In questi giorni, nel corso di un intervento per la bonifica di parte della tenuta di S. Maria Nova, sull’Appia Antica, recentemente acquistata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma, è tornato alla luce un lungo tratto di strada romana basolata. Si tratta, con ogni probabilità, di una strada che collegava la Via Appia con la Via Latina, lo fanno pensare l’andamento e altre parti del tracciato trovate in passato nelle vicinanze. La strada partiva dal quinto miglio dell’Appia, luogo sacro pieno di memorie, limite dell’ager romanus, con la grandi tombe a tumulo, riconosciute dalla tradizione degli Orazi e Curiazi, la struttura forse un ustrino, il grande Sepolcro a Piramide, la Villa dei Quintili.
La strada basolata si trova solo in parte nella nuova proprietà pubblica, dove sarà lasciata a vista, per il resto rimarrà obliterata sotto muri, recinzioni, villette, proprietà private che, fino a qualche tempo, fa erano solo campagna. Allora ci si ritrova disorientati con il gruppetto di esperti che lavora per l’Appia, come un unico corpo di fronte al fenomeno che ogni giorno questo territorio fa scoprire, nel bene e nel male, sempre in bilico tra i risultati raggiunti e l’abisso dei problemi.
Le scoperte a Roma non ci sorprendono, sono all’ordine del giorno ma sull’Appia il miracolo poteva ancora accadere, fino a 50 anni fa, ma anche fino a 20 anni, anche meno, ancora oggi potrebbe accadere. Perché i monumenti, la strada basolata e tutto il patrimonio che c’è sarebbero ancora recuperabili e potrebbero essere una risorsa eccezionale, unica al mondo, da mettere a disposizione di tutti.
Lascio la Villa dei Quintili al tramonto e, come sempre, mi sorprendo per la bellezza indescrivibile dei luoghi, per la luce rossa tra le grande arcate dei monumenti, per la quiete che riesce a ignorare il traffico intenso che passa accanto.
Come sempre mi domando: cosa si può fare, come si può salvare tutto questo e farlo godere a tutti. Non sono riusciti personaggi importanti, non è riuscito Antonio Cederna, non sarà possibile.
Ma almeno, mi dico, non dovrà passare sotto silenzio, almeno si deve tentare di comunicare cosa accade lì ogni giorno, quanto sia costoso un piccolo risultato, quanto sia disarmante muoversi tra ricorsi, cause perse, sentenze ingiuste, tentativi continui di aggressione del bene prezioso che è il territorio: di tutto questo non si può dare colpa ai privati che perseguono il proprio interesse individuale ma piuttosto assegnare le responsabilità alle amministrazioni pubbliche che non fanno, fanno finta di ignorare, lasciano correre, mostrando poco interesse. Tutti i problemi rimangono affastellati in un ufficietto che ha il compito della tutela e della valorizzazione archeologica di questo comprensorio, che non ha una connotazione particolare, che va avanti solo per l’impegno personale di chi vi lavora, troppo spesso incredulo di fronte agli accadimenti. Si deve lasciar correre e ratificare tutto quello che è stato fatto illecitamente, si deve ostinatamente riaffermare che si tratta dell’Appia antica, ci si deve convincere che lo stato di fatto è più forte di ogni ragione di salvarla, che forse stiamo esagerando?
Rivolgere a eddyburg queste riflessioni è un modo per comunicare con i suoi lettori, che, sicuramente, potranno comprendere, per sentirsi meno soli e dare spazio a un “osservatorio” sull’Appia che possa informare, rispondere, vigilare.
Altri, forse, avranno voglia di segnalare, di rispondere, di porre quesiti e sarebbe davvero un gran successo poter creare una piccola rete di consenso per l’Appia.
Intanto, per non dimenticare rileggiamo Cederna, quanto mai attuale, e troviamo qui la forza per andare avanti.
Chissà mai accada un miracolo!
PROGETTI E PROSPETTIVE PER IL PARCO DELL'APPIA ANTICA
di Vittoria Calzolari
(in: La via Appia, a cura di Stefania Quilici Gigli, Roma 1990)
I primi trent’anni della storia moderna dell’Appia Antica ripercorsi da una protagonista. Dal volume La via Appia (a cura di Stefania Quilici Gigli), Roma, 1990 (m.p.g.).
1. 1946‑1976: trent'anni di alterne vicende
All'inizio del 1976 in una mostra e convegno a Palazzo Braschi, fu presentato lo studio «Piano per il Parco dell'Appia Antica» preparato dalla Sezione di Roma di Italia Nostra. Sembrava che si stesse felicemente concludendo una travagliata vicenda trentennale che aveva visto la «questione Appia Antica» ora totalmente perduta, ora riemergente e quasi al sicuro da quella che Goethe ‑ parlando di luoghi come l'Appia Antica ‑ definiva «la follia devastatrice alla quale tutto deve cedere» [1].
Trent'anni prima del 1976, nell'immediato dopoguerra, era ripresa l'attuazione dei piani particolareggiati previsti dal Piano Regolatore del 1931, dando il via a una nuova ondata di edifici intensivi, palazzine, ville intorno alla Valle della Caffarella, al Quarto Miglio, sull'Appia Antica: queste costruzioni e quelle abusive che ad esse si sono aggiunte hanno sostanzialmente trasformato gli accessi alla via Appia Antica, il carattere delle strade interne, i profili della campagna circostante.
Vent'anni prima il drammatico appello di un gruppo di uomini di cultura (primo firmatario Corrado Alvaro ultimo Umberto Zanotti Bianco) [2] contro la devastazione del territorio dell'Appia, sembrava avere toccato amministratori e politici, fino allora silenziosamente o attivamente acquiescenti. Nell'appello del febbraio 1954, si denunciava lo scempio, si chiedeva il rispetto assoluto delle parti ancora libere, la demolizione degli edifici abusivi, la preparazione di un piano unitario da inserire nel Piano Regolatore.
Come risultato il Consiglio Comunale di Roma approvava un ordine del giorno per la sospensione delle licenze edilizie, il Ministero della Pubblica Istruzione avviava lo studio del Piano Paesistico dell'Appia Antica attraverso una commissione presieduta da Zanotti Bianco. Il Piano paesistico pubblicato nel 1955 prevedeva alcune macchie di edilizia estensiva, ma era sufficientemente tutelante. Ma, sotto la pressione dei proprietari di aree, veniva rielaborato e sostanzialmente peggiorato nella riedizione del 1960. Di fatto il piano di tutela diventava un piano di edificazione con quasi cinque milioni di metri cubi costruibili entro il perimetro del parco; un trattamento speciale veniva riservato alla valle della Caffarella ‑ prevalentemente proprietà di Torlonia e Gerini ‑ nella quale alla promessa di cessione al Comune delle aree di fondovalle corrispondeva una accresciuta edificabilità dei terreni elevati.
Dieci anni prima del 1976 il Decreto Ministeriale di approvazione del Piano Regolatore Generale di Roma aveva dato la risposta più insperatamente positiva alle sollecitazioni espresse, durante il convegno del 10 novembre 1965 presso il ridotto del Teatro Eliseo, da uno schieramento di forze culturali e di alcune forze politiche estremamente deciso e unitario nelle sue richieste: si chiedeva che venisse garantita la tutela completa del territorio dell'Appia Antica modificando, in fase di approvazione ministeriale, il Piano Regolatore adottato dal Comune di Roma nel 1962: questo, pur avendo sensibilmente migliorato il Piano Paesistico, manteneva molte macchie edificabili nelle parti più vicine alle Mura Aureliane.
Il decreto firmato da Giacomo Mancini, allora Ministro dei Lavori Pubblici, destinava a parco pubblico ‑ Zona N del Piano Regolatore l'intera area di 2517 ettari compresa in un perimetro sensibilmente ampliato rispetto a quello del Piano Paesistico.
All'entusiasmo del momento seguivano però alcuni anni di totale assenza di iniziative pubbliche e di ripresa di più o meno palesi iniziative private ‑ frazionamento di terreni, ristrutturazioni di casali, cambi di destinazioni d'uso, oltre alle costruzioni abusive concentrate soprattutto nella zona di Cava Pace. E tuttavia con la forte ripresa dell'iniziativa di base e delle associazioni culturali della fine anni sessanta ‑ inizio anni settanta sui temi della vivibilità urbana, del verde, della tutela delle memorie storiche, anche il tema dell'Appia Antica viene riportato all'attenzione dei cittadini e degli amministratori.
In questo clima viene presentata nel 1969 la proposta di legge Giolitti‑La Malfa, che per la prima volta impegna in modo concreto il Governo a concedere al Comune di Roma un contributo di 30 miliardi per l'esproprio e la sistemazione dell'intero comprensorio.
In questo clima nel 1972 l'Amministrazione Comunale di Roma predispone l'esproprio di 80 ettari della Valle della Caffarella (da fuori Porta S. Sebastiano fino al Casale della Vaccareccia) utilizzando la possibilità data dalla recente legge n. 865 del 1971 di acquistare i terreni a prezzo agricolo.
In questo clima viene sviluppato il Piano per il Parco dell'Appia Antica promosso da Italia Nostra.
Quasi in contemporanea ‑ e forse in qualche modo sollecitati dalla risonanza che ebbe allora il Piano ‑ si verificarono altri due fatti positivi per l'Appia Antica: l'approvazione da parte della Regione Lazio dell'esproprio degli 80 ettari deciso dal Comune quattro anni prima (D.R.L. n. 220 del 9/2/1976) e la decisione da parte del Comune di avviare la seconda fase di esproprio ‑ 110 ettari ‑ che avrebbe completato il parco della Caffarella. Senonché nell'ultima seduta del Consiglio Comunale prima delle elezioni del giugno 1976 ‑ alla delibera venne a mancare l'appoggio della maggioranza.
E tuttavia sui prati della valle della Caffarella nelle settimane prima delle elezioni si svolsero raduni, feste e «corse per il verde» nella speranza che l'attesa trentennale fosse ormai arrivata alla soluzione.
2. Il Piano per il Parco dell'Appia Antica ‑ 1976
Lo studio del Piano per il Parco dell'Appia Antica è stato elaborato tra il 1973 e il 1976 su iniziativa della Sezione Romana di Italia Nostra da un gruppo di lavoro interdisciplinare di cui facevano parte esperti in archeologia, storia territoriale, geologia, botanica, forestazione, urbanistica, paesistica, legislazione [3]; è stato presentato nel febbraio 1976 in una mostra a Palazzo Braschi, accompagnata da una serie di incontri e visite guidate; è stato ripresentato nel 1984 ‑ aggiomato e integrato con il quadro della situazione del verde del settore est e con le proposte per l'Appia nel frattempo intervenute ‑ in una pubblicazione alla quale si rimanda per una documentazione più approfondita [4].
Il carattere, l'interesse e anche l'attualità di questo studio credo siano fortemente legati a quanto si è saputo cogliere, allora, del particolare momento culturale e sociale di cui ho detto e di conseguenza all'avere assunto come ipotesi, nelle indagini e nelle proposte, la reale fattibilità di quell'opera. Lo studio è stato sviluppato ‑ come detto ‑ da esperti di diverse discipline, ciascuno dei quali ha condotto una ricerca specifica sul suo campo, ma anche con la costante, attiva collaborazione di chi conosceva i luoghi perché ci viveva, con la collaborazione dei gruppi culturali locali e delle circoscrizioni, assai più vitali allora di oggi. Obiettivo comune era trovare un filo conduttore tra le diverse categorie di valori, intorno al quale costruire l'unità formale e organizzativa del parco: e ciò non solo per motivi estetici, o storici, o urbanistici, ma anche perché alla nascita di un'immagine unitaria nella mente e nell'opinione pubblica era legata la possibilità di fare davvero il parco e tutelarne l'integrità, continuamente minacciata dalle iniziative tendenti a sottrarre delle parli a un complesso «così vasto e così eterogeneo».
Come elemento‑base di struttura sono stati assunti nel progetto del Parco i grandi lineamenti geomorfologici (colata lavica di Capodibove, canaloni, dossi, cave, ecc.) ai quali si legano i lineamenti e le potenzialità vegetazionali e colturali (vegetazione delle zone umide di fondovalle, dei pendii e dossi, delle cave, dei ruderi, boschi, prati‑pascolo, ecc.).
Alla morfologia, alle acque, ai paesaggi vegetali si legano anche le scelte insediative e le strutture archeologiche e storiche, viste come sistema unitario da ricomporre, dai Fori fino alle Frattocchie e poi, attraverso il Parco dei Castelli, al Tuscolo. Coerentemente con questa linea progettuale lo studio ha compreso i seguenti argomenti:
‑ lettura contestuale del territorio sotto il profilo fisico, storico, della proprietà, del suo uso attuale e rapporto con la città attraverso rilevamento diretto sul posto e documentazione catastale, d'archivio, presso uffici, ecc.;
‑ proposta di sistemazione complessiva del parco dal Campidoglio fino ai confini comunali, fondata sulla restituzione dell'unítà geomorfologica, storica, paesistica, ma anche sul soddisfacimento della domanda di verde, di cultura e svago di chi abita ai margini del parco e dell'intera cìttà (sì veda l'allegato schema di assetto del parco);
‑ studio della reale fattibilità della proposta, sotto il profilo giuridico, finanziario e attuativo.
Un intento del Piano è stato infatti quello di offrire un metodo per programmare e attuare il parco che coordinasse i problemi tecnici con quelli istituzionali e legislativi. Lo schema di legge per il finanziamento e la costituzione del parco e l'organo di gestione ipotizzati (un'azienda consortile con la partecipazione della Regione Lazio, Provincia di Roma, Comune di Roma, associazioni culturali e scientifiche) erano evidentemente abbastanza idonei, tanto che sono stati assunti quasi per intero nella Proposta di legge regionale recentemente approvata. Si prevedeva allora che il parco venisse attuato in dieci anni con un investimento statale di 45 miliardi (15 per espropri, 30 per sistemazioni), utilizzando la possibilità data dalla legge n. 865 /71 che consentiva di espropriare aree non urbanizzate al prezzo del terreno agricolo [5].
Altro tema dello studio era la gestione: si prefigurava come la gente avrebbe utilizzato il parco concentrandosi nelle parti attrezzate e diradandosi in quelle più «naturali»; si individuavano le essenze e le formazioni vegetali più adatte a svilupparsi spontaneamente, in quanto autoctone, e insieme adatte a creare un paesaggio coerente con la natura e la storia dei luoghi; si studiava in particolare il problema della fruibilità e insieme tutela dei monumenti, dei percorsi storici, delle cavità di interesse storico e scientifico. Il tutto nell'intento di ridurre al minimo, attraverso la progettazione, gli enormi problemi di manutenzione e gestione che rendono la conduzione di un parco (e in particolare di un parco archeologico) ancor più difficile della sua creazione.
3. Dal 1978 ad oggi
Una delle prime iniziative della nuova amministrazione comunale di Roma ‑ giunta di sinistra con sindaco G.C. Argan ‑ fu l'approvazione della delibera per l'acquisizione della Caffarella restata sospesa. Ma, a partire dal 1977, il vento di restaurazione che cominciava a scalzare le fondamenta della disciplina e della prassi urbanistica investì anche la questione Appia Antica; a ciò si aggiunse, da parte delle amministrazioni locali, una non sufficiente prontezza ed energia di iniziativa.
Nel 1978 ‑ mentre il Comune prendeva in consegna la parte della Caffarella già espropriata ‑ il Consiglio di Stato accoglieva i ricorsi dei proprietari contro l'esproprio, per il mancato stanziamento di fondi adeguati. Di conseguenza nel 1980 il Comune doveva restituire gli atti di proprietà e i terreni; contemporaneamente una sentenza della Corte Costituzionale invalidava i criteri di esproprio basati sul valore agricolo dei suoli contenuti nella legge n. 865/71 e nella successiva «legge sui suoli» n. 10/77, senza peraltro dare nuovi criteri: si determinava così la situazione ‑ che tutt'oggi perdura ‑ di impossibilità per le pubbliche amministrazioni di acquistare a costi ragionevoli e prevedere l'entità degli impegni finanziari da assumere.
Nel 1981 il Comune tentava di rientrare in possesso dei terreni perduti utilizzando la facoltà di occupazione per «opera necessaria e urgente» data dalla legge n. 1/78; ma si trattava, per i motivi detti prima, di un'operazione al buio sotto il profilo dell'impegno finanziario; i 5,5 miliardi inclusi nel bilancio comunale 1982 per finanziare l'opera ‑ come richiesto dalla legge ‑ erano ormai certo insufficienti, per l'enorme lievitazione dei prezzi dei terreni causata dalla sentenza di cui si è detto. Il progetto di sistemazione della Valle della Caffarella preparato dall'Ufficio Giardini del Comune ebbe tutte le approvazioni prescritte ma restò sulla carta.
Nel 1984 decadono i vincoli ‑ più volte prorogati ‑ della destinazione a parco pubblico prevista dal Piano Regolatore: si è in prossimità delle nuove elezioni del 1985, si parla di un nuovo Piano Regolatore Generale per Roma, non si riesce ‑ come tentato ‑ a rinnovare in tempi utili almeno i vincoli, con un piano‑stralcio. Così il Piano Paesistico del 1960 torna ad essere il solo strumento di tutela; ma di quale tutela!
A partire dal 1985 nella vicenda dell'Appia Antica, insieme ad alcuni spiragli di speranza, vi sono nuovi pesanti motivi di preoccupazione. Tra questi: il moltiplicarsi delle operazioni di frazionamento dei suoli e di liquidazione delle aziende agricole ancora efficienti, il moltiplicarsi di piccoli manufatti abusivi e discariche, la richiesta da parte dei proprietari di realizzare nella Valle della Caffarella un campo di golf su 110 ettari e, da parte dello stesso Comune, la riproposizione di una strada di collegamento tra via Cilicia e via Latina che taglierebbe l'imbocco della Caffarella e che era stata eliminata dalle previsioni perché fortemente incompatibile con l'ambiente del parco.
