del 2008. E l’intervento di ieri, l’ennesimo nel parco dell’Appia, è stato possibile grazie all’accordo raggiunto tra la Regione, i municipi I e XI, la sovrintendenza per i beni archeologici di roma e l’ente parco dell’Appia: alle operazioni, condotte dal direttore dell’ufficio regionale antiabusivismo Massimo Miglio, era presente anche Rita Paris, l’archeologa responsabile dell’Appia. Demolizione con sorpresa: perché «durante i lavori abbiamo fatto un’ispezione nelle zone circostanti - racconta Massimo Miglio - e abbiamo rilevato che la stessa società titolare di questo supermercato di frutta e verdura che aveva ingrandito in maniera esponenziale, aveva realizzato altri 1000 metri quadri di plateatico con tettoie in cemento armato, tutto rigorosamente abusivo, oltre a una volumetria adibita a ristorazione di 1.500 metri cubi: con le Guardiaparco regionali, guidate da Guido Cubeddu, l’abbiamo messo sotto sequestro penale».

Aumenta il controllo sull’Appia Antica per combattere l’abusivismo edilizio. Ieri è stata firmata una convenzione tra il Municipio XI, Regione Lazio e la Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma, un documento per rendere più operativi e veloci gli abbattimenti di abusi edilizi.

«È un’area di grande pregio che ha una concentrazione di illegalità che non ha eguali in Italia, ma forse nel resto del mondo. Questa convenzione è una novità che aspettavamo da tempo, avevamo bisogno di questo filo diretto con gli altri enti. Finalmente lavoreremo con tempestività », racconta Rita Paris, direttrice e archeologa della Soprintendenza, responsabile dell’Appia Antica.

Il documento firmato da Andrea Catarci (Municipio), Esterino Montino (Regione) e Angelo Bottini (Soprintendenza) impegna le tre istituzioni a lavorare in sinergia per controllare l’area vincolata anche con il sistema foto aereo. Ed eventualmente per procedere agli abbattimenti di abusi accertati, attività operativa che sarà realizzata dall’ufficio di Massimo Miglio, dirigente regionale dell’ufficio che combatte l’abusivismo edilizio, con l’ausilio delle ditte vincitrici dell’appalto. «Questa è una collaborazione tra istituzioni molto importante - racconta Esterino Montino, vicepresidente della Regione e assessore all’Urbanistica - perché velocizza sia la decisione che l’esecuzione degli interventi da fare, dato che in passato la sovrapposizione di competenze, anche di fronte ad abusi conclamati, impediva di colpire direttamente ed efficacemente le illegalità edilizie. In questo modo diventeremo più operativi, potremmo anche intervenire nel momento in cui l’abuso edilizio viene realizzato. E c’è anche una novità: in alcuni casi potremmo anche procedere all’acquisizione del lotto, sia esso terreno o fabbricato ».

La Regione ha messo a disposizione dell’ufficio antiabusivimo un milione e mezzo di euro per interventi da realizzare in tutti i municipi, ma con ogni probabilità molti di questi fondi andranno al parco dell’Appia Antica.

«Perché è un’area che ha una situazione davvero estrema - precisa Vezio De Lucia, architetto urbanista - da un confronto cartografico del 2003 abbiamo rilevato che dall’anno in cui tutto il parco è stato dichiarato inedificabile, era il 1985, c’è stato un aumento di un milione di metri cubi di cemento. E da allora la situazione è nettamente peggiorata. Sarebbe importante fare questi rilievi più frequentemente». Ma è sicuramente utile sapere che nell’ufficio tecnico del Municipio sono 2500 i fascicoli riguardanti gli abusi edilizi nell’area vincolata del parco dell’Appia Antica. Da tempo il Municipio XI lavora per ripristinare la legalità sulla «Regina Viarum», ovvero abbattere verande, sopraelevazioni, costruzioni accessorie che non dovevano esserci.

«In particolare abbiamo cinquanta interventi da realizzare al più presto - spiega Catarci, presidente del Municipio - illegalità già accertate su cui bisogna intervenire. I nostri fondi già scarsi sono terminati, per questo la convenzione ci permette di tornare al più presto nuovamente operativi. E i nostri interventi stanno anche cambiando la mentalità di molti residenti, tanto che alcuni stanno procedendo alle autodemolizioni, che ovviamente fanno risparmiare soldi all’amministrazione. E sono meno traumatiche per il cittadino».

E infatti ieri sulla via Ardeatina, non lontano dalle Fosse Ardeatine, una sopraelevazione di un bar di fronte ad un ex-ristorante, è stata demolita dallo stesso proprietario, sotto il controllo del Municipio che gli aveva notificato l’abuso. «È uno dei risultati più importanti del nostro lavoro - commenta Massimo Miglio - la consapevolezza da parte del cittadino che non si può continuare nell’illegalità. E inoltre da quando abbiamo iniziato questo lavoro capillare sulla 'Regina Viarum' sono diminuite le segnalazioni di illegalità edilizie».



Questa volta è stata la stessa proprietaria e demolire il proprio salone (di circa 40 metri quadri) costruito senza licenza edilizia nella sua bella villa sull’Appia antica. A darne l’annuncio è stato lo stesso direttore dell’ufficio anti-abusivismo della Regione Massimo Miglio insieme al presidente dell'XI municipio Andrea Catarci. Aveva già ricevuto un primo avviso, ma dopo la demolizione a luglio della sopraelevazione della villa di Gaucci e neppure una settimana fa del parcheggio per 130 posti macchina a ridosso dell’ex villa di Silvana Mangano e Dino De Laurentiis, la proprietaria non ha aspettato le ruspe istituzionali.

E così ieri c’è stata la prima auto-demolizione. «Si registrano gli effetti della campagna di tutela del patrimonio ambientale, paesaggistico e storico della 'Regina Viarum'- afferma Andrea Catarci - che è stata lanciata dal Municipio XI in collaborazione con la Regione Lazio, la Sovrintendenza Statale e l’Ente Parco, con la prima auto-demolizione di costruzioni abusive». «Grazie all’importante opera di prevenzione e repressione del fenomeno dell’abusivismo edilizio portata avanti dal Municipio XI, anche senza disporre delle risorse economiche necessarie, sembra arrivare forte e chiaro - sottolinea Andrea Catarci con Massimo Miglio - il messaggio che non è e non sarà più possibile continuare impunemente a violare e ferire le aree di pregio come l’Appia Antica. Infatti, quest’oggi, un proprietario irregolare ha spontaneamente provveduto ad effettuare la demolizione dell'ampliamento abusivo».

Un’auto-demolizione che ha un duplice effetto: evita l’anticipo di risorse da parte del municipio e «innesca una presa di coscienza del problema da parte di chi si è macchiato dell’abuso». Il salone extra della villa faceva parte del gruppo di 15 situazioni già inserite nel cronoprogramma degli interventi da attuare da parte di Massimo Miglio, su un totale di 50 abusi che ufficio e municipio stanno studiando prima di intervenire.

E ieri, per essere sicuri che la proprietaria della villa eseguisse a dovere la demolizione, sul luogo sono andati sia Miglio che i vigili dell’XI gruppo, il personale della Guardia parco: «Invitiamo i proprietari irregolari a imitare l’esempio odierno - ha detto l’assessore all’Urbanistica dell’XI municipio Alberto Attanasio prima dell'intervento delle ruspe municipali».

All’aria il grosso parcheggio costruito illegalmente due anni fa nella villa sull’Appia antica che fu di Silvana Mangano. Giù la tettoia abusiva installata in cima a un grande bar. In polvere anche l’ampliamento costruito addosso al salone, la piscina in cemento armato, la strada scavata nel verde: tre scempi in altrettante ville che si trovano nell’area più vincolata e più martoriata d’Italia. Ossia la Regina viarum: 3.500 ettari di natura, templi, tombe romane; e ben 2.500 abusi edilizi. Ora però sono una quindicina le demolizioni che, eliminati tutti i possibili riscorsi, a partire da oggi saranno eseguite lungo il tracciato dell’Appia antica, accanto a quello della Nuova, su via dell’Almone o sull’Ardeatina.

Sono circa 50 però le pratiche di demolizione in via di completamento, in una campagna di salvaguardia e ripristino mai vista prima tra le bellezze antiche salvate grazie ad Antonio Cederna. Nella lista ci sono anche intere case o piscine dentro lussuosi centri sportivi. Ma quando Andrea Catarci, l’uomo di Sinistra e libertà che guida l’XI municipio, su cui si trova la maggior parte del parco archeologico, ha chiesto all’assessore comunale all’Urbanistica, Marco Corsini, i fondi per le demolizioni, si è sentito rispondere (il 24 luglio): «Si tratta di fatti di trascurabile importanza».

Certo, niente ecomostri tipo Punta Perotti o Fuenti. Ma in questa zona senza autorizzazione non si può montare neanche un gazebo. E chi lo fa ugualmente, spera sempre che dalla tela e dal legno, grazie a condoni o "piani casa", si possa passare poi a mattoni, putrelle, cemento.

«Le "piccole" demolizioni, come balconi o tettoie, sono le più difficili» rivela Massimo Miglio, a capo della squadra antiabusivismo regionale che è stata chiamata in causa dall’XI municipio dopo il «no» del Campidoglio. Ma la Regione Lazio ha ora coinvolto nel team anche la Soprintendenza. E oggi ci saranno anche gli archeologi dello Stato a seguire i primi abbattimenti.

«Non è fatto di sole demolizioni il nostro piano» spiega Catarci, illustrando il "Progetto di salvaguardia della legalità e della qualità ambientale nel Parco regionale dell’Appia antica e delle zone limitrofe comprese nell’XI municipio". «Ma di controllo e tutela di un territorio che, grazie alle sue bellezze, deve diventare anche una ricchezza economica». Per il suo vice, Alberto Attanasio, assessore pd all’Urbanistica, «le demolizioni, più che le condanne, hanno una grande efficacia come deterrente». Alcune volte, però, la scoperta del capannone o dell’ampliamento arriva quando l’abuso è già costruito. «In questi casi - sottolinea Miglio - si può applicare l’articolo 31 del testo unico che prevede l’acquisizione del fabbricato e fino a dieci volte la superficie del suo sedime».

Appia Antica, ruspe su villa Gaucci

Carlo Picozza – la Repubblica, ed. Roma, 12 agosto 2009

La vegetazione fitta non è bastata a coprire gli abusi edilizi nel cuore dell’Appia antica (al civico 56 di via Erode Attico), consumati nella proprietà di Luciano Gaucci. Così ieri mattina i guardaparco della Regione e gli uomini della task force contro gli abusi edilizi del Municipio XI, hanno abbattuto i due metri di sopraelevazione del fabbricato dell’ex presidente del Perugia calcio.

Tuie, cipressi, pini, alberi da frutta. Ma la vegetazione fitta della macchia mediterranea non è servita a coprire gli abusi edilizi nel cuore dell’Appia antica (al civico 56 di via Erode Attico), consumati nella proprietà di Luciano Gaucci, già patron del Perugia calcio, riparato nei villaggi turistici che a Santo Domingo ha concorso a edificare, per scansare la giustizia italiana.