Tra i fatti virtualmente positivi rientra l'obbligo per la Regione Lazio, a seguito della legge n. 431/85, di predisporre un nuovo Piano Paesistico per l'Appia Antica. Tale piano, redatto con due anni di ritardo rispetto al termine del 31 dicembre '86 posto dalla legge, non è mai stato discusso in Consiglio regionale né presentato al pubblico: è un oggetto misterioso, il che naturalmente non rassicura.
Tra i fatti positivi è l'approvazione da parte del Consiglio regionale del Lazio della legge per l'istituzione del «Parco regionale suburbano dell'Appia Antica» del 21 Settembre 1988. La legge istitutiva riprende per molti aspetti come già detto ‑ lo schema di legge allegato al Piano del 1976. Sono finalità del parco:
‑ tutelare monumenti e complessi archeologici e diffondere la conoscenza;
‑ preservare e ricostituire l'ambiente naturale,
‑ creare e gestire attrezzature sociali, culturali e ricreative, compatibili con il carattere del parco.
Entro un anno dall'approvazione della Legge si sarebbe dovuto costituire l'organo di gestione ‑ un'Azienda consorziale formata da Regione, Provincia, Comuni di Roma, Marino, Ciampino, Circoscrizioni e il Comitato Tecnico-scientifico; entro altri 12 mesi questi avrebbero dovuto predisporre un piano di assetto del parco. Senonché, dopo un anno e mezzo, nulla di questo è accaduto. Resta di positivo il fatto che con l'approvazione della Legge sono entrati in vigore vincoli di salvaguardia che impediscono edificazioni e trasformazioni e si sono per lo meno esplicitate le finalità e la struttura di gestione. Emergono ‑ e andrebbero al più presto corretti ‑ alcuni limiti, non si sa quanto dovuti a dimenticanza o a vincoli di tipo politico: come lo scarso rilievo dato all'aspetto archeologico (non è previsto un archeologo nel comitato tecnico‑scientifico), come una pericolosa sovrapposizione tra piano di assetto del parco e programma di sviluppo dell'Azienda ed una non chiara identificazione di cosa va acquisito al patrimonio pubblico, in che tempi e con quali finanziamenti.
Del Parco dell'Appia Antica si è occupato anche il Decreto per Roma Capitale, quattro volte reiterato e non approvato, poi decaduto e non più ripresentato dopo essere stato discusso per un anno nella Commissione parlamentare territorio: prevedeva un finanziamento di 140 miliardi per espropri di terreni dell'Appia e del Sistema direzionale orientale, senza specificare quanto andasse all'una o all'altro.
Più specifica, più completa la Proposta di legge n. 3858 del 26/4/89 «Interventi per la riqualificazione di Roma capitale della Repubblica» (a firma di Cederna, Bassanini, ecc.), riguardante la realizzazione del Sistema direzionale orientale, la realizzazione del Parco archeologico dell'area centrale dei Fori e dell'Appia Antica, il potenziamento dei sistemi di trasporto pubblico su ferro.
La questione dell'Appia Antica viene dichiarata «di preminente interesse nazionale» e interamente affidata alla responsabilità dello Stato: per il finanziamento (2 1.000 miliardi nel periodo 1989‑2000) e per l'attuazione (espropri, coordinamento organizzativo, prima fase progettuale affidata ad un comitato presso la Presidenza del Consiglio e al Dipartimento per Roma Capitale). 1 compensi per gli espropri sono basati sulla legge n. 865/71, ma graduati in base al valore d'uso; i finanziamenti derivano da speciali imposte aggiuntive su tabacchi e olii combustibili per autotrazione. 1 vantaggi di questa legge stanno nello snellimento delle procedure, nella chiarezza delle indicazioni sulle acquisizioni e nello sforzo di proporre soluzioni innovative; i pericoli nell'eccesso di centralizzazione. La Proposta di legge all'inizio del 1990 non ha avuto ancora alcun esito.
4. Prospettive
Giunti al 1990 la situazione dell'Appia Antica è di gravità estrema: basti ricordare che non un solo metro quadro è davvero passato alla proprietà pubblica né è stato sistemato, oltre le aree archeologiche e il Parco Ardeatino, già posseduti; l'unica legge ‑ approvata ma non attuata ‑ che dia qualche tutela e prospettiva di assetto del parco è la legge regionale del 1988.
In questa situazione, come nei momenti più difficili della vicenda Appia Antica, è indispensabile ‑ credo ‑ un'azione rinnovata, concorde, decisa e propositiva delle forze culturali e in primo luogo del settore disciplinare più coinvolto nei destini dell'Appia Antica, quello dell'archeologia.
Tale iniziativa è d'altra parte già in corso e si sta consolidando ‑ attraverso un movimento costituito dal Comitato per il Parco della Caffarella e dal Comitato parchi dell'area metropolitana di Roma (cui aderiscono Italia Nostra, INU, Lega ambiente, WWF, e altre associazioni ambientaliste).
Questo incontro di studio, che ha portato nuovi contributi alla conoscenza del significato storico e culturale dell'Appia Antica, è l'occasione per un ulteriore contributo attraverso un documento che affermi l'urgenza di realizzare finalmente il Parco dell'Appia Antica e solleciti le istituzioni a farlo.
Il documento ‑ di cui possono essere qui posti i termini fondamentali e che potrà poi essere approfondito con la collaborazione di altri organismi culturali ‑ dovrebbe chiedere garanzie e fare proposte per la predisposizione di un progetto unitario fondato su di una chiara idea‑guida (la ricostituzione del sistema storico‑ambientale); per i criteri di tutela ‑ anche immediata ‑ di fruibilità, di acquisizione all'uso pubblico; per i modi di finanziamento e gestione; per i tempi entro i quali il comprensorio dell'Appia Antica potrà davvero e definitivamente divenire parte del patrimonio culturale di Roma.
Il documento si deve rivolgere:
‑ al Parlamento, affinché assuma la questione dell'Appia Antica come di preminente interesse nazionale ed emani una legge di finanziamento e modi di acquisizione per l'intero comprensorio;
‑ alla Regione Lazio, affinché presenti alla pubblica discussione il Piano Paesistico dell'Appia Antica e proceda nell'attuazione della Legge Regionale;
‑ al Comune di Roma, affinché attraverso un provvedimento‑stralcio rinnovi il vincolo del Piano Regolatore sul territorio dell'Appia, formalizzi l'efficacia della Carta storico‑archeologica dell'Agro Romano e prenda tutti i provvedimenti immediati per tutelare e migliorare l'integrità dei terreni dell'Appia.
Credo che questa iniziativa, a conclusione dell'incontro in onore di Massimo Pallottino, possa avere anche il significato di omaggio a uno studioso che in tutta la sua attività ha considerato l'archeologia come parte vitale della cultura della città e di un suo ulteriore contributo a questa idea.
[1]W. Goethe, Viaggio in Italia, Firenze 1980.
[2]L'appello pubblicato nel febbraio 1954 era firmato da C. Alvaro, G. Bacchelli, V. Brancati, A. Cecchi, E. Craveri Croce, G. de Sanctis, U. La Malfa, C. Levi, A. Moravia, M. Pannunzio, N. Ruffini, G. Salvemini, I. Silone, M. Valgimigli, U. Zanotti Bianco.
[3]Il gruppo di lavoro che ha svolto lo studio del Piano per il Parco dell'Appia Antica era costituito da: V. Calzolari, S. Carata, M. Olivieri per lo studio urbanistico‑paesistico; L. Benevolo e G. Ferraro per lo studio dell'area interna alle mura; A. Battista, V. Gìacomini per lo studio botanico e vegetazionale; V. Caselli per lo studio idrogeologico; F. Drago per le colture e uso del suolo; G. Gisotti per la geopedologia; L. Quilici per lo studio storico‑archeologico; L. Cassanelli per la storia territoriale; G. Cervati, L. Cervati e P.M. Piacentini per gli aspetti giuridico‑amministrativi. V. Calzolari ha coordinato lo studio. Il gruppo operativo è stato affiancato da un gruppo di rappresentanti dell'Associazione Italia Nostra con M. Antonelli, I. Belli Barsali, A. Cederna, F. Giovenale, G. Luciani, A. Quarra, A. Thierry, A. Toscano.
[4]ITALIA NOSTRA ‑ SEZIONE DI ROMA, Piano per il Parco dell'Appia Antica, Roma 1984.
[5]Alla stessa legge n. 865/71 si erano rifatte nel 1974 la proposta di legge del gruppo parlamentare P.C.I. (Ciai, Giannantoni, Trombadori, Vetere, ecc.) che prevedeva un finanziamento statale di 8 miliardi in 12 anni per l'esproprio dei terreni e quella delgruppo D.C. (Jozzelli e altri)che prevedeva un esproprio limitato alle sole aree non occupate con un finanziamento di 4 miliardi (vedi Piano per il Parco dell'Appia Antica, sopra cit., pp. 193‑195).
Strada a parte, il novanta per cento del territorio è oggi dei privati, e qualcuno dice che pensare di acquisirlo tutto è da ipocriti. L' Ente Parco ha confezionato un piano regolatore per l'intera zona e il Soprintendente Adriano La Regina lo ha bocciato con durezza.
L' ambientalista e il Soprintendente: la guerra è appena all'inizio. Anzi manca ancora l' atto ufficiale di dichiarazione. Ma la posta è altissima. Sono in gioco il destino della via Appia antica e chi dovrà governare l' immenso territorio che la circonda: tremilacinquecento ettari, un pezzo di campagna romana che infila il verde brunito dei pini a ombrello dentro la città,dai Castelli fino a Porta San Sebastiano e di lì al Circo Massimo,ai Fori e a Piazza Venezia, facendosi largo in mezzo a zone dove più sfacciata è stata la speculazione edilizia e trascinando mausolei, sepolcri e colombari della Roma repubblicana e imperiale.
I contendenti. Su un fronte è schierato l' ente che gestisce il Parco dell'Appia, guidato da Gaetano Benedetto, ambientalista di consumata esperienza, vicepresidente nazionale del Wwf. Sull' altro è attestato Adriano La Regina, da ventisei anni soprintendente ai Beni archeologici di Roma, uomo tenace e ruvido, tutore inflessibile, che il grande prestigio in Italia e all' estero tengono saldo al suo posto nonostante i numerosi tentativi di scalzarlo. La miccia è innescata. L' Ente Parco ha confezionato il "Piano di Assetto" dell'Appia, in pratica il piano regolatore dell' intera area. E' un documento atteso da decenni, per il quale il povero Antonio Cederna avrebbe invocato il Padreterno affinché gli fosse concesso qualche anno in più di vita. Il Piano è alle limature finali: deve essere consegnato alla Regione nelle prossime settimane e dopo una serie di passaggi avrà valore di legge. Ma su di esso piovono dalla Soprintendenza una quantità di osservazioni negative. La Regina ha incaricato tre illustri esperti (il botanico Carlo Blasi e gli urbanisti Italo Insolera e Vezio De Lucia) di esaminare il documento. Che è stato bocciato: le previsioni contenute, si legge in una lettera che La Regina ha spedito a Benedetto,«costituirebbero danni gravissimi al patrimonio di interesse universale dell'Appia Antica». Punto e basta. Il parco dell'Appia ha la forma di un cuneo che si stringe man mano che arriva al cuore della città. Nonostante tutto è ancora un prodigio. In una giornata come questa, con il cielo terso e la luce fredda, brilla il verde scuro delle alture ondulate, sormontate dai cipressi. Si chiama parco, ma ha ben poco di un parco. Men che meno di un parco pubblico (come il Piano regolatore di Roma, approvato nel 1965, auspicava dovesse diventare): il novanta per cento del territorio è privato, recintato da alti muraglioni che occultano tombe e ninfei. Pubblica è solo la strada, o quasi. E' qui uno dei principali punti della contesa. La Regina sostiene che l' essenza del parco è il suo patrimonio archeologico e che non si deve rinunciare all'obiettivo di acquisire pezzo dopo pezzo tutta l' area. E' un cammino lungo e costoso (una media fra i quaranta e i cinquantamila euro a ettaro — ottanta, cento milioni di lire). Ma La Regina pensa in grande: «Nessuno di noi vedrà il lieto fine di questa storia: ci vorranno cento, duecento anni? Non capisco perché bisogna rinunciare. L'Appia è fra i più grandi comprensori paesaggistico archeologici del mondo. Se lo Stato non fa uno sforzo a lunga scadenza per l'Appia, per cos'altro deve farlo?». Niente espropri, per carità di Dio. Niente vessazioni contro i privati. «Lo Stato può esercitare il diritto di prelazione su molti terreni», suggerisce La Regina. «Abbiamo acquistato così la Villa dei Quintili e quella dei Sette Bassi e recentemente un appezzamento di quasi un ettaro dietro la tomba di Cecilia Metella. L' importante è avere di mira l' obiettivo e concentrare gli sforzi di tutti, autorità centrali e locali, in questa direzione». Sugli entusiasmi di La Regina, coltivati nei decenni con Cederna, Vittoria Calzolari e Italia Nostra, cala una doccia gelata: nella bozza del Piano d' assetto, la scelta di rendere pubblica tutta l'Appia fissata nel ‘65 viene definita "ideologica e ipocrita". Non si esclude di acquistare altri terreni (molti proprietari, si dice, sarebbero dispostissimi a vendere). Ma quell' orizzonte svanisce. E anzi il problema si ribalta: le previsioni di acquisto sono diventate irrealistiche e nel frattempo, mentre sull' Appia vigevano vincoli rigidissimi di inedificabilità, non è mai corrisposta un' adeguata vigilanza contro gli abusi che nel corso dei decenni sono cresciuti fino a raggiungere il milione di metri cubi. Quindi, dicono all' Ente Parco, bisogna seguire un' altra strada. Ma quale? Risponde Benedetto: «Bisogna distinguere, dentro l'Appia, fra zona e zona. In alcune devono rimanere il rispetto assoluto e il divieto a non edificare. In altre, dove si svolgono attività agricole, dobbiamo consentire delle costruzioni minime per incentivare le coltivazioni biologiche, che servono a una migliore manutenzione dei tratti di campagna romana. Dobbiamo coinvolgere nella tutela i proprietari, solo così l'Appia potrà essere salvaguardata per davvero». Sentir parlare di sfruttamento agricolo, pur non intensivo, dell'Appia, procura a La Regina un attacco d'orticaria. «L'Appia non è una tenuta come un' altra, dove si fa dell' ottimo latte», sibila. L'Appia è l'Appia, ripete Rita Paris, dirigente della Soprintendenza: «Nel piano non si prevedono zone di riserva integrale e invece si propone di trasformare l' Appia in un luogo di promozione economica e sociale. Addirittura parlano di un marchio doc per i prodotti, come se il marchio dell'Appia non fosse già contenuto nel suo patrimonio. E poi guardi qui, all' altezza della chiesa del Domine Quo Vadis è previsto persino un allargamento della strada». Si fronteggiano due modi diversi di intendere la tutela. Due diverse formazioni culturali. Una visione più integrale e una più pragmatica. Persino due caratteri. Anche il Piano di Assetto contiene previsioni ambiziose. Per esempio ricucire alcuni territori strappati interrando in un punto la linea ferroviaria, in un altro un tratto dell'Appia nuova, che è quasi un emblema del caos urbanistico romano. Ma il giudizio della Soprintendenza resta severo: «Se prevalesse questa linea la gestione del parco sarebbe solo dell'Ente e noi per scavare dovremmo chiedere l' autorizzazione». I nodi da sciogliere sono intricati. Nel frattempo l'Appia deve vivere. E passi per i casali ottocenteschi o le ville primi Novecento e persino per quelle degli anni Cinquanta: da queste magioni, abitate dagli Zeffirelli, le Lollobrigide, i Fiorucci, i Greco (quelli della catena Baloon), da una crema di professionisti e costruttori si alzano lamenti alla Soprintendenza perché il fondo stradale che di nuovo sfoggia il basolato antico fracassa gli avantreni delle Bmw. Il fatto è che il parco dell'Appia non è un parco perché è una specie di paradiso dell'abuso. Oltre il raccordo anulare, poi, lungo i bordi dell'Appia si ammassano gli scarichi di calcestruzzi e le macchine scorrazzano senza ritegno, parcheggiano sotto un sepolcro, o, inservibili, giacciono con le loro carcasse puzzolenti a fianco di una stele. Quando cala il sole arrivano gli spacciatori, si traffica con le batterie e gli spinterogeni rubati e si radunano a gruppetti le vecchie prostitute romane di fattezze felliniane che quasi non si vedono più da nessun'altra parte. Mauro Veronesi è di Legambiente ed è consulente del Parco. Gli abusivi dell'Appia li conosce uno per uno. Fra il 1974 e il 1999 sono stati costruiti illegalmente quaranta campi da tennis, sette piscine, trentacinque abitazioni, quattro campi di calcetto, uno di baseball e uno di bocce, una pista di pattinaggio, due piazzole per il tiro con l'arco; ma soprattutto quarantaquattro capannoni industriali, dieci piazzali per l' esposizione di auto, ventotto magazzini commerciali, trenta edifici per uso agricolo, novantadue orti. «E' una quantità di cubatura pari a cinque Hotel Fuenti», commenta Veronesi, «con circa tremila nuove auto che circolano per l'Appia». Chiusa l'era delle ville per cinematografari, qui impera l'abusivismo commerciale. Si sfrutta la principale qualità dell'antica strada romana, gioiello dell'ingegneria repubblicana (fu progettata nel 312 avanti Cristo), quella di collegare rapidamente il centro dell'Urbe, il Lazio e il Sud Italia. Pur avendo scarse competenze di urbanistica dei primi secoli, Salvatore Bonanno ha ritenuto che il luogo migliore per impiantare la più grande concessionaria romana della Hyunday fosse qui, in un bellissimo fienile ottocentesco, dietro la tomba di Geta. Dalla strada non si vede granché, ma se si sale sul tetto dell'edificio di fronte, una cartiera dismessa dove ha sede l'Ente Parco, si resta senza fiato: sul retro del fienile, rubando terreno al Parco della Caffarella, sono sistemate un'autofficina, un deposito di pezzi di ricambio, un autolavaggio e uno spaziosissimo piazzale colmo di macchine luccicanti al sole. Tutto l'immobile è di proprietà del Comune di Roma, che pur avendo dato la disdetta dieci anni fa, continua a incassare l'affitto. Contemporaneamente i vigili, che dipendono anche loro dal Comune di Roma, hanno denunciato Bonanno per una sfilza di abusi. Ma il giorno stesso in cui arrivarono le ruspe per demolire una costruzione, arrivò a Bonanno anche la residenza, nell'edificio da abbattere, per sé e per la vecchia zia: come si fa a buttar giù una casetta con due persone che ci abitano? Sono infinite le coincidenze che agevolano la vita di Bonanno. Per esempio quella di avere come avvocato un ex vigile. O quella di vedersi trasferito il numero civico del fienile-concessionaria da una circoscrizione all'altra (e con il numero civico anche le pratiche per gli abusi, che ripartono daccapo). O infine quella di farsi sostenere da Forza Italia, per la quale si candida, senza successo, alle elezioni circoscrizionali. L'Appia non è tutta così. Dietro la Hyunday si estende la valle della Caffarella, che in buona parte è pubblica (132 ettari) ed è percorsa da viali che costeggiano il ninfeo di Egeria e si spingono fino al monumento che Erode Attico costruì per la moglie, Annia Regilla. Più a sud si allunga la tenuta della Farnesiana, con i suoi tre casali e la cupola di San Pietro che spunta da una siepe. E verso l' Ardeatina luccicano gli olmi e i pioppi di Tor Marancia. Qui era previsto che sorgessero due milioni di metri cubi di cemento, ma l'amministrazione di Walter Veltroni ha deciso di convertire l'area a parco pubblico. Nessuno ci credeva. Salvo quel testardo di La Regina, aiutato dai comitati sorti fra l'Ardeatina e la Garbatella, che a furia di chiedere la luna, qualche volta riesce a ottenerla.