Un taglio netto di cesoie alla catena che teneva serrato il vecchio cancello arrugginito e i guardaparco della Regione, gli uomini della task force contro gli abusi edilizi del Municipio XI guidati da Massimo Miglio, operai e mezzi, hanno fatto irruzione in quell’oasi verde macchiata di cemento. Trovando, con i due metri di elevazione abusiva del fabbricato centrale, pollai fatiscenti, baracche improbabili (adibite a ricovero di materiale edile pronto per la messa in opera), spciati nella domanda di sanatoria come residenze e pertinenze edilizie. «Cinque opere abusive che, senza il nostro intervento, sarebbero state condonate», commenta Miglio, che dirige in Regione l’ufficio contro gli abusi edilizi.

Ma sul blitz, è già polemica. «La demolizione nel parco dell’Appia antica», per il vicepresidente della giunta regionale, Esterino Montino, «prova che la collaborazione tra istituzioni dà risultati eccellenti in tempi rapidi. Anche sotto ferragosto». Lo dice lanciando un appello al Comune di Roma, grande assente dall’operazione di cancellazione degli scempi: «Questa collaborazione» argomenta, «potrebbe estendersi alla città tutta perché non c’è intento alcuno della Regione contro il Comune di Roma». Pronta la replica dell’assessore capitolino all’Urbanistica, Marco Corsini che, dopo i ringraziamenti di rito, critica: «Per la lotta all’abusivismo edilizio servono fondi: la Regione metta a disposizione maggiori stanziamenti per contribuire a combatterlo». «La giunta Alemanno», spiega Corsini, «è impegnata nell’azione di contrasto degli illeciti edilizi: ogni aiuto è ben accetto, nel rispetto delle competenze, ma senza puntare a riciclare qualcuno e a screditare l’Amministrazione capitolina».

Corsini si riferisce a Miglio, il supertecnico allontanato dal Comune e recuperato dalla Regione. Ma il suo intervento è giudicato «animoso» da Montino che invita a «stare ai fatti»: «Le risorse per la lotta all’abusivismo bisogna impegnarle prima di chiederne altre. Comunque, il costo finale degli abbattimenti è a carico di chi ha consumato l’abuso». Montino si sofferma sulla «qualità degli abusi edilizi»: «Spesso» dice, «germogliano nelle aree di maggiore pregio urbanistico-ambientale, per mano di cittadini che non hanno un fabbisogno abitativo primario. Si tratta di speculazioni belle e buone per lucrare sul patrimonio ambientale, e anche su quello archeologico, in barba al diritto degli altri di goderne. A Roma, come nelle aree più incantevoli della Regione ci sono grandi appetiti che devono essere contrastati senza indugi né polemiche».

"Una campagna sostenuta dai cittadini, contro gli sfregi alla Regina viarum"

Intervista a cura di Carlo Picozza – la Repubblica, ed. Roma, 12 agosto 2009

«Cancelliamo abusi edilizi nel cuore dell’Appia Antica scoprendone altri, mentre le ruspe sono al lavoro, ma con questa giunta del Comune ci sembra di combattere una guerra stellare con l’alabarda».

Andrea Catarci, presidente del Municipio XI, però non si rassegna.

Mentre gli operai stanno abbattendo la sopraelevazione di due metri della costruzione di proprietà di Luciano Gaucci, Catarci guarda alla «campagna di demolizioni di opere abusive lanciata dal Municipio con un sostegno vasto dei cittadini e delle loro associazioni ambientaliste, da Italia nostra a Legambiente». «Con risorse economiche negate dal Comune», scandisce deciso, « ci muoveremo con le nostre forze».

Perché, la giunta comunale vi ostacola?

«Sì, non ha riconosciuto al Municipio le risorse finanziarie per la lotta all’abusivismo e, quando l’abbiamo chiamata in causa segnalando illeciti come questo, ci ha risposto, con l’assessore all’Urbanistica Marco Corsini, che si trattava di episodi di "importanza trascurabile". D’altro canto la giunta Alemanno, di demolizioni ne ha già fatte di "importanti", prima tra tutte quella dell’ufficio contro gli abusi edilizi del Comune decapitandone, con il vertice, gli obiettivi e l’impronta. Siamo stati noi a servirci della competenza di Massimo Miglio, ex responsabile di quel Servizio, e a rimetterla in circolo, al servizio della città».

L’ufficio capitolino contro gli abusi edilizi, però, è rimasto.

«Certo, ma ha stretto i cordoni della borsa tenendo per sé tre milioni di euro e lasciando a secco i Municipi che combattono contro abusi devastanti con risorse e mezzi scarsi. Il Campidoglio si è prodigato più a intimidire i tecnici dei Municipi con la richiesta di improbabili motivazioni agli abbattimenti, che a sostenere la loro opera di governo del territorio per la tutela del suo patrimonio. L’intervento di oggi è stato eccezionale perché, mentre si abbatteva una sopraelevazione abusiva, abbiamo scoperto altri cinque manufatti clandestini, residenze sulla carta, pollai veri e propri, per di più fatiscenti per chi ha la possibilità di vederli. Anche per questi manufatti giaceva negli uffici comunali la domanda di condono contro la quale il Municipio ha già chiesto la bocciatura. Continueremo a perlustrare l’Appia antica e a difenderla da voracità e istinti di espansione».

Appia Antica, sorvegliata speciale. Operazioni anti-abusi: accordo tra Regione e soprintendenza

Carlo Alberto Bucci- la Repubblica, ed. Roma, 15 agosto 2009

Un patto tra Regione e Soprintendenza per fermare gli scempi sull’Appia antica, l’area più vincolata d’Italia dove però sono stati rilevati oltre 2.500 abusi edilizi. L’assessore regionale all´Urbanistica Esterino Montino nei giorni scorsi ha proposto al soprintendente Angelo Bottini un accordo per l’impiego sul territorio del Parco della sua squadra anti abusivismo. La firma del protocollo potrebbe arrivare già alla fine del mese. E nei prossimi giorni, annuncia Montino, «realizzeremo altre demolizioni come quella del piano abusivo nella villa di Gaucci».

Le forze di opposizione all’assalto del cemento all’Appia Antica hanno finalmente iniziato a fare quadrato. «Nei prossimi giorni realizzeremo altre demolizioni come quella nella villa di Gaucci appena eseguita» annuncia Esterino Montino, assessore regionale all’Urbanistica. Che aggiunge: «A settembre entrerà a far parte del nuovo sistema anti-abusi edilizi anche la Soprintendenza archeologica». Così, dopo le diversità d’opinione con il ministero Beni culturali che ha posto vincoli paesaggistici nell’Agro romano, la Regione ora stringe alleanze con lo Stato per difendere il parco dell’Appia Antica (l’area più vincolata d’Italia) da circa 2500 abusi edilizi.

Nei giorni scorsi Montino ha spedito agli uffici del soprintendente Angelo Bottini una proposta di accordo mettendo a disposizione - come ha già fatto nei confronti del I e dell’XI municipio con la firma dell’intesa di luglio - la squadra anti abusivismo regionale: 18 persone, guidate da Massimo Miglio, che grazie a una legge regionale del 2008, possono intervenire con le ruspe laddove i Comuni non lo fanno; oppure su richiesta esplicita delle amministrazioni locali.

Gli archeologi statali sono d’accordo e firmeranno presto il protocollo d’intesa. Entusiasta anche Adriano La Regina, presidente del Parco regionale dell’Appia Antica: il quinto "giocatore" del nuovo team anti scempio nella Regina viarum; e poiché l’ex soprintendente di Roma è anche consulente della Sovrintendenza comunale, c’è da sperare nei suoi buoni uffici per coinvolgere il Campidoglio nella partita. «Ho fatto un pubblico appello al sindaco Alemanno e all’assessore Corsini per estendere questi interventi in tutta la città» spiega Montino. Il vicepresidente della giunta è certo che «la collaborazione con le istituzioni è fruttuosa». E che a settembre «il consiglio voterà finalmente il "piano di assetto" del parco che porterà allo spostamento delle attività produttive oltre il Gra».

La task force che deve controllare 3500 ettari di parco è composta, tra l’altro, da 16 guardiaparco regionali, 5 archeologi statali, 2 dei 7 vigili urbani dell’XI gruppo addetti all’edilizia. Non è molto ma il coordinamento fa la forza. «Nell’ultimo anno - sostiene Montino – c’è stato un vuoto politico nella lotta all’abusivismo. L’aggressione ha fatto un salto di qualità: non abusivismo di necessità, ma lo scempio tra le mure di case lussuose e ville faraoniche e in zone di altissimo pregio come il centro storico, l’Appia, il Litorale».

Rita Paris l’archeologa responsabile della zona: "C’è il rischio Piano casa"

Intervista a cura di Carlo Alberto Bucci - la repubblica, ed. Roma, 15 agosto 2009

«La proposta di accordo della Regione è sul nostro tavolo, il soprintendente Bottini ne ha preso atto "con soddisfazione" e anche io sono contenta di questa intesa che coinvolge anche il I e l’XI municipio: a fine mese firmeremo il protocollo» dice Rita Paris, l’archeologo dello Stato responsabile della Regina viarum.

Voi continuerete a segnalare gli abusi, loro interverranno più rapidamente. Ma anche sugli scempi meno recenti?

«Su tutti, indipendentemente dalla data. Eccezion fatta per gli abusi per i quali è stato chiesto il condono edilizio».

Ora non ci sono altre sanatorie in vista. Eppure sembra che siano aumentati gli illeciti anche nell’area super vincolata dell’Appia antica. Le risulta? E perché?

«Purtroppo è vero. Ed è stato il "Piano casa" del governo che, sebbene non riguardi in nessun modo le aree protette, ha risvegliato molti appetiti».

I condoni, veri o presunti, sono il cancro dell’Appia antica.

«Sì, Roberto Cecchi (neo commissario per l’archeologia romana, ndr) si è detto letteralmente "sconcertato" dopo aver letto la nostra relazione: ci sono tutti i tipi di vincoli, però qui si continuano a fare abusi di ogni sorta».

Il parco è per il 95 per cento in mano ai privati.

«Sono molti i proprietari che rispettano le regole e che, con la buona manutenzione del verde, fanno un servizio prezioso per la collettività. Però lo Stato deve aumentare la percentuale di proprietà pubblica e investire nella conservazione e negli scavi archeologici».

Nei ricorsi spesso però il Tar vi dà torto. Perché?

«Perdiamo per cavilli burocratici impugnati dagli avvocati. I giudici amministrativi dovrebbero però capire che ci vuole una visione più ampia del problema. La posta in gioco è la salvaguardia di un bene pubblico di immenso valore: l’Appia».

Non basta il lavoro dei guardiaparco che vigilano nel parco della «Regina Viarum ». E non basta neanche il controllo dei tecnici del Municipio. Sono oltre duemilacinquecento gli abusi edilizi, quindi i fascicoli aperti negli uffici dell’XI municipio, sull’Appia Antica e che si dovrebbero sanare con l’abbattimento.

Una tendenza in continua crescita, visto che solo dal 2007 le opere illegali sulla «Regina Viarum» sono state oltre cento. «Situazioni che stiamo analizzando per capire la gravità e per decidere in che modo possiamo intervenire », racconta Andrea Catarci, presidente del Municipio. «Parliamo ovviamente di illegalità di vario tipo - spiega Massimo Miglio, dirigente dell'ufficio regionale sull’abusivismo edilizio - che vanno dai passi carrabili, alle ristrutturazioni, dalle sopraelevazioni ai cambi di destinazione d’uso». Abusi e microabusi che gravano su una delle strade più «pregiate» del mondo, nonostante i vincoli paesaggistici ed archeologici che dovrebbero proteggerla. Ma è proprio la sua storia millenaria a rendere più facile gli illeciti edilizi, nascosti dietro giardini alberati, monumenti funerari e pietre miliari.

«Proprio per la tipologia della zona - racconta Catarci - completamente all’interno di un parco, una grande area archeologica e paesaggistica dove è facile nascondere gli abusi. Una tendenza che secondo i nostri accertamenti è in continuo aumento, e che noi vogliamo contrastare attraverso una meticolosa operazione di controllo e prevenzione ». Per questo motivo, mentre la Capitale si godrà il silenzio e il riposo della settimana di Ferragosto, la task-force antiabusivismo guidata da Massimo Miglio (è stato il vicepresidente della Regione Lazio, Esterino Montino a dargli la delega a lavorare con i municipi), in collaborazione con Andrea Catarci e Orlando Corsetti (I municipio) si prepara a fare un lavoro di ricognizione completa sull’Appia Antica. E probabilmente proprio sotto il sole agostano qualche veranda abusiva o qualche ampliamento di metratura non consentito sarà demolito.

«Abbiamo duecento richieste di condono - continua Miglio - che impediscono controlli, ma anche eventuali demolizioni, anche su strutture per cui sarà impossibile alcuna sanatoria. Come ad esempio l’ex-Casa del Fascio, di via Appia Nuova, all’interno del Parco dell’Appia Antica, dove hanno ricavato 18 miniappartamenti. Un frazionamento illecito, un cambio di destinazione d’uso che ha provocato il sequestro da parte della Procura di Roma».

Oltre il 70% degli abusi all’interno del Parco e sull’Appia Antica pesano sull’XI municipio. «E la responsabilità penale della materia è tutta in capo ai Municipi - precisa Catarci - per questo abbiamo chiesto 50 mila euro al bilancio di assestamento capitolino: non abbiamo ricevuto nulla, ma in ogni caso dobbiamo continuare il nostro lavoro di controllo e prevenzione sul territorio. Fondamentale sia per ristabilire la legalità urbanistica e quindi il decoro di una zona di altissimo pregio. Sia per dissuadere in futuro altri dal commettere irregolarità».

Per intervenire nei confronti di un abuso edilizio il Municipio ha due strade: l’intervento diretto, oppure può rivolgersi all’ufficio regionale, ma solo dopo aver dimostrato l’eventuale inadempienza del Comune di Roma. «Per operare in questo delicatissimo settore - conclude Miglio - è molto importante conoscere l’urbanistica che è materia davvero complicata. La città di Roma è ormai fuori controllo urbanistico, ma manca una visione puntuale del territorio, bisogna tornare ad occuparsene ».

Appia Antica, ultimo sfregio due capannoni sulle antiche ville

Carlo Alberto Bucci – la Repubblica, ed. Roma

In quel campo che copre qualche villa agricola romana dell’Appia antica, senza permesso non si potrebbe piantare nemmeno un albero ad alto fusto. Invece nel verde di Torricola, tra la strada di basole e il Fosso delle Cornacchiole, sono spuntati da un giorno all’altro due capannoni. Industriali. In acciaio. E completamente illegali.

La scoperta l’hanno fatta i funzionari della Soprintendenza archeologica e i vigili urbani dell’XI Municipio. Che ieri non sono nemmeno potuti entrare nell’area vincolata. Semplicemente perché non gli hanno aperto. "Non si può più tollerare questo scempio" denuncia Rita Paris, l’archeologa della Soprintendenza responsabile dell´area. "Nel parco dell´Appia dall’88 c’è un vincolo archeologico che vieta costruzioni anche di carattere provvisorio. Quante ne abbiamo visti di tendoni o di serre che poi sono diventati supermercati o ville in muratura". Il carattere agricolo delle tenute Torricola e San Cesareo va rispettato, mantenuto, rilanciato. Esiste un piano del parco e uno paesaggistico che devono solo essere integrati, quindi applicati. In attesa, l’abusivismo dilaga.

COMUNICATO della SOPRINTENDENZA SPECIALE per i BENI ARCHEOLOGICI di ROMA

Appia Antica: segnalazione abusi in località Torricola di elevato interesse archeologico e all’interno del Parco Regionale.

La proprietà ex Borgia (Nicolò) ora in affitto alla Società SARV srl di Antonio Bucarelli è compresa in un vasto pianoro delimitato dalla via Appia Antica, dal Fosso delle Cornacchiole, costituito dal banco di selce della colata lavica di Capo di Bove che disegna la morfologia e l’assetto di tutto l’ambito territoriale dell’Appia.

La zona, con vincolo archeologico del 1988, riconosciuta dal PRG come zona N (parco pubblico di straordinario interesse archeologico, storico, ambientale, paesaggistico) conservava fino agli anni ’70 il suo carattere agricolo, occupata per la maggior parte dalle Tenute di Torricola e di San Cesareo; nel 1988 è stata ricompresa nel Parco Regionale dell’Appia Antica.

Le costruzioni a carattere abitativo attualmente esistenti sono dovute a trasformazioni di manufatti agricoli (stalle, ricoveri di vario genere per la conduzione di attività agricole e pastorali) ai quali si sono aggiunti nuovi edifici per ampliare la destinazione residenziale.

Le prescrizioni del vincolo di tipo "indiretto" fanno divieto di realizzare costruzioni anche a carattere provvisorio, di piantare alberature di alto fusto, in quanto incompatibili con le esigenze di luce, prospettive e godimento dei monumenti dell’area e del contesto ambientale , con l’obiettivo di conservare quei caratteri del territorio che, dall’antichità, sono rimasti immutati con la vocazione insediativa ad uso preminentemente agricolo e pastorale ripresa dai casali storici di San Cesareo e Casale Tittoni.

Alle già gravi trasformazioni e alterazioni che quest’area ha subito si aggiunge ora un nuovo sfregio: sono stati realizzati due grandi capannoni per centinaia di metri quadri, non precisamente quantificabili in quanto non è stato concesso l’accesso per la verifica né alla Soprintendenza, né ai Vigili del Gruppo Edilizia XI Municipio. Già da anni erano stati bloccati tentativi di edificazioni e recinzioni, piantumazioni e scavi per tubature di acqua. Tutto sempre senza chiedere la preventiva autorizzazione agli Enti di tutela.

Questo ennesimo tentativo di abusare di un territorio che dovrebbe essere un parco archeologico e ambientale, che ha visto decenni di impegno per la sua salvaguardia da parte di personaggi come Antonio Cederna, qualora non perseguito, costituirebbe un ennesimo gravissimo precedente per comportamenti contro il rispetto delle leggi. Tutto questo accade nel momento in cui le Istituzioni coinvolte stanno concludendo, con enorme impegno, i lavori per dotare il Parco dell’Appia di un Piano che costituisca il riferimento certo e definitivo per questo territorio tanto pregiato quanto tormentato.

ROMA - Era il grande sogno di Antonio Cederna, firma storica dell’ambientalismo italiano e in particolare del nostro Gruppo editoriale. Il super-parco dell’Appia Antica, cioè l’ampliamento del parco archeologico e paesaggistico più famoso del mondo, fu varato il 9 settembre 2005 dalla giunta regionale, presieduta allora come oggi da Piero Marrazzo. E la proposta dell’assessore all’Ambiente, Angelo Bonelli, venne approvata successivamente anche dal Comune e dalla Provincia, guidati rispettivamente da Walter Veltroni e da Enrico Gasbarra. Ma a distanza di oltre tre anni il progetto è ancora sulla carta, nei cassetti o negli archivi della Regione Lazio. Il sogno di Cederna rischia così di svanire nel dimenticatoio del Malpaese, sotto una colata di cemento che già s’annuncia alle porte. Se la proposta finalmente non diventerà legge, in mancanza o nel vuoto di un vincolo regionale, presto le amministrazioni comunali di tutta la zona potranno autorizzare l’edificazione di oltre un milione di metri cubi: e perciò i comitati popolari del Colle della Strega, dove ne sono previsti circa settantamila per costruire due palazzoni di sei piani ciascuno, sono tornati in strada per protestare contro questa minaccia incombente.

Con l’ampliamento di 1.600 ettari, dagli attuali 3.400 a 5.000, il polmone verde dell’Appia Antica è destinato a collegare il cuore imperiale di Roma con i Castelli Romani, dalle Terme di Caracalla fino al santuario del Divino Amore a Castel di Leva. Nei nuovi confini del parco, dovrebbe rientrare dunque anche il territorio di Tor Fiscale, attiguo all’area degli Acquedotti immortalata nei dipinti di tanti artisti italiani e stranieri nel corso dei secoli. Fu proprio dalle pagine di Repubblica che a suo tempo anche l’ex sovrintendente, Adriano La Regina, aveva chiesto di tutelare le preziose testimonianze archeologiche di epoca romana e preistorica, disseminate in un variegato sistema ecologico composto da bosco, sottobosco, pascolo brado, querceti, lecceti e olmi campestri: l’habitat naturale in cui trovano riparo 37 specie di uccelli, otto di mammiferi, quattro di rettili e tre di anfibi.

Sono sei le aree interessate al progetto di ampliamento: da Porta San Sebastiano, 33 ettari del centro storico di Roma, al Campo Barbarico con i sei acquedotti più importanti degli 11 che rifornivano Roma in età imperiale, convogliando gran parte delle 13 tonnellate d’acqua al secondo distribuite in città; dalle Capannelle, dove si trova l’Ippodromo, al fosso delle Cornacchiole particolarmente ricco di vegetazione; dalla Cecchignola e dal Colle della Strega fino al santuario della Madonna del Divino Amore, luogo di culto e méta di pellegrinaggio. «È un patrimonio storico e culturale, oltre che ambientale e paesaggistico, di straordinaria importanza anche dal punto di vista turistico», sottolinea ora con preoccupazione l’ex assessore Bonelli.

Nel settembre 2005, la sua proposta fu approvata all’unanimità. E a quell’epoca lo stesso presidente Marrazzo dichiarò trionfalmente: «È un altro passo verso la costruzione di un sistema integrato di parchi e riserve che dovrebbe avvolgere Roma come una cintura verde, garantendo quell’equilibrio tra zone urbanizzate, agricole e naturali che da sempre caratterizza la città e tutta la zona dell’antica campagna romana». Ma da allora a oggi sono passati ormai più di tre anni.