Sulla via Appia Antica, fuori Porta S. Sebastiano, c'è una «stazione di servizio» per automobili, mal situata, brutta, ridicola. Mal situata, perché appena cinquanta metri prima del Domine quo vadis?, cioè al bivio con la via Ardeatina, dove l'Appia si restringe e l'incrocio è pericoloso. Brutta, perché arieggia a portico di vecchia fattoria con le sue tre arcate, la tettoia coperta da tegole e qualche sparuta pianta verde in vasi di terracotta, nella pretesa di non stonare con «l'ambiente circostante». Ridicola, perché nel suo muro, a edificazione del turista, sono incastrati frammenti antichi di marmo, di iscrizioni greche e latine, sarcofagi, comici architettoniche: altri frammenti antichi di marmo e terracotta sono esposti in una vetrina tra i bidoni dell'olio, e ancora marmi, terrecotte, pezzi di stemmi medioevali, unti e macchiati, sono collocati sopra ai distributori di benzina. Tutte queste «antichità», in parte false, in parte comprate in via del Babuino, in parte rubate sulla via stessa, oltre a costituire un degno prologo per chi si accinge a visitare in macchina i resti di quella che fu la «regina delle vie», hanno un grande valore simbolico: oggi l'antico è tollerato solo se, fatto a pezzi insignificanti, può essere ridotto a ornamento, a fronzolo, a servo sciocco delle «esigenze della vita moderna», del «traffico», del «dinamismo del nostro tempo», insomma di quello che dicono «progresso». ù quello che sta succedendo a tutta la via Appia, destinata entro pochissimi anni a scomparire, per diventare un rigagnolo in mezzo alla nuova città che sta sorgendo sopra e intorno ad essa, grazie a una banda di speculatori, alla previdenza dei tecnici del Comune di Roma, all'inerzia degli organi ministeriali, teoricamente preposti alla tutela del nostro patrimonio archeologico, paesistico, monumentale.
Ammirato il distributore di benzina, voltiamo a destra per un sentiero in salita: fatta qualche decina di metri, restiamo esterrefatti. Abbiamo davanti a noi tutta la zona tra le vie Appia e Ardeatina da una parte e la via Cristoforo Colombo dall'altra, quasi un grande rettangolo di un chilometro per seicento metri: quello che l'anno scorso era ancora un pezzo di campagna romana, un dolce irregolare avvallamento a prati, alberi, orti, con qualche vecchio casale, è oggi un deserto d'inferno, ad altipiani e abissi, sconvolto dalle macchine scavatrici, che hanno distrutto alberi, prati e orti, che mangiano la terra intorno ai vecchi casali, lasciandoli sospesi in cima ad assurdi pinnacoli. Si sta sistemando il terreno, si stanno scavando le fondamenta di un nuovo quartiere di Roma extra moenia, esteso quanto Villa Borghese.
In prossimità della via Appia e dell'Ardeatina sorgerà una fascia di «villini» e di «villini signorili» a quattro piani, quindi una fascia di «palazzine» a cinque e sei piani, quindi verso la via Cristoforo Colombo un ampio agglomerato a costruzione intensiva, con edifici di almeno otto piani, per un'altezza massima di ventotto metri. A parte i consueti abusi, come l'aumento dei piani grazie ai finti seminterrati, gli attici «arretrati» ecc., il nuovo quartiere incomberà ad altezze scalate sulla via Appia, divenuta misero budello ai suoi piedi, tanto più che essa in quel tratto è a quota 16‑18, mentre il terreno del nuovo quartiere arriva a quota 30‑40. Qualche esigua e frammentaria zona di rispetto «assoluto» (un centinaio di metri sulla carta) e di rispetto «con particolari limitazioni», servirà soltanto ad attestare l'ipocrisia dei progettisti.
Il nuovo quartiere sarà naturalmente attraversato da strade. Una strada larga venti metri, partita dalla piazza dei Navigatori sulla via C. Colombo, dove sta la truce mole dell'ex‑«albergo di massa», oggi casa‑prigione popolare, attraverserà il nuovo quartiere in diagonale, scavalcherà la via Appia quasi all'altezza del Domine quo vadis? e andrà a finire al quartiere Appio‑Latino. Una seconda strada, di circonvallazione, larga cinquanta metri, partita dalla via Ostiense, scavalcherà la via Appia quasi all'altezza del Domine quo vadis? e arriverà all'Appia Nuova. Una terza strada, proveniente presumibilmente dall'E 42, scavalcherà la via Appia quasi all'altezza del Domine quo vadis? dove si unirà alle prime due. Altre strade minori taglieranno il nuovo quartiere recando nuova congestione al Domine quo vadis?: la scelta dell'illustre chiesina come centro di confluenza di tanto traffico è davvero una trovata ammirevole. Infine, un'altra strada di circonvallazione lungo la ferrovia Roma‑Pisa, di cui già esiste un tratto (via Cilicia), ma che si è dovuta arrestare di fronte alla scoperta dei ragguardevoli resti di un mausoleo, scavalcherà la via Appia a metà strada tra il Domine quo vadis? e la Porta S. Sebastiano. Chi arriverà a Roma dalla via Appia si meraviglierà di entrare in galleria.
Guardiamoci attorno: Roma col suo più bel tratto di mura è ancora, per il momento, davanti a noi. Ma già sulla via C. Colombo si alzano i sinistri scheletri di due smisurati casamenti a 10‑11 piani (cooperative Villa Madama e Montecitorio), destinati a case economiche per deputati, senatori e funzionari del Senato e del Parlamento: tutta la larghissima via, in origine destinata ad essere strada‑parco, diventerà una strada‑corridoio, costruita intensivamente con edifici colossali su entrambi i lati, anzi, un'apposita commissione ne garantirà il «carattere monumentale» (!). Più lontano, tutta la zona ai piedi del Bastione del Sangallo rigurgita di villini di freschissima data, costruiti ad opera di varie cooperative edilizie, per abitazione di funzionari delle Belle Arti, che si sono auto‑autorizzati a infischiarsi delle zone di rispetto: il «via» alle costruzioni abusive appena sotto alle Mura fu dato, poco prima della guerra, dalla villa di Eugenio Gualdi,presidente della Società Generale Immobiliare. Guardiamo infine al di là dell'Appia, al di là della valle dell'Acquataccio e della Caffarella: grotteschi edifici sono sorti in via Cilicia, la via Latina è scomparsa sotto un mucchio confuso di nuove costruzioni: tutta la zona tra la ferrovia Roma‑Pisa e la via Latina sarà costruita intensivamente, e gran parte della bella conca della Caffarella costruita a «villini» (o come altro saranno chiamati), per oltre mezzo chilometro.
Nella relazione che il 21 ottobre 1951, la Giunta romana tenne al Consiglio Comunale, intorno al nuovo piano regolatore, si diceva, in tono saggio e mellifluo, che Roma deve espandersi verso i Colli e verso il mare: tra queste due direttrici, sarebbe rimasto intatto «il grande cuneo della zona archeologica (che), a cavallo dell'Appia Antica, si spinge fino al cuore della città, al Campidoglio, come una riposante fascia di verde, dalla quale emergeranno, testimonianza perenne di storia e civiltà, i resti dei gloriosi monumenti», ecc. ecc. Farebbe un'opera buona chi volesse spiegarci perché mai, in meno di due anni, il cuneo archeologico e la riposante fascia di verde si sono trasformati in cuneo, fascia e baluardo di cemento armato.
Pochi metri oltre la basilica di S. Sebastiano, sulla nostra destra, il muro della via è abbattuto: un centinaio di metri in là, nella bella campagna, ecco il primo esempio della nuova edilizia che distruggerà per sempre l'integrità monumentale e paesistica di tutta la via Appia. Sei villini sono già pronti, arancione, gialli e rossi, strani nella pianta e nell'alzato, a mezzo tra la piccola stazione ferroviaria, la vecchia fattoria e la casina della bambola; tetti, terrazze, verande, scale esterne si accostano, si susseguono, si incastrano ad angoli retti, ottusi, acuti: vediamo finti comignoli di forma indescrivibile, torrette cilindriche, loggiati ad arcate, balconcini e tettoia sorretti da travi di legno, pensiline sorrette da pilastri di tufo, finestre lunghe e corte, alte e basse, strette e larghe, rettangolari e quadrate, barbacani ed oblò. Retrocediamo in fretta, e superiamo la Tomba di Cecilia Metella.
Comincia il tratto più splendido e più famoso della via Appia. Al quarto chilometro, di fronte alla casa in cui Pio IX nel 1853 si fermò a sperimentare il telegrafo (electrico relatori experiundo), entriamo nei campi alla nostra sinistra. Ecco, a un centinaio di metri, un altro gruppo di ville (tutto il vasto terreno è già lottizzato, tra la via Appia e la via dell'Acquasanta), giallognole, dal tetto a spioventi, con alti comignoli: nonostante che portici e finestre siano «moderni», queste ville hanno qualcosa di vecchio, di cui non sappiamo per ora renderci ragione. Ci inoltriamo ancora nella campagna, fin che arriviamo sul ciglio di una vecchia cava di selce, e per poco non vi precipitiamo dalla meraviglia: una decina di metri sotto ai nostri piedi ci appare una vasta macchia di un azzurro accecante, una grande piscina privata con fondo in mosaico di vetro, orlo ondulato di cemento come le fosse degli orsi, toboga, trampolino, ombrelloni gialli, rossi e blu.
Tornati sulla via e fatto un centinaio di passi, pieghiamo a sinistra in una nuova strada asfaltata: eccoci di fronte a un grande edificio in costruzione, arrivato al primo piano. A terra vediamo un mucchio di tegole, e comprendiamo quanto prima ci aveva sorpreso: l'aria di «antico» delle case, che a decine e a centinaia vanno sorgendo sulla via Appìa, deriva in gran parte dall'impiego di tegole usate; un muratore che sta lavandosi i piedi in una vasca dove sono a bagno i mattoni ci spiega che ciò avviene per legge. Con simili espedienti i responsabili si mettono a posto la coscienza.
Guardiamo meglio l'edificio in costruzione, un'altra grande sorpresa ci aspetta: per un paio di metri di altezza il muro esterno è rustico, fatto di pietre chiare e scure, ma tutte, di nuovo, hanno qualcosa di «antico», molte addirittura sono già coperte di muschio. C'era da aspettarselo: per tutta la sua ampiezza il muro è composto di pietre antiche, rubate alla via Appia e ai suoi monumenti. Giriamo intorno all'edificio, tra cataste di mattoni e pozzi di calce, e contiamo, sull'erba, una dozzina di grossi mucchi (carico di altrettanti camion) di pietre antiche rubate alla via Appia e ai suoi monumenti: sono blocchi di selce del pavimento antico della via, inconfondibili per la forma e l'impronta delle carreggiate, sono grossi pezzi di marmo lunense e di pietra albana tolti al rivestimento dei sepolcri, sono (chi non ci crede vada a verificare) grossi frammenti di statue.
Non basta: tutti i muretti e relativi pilastri d'ingresso, che sono stati costruiti per centinaia di metri lungo la via Appia, a delimitazione delle nuove proprietà, sono tutti fatti con pietre antiche rubate alla via Appia e ai suoi monumenti; tra le pietre antiche vediamo ancora iscrizioni, frammenti di sarcofagi, di ornati architettonici, di colonne, basi e capitelli, frantumi di selce dell'antico pavimento. Un secolo fa l'archeologo Luigi Canina eresse lungo la via delle piccole pareti in cotto e con gusto eccellente vi murò i frammenti antichi che man mano veniva scoprendo: da anni, un giorno dopo l'altro, questi frammenti vengono smurati, trafugati, venduti, usati come materiale di costruzione.
Torniamo sull'Appia: un cartello ci informa che «42.000 metri quadrati di terreno, eventualmente divisibili» sono in vendita; passiamo davanti a una nuova villa (n. 201, «Sola beatitudo»: vedremo tra un paio d'anni dove sarà andata a finire la beata solitudo), e arriviamo al n. 203: ci balza innanzi la massa informe, orrenda della Pia Casa Santa Rosa, ormai famosa per lo scandalo che suscitò un paio di anni fa. Se non ricordiamo male, l'edificio, progettato a tre piani, venne autorizzato dal Consiglio Superiore del Ministero della P.I. «per deferenza alla benefica istituzione» (bel principio urbanistico).
Nell'entusiasmo dei lavori l'architetto (Spina Alberto) pensò bene di aggiungere un quarto piano: contro il quarto piano insorsero la Commissione provinciale per le bellezze naturali, panoramiche e paesistiche, insorse la Soprintendenza ai Monumenti, insorse lo stesso Consiglio Superiore, che ne ordinò «l'immediata demolizione». L'ordine rimase naturalmente lettera morta, capitò invece che i fondi stanziati venissero anzitempo esauriti, tanto che si sperò vivamente che la Pia Casa rimanesse incompiuta: ma intervenne la Provvidenza, e oggi la Pia Casa è in funzione, con tutti i suoi quattro piani e il suo macabro intonaco violetto. E’ psicologicamente interessante ricordare che l'architetto Spina si difese dalle critiche, non solo paragonando il suo capolavoro alle badie di Farfa, Casamari e Subiaco e al Monastero di Montecassino, ma sostenendo che la via Appia, lungi dall'esseme danneggiata, ci guadagnava.
Andiamo avanti ancora, osservando i monumenti a testa bassa, per non scoprire altri scempi. Ma i monumenti stessi sono ridotti a letamai, sommersi da immondizie di ogni genere: sembra che per il bilancio del Comune di Roma (o della Sopraintendenza alle Antichità o di quella ai Monumenti?) un paio di spazzini per la via Appia siano un carico eccessivo. Giungiamo all'altezza di Tor Carbone: qui sulla destra dell'Appia dovrebbe sorgere, grazie alla Società Immobiliare, un grande quartiere di villini di lusso, collegato con una strada all'E 42. Prendiamo a sinistra la via Erode Attico che porta all'Appia Pignatelli: fatti pochi metri, riceviamo un altro tremendo colpo nello stomaco. Nel vasto angolo formato dalla via Erode Attico con la via Appia, ci feriscono la vista una dozzina di «villini signorili», di varia foggia e dimensione. Tra i colori predominano il viola e l'arancione: le case hanno forma assai complessa, con avancorpi, sporgenze e rientranze, i tetti hanno i soliti comignoli e le solite tegole; vediamo portici ad arco pieno, ad arco ribassato, ad architrave, finestre a feritoia, arcuate, quadrate, finte colombaie, lampioni di ferro battuto: ogni casa è recintata da un muro di tufo giallo, talvolta con pilastri coperti a tettuccio. Il bel quartierino ha la solita aria finto paesana da città dei balocchi, come fosse costruito da uno scenografo incerto tra Italia centrale, Tirolo e Svizzera, con qualche reminiscenza classica. Tra le curiosità principali notiamo una casa con grondaia in su anzi che in giù, e una specie di pagoda cinese a due piani, il primo ad arcate di mattoni, il secondo a vetrate continue.
Giriamo intorno gli occhi: verso Nord, dietro al bel quartierino, si innalza in tutta la sua profondità lo spettro della Pia Casa; verso Sud, cioè sempre sulla sinistra della via Appia, ci appaiono adesso altre ville e villini; verso Oriente, in basso, ecco distendersi un nuovo e maggiore quartiere, dall'aspetto meno «signorile» del primo; scendiamo nella stessa direzione e passiamo in mezzo alla vasta e miserabile nuova Borgata di Santa Maria Nuova. Quanto all'Appia Pignatelli, la bella via solitaria a valle dell'Appia Antica, sappiamo che verrà allargata per essere trasformata in grande strada di traffici (naturalmente con costruzioni ai lati, anche attomo al Circo di Massenzio), che sarà prolungata fino a Roma con un tronco parallelo all'Appia Antica, portando nuova rovina nella valle della Caffarella, fino a Porta Latina: sarà quindi la quinta grande nuova strada che cancellerà dalla faccia della terra la campagna a Sud di Roma.
Rientrati a Roma, fermatici davanti alla stupida e spropositata mole del palazzo della FAO, rovina della Passeggiata Archeologica, cioè del primo tratto della via Appia, nel riporre una vecchia guida, rileggiamo la frase di Goethe, dell'11 novembre 1786, messa a epigrafe del primo capitolo: «Questi uomini lavoravano per l'eternità; tutto essi hanno preveduto tranne la demenza dei devastatori, cui tutto ha dovuto cedere».
La demenza dei devastatori ha raggiunto oggi vette inimmaginabili: un ultimo esempio corona per il momento il nostro triste e parzialissimo elenco. Al sesto chilometro della via Appia, sulla sinistra, isolate nella campagna, sorgono le rovine famose, vaste, imponenti della Villa dei Quintili, del secondo secolo dopo Cristo, avanzi di un ninfeo, di un acquedotto, di un criptoportico, di terme, di cisterne, di sale grandiose, ecc., con una vista stupenda sui Colli e i Castelli. Ebbene, anche qui i nuovi vandali dementi stanno tramando un colpo inaudito: un «nucleo residenziale» (grazie alla Società Generale Immobiliare) sorgerà immediatamente a ridosso delle rovine, per una profondità di circa trecento metri nella campagna; la lottizzazione si estenderà in uguale misura, complessivamente per una cinquantina di lotti, anche sulla destra della via Appia: questa, chiusa in mezzo, sarà affiancata da due strade parallele, una a destra, l'altra a sinistra. Lottizzare il Foro Romano o la Villa Adriana non sarebbe misfatto peggiore.
Ingenuo chiedersi come avvenga tutto ciò. Esistono articoli di leggi (legge 1939 sulla tutela delle cose d'interesse artistico e storico, legge 1939 sulla protezione delle bellezze naturali e panoramiche, regolamento 1940 per l'applicazione della precedente), intesi a salvaguardare «l'integrità», le condizioni di «prospettiva», «luce», «ambiente», «decoro», dei monumenti, la «bellezza panoramica», la «spontanea concordanza e fusione fra la espressione della natura e quella del lavoro umano», e via dicendo. Esiste un vincolo di rispetto per un centinaio di metri da una parte e dall'altra della via Appia, esiste un altro vincolo di poco più esteso, proposto il gennaio scorso dalla Commissione provinciale per le bellezze naturali ecc., ma che non comporta l'inedificabilità delle aree, limitandosi solo a imporre generici riguardi ai costruttori. Esistono organi di tutela, statali, comunali, provinciali, cui manca spesso la cultura e l'intelligenza, cui manca sempre l'iniziativa e la forza di intervenire.
Da un paio d'anni lo scempio della via Appia è entrato nella sua fase definitiva. Le lottizzazioni da sporadiche si vanno facendo organizzate, stringendosi a soffocare tutta la via in un abbraccio mortale, la campagna assume un aspetto da stazione climatica, gli edifici cui abbiamo accennato (ipocrisia delle sottili strisce di rispetto) sono e saranno tutti visibili dalla via: il gioco degli interessi stronca in partenza qualsiasi iniziativa sensata.
Per tutta la sua lunghezza, per un chilometro e più da una parte e dall'altra, la via Appia era un monumento unico da salvare religiosamente intatto, per la sua storia e per le sue leggende, per le sue rovine e per i suoi alberi, per la campagna e per il paesaggio, per la vista, la solitudine, il silenzio, per la sua luce, le sue albe e i suoi tramonti. Perfino per la cattiva letteratura che nel nostro secolo vi era sorta intorno. Andava salvata religiosamente perché da secoli gli uomini di talento di tutto il mondo l'avevano amata, descritta, dipinta, cantata, trasformandola in realtà fantastica, in momento dello spirito, creando un'opera d'arte di una opera d'arte: la via Appia era intoccabile, come l'Acropoli di Atene. Ma che importa ai funzionari, agli architetti, agli speculatori? Il loro ideale estetico sono gli obelischi di via della Conciliazione, e i baracconi di gesso dell'E 42, nati per ospitare le «Olimpiadi della Civiltà» e scaduti, com'era giusto, a fiera campionaria e parco dei divertimenti.
La storia della tutela della Via Appia attraverso una selezione dei documenti dell'Archivio di Stato di Roma e dell'Archivio Centrale di Stato ( 1816-1910) che contengono provvedimenti per la salvaguardia, gli scavi, i restauri e ogni altra azione e iniziativa indirizzate al recupero e alla valorizzazione del complesso archeologico.
I documenti illustrano chiaramente il destino della più celebre delle strade pubbliche romane, restaurata e destinata a passeggiata archeologica nella metà dell'800, ad opera di Luigi Canina, durante il Governo Pontificio, che richiamò visitatori e studiosi di ogni parte del mondo, e le difficoltà della Amministrazione dello Stato per preservare questo complesso archeologico, esteso per chilometri, solo nella sua prima parte di pertinenza della città. Gli interessi dei privati e la mancanza delle risorse necessarie, già dalla fine dell'800, hanno segnato le sorti dell'Appia, vanificando l'impegno di illustri personaggi dell'Amministrazione pubblica, preparandola agli scempi perpetrati nel corso del secolo successivo.
Dopo i programmi per le sistemazioni urbanistiche della città a seguito della presa di possesso dello Stato Pontificio da parte di Napoleone e il sogno per la realizzazione di un grande parco archeologico dal Campidoglio alla Via Appia, la più celebre delle strade pubbliche romane, sempre al centro dell'attenzione di studiosi e artisti di ogni epoca, attese ancora alcuni decenni per vedere realizzati i primi importanti interventi di restauro.
I documenti prodotti dal Camerlengato per gli anni dal 1816 al 1854, dal Ministero del Commercio, Belle Arti, Industria, Agricoltura e Lavori Pubblici per gli anni 1855-1870 e dalla Direzione Generale Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione per gli anni 1870-1907, descrivono la storia della Via Appia, attraverso i provvedimenti per la tutela, gli scavi, i restauri e ogni altra azione e iniziativa indirizzata al recupero e alla valorizzazione del complesso archeologico.
In questa storia i documenti sottolineano i momenti diversi che hanno accompagnato il destino dell'Appia, in una alternanza di denunce, provvedimenti, iniziative, che sempre, e ancora oggi, hanno caratterizzato il destino di questo monumento.
Una lunga lettera del 8 settembre 1816 del Commissario alle Antichità e Belle Arti Carlo Fea al Camerlengo illustra lo stato di abbandono della strada, esposta ad atti di vandalismo e ruberie.
" E' cosa ben nota anche agli ignoranti, che la osservazione alle strade pubbliche è una delle Regalie, dei diritti del Sovrano, che devono gelosamente custodirsi. In Roma e nello Stato Ecclesiastico vanno sotto la stessa regola, e come strade, e come antichità, le selciate antiche di grandi selci, che oltre la conservazione e l'uso della via, si sono sempre riguardate come monumenti, che interessano la storia delle strade antiche celebri in tanti libri, e presso tutti gli eruditi che se ne sono occupati. Fra le strade antiche di simile natura la Via Appia è sempre stata la più famosa e meritevole di gelosa conservazione: illustrata con rami e con libri da tanti scrittori più d'ogni altra. Ne esistono grandi porzioni conservate a maraviglia coi loro grandi selci, particolarmente da Capo di Bove fino a Genzano. Ma da qualche anno in qua è venuta la moda negli Appaltatori delle Strade, che devastano barbaramente tutto, senza veruna autorizzazione, per profittare dei selci, riducendoli piccoli per servirsene a loro vantaggio o in nuove selciate o ad altri usi. ... In particolare si reclama contro l'Appaltatore Vitelli, il quale da due anni in qua devasta la strada nei contorni della Valle Riccia e di Genzano.... sulla grandiosa sostruzione di grandi massi di peperino quadrati, a guisa di un grande, e lungo ponte, per raddolcire la salita, che toltane la selciata, dopo duemila , e più anni dal fondatore Appio Claudio, anderà man mano in rovina, e il Pubblico resterà senza strada. ... E' da notarsi che Pio VII, trovandosi a villeggiare in Genzano,, essendosi incontrato a vedere uno precisamente che devastava i selci di quella strada, lo sgridò severamente, e disse al Principe Colonna , padrone di Genzano, che badasse bene, che mai più alcuno la guastasse..."[1]
Nel 1824 Carlo Fea sente la necessità di chiedere di far cancellare il nome "Via Appia" dai miliari che indicano la strada che esce da Porta S. Giovanni: " ... Vengo avvisato che fuori Porta S. Giovanni sulla strada di Albano rinnovandosi le pietre milliarie, alla prima è stato scritto Via Appia. Chi ha veduta questa goffaggine ne ha riso e deriso. Per mostrare che la Commissione invigila anche alle piccole cose di antichità, sarebbe bene scrivere a Monsig. Presidente delle Strade, che faccia subito cassare quella falsità ridicola. Pur Monsignore più volte ha sentito dallo scrivente, che la via Appia da riaprirsi, passava da S. Sebastiano". [2]
L’opera di restauro della Via Appia e di parte dei suoi monumenti, nel tratto tra il mausoleo di Cecilia Metella e Frattocchie, fu realizzata da Luigi Canina in veste di Commissario alle Antichità di Roma negli anni 1853-1855 [3]. Precedentemente, tra il 1777 e il 1784, per volere del pontefice Pio VI, fu restaurato il tratto di strada nella Pianura Pontina, riportando alla luce le grandi opere antiche, tra lo stupore degli abitanti che si gloriavano di passeggiare sopra le rovine di una delle più belle opere della magnificenza romana.
Un documento di 12 pagine, del mese di settembre 1858, contiene un rapporto sui lavori svolti: " Nell'anno 1851 sotto il Ministero della Ch. M. Camillo Iacobini ebbero principio i lavori della nuova apertura dell'Appia antica. I medesimi si eseguivano sotto la direzione dei Sig. Com. Canina e Cav. Grifi e colla sorveglianza dell'Architetto Ingegnere di questo Ministero in allora Luigi Rossini, oggi Francesco Fontana. ... I lavori principali, cioè di escavazioni, macere e sistemazione della via si compiono definitivamente nel 1855; e quelli di riattamento de' Monumenti sepolcrali, che di mano in mano si scuoprirono, vennero anche essi eseguiti collo stesso e di anno in anno. Perché poi la strada fosse conservata e non guasta dal passaggio dei circonvicini possidenti, fu chiusa alle due estremità, mediante cancelli, lasciando in diversi punti della medesima alcuni passi pel sol transito e comodo dei suddetti possidenti, e a tale effetto vi si destinò un guardiano a soldo fisso, anche per vigilare non solo che tal disposizione ministeriale fosse onninamente osservata, ma anche non venissero manomessi, specialmente nell'inverno, che dagli esteri vien continuamente frequentata, tutti quei frammenti che lungo la via si trovavano depositati, o danneggiati quei monumenti riedificati con tanta cura e impegno dei due sud. Sig. Canina e Grifi. Portatosi a termine, come si è detto di sopra, lo scuoprimento totale della Via, che importa la maggior spesa, come vien dimostrato nell'unito prospetto, il Ministero non ha mai tralasciato in seguito di portarvi la sua attenzione col mantenere e proseguire la riedificazione di quelli Monumenti più rilevanti, come in questo anno si è fatto per quello della famiglia Aurelia dei Cotta celebre nell'istoria. Nell'anno 1854 in seguito di autorizzazione Sovrana, e dopo che giunsero in Roma gli strumenti acquistati a Parigi il R.do P. Secchi della Compagnia di Gesù dette incominciamento alla misura e livellazione di questa monumentale via, la quale operazione fu portata a termine nell'anno seguente 1855, e che ora mercè le cure dello stesso R. Padre e la benigna annuenza della E.V.R.ma sarà per essere pubblicata... (seguono elenchi spese per tipologie di lavori, escavazioni, costruzioni macerie, sistemazioni della strada, riedificazione dei monumenti, oltre a spese per alberi, espropri, spese per operai e di vario genere) [4]
Il lavoro fu ben eseguito e mantenuto per anni con una cura che trovava apprezzamento presso studiosi e visitatori italiani e stranieri. La via Appia è considerata un monumento unitario con i resti di pertinenza; ogni forma di alterazione e manomissione veniva repressa con sanzioni, compreso il transito di greggi non autorizzato. La relazione del segretario generale Luigi Grifi al Ministero del giugno 1869 descrive con orgoglio lo stato della strada: " ...Il piano stradale dal cancello non lontano dal sepolcro dal Cecilia Metella, fino all'altro cancello delle Frattocchie, è mantenuto benissimo e pulito in tutta la sua larghezza da una crepidine all'altra per la lunghezza di circa nove miglia. Lo stesso dicasi della maceria nei due lati della via, che è ottimamente mantenuta. ... Fra le moltissime opere che con Sovrana provvidenza sono state ordinate dalla Santità di N.S. in benefizio delle memorie antiche, vi dee stare a capo la riapertura della via Appia. Non più i suoi monumenti e le sue moli sepolcrali sono in balia dei coltivatori, non più sono inaccessibili per disagiato terreno senza via. Ma sono tutte visibili e la strada riaperta e ben tenuta vi chiama nell'inverno migliaia di stranieri, che lodano tutti la Sovrana Munificenza di Sua Santità che ha tratto fuori dalla terra e conservato ai luoghi loro tante memorie storiche e le ha rese di facilissimo accesso e custodia diligentemente. E' grato al mio dovere il dire che da diciotto anni, da che è stata aperta l'Appia Antica agli studi e alle investigazioni degli eruditi vi siano mancati né oggetti né cure, e che essendone affidata a me la immediata custodia e direzione, l'abbia sempre tenuta in modo che il Sovrano, cui si dee sì bell'opera, ne abbia riscosso continui elogi. Avendo fatto tenere un conto approssimativo delle carrozze dei forestieri, dalle quali in questo anno 1868-1869 è stata percorsa, torna una media di circa sessanta al giorno dal mese di Novembre 1868 al mese di giugno 1869....La custodia dell'Appia è tenuta da un guardiano, che non l'abbandona mai..." [5]
Solo alcuni anni dopo le cure per il monumento della via Appia, così egregiamente recuperato, sono sostituite da episodi ineluttabili, quali la costruzione dei Forti Militari e della Strada Militare che li collegava (l'attuale via di Cecilia Metella), negli anni 1877-1878. Rodolfo Lanciani fu incaricato di sorvegliare i cantieri per conto del Ministero della Pubblica Istruzione e per la parte che riguardava le antichità.
Di fronte alla necessità, considerata irrinunciabile, di difesa della città, nessuno si oppose alla realizzazione dell'opera (per questo e altri casi) e quando fu necessario, per esigenze della fortificazione, demolire parte della macera ottocentesca e un sepolcro, ciò fu fatto con la motivazione che si trattava di un rudere senza "forma" né "memoria" né "importanza" [6]. Nel frattempo gli scavi nell'area del Forte rivelavano scoperte interessanti, in particolare testimonianze epigrafiche pertinenti a una vasta necropoli di epoca romana. [7]
Le numerose iscrizioni recuperate, per la distribuzione sul terreno e le indicazioni delle misure nei cippi consentirono al Lanciani di definire l'estensione dell'area funeraria e la distribuzione dei lotti di terreno delle sepolture. Del materiale della necropoli, cippi, are, urne, sarcofagi, di un arco cronologico tra l'epoca augustea e il III sec. d. C., una parte è stata raccolta nel complesso del mausoleo di Cecilia Metella e del Palazzo Caetani.
Merita di essere ricordata la incredibile richiesta di realizzare binari per un tramway lungo la via Appia da parte della società di Tramways Roma-Milano-Bologna, inoltrata nel 1880 al Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, Giuseppe Fiorelli per " congiungere la città di Albano colla Capitale mediante un tram a vapore come già fece per Tivoli ed aspirando ad auspicare all'interesse industriale della nuova via quello caratteristico della plaga che deve attraversare...". La proposta è sostenuta dalle seguenti considerazioni: "La via Appia, nel tratto fra Capo di Bove e le Frattocchie, essendo chiusa al pubblico transito, è solo percorsa dagli studiosi di sue antichità e sufficientemente larga per accogliere il tramway, senza che questo tocchi o danneggi menomamente i sepolcri che la fiancheggiano e senza che il pavimento antico ne sia punto danneggiato e possa dar motivo a quegli inconvenienti che si verificano talvolta sulle vie frequentate. Il Tramway faciliterebbe assai la visita, lo studio e l'illustrazione degl'insigni monumenti di questa Regina Viarum. Essa sarebbe maggiormente sorvegliata e conservata affidandone la custodia ai numerosi cantonieri della Società...". Il Ministero non sarebbe stato alieno dal concedere il permesso, a determinate condizioni, se il Lanciani non avesse formulato circostanziate osservazioni sulla inattuabilità del progetto.
Lo spirito che aveva sostenuto la grande opera di recupero della strada destinandola a monumento di interesse universale e luogo di attrazione per turisti e studiosi cede il posto all'incombenza gravosa di doverla mantenere, così che quasi appare un soluzione la proposta per quella che sarebbe stata la più esclusiva infrastruttura per la mobilità, realizzata a danno della grandiosa via di comunicazione dell'antichità.