Nonostante il ritardo, e il pericolo che nel frattempo si lascino scappare i buoi prima di chiudere la stalla, alla Regione Lazio confermano tuttavia l’intenzione di andare avanti. «C’è un accordo politico - assicura l’attuale assessore all’Ambiente, Filiberto Zaratti - per procedere in tempi rapidi: il Parco dell’Appia Antica resta per noi una priorità». Lui stesso non nasconde però le difficoltà e le resistenze opposte soprattutto dai Comuni di Roma e di Marino, interessati a fare cassa con le licenze edilizie: per quanto riguarda la Capitale, si tratta di 72 mila metri cubi al Colle della Strega che potrebbero anche essere “delocalizzati”, concessi cioè altrove; nel secondo caso, invece, si parla addirittura di due milioni di metri cubi e la partita diventa perciò molto grossa. Dall’approvazione in giunta al voto definitivo del Consiglio regionale, il passo quindi non sarà né breve né facile.

Una Ztl speciale per l’Appia Antica. "Dopo porta San Sebastiano si crea un imbuto d’auto, i turisti non possono neanche camminare. Mettiamo anche nel Parco le telecamere della ztl consentendo l’ingresso solo ai visitatori, ai clienti dei ristoranti, a chi ci lavora, ai residenti e ai loro ospiti. Così elimineremo il 90 per cento del traffico di attraversamento, di chi usa il Parco per andare da Ciampino al centro. E restituiremo all’Appia i caratteri propri di un parco cittadino". È la proposta che ieri il presidente dell’Ente Parco, Adriano La Regina, ha messo sul piatto del tavolo sulla Regina viarum convocato dall’assessore comunale alla Cultura Umberto Croppi. Che giudica "ottima" l’ipotesi della Ztl: "La regolamentazione del traffico nei 3500 ettari del parco è uno dei punti che toccheremo nella Road map di rilancio dell’antica consolare". E il 30 gennaio Croppi si impegnerà "fortemente" per inserire la "questione Appia" tra le priorità del "tavolo su Roma" che il sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro coordinerà tra Stato e Campidoglio: riconoscere l’unità esistente tra Appia e area archeologica centrale (la Regione vuole estendere il perimetro del Parco fino a porta Capena) significa estendere i finanziamenti straordinari anche oltre porta San Sebastiano.

È proprio nel primo tratto dell’Appia che si concentrano due dei molti problemi: il traffico asfissiante (circa 2000 auto l’ora nelle ore di punta) e il muro invisibile (come quello vero, ai Fori, tra Stato e Comune) tra i monumenti gestiti dai vari enti. "Dobbiamo mettere a sistema alcune risorse ignorate dal circuito turistico, a partire da Porta San Sebastiano dove c’è il Museo delle Mura Aureliane, che è comunale e sempre deserto" ha spiegato Croppi. L’assessore punta molto a rilanciare l’economia verde del parco, attraverso agriturismo nei casali e agricoltura ecologica. "Tutto ciò è già compreso nel "Piano di assetto", che è anche di gestione, redatto dal Parco e in attesa di approvazione, con quello paesaggistico, da parte della Regione", ha sottolineato la direttrice del Parco Alma Rossi.

All’incontro era presente anche la Fondazione Gerini, istituzione dei Gesuiti che possiede 400 ettari e 20 casali. E c’era, tra gli altri, la responsabile per l’Appia della Soprintendenza statale, Rita Paris. "Se potessimo finalmente smettere di occuparci dei continui abusi, potremmo tutti insieme pensare alla valorizzazione dell´area che passa anche, eliminato il traffico di attraversamento, per un migliore trasporto pubblico". L’archeologa ha un’idea per l’Appia antica, quella fatta di antiche basole e sampietrini. "Va restaurato innanzitutto il tratto rovinato dagli alberi caduti col maltempo. E va istituita una navetta bus che percorra ininterrottamente la strada portando i turisti da Cecilia Metella ai Quintili, agli agriturismo".

Hanno appena finito di parlare i rappresentanti del Ministero, il Direttore generale ed il Soprintendente e c’è un imbarazzo palpabile, nell’aria umida di questa mattina di mercoledì 12 novembre. Certamente molta contentezza. Nella Villa Capo di Bove, al numero duecentoventidue della via Appia Antica, tre piani con giardino impastati di storia (nel senso letterale del termine), si celebra la vittoria del pubblico sulle private esigenze. Quelle della Roma mattonara con la passione dell’antiquariato che in questa villa, una mattina d’agosto del 2002 prese le valige e sparì. Della misteriosa chiamata che avvertì le soprintendenze della compravendita in atto e consentì allo Stato italiano l’esercizio del diritto di prelazione. Il resto è lieto fine. Una vittoria da respirare a pieni polmoni, senza se, senza ma, e senza anche. Mi aggiro tra le stanze della villa tra colonne di spoglio, mattoni, fregi altomedievali: qui tutto proviene da sottrazioni illecite alla regina viarum e probabilmente anche da oltre. Un amico del nucleo tutela dei Carabinieri oggi sembra un bambino in un grande negozio di giocattoli. Mi addita un fregio dei Borgia incastonato in un muro della villa come una mandorla nel torrone di natale. Intorno è un tripudio di archeologia bricolage.

A far parlare i muri dei “ canili di lusso dell’Appia Antica” penseranno ora però gli articoli, i libri e gli scritti privati di Antonio Cederna che dopo tante peregrinazioni, trovano definitiva ospitalità in questa sede che regala ai visitatori l’unico cancello aperto nel raggio di decine di ville. Anche loro, le ville di questa immensa consolare, una dopo l’altra come grani di un rosario interminabile, sono lì a ricordarci la carrellata delle occasioni mancate per istituire quel che avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni dei padri fondatori, il Parco archeologico-naturalistico più grande ed importante d’Italia. Nulla di ciò. l’Appia Antica è ancora un parco regionale, con tutti le limitazioni e gli accidenti di una forma amministrativa forse troppo leggera per un territorio così grande e delicato. In molti tratti l’Appia ricorda una bel-hair nostrana perennemente in bilico tra tradizione e devastazione. Così, si procede ancora nel crepuscolo. Dispiaceri per chi aspettava dai rappresentanti del Ministero, nel giorno della revanche cedernista, parole come bronzo fuso per sigillare patti e promesse. Illuso chi fidava nell’evento come occasione per teorizzare una Bad Godesberg ambientalista della tutela. La musica del Ministero dei beni culturali suona da qualche tempo le stesse note: Stato leggero (diciamo in ritirata), mettere “a reddito”, valorizzare, coinvolgere i privati, Fondazioni, Regioni, comuni… e nel sempre più confuso lessico italiano della tutela, lo spauracchio ”esproprio pubblico” evocato come errore grammaticale grave, da matita blu. Dunque un impiastro di cose ed Entità così eterogenee e conflittuali da far invidia ai muri perimetrali delle ville dell’ Appia Antica.

Quando ti saresti aspettato la proposta più logica e più semplice (quanto di più appropriato all’illuminista Cederna, uomo della modernità), cioè finalmente il parco nazionale, ecco il Direttore Generale dei Beni archeologici d’Italia De Caro, invocare ora il Turco (“basta associare la tutela dell’Appia con lo Stato italiano, dobbiamo coinvolgere anche l’Europa e la Turchia in un grande parco europeo”), ora quella riedizione benculturalista della Società delle Nazioni chiamata Unesco (“Sarà difficile, poiché l’Italia ha già fatto il pieno di siti ma faremo di tutto per far inserire l’Appia Antica tra i siti Unesco”). Ignora il De Caro evidentemente, che in Italia la protezione Unesco ha la cogenza normativa di salvaguardia del bollino blu appiccicato alle note banane.

Non migliora la situazione quando a prender la parola tocca ad Umberto Broccoli, una vita a metà tra l’archeologia medievale e la Rai, ora nuovo Sovrintendente di Roma (a Roma, unica in Italia, c’è una Soprintendenza con la “v” nominata dal Sindaco).

Chi abbia sin qui seguito le prime uscite pubbliche del nuovo Sovrintendente avrà riconosciuto un canovaccio retorico chiaro: si comincia soft, si omaggia Cederna, si accarezza Italia nostra, e ci si irrigidisce pian piano… con finale rossiniano a colpi di piatti, grancassa e “ Bisogna mettere a reddito! Bisogna mettere a reddito i beni culturali, lo dico un’altra volta: Bisogna far rendere il nostro patrimonio!”. Forte e chiaro Maestro. C’è tempo per sentir paragonata la romana Tor dei Conti ad “ un grattacielo medievale”(sic!) con la proposta di creare nel suo ventre “ librerie specializzate su Roma ed all’ultimo piano un ristorante od un caffè letterario”..Telesogni. Abbasso lo sguardo come molti e mi occhieggia dalla pagina del giornale di oggi, una bella foto di Antonio Cederna. Sorride diritto in faccia alla camera, è una giornata di sole nella sua Appia antica, la figura magra, il volto affilato, tagliente come la sua penna, seduto pigramente sopra un “rudero” immerso in un mare d’erba. Sembra lui il genius loci dell’Appia ma forse, e sorrido anch’io nonostante Broccoli, somiglia più ad uno di quei piccoli e semplici volatili tanto cari agli antichi greci ed ai romani, capaci di vedere nell’oscurità e di indicare a tutti gli uomini di buona volontà il giusto sentiero che passa quasi sempre per Ragione e ragionevolezza. C’è ancora molto bisogno di Antonio Cederna, vedere per credere.

L'archeologa Rita Paris, responsabile per l'Appia antica della Soprintendenza di Roma, interviene sul caso della villa-scempio descritto ieri da Repubblica. Racconta di aver subito «pressioni di ogni genere» in seguito alla prelazione che ha esercitato sulla tenuta messa in vendita dai Salabè. «Premetto che lavoro sulle pratiche e non contro le persone. E che non ci stiamo accanendo contro i privati, poiché attuiamo la prelazione solo nei casi di vendita spontanea».

Così è stato per la Villa dei Quintili. E con i Salabè?

«Nel giugno 2001 la Frasa dei Salabè ci ha notificato - dato che tutta l'area è vincolata dal 1995 - che mettevano in vendita la proprietà. Ma la vendita è stata realizzata pochi giorni dopo a vantaggio della società Posta del Borgo, di Andrea Meschini, senza rispettare i 60 giorni di tempo previsti dalla prelazione. Da quel momento, è iniziata una vera battaglia».

Con quali armi?

«Le mie armi sono state ore e ore alla scrivania, nel rispondere a infondate e diffamanti dichiarazioni, per spiegare le ragioni delle azioni mirate esclusivamente a tutelare e acquisire al pubblico parti del parco dell'Appia. Loro, hanno prodotto una serie interminabile di ricorsi e sono intervenuti presso i miei superiori con i quali ho dovuto giustificare il mio operato. E ci sono state due interrogazioni parlamentari, del senatore della Margherita Giuseppe Vallone, relative a questa prelazione ma anche a quella di Capo di Bove, di proprietà fino al 2002 della famiglia Streccioni».

Cosa volevano sapere?

«Mi hanno chiesto perché lo Stato fosse interessato a queste proprietà. Perché? Siamo nella tenuta della Farnesiana, che il Piano di assetto del Parco regionale dell´Appia Antica prevede diventi tutto di proprietà pubblica. E a Capo di Bove a fine ottobre apriremo completamente al pubblico, gratuitamente, la villa grande, e renderemo consultabile l´Archivio di Antonio Cederna».

C'è un errore nel vincolo della proprietà già dei Salabé?

«Il vincolo fu notificato alla Frasa su tutte le particelle catastali. Ma all'Ufficio del registro fu fatto un errore materiale per cui, su alcune particelle, il vincolo è stato riportato alla vecchia proprietà, la Farnesiana srl».

Poi ci sono gli abusi edilizi, inizialmente condonati. Perché?

«Un mese prima dell'atto di vendita, L'Ufficio condono edilizio del Comune ha rilasciato concessioni edilizie in sanatoria ma senza consultare il parere delle due Soprintendenze, l'archeologica e la monumentale. Dopo varie mie segnalazioni, e riscontrato l'errore, le concessioni in sanatoria sono state ritirate».

Cosa chiede al Demanio?

«Di acquisire rapidamente l'area utilizzando i 425mila euro pronti dal 2001. Non verranno spesi tutti, perché su alcune particelle catastali c'è stato l'errore di registrazione. Ma quando entreremo in possesso di quelle vincolate, potremo provvedere alla demolizione degli abusi che vi si trovano».

Appia, la villa-scempio degli 007

Alberto Custodero – la Repubblica, ed. Roma, 30 agosto 2008

È da sette anni che la Soprintendenza archeologica tenta di acquistare dalla società Frasa di Adolfo Salabè (l’architetto balzato agli onori delle cronache negli anni 90 perché coinvolto nello scandalo dei fondi neri del Sisde), una tenuta nel cuore dell’Appia Antica. È il pezzo mancante del puzzle per fare di quell’area del Parco fra la colata lavica di Capo di Bove e il sepolcro di Cecilia Metella un unico luogo aperto al turismo in cui storia e natura si sposano felicemente. Gli uffici del ministero dei Beni Culturali ci stanno provando, ma non ci sono ancora riusciti perché i proprietari le hanno tentate di tutte pur di non cedere il complesso immobiliare allo Stato che vanta il diritto di prelazione.

Quella tenuta del contendere di 30 mila metri di terreno con edifici al suo interno quasi tutti abusivi (negli anni Cinquanta c´era una cava di basalto), si trova in via Ardeatina 285. Là, in quei locali lontani da occhi indiscreti, negli anni Novanta furono ospitati gli archivi degli 007, in attesa che la sede dei servizi segreti di Monte Oppio venisse ristrutturata dalla Frasa dei fratelli Salabè.

La contesa fra i Beni Culturali e i Salabè è la più lunga del genere. Senza contare che la direttrice della Soprintendenza, Rita Paris, è stata in questo tempo sottoposta a pressioni di ogni genere. E’ la stessa Paris a denunciarlo a Repubblica: «In tutti i modi - ha dichiarato - hanno tentato di impedirmi di acquisire quell’area nella disponibilità del Parco. Ho subìto pressioni di ogni genere. Due interrogazioni parlamentari hanno messo in cattiva luce la mia iniziativa. E c’è chi ha provato - senza ovviamente riuscirci - a corrompermi».

Questa strana storia ha inizio l’11 giugno del 2001 con un giallo, quando, nell’ufficio del notaio Giancarlo Mazza (il professionista arrestato quest´anno per una serie di truffe), vengono redatti, a distanza di 4 giorni, 2 misteriosi passaggi di proprietà. Nel primo, la Frasa dei Salabè vende il complesso immobiliare di via Ardeatina ad un’altra società di famiglia, la Cober. I Salabè vendono a se stessi. Nel secondo, la Cober cede il tutto alla società locataria, la Posta del Borgo dell’immobiliarista Andrea Meschini. Ma quei due atti contengono una stranezza, e una irregolarità. È strano, infatti, che nello stesso rogito siano stati dichiarati 2 prezzi di vendita differenti. «Il prezzo convenuto - si legge negli atti - è di 425 mila euro, ma il valore dichiarato dalle parti, ai soli fini fiscali, è di un milione e 380 mila». Perché questa differenza di valore? Per legge l’imponibile fiscale è solo la somma di denaro transitata fra le parti. Perché dichiararne un altro, è per di più di un ammontare superiore? Dopo questa stranezza, l’irregolarità.

Nonostante nello stesso rogito si concedano 2 mesi di tempo ai Beni Culturali per esercitare il diritto di prelazione grazie al vincolo archeologico, lo stesso notaio Mazza sigla la seconda vendita appena 4 giorni dopo la prima, senza aspettare i 60 previsti dalla legge, triplicando l’imponibile fiscale. Perché i Salabè hanno tutta questa fretta di vendere la proprietà al loro inquilino? Quest’ultimo atto notarile viene nascosto alla Soprintendenza, che fa scattare la prelazione sulla prima società venditrice, la Frasa, scatenando il ricorso al Tar della Cober. Cioè dei Salabè. L’interminabile schermaglia giudiziaria passata per i 2 gradi della giustizia amministrativa e un parere dell’Avvocatura generale dello Stato, si è conclusa a favore dei Beni Culturali. Ad eccezione di alcune particelle della proprietà sfuggite alla prelazione per un vizio di forma, la Soprintendenza può diventare proprietaria di una cospicua parte del complesso immobiliare che s´incunea nell’Appia Antica. Può. Anzi, potrebbe.

Nonostante la Soprintendenza fin dal 2001 abbia a disposizione i 425 mila euro per l’acquisto, il Demanio – l’ente che deve procedere alla transazione per conto degli uffici ministeriali - non ha ancora proceduto, inspiegabilmente, a prendere possesso della proprietà. Perché? Nei giorni scorsi, nei confronti dell’agenzia demaniale è scattata la diffida della Soprintendenza. In quell’aut aut, al Demanio è stato imposto di acquisire l’area e, in caso di rifiuto da parte del Meschini di cederla, di procedere allo sfratto amministrativo.

Ma c’è un altro capitolo di questa storia che vede sempre protagonisti i Salabè e Andrea Meschini: è quello degli abusi edilizi e dei falsi condoni. Gran parte del complesso edilizio, infatti, è stato costruito dai Salabè prima, e da Meschini poi, senza licenze, trasformando gli originali magazzini dell´ex cava in una lussuosa villa. La Frasa aveva chiesto un condono generale, il Comune in un primo tempo gliel’aveva concesso, salvo poi fare una precipitosa retromarcia perché - e questo è un altro mistero - non aveva chiesto il parere, che è stato poi negativo, alla Soprintendenza, titolare dei vincoli. A quel punto sono scattate due indagini dei guardiaparco coordinate dal pm Maria Cristina Palaia. La prima, sulle opere abusive, s’è conclusa con la condanna in primo grado di Andrea Meschini a un anno di arresto per reati edilizi. La seconda, invece, è relativa a un condono, risultato inveritiero, presentato in comune dai fratelli Mario e Adolfo Salabè, entrambi indagati per falso in un’inchiesta tuttora pendente dal gip. È il caso di una torretta nella quale, secondo una dichiarazione della Frasa, avrebbero dovuto esserci alcuni uffici. In quell’antico manufatto, invece, i guardiaparco, anziché uffici, hanno scoperto una cabina elettrica dell´Acea, in funzione, ininterrottamente, dal 1935.

Il casale degli abusi edilizi nel parco delle meraviglie

Carlo Alberto Bucci -la Repubblica, ed. Roma, 30 agosto 2008

Se non fosse per la tramoggia della vecchia cava trasformata illegalmente in salottino o per la centralina dell’Enel tinta di rosa e fatta passare abusivamente per palazzina di uffici, il casale nel verde venduto dai Salabè ad Andrea Meschini sarebbe uguale alle altre preesistenze della Farnesiana: intatto. Infatti, la tenuta di 25 ettari circa, vincolata alla metà degli anni Novanta e inserita nel Parco regionale dell’Appia antica, presenta quel continuum tra natura e archeologia, economia rurale e architettura medievale, che costituisce per Salvatore Settis la peculiarità del patrimonio italiano, il marchio distintivo «dell’identità nazionale».

Si tratta di un pianoro, costituito dalla colata lavica che dall’Appia declina sino all’Ardeatina, che il Piano di assetto del parco (pronto da anni ma ancora in attesa del via libera della Regione) prevede diventi di proprietà pubblica. La Soprintendenza statale è pronta ad entrare in possesso del casale già Salabè. Mentre l’ente Parco ha avviato i lavori di restauro delle Vignacce: il casale settecentesco ospiterà un centro studi, per documentare l’attività agricola dall’età romana (vi coltivavano anche le rose) a quella medievale (soprattutto vigne), fino all’Ottocento; ma anche alcune stanze da letto, modello per quella tipologia di attività ricettive "leggere" - stazioni di riposo per cicloturisti o per i podisti del trekking - che la tenuta, venduta nel 1810 dai Farnese ai Torlonia, e oggi per lo più di proprietà della Farnesiana srl, potrà ospitare in un quadro di predominante conservazione del paesaggio rurale e dell’economia agricola.

La Farnesiana, visitabile solo grazie alle passeggiate organizzate dalle guide del Parco, è parte del pianoro denominato Zampa di Bove, estremità di quella colata che ha nella tomba di Cecilia Metella il Capo di Bove. È fiancheggiata dalle antiche Appia e Ardeatina ma era percorsa in antico da una fitta rete viaria, tra cui la via Asinaria, di collegamento tra le varie ville romane, ancora tutte da scavare seguendo i resti affioranti. Ad esempio, le strutture d’epoca romana sepolte sotto la diruta torre di Zampa di Bove, alta 15 metri e appartenente a un castelletto medievale, affiancata dalla rovina di un edificio detto "ninfeo" per la presenza di una piccola abside.

La tenuta delle meraviglie conserva inoltre il più grande bosco di querce del parco: lecci, roverelle, e sughere. Ed è nel sottobosco di biancospini e marruche che i guardiaparco, coordinati da Guido Cubeddu, tendono le reti per la cattura di upupe, civette e picchi verdi che, ricevuto l’anello intorno a una zampa, vengono poi liberati. E tornano così a volare intorno ai resti delle 5 torri medievali di vedetta, innalzate sfruttando al meglio i dieci metri di altezza, sul livello della campagna, del pianoro lavico costruito dall´ultima fase di attività del Vulcano Laziale, 190mila anni fa. Da lassù, è assicurato il belvedere sulla Città Eterna, dal Colosseo alla cupola di San Pietro. Ed è possibile zoomare sull’integrità di natura e cultura di questo lembo di campagna romana faticosamente sottratto all’avanzata dei palazzi moderni.

Occhio all'Appia. Da qualche settimana quella che è stata definita come una tra le più belle vie del mondo va subendo una serie di impressionanti attacchi e violazioni. Il primo caso, circa un mese fa, ha riguardato l'installazione di una piscina da 25 metri per 20 e profonda 4. Viene spontaneo domandarsi: che fine ha fatto tutta la terra sbancata? Un sito archeologico, infatti, non è solamente uno scrigno, bensì un inestimabile archivio di dati. Le scavatrici che ne devastano i tesori, distruggono al contempo informazioni di inestimabile valore per gli studiosi. Malgrado i divieti del Parco regionale e della Sovrintendenza archeologica, il circolo del tennis all'Acquasanta e lo Sporting Palace hanno scavato, costruito, elevato muri in cemento armato e sopraelevazioni. Ma non è tutto. Qualche giorno fa, a 200 metri dall'Acquedotto dei Quintili è stata costruita una struttura in ferro destinata alla ristorazione e dotata di alcuni banchi da supermarket.