Pochi anni dopo infatti, tra il 1884 e il 1887, R. Lanciani, preposto all'Ufficio degli Scavi di Antichità di Roma, inizia a presentare relazioni e richieste alla Direzione Generale, con elenchi dettagliati di lavori e preventivi, per la conservazione della via Appia che, dopo i lavori di scavo e restauro di Canina e Iacobini, non aveva più ricevuto alcuna cura: " La via Appia Antica della quale è possessore lo Stato (a partire dal IV chilometro fuori di Porta S. Sebastiano fino al casale delle Frattocchie) trovasi in istato di assoluto abbandono.... La partita stradale dal cancello di ingresso alla traversa di Fiorano è difficilmente praticabile; massime nel tronco più vicino alla città; dalla traversa di Fiorano alle Frattocchie è assolutamente impraticabile. Le macerie di confine sono cadute in molti punti, i cancelli di legno sono andati a male; iscrizioni, monumenti di sepolcri, scolture figurate etc., sono state mosse di posto ed altrimenti danneggiate" (1884) [8]
Il 17 agosto 1886 il quotidiano L'Opinione pubblica un articolo, indirizzato al Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, Giuseppe Fiorelli, nel quale si critica lo stato di abbandono della strada riscontrato da un gruppo di ammiratori " degli avanzi dell'antica civiltà romana", nel corso di una escursione serale. La strada era completamente invasa da erbe e spine, come pure i margini dei marciapiedi; dominavano l'incuria e l'abbandono mentre " le vaccine", raggruppate in mezzo alla strada, fra i monumenti e ovunque, facevano da " padrone assolute e dispotiche dell'antica regina viarum" [9].
Alla tempestiva richiesta di chiarimenti in merito da parte del Direttore Generale Fiorelli, [10] di fronte a un simile attacco della stampa, il Lanciani ricorda di aver denunciato, un anno prima, alla Direzione lo stato vergognoso di abbandono dell'Appia, senza ricevere alcuna risposta [11].
Solo nel 1888, dopo intensa corrispondenza tra il Direttore Generale e il Lanciani, si approvarono e quindi iniziarono i primi lavori di riparazione delle macere, che delimitavano la proprietà pubblica da quella privata, mentre continuavano i guasti alla strada e alle macere causati dal transito dell'artiglieria e dei carri delle cave.
Altre lettere di denuncia sullo stato deplorevole della via Appia giungono al Direttore Generale e al Ministro della Pubblica Istruzione P. Boselli, come quella del 12 gennaio 1891: " ...Questa via, la più celebre del mondo e che gli stessi antichi chiamavano Regina Viarum, la quale dopo gli scavi del Canova nel 1808 e del Canina dal Sepolcro di M. Servilio Quarto a un miglio circa dalle rovine di Bovillae negli anni 1850, 1851, 1852, ebbe dal cessato governo pontificio una manutenzione diligentissima, fa pena a vederla abbandonata ora a tutte le vicende del tempo, degli animal e degli uomini, o di questi al ludibrio e al vandalismo dei trafugatori, in ispecie forestieri e di guastatori... Le distruzioni dei monumenti, di resti d'ogni genere e fino alle piante presso di essi, come del trafugamento di marmi, statue, di buste, e fino di staccate dai bassorilievi, come dal Sepolcro di Seneca in tre anni fa, sono cresciuti a dismisura!"[12]
Il Direttore Generale sollecita interventi dell'Ufficio speciale per le antichità e monumenti di Roma e Suburbio, nella persona del direttore Angelo Contigliozzi, ricordando il grave danno al magnifico blocco di marmo a segmento di edicola con l'iscrizione del sepolcro vicino, con nucleo di forma rotonda, "Sergio Demetrio, mercante di vino al Velabro"
Fra l'altro si ricordano alcuni crolli di mura e di una volta medievali nella Villa dei Quintili, gravi lesioni a Casal Rotondo, di proprietà del Principe Torlonia, su cui è stata costruita una casa colonica e ancora lo stato sconfortante di manutenzione dell'intera Via Appia a causa della scarsezza del personale.
Nei rapporti redatti per il Ministro allo scopo di definire il problema dell'Appia si individuano le soluzioni, ponendo in evidenza che le cause dei danni sono da ricondursi a due fatti: " non sorveglianza, non opere di conservazione" [13]
Un corposo fascicolo raccoglie documenti sui varchi e i passaggi sulla via Appia avviato dal Direttore Generale Fiorelli, con l'esame dei documenti del tempo del Canina, al fine di trovare una soluzione ai sempre più numerosi contenziosi e conoscere le relazioni giuridiche tra la proprietà ministeriale della strada e i proprietari "frontisti" dei terreni. Già il 16 ottobre 1882 R. Lanciani aveva inviato una relazione al Direttore Fiorelli: " Quando il Governo Pontificio, a partire dal 1852 intraprese le espropriazioni, lo scavo e il restauro dell'Appia, tra capo di Bove e le Frattocchie, ciascheduna delle tenute che confinavano con detta via, e che sono da essa attraversate, aveva la propria strada di accesso, a partire sia dall'Appia Nuova, sia dall'Ardeatina, sia dalla strada detta del Divino Amore. Aperta a tutte le spese del governo, la nuova linea, destinata a scopo puramente archeologico, e chiusa con macerie e cancelli da ambo i lati, i frontisti ebbero naturalmente il diritto di accedere ai propri fondi con vetture: ma il transito dei carri, delle barozze e degli armenti fu rigorosamente vietato per più ragioni. In primo luogo perché tale transito è dannoso ai monumenti e al selciato antico. In secondo luogo perchè avrebbe richiesto un spesa annua pi mantenimento della partita stradale, a tutto carico del Ministero. In terzo luogo perché la strada ha soltanto m. 3,80 di larghezza, in modo che nemmeno due carrozza di lusso vi trovano lo scambio in senso diverso. In quarto luogo perché ogni tenuta trovavasi già munita delle propria strada. Però, come suole avvenire in simili casi, sia per impegni, influenze e relazioni personali dei frontisti con le autorità, sia per altre cause urgenti e temporanee, la maggior parte di essi ottennero concessioni di passaggio, ma dentro limiti ristrettissimi e senza pericolo di danno ai monumenti o di aggravio alle spese di manutenzione. Queste limitate concessioni sono ora consacrate dall'uso, benché non mi sia riuscito di trovare in archivio documenti in proposito. Negli ultimi anni le domande di transito si sono centuplicate. In generale quando l'Ufficio ha creduto di negarle, i frontisti se le sono accordate di proprio arbitrio. Per persuadersi quanto sia urgente di regolare la questione basta percorrere l'Appia e vedere a quale stato di rovina è ridotta... Il partito più semplice per togliersi l'imbarazzo sarebbe quello di costituire un consorzio tra i frontisti, per il mantenimento della strada, delle macerie e dei cancelli. Ma tale partito non può ammettersi primieramente perché il Ministero verrebbe in tal guisa ad alienare la propria esclusiva dello stato sull'Appia antica; in secondo luogo perché appena fosse reso libero il passaggio, tutti i frammenti scritti e scolpiti sarebbero derubati, i mosaici e i sepolcri danneggiati; senza calcolare che ogni cella sepolcrale diverrebbe un nascondiglio o una latrina. Il partito che suggerisce rispettosamente alla S.V. sarebbe il seguente. I. Raccolte tutte le informazioni che è possibile raccogliere intorno i diritti di transito che competono ai frontisti, se non de iure, almeno de facto, farne soggetto di una convenzione (coi singoli interessati) con tutte le più solenni formule legali. II. Stabilite coteste convenzioni coi frontisti, adottare, come massima a legge rigorosa, che nessun'altra concessione, sia anche temporanea ed eccezionale, possa essere rilasciata sotto qualsiasi pretesto." [14]
Nel 1889 il Fiorelli chiede ad direttore dell'Ufficio Speciale per le Antichità e Monumenti di Roma e Suburbio (A. Contigliozzi) di affrontare il tema dei transiti sulla via Appia "... La questione è molto importante, perché dai continui passaggi su questa via che da monumento è divenuto luogo di pubblico transito, dipende in parte il cattivo stato di manutenzione in cui si trova e la difficile custodia della via stessa e dei monumenti che la circondano..." Si rinnovano le raccomandazioni sulla vigilanza affinché non si verifichino passaggi di carri o bestiame occasionali e si dispone che alla domande di passaggio si risponda sempre negativamente; nei casi di fondato diritto di passaggio questo comporterà l'obbligo di contribuire alle spese di manutenzione della via.
La ricerca del Direttore Fiorelli dei carteggi relativi agli scavi del Canina e agli espropri del Governo Pontificio è intensa, anche presso la Sovrintendenza agli Archivi nelle Province Romane e il Ministero dei Lavori Pubblici e viene interessato anche il senatore Pietro Rosa, Ispettore Generale dei Musei e degli Scavi d'Antichità. Le varie ricerche non danno risultati e l'unico documento che il Sovrintendente agli Archivi riesce a trovare è il rapporto del 14 settembre 1858 sui lavori della nuova apertura della via Appia, sopra in parte riportato.
Intanto su incarico del Direttore Generale si esegue il lucido delle Mappe Catastali della via Appia, fino al confine della giurisdizione dell'Agenzia delle Imposte di Roma, e si effettuano ispezioni sui passi esistenti e sulle proprietà, sempre con la grave lacuna del carteggio relativo agli espropri del Governo Pontificio e si elaborano una pianta, l'elenco dei proprietari, l'elenco dei varchi. In data 13 novembre 1889 il professionista incaricato scrive al Direttore Fiorelli una relazione e allega gli elaborati grafici. Tale documento è di fondamentale importanza in quanto per la prima volta si indica in una planimetria tutti i dati relativi alle proprietà private e demaniale, nonostante continui ad essere mancante il carteggio sugli espropri degli anni 1851 e seguenti. Sulla pianta è tinteggiata in rosso la proprietà demaniale, limitata dalle macere, inclusi appezzamenti che sporgono dalla fascia rettilinea e le sporgenze dei monumenti considerati all'epoca meritevoli di appartenere al patrimonio artistico dello Stato, quindi racchiusi entro le macere. Si specifica che alcune aree o monumenti, come ad esempio il mausoleo di Casal Rotondo, pur essendo nel recinto della macera (" via riservata"), sono occupati da privati che vi depositano attrezzi e vi tengono persone ad abitare. Nel rapporto si forniscono suggerimenti utili per la gestione della via Appia, nella condizione alquanto diversa dall'epoca del Canina, soprattutto in assenza di "convenzioni" quali furono definite in origine in pieno accordo con i proprietari: il ripristino dei cancelli ai due estremi della via con tessere agli aventi diritto; introduzione di una tassa d'ingresso, per coloro che non hanno permessi, al fine di custodire la proprietà demaniale, minima per i pedoni, elevata per le carrozze, i proventi della quale potrebbe essere utilizzati per la manutenzione della strada stessa. [15]
Fra cause giudiziali e problemi giuridici sempre connessi con il passaggio e i varchi sulla via Appia viene interpellata anche la Regia Avvocatura Erariale Generale che esprime il proprio parere in forma definitiva con la lettera del 29 gennaio 1891.
I fatti sono i seguenti: " Il Governo Pontificio verso il 1852 intraprese l'espropriazione, lo scavo e il restauro dell'Appia e prima di tale scavo le tenute confinanti erano tutte provvedute di strada d'accesso a partire dalla via Appia Nuova, sia dall'Ardeatina, sia dalla strada del Divino Amore. La nuova via fu aperta a solo scopo archeologico e i proprietari finitimi ebbero solo in via di concessione il permesso di transitare con vetture". Essendo la via Appia dello Stato e trattandosi di un monumento non si sarebbero pertanto potuti acquisire diritti di passaggio. Alcuni privati tuttavia si opposero ai provvedimenti di divieto emanati dal Ministero rendendo necessaria la definizione della questione degli espropri. Poiché gli atti di esproprio non erano più reperibili, il Direttore Fiorelli interpella l'ispettore Pietro Rosa nella speranza che la memoria di colui che aveva lavorato affianco al Canina e aveva redatto la pianta della strada con i monumenti possa chiarire i dubbi ancora esistenti in merito agli espropri e ai diritti di passaggio [16].
La risposta del Rosa fu immediata e chiarificatrice sull'intera questione: dopo i lavori e gli espropri il Governo Pontificio recintò la via Appia con due cancelli e le macere; all'epoca del raccolto del frumento e della tagliatura dei fieni venivano rilasciati permessi di transito ai proprietari dei terreni limitrofi. " Tale fatto prova evidentemente chei proprietari dei terreni laterali alla via Appia Antica non avevano alcun diritto di passaggio sulla antica via monumentale...scopo precipuo dell'espropriazione si fu di impedire il libero transito sull'antica via monumentale per conservarla, siccome ne fan fede e le macerie costruite ai lati della zona monumentale e i cancelli apposti a capo ed a piedi della zona medesima". [17]
Il parere definitivo dell'Avvocatura, sopra citato, si fonda dunque su elementi di verità che possono ricavarsi dal fatto che la strada fu recintata e chiusa, dal rapporto del Rosa e dagli scritti del Canina, sufficienti per dimostrare che l'espropriazione ebbe luogo. "... E c'è abbastanza per giustificare il divieto formale da parte del Governo a che i carri e le barozze, segnatamente se cariche di selce, continuino la loro opera di distruzione. Si faccia dunque il divieto. Avremo causa. O gli avversari riusciranno a provare il loro diritto e il Governo saprà quale via gli resta per tutelare la storia e l'arte in uno dei suoi più mirabili monumenti, o non riescono, e allora saremo noi ad avere causa vinta..." [18]
Continuando la ricerca del carteggio sui lavori dell'epoca di Canina si rintracciano alcuni documenti che vengono trasmessi, il 31 marzo 1892, dal Sovrintendente agli Archivi alla direzione generale relativi al transito sulla via Appia dal 1855 al 1866. Fra le varie istanze è una richiesta del 1856 di far pascolare alcune cavalle sull'Appia che viene respinta con la motivazione che " la via Appia è stata aperta per uso de' dotti e non per ritornarla pascolo d'animali". Il resto dei documenti riguarda multe per passaggi non autorizzati e per danni ai monumenti [19].
Il 27 maggio 1893 il Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, Carlo Fiorilli, risponde all'onorevole ing. Severino Casana in merito alla chiusura del passaggio per i carri su tutta la via Appia: " La S.V. Onor.le desidera sapere se sia vero che il Ministero della P. I. abbia interdetto il passaggio ai veicoli lungo la via Appia demaniale monumentale. Questo Ministero per salvaguardare e rivendicare i diritti demaniali e tutelare la conservazione di quella antica Via e monumenti laterali, dopo sentita reiteratamente l'Avvocatura Generale erariale che vagliò lo stato diretto e le circostanze di fatto; ha ora presi energici provvedimenti perché a datare dal 1 luglio venturo siano assolutamente proibiti i passaggi longitudinalmente alla detta via, ed anche trasversalmente,ove non esista la servitù formalmente costituita, alle barozze e ad altri carri presenti, che specialmente trasportano materiale siliceo e che in diversi tratti abusivamente transitando, hanno arrecato guasti alla via. Ma non si è mai avuto in mente di impedire il passaggio ai pedoni ed alle carrozze che trasportano visitatori e passeggeri, anzi è stato esplicitamente dato ordine che a questi sia libero l'andare per quella via.." [20].
L'impegno della Direzione Generale a far rispettare il divieto appare anche dalla corrispondenza intercorsa tra il Direttore Generale e il Direttore dell'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti delle Province di Aquila Roma Chieti, G. Calderini, quando quest'ultimo propone di riaprire un varco abusivo e informa su lavori che si stanno eseguendo di risistemazione della strada e di lati riordinando i massi e le lapidi. E' severo il rimprovero rivolto dalla Direzione all'Ufficio territoriale sia per la riapertura del varco abusivo, sia per i lavori di spostamento dei vari elementi lapidei, che invece dovevano rimanere al loro posto [21].
Le controversie sui passaggi sulla via Appia attraverso varchi abusivi continuano per alcuni anni, in particolare per le zone di Fiorano e Frattocchie dove si svolgevano attività estrattive di selce, con la conseguente necessità di trasporto del materiale. Le cause si risolvono con esito favorevole per il Ministero, ritenendo i Tribunali abusivo il transito dei carri di selce. Una sentenza del 2 luglio 1894 sancisce che il Ministero ha il dovere di tutela della strada monumentale e la via Appia è riconosciuta a tutti gli effetti un monumento nazionale. Le denunce e le sanzioni penali e civili nei confronti dei trasgressori fanno riferimento all'articolo 56 e 57 dell'Editto del 7 aprile 1820 sopra le Antichità e Scavi del Cardinal Pacca: " Siccome ancora resta assolutamente vietato di guastare gli avanzi qualunque delle antiche celebri Strade, interessando sommamente la loro conservazione.." .(art.57) e " Le contravvenzioni agli Art. 51 e seguenti saranno punite con una multa di Scudi Cencinquanta e colla refezione dei danni" [22].
Tra la fine del 1894 e il maggio del 1896 si definiscono, attraverso una fitta corrispondenza tra la Direzione Generale Antichità e Belle Arti e l'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti delle province di Aquila Roma Chieti, i modi e la spesa per la risanamento dei danni e della buche al fondo stradale della strada dal IV al X chilometro con pietrisco misto a terra ben ribattuto, non senza le consuete polemiche con alcuni dei privati che utilizzando la strada per il transito avrebbero dovuto concorrere alla spesa da sostenere per i lavori.
Il problema di una manutenzione periodica della strada è evidente dal carteggio anche per gli anni successivi, dal 1898 [23], sotto la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti di Felice Barnabei, Ministro Guido Baccelli.
Non si trovano riferimenti a particolari interventi e azioni di tutela sulla via Appia fino al 1910 [24] e si conclude questa scelta di note con la proposta del Direttore degli Scavi al Palatino e Foro Romano, Giacomo Boni al Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, Corrado Ricci, di piantumazione di alcune alberature: " Alcuni frequentatori della via Appia antica mi raccomandano di ottenere che si freni l'invasione delle brutte piante esotiche che danneggiano i ruderi degli antichi sepolcri e sopprimono ogni vestigio della flora più caratteristica della Regina Viarum. Le nuove piantagioni dovrebbero farsi nel prossimo novembre e sarei disposto a offrire un centinaio di pinus pinea e ad acquistare un altro centinaio di cupressus pyramidalis, perchè codesto On. Ministero volesse far estirpare le robilie e gli ailanti, risparmiando altrettanta legna per le stufe della R. Soprintendenza dei monumenti di Roma e provincia". [25]
In un momento in cui l'Appia con il suo territorio è in bilico tra noncuranza, inosservanza di regole che si davano per scontate e soluzioni solo apparentemente accattivanti, la storia della sua tutela assume un valore sostanziale. Quando si mira a cancellare la memoria, in modo che risulti più facile intervenire per trasformare, e il rischio che questo accada è quasi una dato di fatto, allora è opportuno riflettere volgendosi indietro, per conoscere e far conoscere cosa è stato, cosa si è fatto.