Potete immaginare un abuso simile in mezzo alle Piramidi o ai monumenti aztechi? Ebbene, ciò che nessuno oserebbe fare in Egitto o in Messico, è invece realizzabile in Italia, nel cuore stesso della Capitale. La gravità dell'accaduto appare evidente, se paragonata alla situazione di nazioni che dovrebbero possedere una cultura civica teoricamente più esile della nostra. Ma ormai non dobbiamo più paragonarci al nord Europa o agli Stati Uniti (nazioni dove è diffuso un elevato senso dello Stato), bensì all'Africa o all'America Latina. Riusciamo ancora a afferrare l'enormità di un fatto simile, o dobbiamo rassegnarci a scivolare nella «gomorrizzazione» del nostro territorio?

«È la zona più vincolata del mondo», ha dichiarato la direttrice del Parco dell'Appia Antica, Alma Rossi, «ma senza l'approvazione del piano e del regolamento del parco, si tratta di una lotta impari ». Non resta che plaudire al lavoro di chi ha portato al sequestro dei cantieri illegali, e sperare che la battaglia per la conservazione del patrimonio venga vinta. Ma cosa importa questo ad un privato, di fronte alla prospettiva di aumentare il suo giro d'affari? Bisognerà comprendere la necessità di bloccare le licenze commerciali. Solo così potremo arrestare la continua erosione del bene comune. L'Appia Antica è di tutti: difendiamola.

È guerra senza quartiere agli abusivi che attaccano con ferro e cemento l'Appia Antica. Campo di battaglia, per l'ennesima volta, è quel lembo di parco archeologico a ridosso del Grande raccordo anulare e, soprattutto, dell'acquedotto dei Quintili. A meno di 200 metri dalle eleganti arcate romane, all'interno dell'azienda agricola Cavicchi, è stata costruita una struttura in ferro per ospitare decine di tavoli per i viandanti delle gite fuori porta. E numerosi banchi di un supermarket. Ma nei giorni scorsi i guardaparco, coordinati da Guido Cubeddu, hanno sequestrato questa ennesima superfetazione all'interno dell'area di via Appia Nuova 1280, dove si trova il contestatissimo ristorante "Pappa e ciccia".

Gli uomini dell'ente Parco Appia Antica stavolta si sono mossi insieme con i carabinieri dei Nas. I militari dell'Arma hanno apposto i propri sigilli perché hanno riscontrato numerose violazioni delle norme di igiene: l'acqua della rivendita di pane e porchetta, ad esempio, veniva da un pozzo abusivo.

"Pappa e ciccia" è tornato alla ribalta della cronaca perché inserito dalla trasmissione Report di Rai Tre, dedicata il 4 maggio scorso all'urbanistica a Roma, nell'elenco degli illegali presenti nel parco. Ma si tratta di una vecchia conoscenza della procura romana. Massimo Miglio e gli uomini dell'Ufficio antibusivismo del Comune hanno già lavorato, e per ben tre giorni, all'abbattimento di una nuova ala del ristorante. «Agli albori di questa triste vicenda, c'era solo una serra, fatta di pali e teloni, peraltro abusiva. Poi la Cavicchi è diventata una delle pratiche più voluminose della Soprintendenza archeologica» racconta Rita Paris, responsabile per l'Appia. «Dalla fine degli anni ‘90 - aggiunge l'archeologa - sono spuntate le coperture, i saloni, il cartello sulla strada. Vorremmo occuparci solo della tutela e degli scavi archeologici. Siamo stanchi dei continui attacchi dei "gangster dell'Appia Antica", come li chiamava Antonio Cederna. È ora che il Comune blocchi qualsiasi tipo di licenze commerciali all'interno del Parco».

Nuovo, devastante attacco dell'abusivismo al parco dell'Appia antica. Il Circolo del tennis all'Acquasanta e lo Sporting Palace sono stati dotati di altrettante piscine, e di annessi muri in cemento armato, nonostante sia il Parco regionale sia la Soprintendenza archeologica statale avessero negato le autorizzazioni. Ma i lavori illegali sono stati scoperti prima della fine. E, nel giro di una decina di giorni, sono stati sequestrati il cantiere del circolo tennistico di via dell'Almone 49 e, l'altro ieri, quello del complesso di via Appia Nuova 700 che, come reclamizzano i poster in tutta la città, sarà inaugurato il 18 giugno.

Durante la ricognizione per il piano anticendio, i guardiaparco coordinati da Guido Cubeddu hanno scoperto che all'Acquasanta era stato realizzato un colossale sbancamento per una piscina da 25 metri per 20 e profonda 4, come l'altezza dei locali. «Non avevano il nostro nulla osta - spiega la direttrice del Parco, Alma Rossi - . Hanno presentato una dichiarazione d'inizio attività al IX Municipio. Ecco il risultato: un cantiere di 70 metri per 50. E siamo nella zona più vincolata al mondo. Ma senza l'approvazione del piano e del regolamento del Parco, è una lotta impari».

Incalza Rita Paris, responsabile dell'Appia per la Soprintendenza. «Già nel 1994 ci esprimemmo contro il condono dell'intero impianto. .. e sono tre anni che riceviamo pressioni per autorizzare questa piscina. Abbiamo detto sempre no. Poi hanno presentato una perizia geologica per pericolo di frana. Abbiamo dato l'ok a una vasca per l'acqua piovana. Serviva per l'irrigazione e in caso di incendi. Invece hanno fatto tutt´altro. È una zona archeologica, piena di reperti: che fine ha fatto tutta quella terra sbancata?».

L'archeologa è indignata anche lo Sporting Palace: «Si trova nella valle della Caffarella. Nacque nel 1956 come impianto per l'imbottigliamento dell'acqua. Io avevo già proposto la demolizione. E ora torno a chiederla dopo questo ulteriore abuso. Mi chiedo: quale istituzione ha autorizzato un tale scempio?». L'anno scorso l'ente Parco non è stato neanche invitato alla conferenza dei servizi sullo Sporting. A maggio 2007 aveva rilasciato un nulla osta solo per lavori di manutenzione ordinaria. Il 3 ottobre ha negato il permesso al cambio di destinazione d'uso e alla piscina interrata. Invece, una l'hanno realizzata sul tetto. Sopraelevando l'edificio: due metri in più di cemento armato che si frappone tra le meraviglie di Cecilia Metella e delle Tombe Latine.

Roma, 17 ottobre 1995

Al Sindaco del Comune di Roma

p.c.

Al Ministero Beni Culturali e Ambientali, Gabinetto dell'On. Ministro ROMA

Al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Ufficio Centrale Beni AAA e S Div. N - Archeologia ROMA

Al Ministero Beni Culturali e Ambientali, Ufficio Centrale Beni Ambientali ROMA

Alla Regione Lazio Assessorato del Territorio ROMA

Alla Regione Lazio Assessorato Ambiente ROMA

Al Presidente della Provincia di Roma

Al Comune di Roma Assessore alle Politiche del Territorio, ROMA

Al Comune di Roma, Ufficio Speciale Piano Regolatore ROMA

Al Comune di Roma, Ufficio Speciale Condono Edilizio ROMA

Al Comune di Roma Ripartizione XV ROMA

Alla Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici di Roma

Alla Soprintendenza Archeologica per l'Etruria Meridionale, ROMA

Alla Soprintendenza Archeologica di Ostia, ROMA

OGGETTO: Condono edilizio

La Soprintendenza Archeologica di Roma ha appreso, da organi di informazione, che il Comune di Roma, di recente, ha istituito l'Ufficio Speciale Condono Edilizio, al fine di procedere celermente all'esame di una considerevole quantità di richieste di sanatoria per abusi edilizi.

Questo Ufficio, nell'ambito dei territorio di sua competenza, fa presente di essere interessato: 1- a tutte le richieste di sanatoria per abusi che abbiano comportato nuova occupazione di suoli 2- a quegli abusi che, indipendentemente dalla nuova occupazione di suoli, quali sopraelevazioni, giardini pensili schermati e quant'altro, interferiscano con le visuali di complessi archeologici monumentali, per i quali ci si riserva di inviare quanto prima la perimetrazione dei singoli ambiti di influenza.

Fermo restando quanto le vigenti Leggi prevedono relativamente ai pareri su abusi realizzati in aree demaniali o soggette a vincoli di tutela, giova ricordare quanto segue.

La rilevanza del patrimonio archeologico-monumentale e storico-artistico di Roma, che continuamente si arricchisce di nuovi apporti a seguito di importantissime scoperte nel corso delle trasformazioni territoriali o a seguito di ricerche finalizzate, ha comportato la necessità , nel tempo, di promuovere la tutela di tale patrimonio in concorso con gli Enti locali - Comune di Roma e Regione Lazio - con normative, accordi e studi (ad es. Carta storica archeologica monumentale e paesistica dell'Agro Romano) che hanno consentito, anche in assenza di vincoli emessi ai sensi delle Leggi 1089/39, 1497/39 e 431/85, di operare a fini di tutela.

Per non vanificare i risultati faticosamente fino ad oggi conseguiti, si pone l'attenzione in particolare su quelle aree che, se pur degradate dall'abusivismo, sono tuttavia ancora recuperabili e valorizzabili a seguito di oculate valutazioni e progettazioni finalizzate. Si pensi, ad esempio, alle aree indicate dal P.R.G. di Roma come soggette a vincoli archeologici-paesistici di P.R., nelle tavole 1:10.000 del P.R.G. del 1965, alle fasce di rispetto degli Acquedotti, agli ambiti di pertinenza delle antiche vie consolari, ai cunei di abusivismo sorti in aree soggette ai sopracitati vincoli archeologici e paesistici di Piano Regolatore.

Comunque, in seguito alle Osservazioni della Direzione Generale Antichità e Belle Arti dei Ministero della Pubblica Istruzione, recepite nel DPR del 16.12.1965 di approvazione del P.R.G. di Roma, il Comune di Roma ha predisposto in collaborazione con la Soprintendenza, come già detto, la Carta storico-archeologica monumentale e paesistica dell'Agro Romano che, approvata, ma mai adottata, ha pur costituito un punto di partenza per la tutela operativa in connessione con le attuazioni di Piano Regolatore.

Nel predisporre, in seguito, le osservazioni alla Variante Generale di P.R. del 1967 la Soprintendenza archeologica di Roma sottolineava l'esigenza di assumere un controllo più puntuale del sottosuolo archeologico, esigenza recepita nel D.M. 6.12.1971, che ha permesso alle Soprintendenze di intervenire preliminarmente sulle aree interessate dalle trasformazioni di P.R. AI fine di poter esercitare una ancor più capillare azione di tutela, la Soprintendenza chiese ed ottenne, in seguito al D.M. 6.12.1971, di presiedere alle operazioni di sterro ovunque eseguite nell'ambito del territorio di competenza, imponendo agli operatori di comunicare l'inizio di qualsiasi lavoro interessasse il sottosuolo.