E non è poco.
La ricerca d'archivio sul territorio dell'Appia è stata eseguita, in modo completo, da Mauro De Filippis per la Soprintendenza Archeologica di Roma. Chi scrive e Mauro De Filippis hanno in corso la pubblicazione di tutti i documenti.
Bibliografia principale di riferimento
C. Fea, Osservazioni critiche sul ristabilimento della via Appia da Roma a Brindisi per il viaggio ad Atene, Roma 1833; A. Nibby, Analisi storico-topografico-antiquaria della Carta de’ Dintorni di Roma, 2a ed. I-III Roma 1848-49; A. Iacobini, Lo scavo della Via Appia fatto nel 1851, in “Giornale Arcadico” CXXIII (1851); P. Rosa, Monumenti inediti pubblicati dall’Istituto, V, Roma 1849-53; L. Canina, La prima parte della Via Appia dalla Porta Capena a Bovillae, Roma 1853; A. Muñoz, Restauri e nuove indagini su alcuni monumenti della Via Appia, in “Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma” XLI, (1913); G. Tomassetti, La campagna romana antica, medievale e moderna. Nuova edizione aggiornata a cura di L. Chiumenti e F. Bilancia, II: Via Appia, Via Ardeatina, Via Aurelia, Firenze 1975; F. Coarelli, Dintorni di Roma, Bari 1981; AA.VV., Piano per il Parco dell’Appia Antica, Italia Nostra – Sezione Romana, Roma 1984; L. Quilici, Via Appia da Porta Capena ai colli Albani, Roma 1989; AA.VV., Via Appia, Sulle Ruine della magnificenza antica, cat. mostra, Roma 1997; Paolo Fancelli, Antonio Canova tra archeologia e restauro: il monumento di M. Servilio Quarto sulla Via Appia, in Studi in onore di Renato Cevese, 2000; Via Appia. La Villa dei Quintili, a cura di R. Paris, Roma 2000; Via Appia. Il Mausoleo di Cecilia Metella e il Castrum Castani, a cura di R. Paris, Roma 2000; M.G. Filetici, S. Pasquali, Via Appia antica in Roma, 1850-1999: un percorso tra documenti d’archivio e monumenti attraverso la rappresentazione in 3D, in Centro di Ricerche Informatiche per i beni Culturali, quaderni 10, a cura di G.Beltramini e M.Gaiani, Scuola Normale Superiore, Pisa, 2000, pagg183-188; R.Paris, Via Appia. Nota introduttiva sui lavori., in Archeologia e Giubileo, Gli interventi a Roma e nel Lazio nel Piano per il Grande Giubileo del 2000,, Vol. I, Electa, Napoli, 2000; R.Paris, Mausoleo di Cecilia Metella e Castrum Castani, in Archeologia e Giubileo, Gli interventi a Roma e nel Lazio nel Piano per il Grande Giubileo del 2000,, Vol. I, Electa, Napoli, 2000; R.Paris, Villa dei Quintili, in Archeologia e Giubileo, Gli interventi a Roma e nel Lazio nel Piano per il Grande Giubileo del 2000,, Vol. I, Electa, Napoli, 2000; P.Meogrossi, Supporti documentari dell’Appia Antica:il Castello Castani e la cartografiageoriferita della Villa dei Quintili, in Archeologia e Giubileo, Gli interventi a Roma e nel Lazio nel Piano per il Grande Giubileo del 2000,, Vol. I, Electa, Napoli, 2000; M.G.Filetici, Conservazione di otto piccoli sepolcri e ritrovamento di un colombario, in Archeologia e Giubileo, Gli interventi a Roma e nel Lazio nel Piano per il Grande Giubileo del 2000,, Vol. I, Electa, Napoli, 2000; D.Cirone, Valle della Caffarella. Scavi della Torre Valca, al Colombario Costantiniano e al Ninfeo di Egeria, in Archeologia e Giubileo, Gli interventi a Roma e nel Lazio nel Piano per il Grande Giubileo del 2000,, Vol. I, Electa, Napoli, 2000; Adriano La Regina, Lexicon Topographicum Urbis Romae. Suburbium, I, Roma 2001, voce " Appia via"(S. Bruni, S. Mineo, R. Paris); AA. VV. La Via Appia. Iniziative e interventi per la conoscenza e la valorizzazione da Roma a Capua, a cura di L. Quilici e S. Quilici Gigli, Roma 2002.
[1] ASR, Camerlengato. Parte I. Titolo IV. Antichità e Belle Arti (1816-1823), B.38 f. 25
[2] ASR, Camerlengato. Parte II. Titolo IV. Antichità e Belle Arti (1824-1854), B.150 f.112
[3] I lavori sono descritti nella prefazione dell'opera di L. Canina, La prima parte della Via Appia....; R. Paris, Luigi Canina e il museo all'aperto della via Appia, in Tusculum. Luigi Canina e la riscoperta di un'antica città, Roma 2002, a cura di G. Cappelli e S. Pasquali, pp. 221-224
[4] Rapporto del capo contabile al Ministero, ASR, Ministero del Commercio, Belle Arti, Industria, Agricoltura e Lavori Pubblici. Sezione V. Titolo I, Articolo I. Monumenti (1855-1870), B349 f.59. Il lavoro di misurazione della Via Appia è stato pubblicato nell'opera di Padre Secchi, Secchi A. Misura della base trigonometrica eseguita sulla via Appia per ordine del governo Pontificio nel 1854-55, Roma, Tipografia della Camera Apostolica 1858.
In occasione dei lavori di restauro della strada eseguiti nell'ambito dei programmi del Giubileo 2000, è stato rinvenuto il caposaldo materializzato nei pressi del mausoleo di Cecilia Metella (caposaldo A), nel centro della carreggiata stradale; un secondo caposaldo era presso un monumento in località Frattocchie (caposaldo B); cfr. E. Borchi-A. Cantile, La nuova base geodetica dell'Appia antica, estratto dal volume Eventi e documenti diacrinici delle principali attività geotopocartografiche in Roma, a cura di A. Cantile, Suppl. al N. 6/2000 (a. LXXX) di "L'Universo", Istituto Geografico Militare, Firenze.
[5] ASR, Ministero del Commercio, Belle Arti, Industria, Agricoltura e Lavori Pubblici. Sezione V. Titolo I. Articolo I. Monumenti (1855-1870). B. 363 f. 6.
[6] Cfr. S. Quilici Gigli, Gli sterri per la costruzione dei forti militari, in L'archeologia in Roma Capitale tra sterro e scavo, 1983, pp. 89-98; ASR, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, I versamento(1860-1890) B. 131 (già 83) f. 215.
[7] Per gli scavi al Forte Appio: G. Fiorelli, NSc (1877), 272; R. Lanciani, NSc (1878), 67, 134-136, 164-166, 369-370; Id., NSc (1879), 15-16; Id., BCom (1878), 107-119; Id., BCom (1880), 46-48; G. Mancini, NSc (1913), 119; E. Gatti, NSc (1919), 46-47); anche Lexicon Topograficum Suburbium Urbis Romae, p. , v. Appia (S. Mineo).
[8] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 420 (già 502), f. 4651 (il fascicolo contiene numerosi documenti sugli interventi urgenti da eseguirsi per la manutenzione della via Appia tra il 1880 e il 1896).
[9] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897), B. 420 (già 502), f. 4651, il fascicolo contiene copia dell'articolo.
[10] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897), B. 420 (già 502), f. 4651, lettera del 18 agosto.
[11] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897), B. 420 (già 502), f. 4651, lettera del 24 agosto.
[12] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897), B. 420 (già 502), f. 4651
[13] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897), B. 420 (già 502), f. 4651(presumibilmente marzo 1891)
[14] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664.
[15] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664, lettera del 13 novembre dell'ing. Adolfo Bergomi al Direttore Generale G. Fiorelli, con allegati (busta 13 fascicolo 619) tra cui la planimetria della Via Appia Antica e delle proprietà limitrofe in scala 1:2000.
[16]ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664, lettera del 10 luglio 1890.
[17] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664, lettera dell'11 luglio 1890.
[18] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664, lettera del 29 gennaio 1891 dell'avvocato Generale Erariale di Roma al direttore generale delle Antichità e Belle Arti Carlo Fiorilli.
[19] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664, allegato al documento interno del 31 marzo 1892 firmato direttore generale delle Antichità e Belle Arti C.Fiorilli per concertare con l'Avvocato Generale Erariale una linea politica sui varchi e i passaggi, contenente varie pratiche
[20] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664, lettera del 27 maggio 1893.
[21] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664, lettere del 12, 13, 21, 24, 29 aprile e del 6 , 31 maggio, 3 giugno e 1 luglio 1892.
[22] Per l'editto:A. Emiliani, Leggi, bandi e provvedimenti per la tutela dei Beni Artistici e Culturali negli antichi stati italiani (1571-1869), pp. 100-111.
[23] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, I divisione (1908-1924), B. 560, f. 2862.
[24]Continua tuttavia il carteggio sul problema dei varchi e passaggi per i quali la Direzione del Ministero esprime sempre parere contrarissimo con la motivazione che la "via cesserebbe di avere il carattere di proprietà riservata e di esclusivo uso del demanio pubblico", fra l'altro ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, I divisione (1908-1912), B. 170, fasc.2951, lettera del 30 ottobre 1907 del direttore dell'Ufficio Tecnico per la conservazione dei Monumenti di Roma, Aquila e Chieti, D. Marchetti al Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti C. Ricci.
[25] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, I divisione (1908-1912), B.138, fasc. 2643.
Sono passati oltre vent’anni dalla creazione del parco regionale dell’Appia Antica, fortissimamente voluto da Antonio Cederna e previsto fin dal Piano regolatore del 1962. Circa 3.500 ettari di verde ricco di archeologia attorno alla «regina delle strade» romane sono sotto tutela, dal territorio di Marino fino alle Mura Aureliane. Anni fa la giunta regionale aggiunse altri 1.500 ettari, ma il consiglio non ne ha mai discusso. Il parco ha 45 dipendenti, tra cui una dozzina di sorveglianti, e un bilancio francescano. Valeva la pena istituire questa riserva urbana? Adriano La Regina, l'ex sovrintendente archeologico che ha tutelato Roma per un trentennio, è a capo del parco e dice che sì, «ne è valsa la pena». È stato evitato lo scempio attuato in ogni altra parte periferica della città, sono al sicuro preziose aree verdi seminate di importanti testimonianze del passato. Sono stati perfino creati nuovi spazi per la fruizione pubblica, tenuto conto che i terreni del parco sono in massima parte privati.
Ma cosa c’è che non va, allora? La Regina non riesce a vedere negli amministratori locali l’impegno che meriterebbe un vero e proprio bacino culturale mondiale com’è il parco. L’area è attraversata da un intenso traffico come se non fosse «speciale», non c’è neppure una Ztl. Le violazioni ai vincoli spesso non vengono sanzionate, i soldi arrivano col contagocce. Il parco è vissuto come una semplice area protetta, da difendere. Ma non da valorizzare con un impegno corale, di tutte le amministrazioni. Insomma, «sembra che basti che ci sia, ma non c’è l’intenzione di farlo fiorire facendolo diventare un esempio per tutto il mondo. Forse — dice mesto La Regina — non ci si rende conto di cosa rappresenta in termini culturali ».
Negli anni in cui «valorizzare» un bene pubblico significa solo metterlo a reddito, si capisce la distrazione e il disinteresse generale per la «fioritura» di un parco che difficilmente può fare cassa per superare le spese. Il valore del parco dell’Appia Antica è incommensurabile e non passa attraverso i ticket che si potrebbero vendere. Perché dunque non «valorizzarlo» come si deve, con un grande progetto che chiami a raccolta politica, amministrazioni, cultura, finanza. Ma per carità, un progetto onlus. Niente equivoci.
Adiacente all’acquedotto dei Quintili, nel cuore del parco dell’Appia antica, il grande supermercato era privo di qualsiasi licenza edilizia. Una struttura che misurava ben 540 metri quadri (circa 1.700 metri cubi) ed era sequestrata fin dal 2008: ieri la Procura di Roma ha autorizzato il dissequestro per la demolizione.
E così al posto dell’acciaio e del cemento verrà un parco pubblico attrezzato a disposizione dei romani e del quartiere. «Si tratta della più imponente operazione antiabusivismo edilizio conclusa nel parco dell’Appia antica - afferma il vicepresidente della Regione Esterino Montino - Inoltre è la prima volta che in base alle legge regionale del 2008 si procede all’acquisizione al patrimonio pubblico di un terreno offeso dall’abuso e alla sanzione per chi ha commesso l’illecito. Deve essere ormai chiaro a tutti che le ruspe non si fermeranno e che nessun tipo di abuso sarà più tollerato in quell’area ». La demolizione di ieri, i lavori proseguiranno anche oggi, vanta anche un altro primato. «Per la prima volta spiega il presidente dell’XI Municipio Andrea Catarci - si acquisirà l’area dell’abuso, 2.200 metri quadri con l’obiettivo di realizzare un’area verde attrezzate ».
Le spese di demolizione, circa 25 mila euro, come previsto dalla legge regionale sono state anticipate dalla Regione, ma saranno addebitate a totale carico dell’abusivo, oltre una multa di 20 mila euro. Appartenente alla società Colombina srl, l’edificio ha avuto un lungo contenzioso iniziato circa due anni fa, che si è concluso con le sentenze del Tar e del Consiglio di Stato, che hanno ritenuto perfettamente legittimo il provvedimento definitivo di demolizione emesso dal Municipio XI il 5 dicembre del 2008. E l’intervento di ieri, l’ennesimo nel parco dell’Appia, è stato possibile grazie all’accordo raggiunto tra la Regione, i municipi I e XI, la sovrintendenza per i beni archeologici di roma e l’ente parco dell’Appia: alle operazioni, condotte dal direttore dell’ufficio regionale antiabusivismo Massimo Miglio, era presente anche Rita Paris, l’archeologa responsabile dell’Appia. Demolizione con sorpresa: perché «durante i lavori abbiamo fatto un’ispezione nelle zone circostanti - racconta Massimo Miglio - e abbiamo rilevato che la stessa società titolare di questo supermercato di frutta e verdura che aveva ingrandito in maniera esponenziale, aveva realizzato altri 1000 metri quadri di plateatico con tettoie in cemento armato, tutto rigorosamente abusivo, oltre a una volumetria adibita a ristorazione di 1.500 metri cubi: con le Guardiaparco regionali, guidate da Guido Cubeddu, l’abbiamo messo sotto sequestro penale».
Aumenta il controllo sull’Appia Antica per combattere l’abusivismo edilizio. Ieri è stata firmata una convenzione tra il Municipio XI, Regione Lazio e la Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma, un documento per rendere più operativi e veloci gli abbattimenti di abusi edilizi.
«È un’area di grande pregio che ha una concentrazione di illegalità che non ha eguali in Italia, ma forse nel resto del mondo. Questa convenzione è una novità che aspettavamo da tempo, avevamo bisogno di questo filo diretto con gli altri enti. Finalmente lavoreremo con tempestività », racconta Rita Paris, direttrice e archeologa della Soprintendenza, responsabile dell’Appia Antica.
Il documento firmato da Andrea Catarci (Municipio), Esterino Montino (Regione) e Angelo Bottini (Soprintendenza) impegna le tre istituzioni a lavorare in sinergia per controllare l’area vincolata anche con il sistema foto aereo. Ed eventualmente per procedere agli abbattimenti di abusi accertati, attività operativa che sarà realizzata dall’ufficio di Massimo Miglio, dirigente regionale dell’ufficio che combatte l’abusivismo edilizio, con l’ausilio delle ditte vincitrici dell’appalto. «Questa è una collaborazione tra istituzioni molto importante - racconta Esterino Montino, vicepresidente della Regione e assessore all’Urbanistica - perché velocizza sia la decisione che l’esecuzione degli interventi da fare, dato che in passato la sovrapposizione di competenze, anche di fronte ad abusi conclamati, impediva di colpire direttamente ed efficacemente le illegalità edilizie. In questo modo diventeremo più operativi, potremmo anche intervenire nel momento in cui l’abuso edilizio viene realizzato. E c’è anche una novità: in alcuni casi potremmo anche procedere all’acquisizione del lotto, sia esso terreno o fabbricato ».
La Regione ha messo a disposizione dell’ufficio antiabusivimo un milione e mezzo di euro per interventi da realizzare in tutti i municipi, ma con ogni probabilità molti di questi fondi andranno al parco dell’Appia Antica.
«Perché è un’area che ha una situazione davvero estrema - precisa Vezio De Lucia, architetto urbanista - da un confronto cartografico del 2003 abbiamo rilevato che dall’anno in cui tutto il parco è stato dichiarato inedificabile, era il 1985, c’è stato un aumento di un milione di metri cubi di cemento. E da allora la situazione è nettamente peggiorata. Sarebbe importante fare questi rilievi più frequentemente». Ma è sicuramente utile sapere che nell’ufficio tecnico del Municipio sono 2500 i fascicoli riguardanti gli abusi edilizi nell’area vincolata del parco dell’Appia Antica. Da tempo il Municipio XI lavora per ripristinare la legalità sulla «Regina Viarum», ovvero abbattere verande, sopraelevazioni, costruzioni accessorie che non dovevano esserci.
«In particolare abbiamo cinquanta interventi da realizzare al più presto - spiega Catarci, presidente del Municipio - illegalità già accertate su cui bisogna intervenire. I nostri fondi già scarsi sono terminati, per questo la convenzione ci permette di tornare al più presto nuovamente operativi. E i nostri interventi stanno anche cambiando la mentalità di molti residenti, tanto che alcuni stanno procedendo alle autodemolizioni, che ovviamente fanno risparmiare soldi all’amministrazione. E sono meno traumatiche per il cittadino».
E infatti ieri sulla via Ardeatina, non lontano dalle Fosse Ardeatine, una sopraelevazione di un bar di fronte ad un ex-ristorante, è stata demolita dallo stesso proprietario, sotto il controllo del Municipio che gli aveva notificato l’abuso. «È uno dei risultati più importanti del nostro lavoro - commenta Massimo Miglio - la consapevolezza da parte del cittadino che non si può continuare nell’illegalità. E inoltre da quando abbiamo iniziato questo lavoro capillare sulla 'Regina Viarum' sono diminuite le segnalazioni di illegalità edilizie».
Questa volta è stata la stessa proprietaria e demolire il proprio salone (di circa 40 metri quadri) costruito senza licenza edilizia nella sua bella villa sull’Appia antica. A darne l’annuncio è stato lo stesso direttore dell’ufficio anti-abusivismo della Regione Massimo Miglio insieme al presidente dell'XI municipio Andrea Catarci. Aveva già ricevuto un primo avviso, ma dopo la demolizione a luglio della sopraelevazione della villa di Gaucci e neppure una settimana fa del parcheggio per 130 posti macchina a ridosso dell’ex villa di Silvana Mangano e Dino De Laurentiis, la proprietaria non ha aspettato le ruspe istituzionali.
E così ieri c’è stata la prima auto-demolizione. «Si registrano gli effetti della campagna di tutela del patrimonio ambientale, paesaggistico e storico della 'Regina Viarum'- afferma Andrea Catarci - che è stata lanciata dal Municipio XI in collaborazione con la Regione Lazio, la Sovrintendenza Statale e l’Ente Parco, con la prima auto-demolizione di costruzioni abusive». «Grazie all’importante opera di prevenzione e repressione del fenomeno dell’abusivismo edilizio portata avanti dal Municipio XI, anche senza disporre delle risorse economiche necessarie, sembra arrivare forte e chiaro - sottolinea Andrea Catarci con Massimo Miglio - il messaggio che non è e non sarà più possibile continuare impunemente a violare e ferire le aree di pregio come l’Appia Antica. Infatti, quest’oggi, un proprietario irregolare ha spontaneamente provveduto ad effettuare la demolizione dell'ampliamento abusivo».
Un’auto-demolizione che ha un duplice effetto: evita l’anticipo di risorse da parte del municipio e «innesca una presa di coscienza del problema da parte di chi si è macchiato dell’abuso». Il salone extra della villa faceva parte del gruppo di 15 situazioni già inserite nel cronoprogramma degli interventi da attuare da parte di Massimo Miglio, su un totale di 50 abusi che ufficio e municipio stanno studiando prima di intervenire.
E ieri, per essere sicuri che la proprietaria della villa eseguisse a dovere la demolizione, sul luogo sono andati sia Miglio che i vigili dell’XI gruppo, il personale della Guardia parco: «Invitiamo i proprietari irregolari a imitare l’esempio odierno - ha detto l’assessore all’Urbanistica dell’XI municipio Alberto Attanasio prima dell'intervento delle ruspe municipali».
All’aria il grosso parcheggio costruito illegalmente due anni fa nella villa sull’Appia antica che fu di Silvana Mangano. Giù la tettoia abusiva installata in cima a un grande bar. In polvere anche l’ampliamento costruito addosso al salone, la piscina in cemento armato, la strada scavata nel verde: tre scempi in altrettante ville che si trovano nell’area più vincolata e più martoriata d’Italia. Ossia la Regina viarum: 3.500 ettari di natura, templi, tombe romane; e ben 2.500 abusi edilizi. Ora però sono una quindicina le demolizioni che, eliminati tutti i possibili riscorsi, a partire da oggi saranno eseguite lungo il tracciato dell’Appia antica, accanto a quello della Nuova, su via dell’Almone o sull’Ardeatina.
Sono circa 50 però le pratiche di demolizione in via di completamento, in una campagna di salvaguardia e ripristino mai vista prima tra le bellezze antiche salvate grazie ad Antonio Cederna. Nella lista ci sono anche intere case o piscine dentro lussuosi centri sportivi. Ma quando Andrea Catarci, l’uomo di Sinistra e libertà che guida l’XI municipio, su cui si trova la maggior parte del parco archeologico, ha chiesto all’assessore comunale all’Urbanistica, Marco Corsini, i fondi per le demolizioni, si è sentito rispondere (il 24 luglio): «Si tratta di fatti di trascurabile importanza».
Certo, niente ecomostri tipo Punta Perotti o Fuenti. Ma in questa zona senza autorizzazione non si può montare neanche un gazebo. E chi lo fa ugualmente, spera sempre che dalla tela e dal legno, grazie a condoni o "piani casa", si possa passare poi a mattoni, putrelle, cemento.
«Le "piccole" demolizioni, come balconi o tettoie, sono le più difficili» rivela Massimo Miglio, a capo della squadra antiabusivismo regionale che è stata chiamata in causa dall’XI municipio dopo il «no» del Campidoglio. Ma la Regione Lazio ha ora coinvolto nel team anche la Soprintendenza. E oggi ci saranno anche gli archeologi dello Stato a seguire i primi abbattimenti.
«Non è fatto di sole demolizioni il nostro piano» spiega Catarci, illustrando il "Progetto di salvaguardia della legalità e della qualità ambientale nel Parco regionale dell’Appia antica e delle zone limitrofe comprese nell’XI municipio". «Ma di controllo e tutela di un territorio che, grazie alle sue bellezze, deve diventare anche una ricchezza economica». Per il suo vice, Alberto Attanasio, assessore pd all’Urbanistica, «le demolizioni, più che le condanne, hanno una grande efficacia come deterrente». Alcune volte, però, la scoperta del capannone o dell’ampliamento arriva quando l’abuso è già costruito. «In questi casi - sottolinea Miglio - si può applicare l’articolo 31 del testo unico che prevede l’acquisizione del fabbricato e fino a dieci volte la superficie del suo sedime».
Appia Antica, ruspe su villa Gaucci
Carlo Picozza – la Repubblica, ed. Roma, 12 agosto 2009
La vegetazione fitta non è bastata a coprire gli abusi edilizi nel cuore dell’Appia antica (al civico 56 di via Erode Attico), consumati nella proprietà di Luciano Gaucci. Così ieri mattina i guardaparco della Regione e gli uomini della task force contro gli abusi edilizi del Municipio XI, hanno abbattuto i due metri di sopraelevazione del fabbricato dell’ex presidente del Perugia calcio.
Tuie, cipressi, pini, alberi da frutta. Ma la vegetazione fitta della macchia mediterranea non è servita a coprire gli abusi edilizi nel cuore dell’Appia antica (al civico 56 di via Erode Attico), consumati nella proprietà di Luciano Gaucci, già patron del Perugia calcio, riparato nei villaggi turistici che a Santo Domingo ha concorso a edificare, per scansare la giustizia italiana.
Un taglio netto di cesoie alla catena che teneva serrato il vecchio cancello arrugginito e i guardaparco della Regione, gli uomini della task force contro gli abusi edilizi del Municipio XI guidati da Massimo Miglio, operai e mezzi, hanno fatto irruzione in quell’oasi verde macchiata di cemento. Trovando, con i due metri di elevazione abusiva del fabbricato centrale, pollai fatiscenti, baracche improbabili (adibite a ricovero di materiale edile pronto per la messa in opera), spciati nella domanda di sanatoria come residenze e pertinenze edilizie. «Cinque opere abusive che, senza il nostro intervento, sarebbero state condonate», commenta Miglio, che dirige in Regione l’ufficio contro gli abusi edilizi.
Ma sul blitz, è già polemica. «La demolizione nel parco dell’Appia antica», per il vicepresidente della giunta regionale, Esterino Montino, «prova che la collaborazione tra istituzioni dà risultati eccellenti in tempi rapidi. Anche sotto ferragosto». Lo dice lanciando un appello al Comune di Roma, grande assente dall’operazione di cancellazione degli scempi: «Questa collaborazione» argomenta, «potrebbe estendersi alla città tutta perché non c’è intento alcuno della Regione contro il Comune di Roma». Pronta la replica dell’assessore capitolino all’Urbanistica, Marco Corsini che, dopo i ringraziamenti di rito, critica: «Per la lotta all’abusivismo edilizio servono fondi: la Regione metta a disposizione maggiori stanziamenti per contribuire a combatterlo». «La giunta Alemanno», spiega Corsini, «è impegnata nell’azione di contrasto degli illeciti edilizi: ogni aiuto è ben accetto, nel rispetto delle competenze, ma senza puntare a riciclare qualcuno e a screditare l’Amministrazione capitolina».
Corsini si riferisce a Miglio, il supertecnico allontanato dal Comune e recuperato dalla Regione. Ma il suo intervento è giudicato «animoso» da Montino che invita a «stare ai fatti»: «Le risorse per la lotta all’abusivismo bisogna impegnarle prima di chiederne altre. Comunque, il costo finale degli abbattimenti è a carico di chi ha consumato l’abuso». Montino si sofferma sulla «qualità degli abusi edilizi»: «Spesso» dice, «germogliano nelle aree di maggiore pregio urbanistico-ambientale, per mano di cittadini che non hanno un fabbisogno abitativo primario. Si tratta di speculazioni belle e buone per lucrare sul patrimonio ambientale, e anche su quello archeologico, in barba al diritto degli altri di goderne. A Roma, come nelle aree più incantevoli della Regione ci sono grandi appetiti che devono essere contrastati senza indugi né polemiche».
"Una campagna sostenuta dai cittadini, contro gli sfregi alla Regina viarum"
Intervista a cura di Carlo Picozza – la Repubblica, ed. Roma, 12 agosto 2009
«Cancelliamo abusi edilizi nel cuore dell’Appia Antica scoprendone altri, mentre le ruspe sono al lavoro, ma con questa giunta del Comune ci sembra di combattere una guerra stellare con l’alabarda».
Andrea Catarci, presidente del Municipio XI, però non si rassegna.
Mentre gli operai stanno abbattendo la sopraelevazione di due metri della costruzione di proprietà di Luciano Gaucci, Catarci guarda alla «campagna di demolizioni di opere abusive lanciata dal Municipio con un sostegno vasto dei cittadini e delle loro associazioni ambientaliste, da Italia nostra a Legambiente». «Con risorse economiche negate dal Comune», scandisce deciso, « ci muoveremo con le nostre forze».
Perché, la giunta comunale vi ostacola?
«Sì, non ha riconosciuto al Municipio le risorse finanziarie per la lotta all’abusivismo e, quando l’abbiamo chiamata in causa segnalando illeciti come questo, ci ha risposto, con l’assessore all’Urbanistica Marco Corsini, che si trattava di episodi di "importanza trascurabile". D’altro canto la giunta Alemanno, di demolizioni ne ha già fatte di "importanti", prima tra tutte quella dell’ufficio contro gli abusi edilizi del Comune decapitandone, con il vertice, gli obiettivi e l’impronta. Siamo stati noi a servirci della competenza di Massimo Miglio, ex responsabile di quel Servizio, e a rimetterla in circolo, al servizio della città».
L’ufficio capitolino contro gli abusi edilizi, però, è rimasto.
«Certo, ma ha stretto i cordoni della borsa tenendo per sé tre milioni di euro e lasciando a secco i Municipi che combattono contro abusi devastanti con risorse e mezzi scarsi. Il Campidoglio si è prodigato più a intimidire i tecnici dei Municipi con la richiesta di improbabili motivazioni agli abbattimenti, che a sostenere la loro opera di governo del territorio per la tutela del suo patrimonio. L’intervento di oggi è stato eccezionale perché, mentre si abbatteva una sopraelevazione abusiva, abbiamo scoperto altri cinque manufatti clandestini, residenze sulla carta, pollai veri e propri, per di più fatiscenti per chi ha la possibilità di vederli. Anche per questi manufatti giaceva negli uffici comunali la domanda di condono contro la quale il Municipio ha già chiesto la bocciatura. Continueremo a perlustrare l’Appia antica e a difenderla da voracità e istinti di espansione».
Appia Antica, sorvegliata speciale. Operazioni anti-abusi: accordo tra Regione e soprintendenza
Carlo Alberto Bucci- la Repubblica, ed. Roma, 15 agosto 2009
Un patto tra Regione e Soprintendenza per fermare gli scempi sull’Appia antica, l’area più vincolata d’Italia dove però sono stati rilevati oltre 2.500 abusi edilizi. L’assessore regionale all´Urbanistica Esterino Montino nei giorni scorsi ha proposto al soprintendente Angelo Bottini un accordo per l’impiego sul territorio del Parco della sua squadra anti abusivismo. La firma del protocollo potrebbe arrivare già alla fine del mese. E nei prossimi giorni, annuncia Montino, «realizzeremo altre demolizioni come quella del piano abusivo nella villa di Gaucci».
Le forze di opposizione all’assalto del cemento all’Appia Antica hanno finalmente iniziato a fare quadrato. «Nei prossimi giorni realizzeremo altre demolizioni come quella nella villa di Gaucci appena eseguita» annuncia Esterino Montino, assessore regionale all’Urbanistica. Che aggiunge: «A settembre entrerà a far parte del nuovo sistema anti-abusi edilizi anche la Soprintendenza archeologica». Così, dopo le diversità d’opinione con il ministero Beni culturali che ha posto vincoli paesaggistici nell’Agro romano, la Regione ora stringe alleanze con lo Stato per difendere il parco dell’Appia Antica (l’area più vincolata d’Italia) da circa 2500 abusi edilizi.
Nei giorni scorsi Montino ha spedito agli uffici del soprintendente Angelo Bottini una proposta di accordo mettendo a disposizione - come ha già fatto nei confronti del I e dell’XI municipio con la firma dell’intesa di luglio - la squadra anti abusivismo regionale: 18 persone, guidate da Massimo Miglio, che grazie a una legge regionale del 2008, possono intervenire con le ruspe laddove i Comuni non lo fanno; oppure su richiesta esplicita delle amministrazioni locali.
Gli archeologi statali sono d’accordo e firmeranno presto il protocollo d’intesa. Entusiasta anche Adriano La Regina, presidente del Parco regionale dell’Appia Antica: il quinto "giocatore" del nuovo team anti scempio nella Regina viarum; e poiché l’ex soprintendente di Roma è anche consulente della Sovrintendenza comunale, c’è da sperare nei suoi buoni uffici per coinvolgere il Campidoglio nella partita. «Ho fatto un pubblico appello al sindaco Alemanno e all’assessore Corsini per estendere questi interventi in tutta la città» spiega Montino. Il vicepresidente della giunta è certo che «la collaborazione con le istituzioni è fruttuosa». E che a settembre «il consiglio voterà finalmente il "piano di assetto" del parco che porterà allo spostamento delle attività produttive oltre il Gra».
La task force che deve controllare 3500 ettari di parco è composta, tra l’altro, da 16 guardiaparco regionali, 5 archeologi statali, 2 dei 7 vigili urbani dell’XI gruppo addetti all’edilizia. Non è molto ma il coordinamento fa la forza. «Nell’ultimo anno - sostiene Montino – c’è stato un vuoto politico nella lotta all’abusivismo. L’aggressione ha fatto un salto di qualità: non abusivismo di necessità, ma lo scempio tra le mure di case lussuose e ville faraoniche e in zone di altissimo pregio come il centro storico, l’Appia, il Litorale».
Rita Paris l’archeologa responsabile della zona: "C’è il rischio Piano casa"
Intervista a cura di Carlo Alberto Bucci - la repubblica, ed. Roma, 15 agosto 2009
«La proposta di accordo della Regione è sul nostro tavolo, il soprintendente Bottini ne ha preso atto "con soddisfazione" e anche io sono contenta di questa intesa che coinvolge anche il I e l’XI municipio: a fine mese firmeremo il protocollo» dice Rita Paris, l’archeologo dello Stato responsabile della Regina viarum.
Voi continuerete a segnalare gli abusi, loro interverranno più rapidamente. Ma anche sugli scempi meno recenti?
«Su tutti, indipendentemente dalla data. Eccezion fatta per gli abusi per i quali è stato chiesto il condono edilizio».
Ora non ci sono altre sanatorie in vista. Eppure sembra che siano aumentati gli illeciti anche nell’area super vincolata dell’Appia antica. Le risulta? E perché?
«Purtroppo è vero. Ed è stato il "Piano casa" del governo che, sebbene non riguardi in nessun modo le aree protette, ha risvegliato molti appetiti».
I condoni, veri o presunti, sono il cancro dell’Appia antica.
«Sì, Roberto Cecchi (neo commissario per l’archeologia romana, ndr) si è detto letteralmente "sconcertato" dopo aver letto la nostra relazione: ci sono tutti i tipi di vincoli, però qui si continuano a fare abusi di ogni sorta».
Il parco è per il 95 per cento in mano ai privati.
«Sono molti i proprietari che rispettano le regole e che, con la buona manutenzione del verde, fanno un servizio prezioso per la collettività. Però lo Stato deve aumentare la percentuale di proprietà pubblica e investire nella conservazione e negli scavi archeologici».
Nei ricorsi spesso però il Tar vi dà torto. Perché?
«Perdiamo per cavilli burocratici impugnati dagli avvocati. I giudici amministrativi dovrebbero però capire che ci vuole una visione più ampia del problema. La posta in gioco è la salvaguardia di un bene pubblico di immenso valore: l’Appia».
Non basta il lavoro dei guardiaparco che vigilano nel parco della «Regina Viarum ». E non basta neanche il controllo dei tecnici del Municipio. Sono oltre duemilacinquecento gli abusi edilizi, quindi i fascicoli aperti negli uffici dell’XI municipio, sull’Appia Antica e che si dovrebbero sanare con l’abbattimento.