Le Norme Tecniche di Attuazione di P.R., comportano l'obbligo di sottoporre al preventivo benestare delle competenti Soprintendenze archeologiche tutti i progetti di costruzione, ampliamento o trasformazione da effettuarsi in località individuate con il simbolo di avanzi archeologici o di costruzione di interesse storico, monumentale, panoramico o ambientale, con riferimento alla Carta dell'Agro e a tutti i dati archeologici acquisiti successivamente all'ultimo aggiornamento della Carta stessa. In particolare le Soprintendenze archeologiche possono disporre (art. 16 punto 7) che "vengano preventivamente effettuati saggi di ricognizione e rilevamenti a carico del proprietario", ove lo ritengano necessario.

Pertanto i competenti Uffici comunali sono tenuti ad inviare, per il parere, alle Soprintendenze le richieste di sanatoria per realizzazioni abusive in tutti quei casi - previsti, come sopra detto, dalle Leggi e normative vigenti - in cui sarebbe stato d'obbligo la comunicazione di inizio lavori, e nei casi in cui le Soprintendenze avrebbero potuto richiedere ai proprietari indagini e rilevamenti (N.T.A. art.16 punto 7).

Questo Ufficio rimane a disposizione per ogni eventuale ulteriore chiarimento.

Il Soprintendente

Adriano La Regina

Postilla

Il documento che pubblichiamo rappresenta una testimonianza di prima mano sul problema dei condoni edilizi e della gestione che ne è stata fatta dalle amministrazioni comunali, approssimativa e unilateralmente disponibile alle richieste dei privati e assai poco collaborativa nei confronti delle pubbliche istituzioni preposte alla tutela del patrimonio culturale, e quindi dell'interesse dell''insieme dei cittadini.

Con questa lettera la Soprintendenza Archeologica di Roma, al momento della istituzione dell’Ufficio Speciale Condono Edilizio del Comune di Roma, prese tempestivamente una iniziativa concreta nei confronti del problema delle sanatorie edilizie che, come annunciavano gli organi di informazione, si presentava di ampia portata e stava per essere affrontato dall’ufficio di nuova costituzione. Il senso della lettera, scritta dal responsabile del patrimonio archeologico più importante del mondo, all’epoca Adriano La Regina, era di fornire informazioni e regole affinché, nel rispetto delle leggi sui condoni, si tenesse nel debito conto la rilevanza del patrimonio storico, archeologico, monumentale di Roma. Nella lettera, dell'ottobre 1995, e nelle molte altre che sono seguite, il Soprintendente rappresenta, con circostanziate argomentazioni, la necessità di non vanificare i risultati faticosamente raggiunti nella tutela archeologica e paesaggistica della città e delle zone di campagna che ne sono parte integrante. Il Piano Regolatore Generale approvato nel 1965 aveva recepito le osservazioni delle Istituzioni statali competenti per la tutela e nelle Norme Tecniche di Attuazione a tale piano (D.M. 6.12.1971) fu riconosciuto l’obbligo di sottoporre al parere della Soprintendenza ogni progetto di trasformazione localizzato in aree riconosciute d’interesse dalla Carta storica archeologica monumentale e paesistica dell’Agro Romano e di richiedere scavi preventivi ogni volta che fosse ritenuto necessario. La richiesta è ben definita: in ognuna delle circostanze menzionate, gli Uffici comunali erano tenuti a chiedere il parere preventivo alle Soprintendenze (Roma, Ostia, Etruria Meridionale).

Negli anni successivi questa e le successive richieste con le quali gli uffici preposti alla tutela chiedevano di essere messi in condizione di operare nell’interesse della salvaguardia del patrimonio culturale, sono state totalmente ignorate. La giungla degli abusi nelle aree di maggiore pregio della compagna romana ha trovato piena legittimazione dalle concessioni rilasciate che, pur se irregolari, non possono essere ignorate dagli uffici della Soprintendenza, resi impotenti di fronte alla quantità di sanatorie concesse senza la minima valutazione di compatibilità con alcuno degli strumenti urbanistici, in spregio alle norme di tutela archeologica e paesaggistica. Sconcertanti , a questo proposito, le repliche succedutesi in questi anni da parte dell’amministrazione comunale che evidenziano l’assoluta indifferenza nei confronti dei valori più peculiari di Roma, rifugiandosi in una conduzione del problema esclusivamente, e spesso erroneamente, burocratica. Il caso del Parco dell’Appia illustrato nella trasmissione Report è in tal senso esemplare: non si è saputo controllare l’edilizia abusiva nel territorio e la si è legittimata, forse senza alcuna consapevolezza che la campagna romana con rovine, condizione essenziale per la vera esistenza del Parco, si è trasformata in un suburbio residenziale a sviluppo spontaneo non regolato se non dall'interesse e dalla speculazione privati. (m.p.g.)

Appia antica, un parco fino in Centro

di Adriano La Regina

Il proposito di provvedere con una legge della Regione Lazio all'ampliamento del Parco dell'Appia antica, su cui la Giunta si era in passato impegnata e di cui vi è grande attesa, viene ora ripreso negli uffici regionali, e la nuova attività istruttoria dovrebbe giungere a compimento in tempi brevi. Il progetto prevede l'estensione dell'area inclusa nel perimetro del parco, che passerebbe dagli attuali 3500 a ben oltre 5000 ettari di superficie. Si verrà così a costituire un comprensorio territoriale di ragguardevoli dimensioni, tutelato non solo dallo Stato per la conservazione del patrimonio archeologico e paesaggistico, ma anche dalle norme regionali sulla protezione dei caratteri naturalistici e ambientali.

Sulla base delle intese da tempo istituite con l'assessore all'ambiente della Regione, Filiberto Zaratti, si sono avuti al riguardo due incontri del presidente del Parco con il vice presidente della giunta regionale, Esterino Montino. Si sono esaminate le concrete possibilità di far pervenire celermente il progetto di legge all'esame del Consiglio regionale con i ritocchi necessari per incrementarne l'efficacia. Si è tra l'altro convenuto sull'opportunità di procedere all'approvazione del piano d'assetto del Parco solamente dopo l'approvazione della legge di ampliamento, in modo da adeguarlo alla nuova dimensione e di rivederlo in alcuni aspetti risultati carenti a seguito di verifiche eseguite nel tempo intercorso dalla sua predisposizione. Sarà inoltre necessario raccordare il piano stesso, lo strumento che renderà pienamente efficace l'azione dell'Ente, con le norme di tutela paesistica approntate dalla Regione.

Sono confermati i propositi di inserire nel perimetro del parco le aree di grande pregio ambientale sulle quali il Comune di Marino sta predisponendo massicci programmi di urbanizzazione, dal peso di quelli a suo tempo previsti per Tormarancia e scongiurati con il vincolo archeologico e con l'attribuzione di quella tenuta al parco. Sempre riguardo al territorio di Marino sarà necessario riconsiderare il perimetro dell'ampliamento per includervi l'area di una città antica, comunemente identificata con Mugilla, anch'essa esposta a gravi trasformazioni e tuttavia ancora priva di tutela archeologica. È parimenti confermata la previsione di inserire nell'ambito del parco il fosso della Cecchignola con il colle della Strega.

La maggiore novità è costituita dalla previsione di ampliare l'area del parco all'interno delle mura aureliane non solo ai lati della via Appia fino a piazzale Numa Pompilio, com´è nel progetto di legge già formulato, ma anche al di là della via Latina fino a Porta Metronia, e di includervi inoltre il primo tratto della strada, a partire dal punto in cui si trovava l'antica porta Capena, ossia subito prima del Circo Massimo. Il parco della via Appia verrà così effettivamente a saldarsi con l'area archeologica centrale, e vi rientreranno le Terme di Caracalla con le aree retrostanti fino alle mura, e quelle alle pendici del Celio verso la passeggiata archeologica. Questi spazi all'interno delle mura, che si potevano immaginare sufficientemente tutelati, alla prova dei fatti si sono rivelati esposti a gravissime trasformazioni. Una, la più devastante, è stata provocata con il riempimento della vallecola a ridosso del bastione del Sangallo, avvenuto nel 2004, che ha comportato la perdita di un paesaggio affascinante nel contesto monumentale. Altre trasformazioni perniciose incombono sul parco S. Sebastiano e sulle aree limitrofe, ove si vorrebbe costruire un teatro per l'associazione Angelo Mai, e dove baracche abusive condonate starebbero per essere trasformate in ville. Per non dire del decadimento d´immagine a cui viene periodicamente esposto l'ingresso all'area centrale di Roma per la ripresa abitudine di ubicare feste e manifestazioni poco consone al carattere dei luoghi lungo il tratto iniziale della via Appia, di fronte alla FAO e alle terme di Caracalla.

Condonate due mega ville tra le rovine

di Carlo Alberto Bucci

La lunga battaglia per la difesa dell'Appia antica dall'assalto dell'abusivismo registra la vittoria dei proprietari di due mega ville costruite in zona e su resti archeologici. A denunciarlo è Rita Paris, responsabile della Regina Viarum per la Soprintendenza archeologica di Roma, l'indomani l'inchiesta di Repubblica sul paradossale caso del concessionario Hyundai (che, privo di permessi, lavora nel parco occupandosi, tra l'altro, della manutenzione delle auto della Provincia e del Viminale) e della villa della famiglia Anzalone costruita sopra e dentro il sepolcro di Sant'Urbano. «È di questi giorni la sentenza del Tar e del Consiglio di Stato - racconta l'archeologa - che rigetta il ricorso del Comune di Roma che, dopo l'opinione della nostra Soprintendenza, si era espresso contro la costruzione di due ville di circa 500 metri quadri l'una».

Non una veranda né un barbecue in muratura. Ma un grande abuso, uno dei centinaia che funestano il parco. Una distesa di stanze e cemento per due principesche dimore, a proposito delle quali i giudici hanno sentenziato che il vincolo archeologico era stato posto solo dopo la loro costruzione nel parco composto da 3500 ettari in mano (soprattutto) ai privati. «Si sono attaccati a un cavillo» esplode la studiosa. «Perché, prima ancora della tutela archeologica, sull'area vige da mezzo secolo il vincolo di assoluta inedificabilità sancita dal Piano regolatore del 1965 e da quello paesaggistico del 1953». I proprietari delle ville, costruite negli anni Settanta, hanno puntato sui condoni edilizi dell'85 e del ‘97. E l'hanno avuta vinta. Almeno per il momento. «Noi ora abbiamo le mani legate e, dopo il danno anche la beffa, siamo stati condannati a pagare 4000 euro per le spese del processo» aggiunge Rita Paris «ma rimane aperta la questione dei vincoli urbanistici e paesaggistici che il Campidoglio può, e deve, far valere».

Nei prossimi giorni si terrà al Ministero Beni Culturali un incontro tra i direttori generali dell'archeologia (De Caro) e del paesaggio (Di Francesco) con i dirigenti dell'ufficio condoni (Murra) del Campidoglio. Mentre a occuparsi, tra l'altro, dell'Appia Antica, sarà oggi il programma televisivo di Rai Tre Report focalizzato, stasera, sull'urbanistica di Roma.

ROMA Traffico soffocante, vandalismo sui monumenti, abusivismo edilizio selvaggio incentivato da tre condoni: cinquantacinque anni dopo le accuse che Antonio Cederna scagliava ai “Gangster dell’Appia Antica”, nulla è cambiato. Anzi. Come denunciato l’estate scorsa da Repubblica, le ville dei vip sono diventati centri di catering senza licenze commerciali per feste con tanto di fuochi artificiali. Il degrado della regina viarum, e l’impotenza dello Stato nel perseguirne lo scempio, proseguono fra l’indifferenza generale che fa sì che una concessionaria automobilistica occupi da anni, abusivamente, un pezzo del parco accanto alla tomba di Priscilla. Ma mezzo secolo di denunce non hanno prodotto ancora gli effetti necessari al recupero di questo immenso patrimonio culturale e ambientale.

Proprio nei giorni scorsi il degrado dell’Appia Antica è stato denunciato dal “New York Times”, che ha addirittura evocato la violenza dei “vandali” per descrivere lo stato di abbandono in cui versa la queen of roads. Simbolo dell’incapacità della pubblica amministrazione laziale di affrontare efficacemente il fenomeno dell’abusivismo, in una delle aree di più alto interesse archeologico e storico al mondo è, oggi, il “Centro motoristico Appia Antica snc” ricavato nell’ex essiccatoio Tabacchi.

Mentre perfino i quotidiani Usa denunciano il degrado dell’Appia Antica, nessuno - politici, poliziotti, autisti, funzionari ministeriali e della Provincia, magistrati - sembra essersi mai accorto di questo piccolo-grande scandalo ambientale e storico: il parco dell’Appia Antica deturpato da una concessionaria Hyundai che occupa senza titolo — non avendo mai firmato un contratto di affitto — un immobile del Comune. Che espone le auto su un’area di diecimila metri espropriata dal municipio, nel marzo scorso, perché utilizzata abusivamente. E che non ha mai ottenuto l’autorizzazione di inizio attività perché ha sempre avuto i pareri negativi dall’Ente Parco, dalla Soprintendenza archeologica e dai vari uffici comunali. Con in mezzo due sentenze, del Tar e poi del Consiglio di Stato, che le hanno sempre dato torto.

In una situazione igienico-ambientale del tutto fuorilegge: manca il permesso della Provincia per gli scarichi e l’emissione fumi, mentre l’allacciamento all’acqua è “di fortuna”, grazie al parroco della chiesetta del Domine Quo Vadis. Eppure, da 10 anni, il centro motoristico di Salvatore Bonanno, fra il sepolcro di Geta e la sede del Parco, nel cuore della valle della Caffarella sulle rive dell’Almone e a breve distanza dalle catacombe di San Sebastiano, non solo è sempre là, ma incredibilmente, nell’aprile scorso, ha ottenuto dalla Provincia e senza bando pubblico (grazie a una scrittura privata), l’appalto della manutenzione delle auto della polizia provinciale.

La polizia della Provincia che dovrebbe perseguire «le violazioni urbanistiche edilizie» e provvedere alla «tutela dei vincoli archeologici e paesaggistici», invece di inviare i propri agenti a far rispettare al centro le leggi in materia ambientale e commerciale, si è convenzionata con quella concessionaria con un contratto esclusivo per riparare le proprie jeep.

Non solo: in quello stesso centro motoristico, nel cui perimetro una villetta a un piano completamente abusiva non può essere demolita, come previsto da un’ordinanza comunale, perché ci abita un’anziana parente del Bonanno (e dove perfino l’insegna blu della Hyundai, che s’affaccia sui selci della Regina Viarum da un pilone del cancello verde zozzo, è priva di autorizzazione), viene riparata anche parte del parco auto del Viminale. I vigili della Capitale nel 2003 hanno denunciato Bonanno per vari reati edilizi. Il comune di Roma nell’aprile del 2007 gli ha espropriato il terreno (sul quale prosegue, come se nulla fosse, l’attività commerciale abusiva), e ha tentato, invano, di demolire la villetta abusiva. A indagare sulla scrittura privata fra Provincia e la concessionaria di Bonanno è stato solo l’ex consigliere provinciale di sinistra critica Nando Simeone. «Voglio sapere — ha dichiarato Simeone — come sia stato possibile che, all’interno della stessa amministrazione provinciale, l’assessorato alla Sicurezza abbia stipulato una scrittura privata con la concessionaria Hyundai alla quale l’assessorato all’Ambiente non ha rilasciato le necessarie autorizzazioni per gli scarichi».

Per Rita Paris, direttore archeologo della Soprintendenza, «si tratta di un caso emblematico della totale disattenzione, se non ignoranza, del valore del complesso monumentale del Parco. È, questa, la conferma che l’Appia Antica non evoca più nulla, neanche a un ente pubblico come la Provincia, se non la sede di una concessionaria di motori».

Ma la concessionaria non è certo l’unico caso di abusi edilizi e commerciali visto che Adriano La Regina, presidente del Parco dell’Appia Antica, nella relazione del bilancio di previsione 2008, ha dovuto porre l’obiettivo di «sollecitare le amministrazioni competenti per chiudere definitivamente tutte le pratiche relative agli abusi edilizi giacenti dal 1985 in poi».

A questo proposito, il contenzioso più antico fra pubblico e privato è quello degli abusi edilizi nel complesso del sepolcro di Sant’Urbano con annessa Villa Marmenia, un sito storico di straordinaria importanza scavato nell’Ottocento da Lugari — che ha dato il nome alla via — e venduto negli anni Sessanta, non si sa ancora oggi come, ad alcuni privati. Già nel 1965, “Paese Sera”, a proposito di quelle speculazioni edilizie, titolava così: «Stanno costruendo una casa nel rudere».

Da allora, però, gli abusi sono proseguiti pressoché indisturbati, nonostante dal 1970 la pubblica amministrazione tenti di fermarli. L’area storica che comprende il sepolcro, sulle cui mura romane è addossato un barbecue, è diventata un giardino privato: all’interno della cella funeraria è stato ricavato un piccolo spazio per feste, con tanto di tinello moquettato e cucinetta. Per costruire una piccola piscina sono stati rimossi preziosi pezzi da basolato. Per quegli abusi, il proprietario dell’epoca, Gianfranco Anzalone, fu denunciato in procura dai carabinieri. Il processo però — l’accusa fu sostenuta dall’allora pm Giovanni Ferrara — finì con un nulla di fatto: il pretore Roberto Mendoza, nel 1987, assolse Anzalone: una parte dei reati si estinse grazie a un condono, un’altra per un’amnistia. E così il contenzioso con la Soprintendenza è arrivato ai giorni nostri con un nulla di fatto.

«È assurdo — commenta Rita Paris — che si possa presentare un condono per abusi fatti dentro un monumento ». Gli eredi ora vorrebbero alienare l’immobile storico allo Stato, ma le trattative con la Soprintendenza sono appena all’inizio. «L’assoluzione del pretore — ha spiegato Paris — ha impedito di perseguire nel tempo quegli abusi. Un eventuale nostro acquisto ora deve tener conto che la situazione antica del bene è stata stravolta, la strada è scomparsa, e per riportare il monumento allo stato originale ci vuole un notevole impegno finanziario».

Accanto al sepolcro, un’altra storia di abusi che riguarda altri proprietari. Uno spezzone dell’antica villa romana di Marmenia fu trasformata, trentotto anni fa, in un villino che ha stravolto completamente il manufatto archeologico. L’allora proprietario, Camillo Micarelli, fu denunciato nel 1970 dai carabinieri, ma nel tempo la struttura abusiva fu rilevata dalla società Sant’Urbano che, oggi, ha come amministratore unico la signora Antonella Meduri. Inutili, dagli anni Settanta a oggi, gli interventi di Soprintendenze, le ordinanze del Comune e altri enti pubblici per tentare di porre fine a tanto scempio. Vani anche i tentativi della Soprintendenza di acquistare l’area: il diritto di prelazione dell’ente è stato aggirato dalla Sant’Urbano evitando di ricorrere ad atti pubblici di compravendita, ma ricorrendo a riservati passaggi di proprietà delle azioni societarie.

Oggi la situazione è a un punto morto: il Comune, dopo il parere negativo della Soprintendenza Archeologica, ha rigettato l’istanza di condono presentato dalla signora Meduri. Quella villa edificata abusivamente nel ’70 è, di fatto, priva di licenza edilizia. Sulle carte catastali del 2008, pur essendoci da quasi 40 anni, ufficialmente non esiste. «Ciò che non si capisce — dichiara Rita Paris — ora che il Comune ha respinto il condono, è come si possa procedere all’acquisizione pubblica del bene e a chi competa l’eventuale demolizione e il ripristino dello stato storico dei luoghi. Sono state fatte numerose riunioni, senza capire se debba intervenire la Prefettura, il Ministero o il Comune». La morale della storia dell’abusivismo edilizio nel Parco dell’Appia Antica denunciato anche oltreoceano non è affatto rincuorante: lo Stato s’è rivelato impotente a tutelare il patrimonio archeologico che il mondo ci invidia.

"Traffico e condoni, colpa del Comune"

intervista al Presidente dell'Ente Parco

«Non esiste da nessuna parte un parco che abbia il volume di traffico automobilistico come quello che attraversa l´Appia Antica. È questo uno dei punti più importanti sul quale il Comune deve intervenire». Adriano La Regina, presidente dell´Ente Parco, punta l´indice sull´amministrazione comunale, responsabile, a suo dire, di «applicare in modo singolare gli strumenti che ha per far rispettare le leggi» nei 3500 ettari di parco che il mondo ci invidia.

Professor La Regina, cosa dovrebbe fare il Comune di Gianni Alemanno per restituire dignità alle bellezze storiche e archeologiche della regina viarum?

«Il Comune di Roma è sempre stato molto prodigo di condoni e su questo c´è sempre stato un contenzioso con la Sovrintendenza. È un fenomeno che ha attraversato tutte le amministrazioni precedenti. Il punto debole è sempre stato quello comunale».

Lei è presidente dell´Ente Parco: che strumenti avete voi per contrastare, ad esempio, l´abusivismo?

«Per gli strumenti che ha, l´Ente Parco si sta prodigando in modo esemplare. Peccato, però, che non abbia molti mezzi per affrontare questo tipo di problemi».

Cosa state facendo per risolvere il caso dell´abusivismo commerciale ed edilizio dell´officina Hyundai, che paradossalmente si trova proprio di fronte alla vostra sede legale?

«È una vicenda che si dovrebbe concludere, sono lì senza titolo, quindi si tratta di provvedere allo sfratto, cosa di cui dovrebbe occuparsi il Comune, essendo il proprietario dell´immobile».

Qual è il futuro del Parco?

«Il futuro è nel suo ampliamento: siamo in attesa di includere nel territorio dell´Appia Antica altri 1500 ettari, parte sul territorio di Roma, parte su quello di Marino».

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