Una tendenza in continua crescita, visto che solo dal 2007 le opere illegali sulla «Regina Viarum» sono state oltre cento. «Situazioni che stiamo analizzando per capire la gravità e per decidere in che modo possiamo intervenire », racconta Andrea Catarci, presidente del Municipio. «Parliamo ovviamente di illegalità di vario tipo - spiega Massimo Miglio, dirigente dell'ufficio regionale sull’abusivismo edilizio - che vanno dai passi carrabili, alle ristrutturazioni, dalle sopraelevazioni ai cambi di destinazione d’uso». Abusi e microabusi che gravano su una delle strade più «pregiate» del mondo, nonostante i vincoli paesaggistici ed archeologici che dovrebbero proteggerla. Ma è proprio la sua storia millenaria a rendere più facile gli illeciti edilizi, nascosti dietro giardini alberati, monumenti funerari e pietre miliari.
«Proprio per la tipologia della zona - racconta Catarci - completamente all’interno di un parco, una grande area archeologica e paesaggistica dove è facile nascondere gli abusi. Una tendenza che secondo i nostri accertamenti è in continuo aumento, e che noi vogliamo contrastare attraverso una meticolosa operazione di controllo e prevenzione ». Per questo motivo, mentre la Capitale si godrà il silenzio e il riposo della settimana di Ferragosto, la task-force antiabusivismo guidata da Massimo Miglio (è stato il vicepresidente della Regione Lazio, Esterino Montino a dargli la delega a lavorare con i municipi), in collaborazione con Andrea Catarci e Orlando Corsetti (I municipio) si prepara a fare un lavoro di ricognizione completa sull’Appia Antica. E probabilmente proprio sotto il sole agostano qualche veranda abusiva o qualche ampliamento di metratura non consentito sarà demolito.
«Abbiamo duecento richieste di condono - continua Miglio - che impediscono controlli, ma anche eventuali demolizioni, anche su strutture per cui sarà impossibile alcuna sanatoria. Come ad esempio l’ex-Casa del Fascio, di via Appia Nuova, all’interno del Parco dell’Appia Antica, dove hanno ricavato 18 miniappartamenti. Un frazionamento illecito, un cambio di destinazione d’uso che ha provocato il sequestro da parte della Procura di Roma».
Oltre il 70% degli abusi all’interno del Parco e sull’Appia Antica pesano sull’XI municipio. «E la responsabilità penale della materia è tutta in capo ai Municipi - precisa Catarci - per questo abbiamo chiesto 50 mila euro al bilancio di assestamento capitolino: non abbiamo ricevuto nulla, ma in ogni caso dobbiamo continuare il nostro lavoro di controllo e prevenzione sul territorio. Fondamentale sia per ristabilire la legalità urbanistica e quindi il decoro di una zona di altissimo pregio. Sia per dissuadere in futuro altri dal commettere irregolarità».
Per intervenire nei confronti di un abuso edilizio il Municipio ha due strade: l’intervento diretto, oppure può rivolgersi all’ufficio regionale, ma solo dopo aver dimostrato l’eventuale inadempienza del Comune di Roma. «Per operare in questo delicatissimo settore - conclude Miglio - è molto importante conoscere l’urbanistica che è materia davvero complicata. La città di Roma è ormai fuori controllo urbanistico, ma manca una visione puntuale del territorio, bisogna tornare ad occuparsene ».
Appia Antica, ultimo sfregio due capannoni sulle antiche ville
Carlo Alberto Bucci – la Repubblica, ed. Roma
In quel campo che copre qualche villa agricola romana dell’Appia antica, senza permesso non si potrebbe piantare nemmeno un albero ad alto fusto. Invece nel verde di Torricola, tra la strada di basole e il Fosso delle Cornacchiole, sono spuntati da un giorno all’altro due capannoni. Industriali. In acciaio. E completamente illegali.
La scoperta l’hanno fatta i funzionari della Soprintendenza archeologica e i vigili urbani dell’XI Municipio. Che ieri non sono nemmeno potuti entrare nell’area vincolata. Semplicemente perché non gli hanno aperto. "Non si può più tollerare questo scempio" denuncia Rita Paris, l’archeologa della Soprintendenza responsabile dell´area. "Nel parco dell´Appia dall’88 c’è un vincolo archeologico che vieta costruzioni anche di carattere provvisorio. Quante ne abbiamo visti di tendoni o di serre che poi sono diventati supermercati o ville in muratura". Il carattere agricolo delle tenute Torricola e San Cesareo va rispettato, mantenuto, rilanciato. Esiste un piano del parco e uno paesaggistico che devono solo essere integrati, quindi applicati. In attesa, l’abusivismo dilaga.
COMUNICATO della SOPRINTENDENZA SPECIALE per i BENI ARCHEOLOGICI di ROMA
Appia Antica: segnalazione abusi in località Torricola di elevato interesse archeologico e all’interno del Parco Regionale.
La proprietà ex Borgia (Nicolò) ora in affitto alla Società SARV srl di Antonio Bucarelli è compresa in un vasto pianoro delimitato dalla via Appia Antica, dal Fosso delle Cornacchiole, costituito dal banco di selce della colata lavica di Capo di Bove che disegna la morfologia e l’assetto di tutto l’ambito territoriale dell’Appia.
La zona, con vincolo archeologico del 1988, riconosciuta dal PRG come zona N (parco pubblico di straordinario interesse archeologico, storico, ambientale, paesaggistico) conservava fino agli anni ’70 il suo carattere agricolo, occupata per la maggior parte dalle Tenute di Torricola e di San Cesareo; nel 1988 è stata ricompresa nel Parco Regionale dell’Appia Antica.
Le costruzioni a carattere abitativo attualmente esistenti sono dovute a trasformazioni di manufatti agricoli (stalle, ricoveri di vario genere per la conduzione di attività agricole e pastorali) ai quali si sono aggiunti nuovi edifici per ampliare la destinazione residenziale.
Le prescrizioni del vincolo di tipo "indiretto" fanno divieto di realizzare costruzioni anche a carattere provvisorio, di piantare alberature di alto fusto, in quanto incompatibili con le esigenze di luce, prospettive e godimento dei monumenti dell’area e del contesto ambientale , con l’obiettivo di conservare quei caratteri del territorio che, dall’antichità, sono rimasti immutati con la vocazione insediativa ad uso preminentemente agricolo e pastorale ripresa dai casali storici di San Cesareo e Casale Tittoni.
Alle già gravi trasformazioni e alterazioni che quest’area ha subito si aggiunge ora un nuovo sfregio: sono stati realizzati due grandi capannoni per centinaia di metri quadri, non precisamente quantificabili in quanto non è stato concesso l’accesso per la verifica né alla Soprintendenza, né ai Vigili del Gruppo Edilizia XI Municipio. Già da anni erano stati bloccati tentativi di edificazioni e recinzioni, piantumazioni e scavi per tubature di acqua. Tutto sempre senza chiedere la preventiva autorizzazione agli Enti di tutela.
Questo ennesimo tentativo di abusare di un territorio che dovrebbe essere un parco archeologico e ambientale, che ha visto decenni di impegno per la sua salvaguardia da parte di personaggi come Antonio Cederna, qualora non perseguito, costituirebbe un ennesimo gravissimo precedente per comportamenti contro il rispetto delle leggi. Tutto questo accade nel momento in cui le Istituzioni coinvolte stanno concludendo, con enorme impegno, i lavori per dotare il Parco dell’Appia di un Piano che costituisca il riferimento certo e definitivo per questo territorio tanto pregiato quanto tormentato.
ROMA - Era il grande sogno di Antonio Cederna, firma storica dell’ambientalismo italiano e in particolare del nostro Gruppo editoriale. Il super-parco dell’Appia Antica, cioè l’ampliamento del parco archeologico e paesaggistico più famoso del mondo, fu varato il 9 settembre 2005 dalla giunta regionale, presieduta allora come oggi da Piero Marrazzo. E la proposta dell’assessore all’Ambiente, Angelo Bonelli, venne approvata successivamente anche dal Comune e dalla Provincia, guidati rispettivamente da Walter Veltroni e da Enrico Gasbarra. Ma a distanza di oltre tre anni il progetto è ancora sulla carta, nei cassetti o negli archivi della Regione Lazio. Il sogno di Cederna rischia così di svanire nel dimenticatoio del Malpaese, sotto una colata di cemento che già s’annuncia alle porte. Se la proposta finalmente non diventerà legge, in mancanza o nel vuoto di un vincolo regionale, presto le amministrazioni comunali di tutta la zona potranno autorizzare l’edificazione di oltre un milione di metri cubi: e perciò i comitati popolari del Colle della Strega, dove ne sono previsti circa settantamila per costruire due palazzoni di sei piani ciascuno, sono tornati in strada per protestare contro questa minaccia incombente.
Con l’ampliamento di 1.600 ettari, dagli attuali 3.400 a 5.000, il polmone verde dell’Appia Antica è destinato a collegare il cuore imperiale di Roma con i Castelli Romani, dalle Terme di Caracalla fino al santuario del Divino Amore a Castel di Leva. Nei nuovi confini del parco, dovrebbe rientrare dunque anche il territorio di Tor Fiscale, attiguo all’area degli Acquedotti immortalata nei dipinti di tanti artisti italiani e stranieri nel corso dei secoli. Fu proprio dalle pagine di Repubblica che a suo tempo anche l’ex sovrintendente, Adriano La Regina, aveva chiesto di tutelare le preziose testimonianze archeologiche di epoca romana e preistorica, disseminate in un variegato sistema ecologico composto da bosco, sottobosco, pascolo brado, querceti, lecceti e olmi campestri: l’habitat naturale in cui trovano riparo 37 specie di uccelli, otto di mammiferi, quattro di rettili e tre di anfibi.
Sono sei le aree interessate al progetto di ampliamento: da Porta San Sebastiano, 33 ettari del centro storico di Roma, al Campo Barbarico con i sei acquedotti più importanti degli 11 che rifornivano Roma in età imperiale, convogliando gran parte delle 13 tonnellate d’acqua al secondo distribuite in città; dalle Capannelle, dove si trova l’Ippodromo, al fosso delle Cornacchiole particolarmente ricco di vegetazione; dalla Cecchignola e dal Colle della Strega fino al santuario della Madonna del Divino Amore, luogo di culto e méta di pellegrinaggio. «È un patrimonio storico e culturale, oltre che ambientale e paesaggistico, di straordinaria importanza anche dal punto di vista turistico», sottolinea ora con preoccupazione l’ex assessore Bonelli.
Nel settembre 2005, la sua proposta fu approvata all’unanimità. E a quell’epoca lo stesso presidente Marrazzo dichiarò trionfalmente: «È un altro passo verso la costruzione di un sistema integrato di parchi e riserve che dovrebbe avvolgere Roma come una cintura verde, garantendo quell’equilibrio tra zone urbanizzate, agricole e naturali che da sempre caratterizza la città e tutta la zona dell’antica campagna romana». Ma da allora a oggi sono passati ormai più di tre anni.
Nonostante il ritardo, e il pericolo che nel frattempo si lascino scappare i buoi prima di chiudere la stalla, alla Regione Lazio confermano tuttavia l’intenzione di andare avanti. «C’è un accordo politico - assicura l’attuale assessore all’Ambiente, Filiberto Zaratti - per procedere in tempi rapidi: il Parco dell’Appia Antica resta per noi una priorità». Lui stesso non nasconde però le difficoltà e le resistenze opposte soprattutto dai Comuni di Roma e di Marino, interessati a fare cassa con le licenze edilizie: per quanto riguarda la Capitale, si tratta di 72 mila metri cubi al Colle della Strega che potrebbero anche essere “delocalizzati”, concessi cioè altrove; nel secondo caso, invece, si parla addirittura di due milioni di metri cubi e la partita diventa perciò molto grossa. Dall’approvazione in giunta al voto definitivo del Consiglio regionale, il passo quindi non sarà né breve né facile.
Una Ztl speciale per l’Appia Antica. "Dopo porta San Sebastiano si crea un imbuto d’auto, i turisti non possono neanche camminare. Mettiamo anche nel Parco le telecamere della ztl consentendo l’ingresso solo ai visitatori, ai clienti dei ristoranti, a chi ci lavora, ai residenti e ai loro ospiti. Così elimineremo il 90 per cento del traffico di attraversamento, di chi usa il Parco per andare da Ciampino al centro. E restituiremo all’Appia i caratteri propri di un parco cittadino". È la proposta che ieri il presidente dell’Ente Parco, Adriano La Regina, ha messo sul piatto del tavolo sulla Regina viarum convocato dall’assessore comunale alla Cultura Umberto Croppi. Che giudica "ottima" l’ipotesi della Ztl: "La regolamentazione del traffico nei 3500 ettari del parco è uno dei punti che toccheremo nella Road map di rilancio dell’antica consolare". E il 30 gennaio Croppi si impegnerà "fortemente" per inserire la "questione Appia" tra le priorità del "tavolo su Roma" che il sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro coordinerà tra Stato e Campidoglio: riconoscere l’unità esistente tra Appia e area archeologica centrale (la Regione vuole estendere il perimetro del Parco fino a porta Capena) significa estendere i finanziamenti straordinari anche oltre porta San Sebastiano.
È proprio nel primo tratto dell’Appia che si concentrano due dei molti problemi: il traffico asfissiante (circa 2000 auto l’ora nelle ore di punta) e il muro invisibile (come quello vero, ai Fori, tra Stato e Comune) tra i monumenti gestiti dai vari enti. "Dobbiamo mettere a sistema alcune risorse ignorate dal circuito turistico, a partire da Porta San Sebastiano dove c’è il Museo delle Mura Aureliane, che è comunale e sempre deserto" ha spiegato Croppi. L’assessore punta molto a rilanciare l’economia verde del parco, attraverso agriturismo nei casali e agricoltura ecologica. "Tutto ciò è già compreso nel "Piano di assetto", che è anche di gestione, redatto dal Parco e in attesa di approvazione, con quello paesaggistico, da parte della Regione", ha sottolineato la direttrice del Parco Alma Rossi.
All’incontro era presente anche la Fondazione Gerini, istituzione dei Gesuiti che possiede 400 ettari e 20 casali. E c’era, tra gli altri, la responsabile per l’Appia della Soprintendenza statale, Rita Paris. "Se potessimo finalmente smettere di occuparci dei continui abusi, potremmo tutti insieme pensare alla valorizzazione dell´area che passa anche, eliminato il traffico di attraversamento, per un migliore trasporto pubblico". L’archeologa ha un’idea per l’Appia antica, quella fatta di antiche basole e sampietrini. "Va restaurato innanzitutto il tratto rovinato dagli alberi caduti col maltempo. E va istituita una navetta bus che percorra ininterrottamente la strada portando i turisti da Cecilia Metella ai Quintili, agli agriturismo".
Hanno appena finito di parlare i rappresentanti del Ministero, il Direttore generale ed il Soprintendente e c’è un imbarazzo palpabile, nell’aria umida di questa mattina di mercoledì 12 novembre. Certamente molta contentezza. Nella Villa Capo di Bove, al numero duecentoventidue della via Appia Antica, tre piani con giardino impastati di storia (nel senso letterale del termine), si celebra la vittoria del pubblico sulle private esigenze. Quelle della Roma mattonara con la passione dell’antiquariato che in questa villa, una mattina d’agosto del 2002 prese le valige e sparì. Della misteriosa chiamata che avvertì le soprintendenze della compravendita in atto e consentì allo Stato italiano l’esercizio del diritto di prelazione. Il resto è lieto fine. Una vittoria da respirare a pieni polmoni, senza se, senza ma, e senza anche. Mi aggiro tra le stanze della villa tra colonne di spoglio, mattoni, fregi altomedievali: qui tutto proviene da sottrazioni illecite alla regina viarum e probabilmente anche da oltre. Un amico del nucleo tutela dei Carabinieri oggi sembra un bambino in un grande negozio di giocattoli. Mi addita un fregio dei Borgia incastonato in un muro della villa come una mandorla nel torrone di natale. Intorno è un tripudio di archeologia bricolage.
A far parlare i muri dei “ canili di lusso dell’Appia Antica” penseranno ora però gli articoli, i libri e gli scritti privati di Antonio Cederna che dopo tante peregrinazioni, trovano definitiva ospitalità in questa sede che regala ai visitatori l’unico cancello aperto nel raggio di decine di ville. Anche loro, le ville di questa immensa consolare, una dopo l’altra come grani di un rosario interminabile, sono lì a ricordarci la carrellata delle occasioni mancate per istituire quel che avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni dei padri fondatori, il Parco archeologico-naturalistico più grande ed importante d’Italia. Nulla di ciò. l’Appia Antica è ancora un parco regionale, con tutti le limitazioni e gli accidenti di una forma amministrativa forse troppo leggera per un territorio così grande e delicato. In molti tratti l’Appia ricorda una bel-hair nostrana perennemente in bilico tra tradizione e devastazione. Così, si procede ancora nel crepuscolo. Dispiaceri per chi aspettava dai rappresentanti del Ministero, nel giorno della revanche cedernista, parole come bronzo fuso per sigillare patti e promesse. Illuso chi fidava nell’evento come occasione per teorizzare una Bad Godesberg ambientalista della tutela. La musica del Ministero dei beni culturali suona da qualche tempo le stesse note: Stato leggero (diciamo in ritirata), mettere “a reddito”, valorizzare, coinvolgere i privati, Fondazioni, Regioni, comuni… e nel sempre più confuso lessico italiano della tutela, lo spauracchio ”esproprio pubblico” evocato come errore grammaticale grave, da matita blu. Dunque un impiastro di cose ed Entità così eterogenee e conflittuali da far invidia ai muri perimetrali delle ville dell’ Appia Antica.
Quando ti saresti aspettato la proposta più logica e più semplice (quanto di più appropriato all’illuminista Cederna, uomo della modernità), cioè finalmente il parco nazionale, ecco il Direttore Generale dei Beni archeologici d’Italia De Caro, invocare ora il Turco (“basta associare la tutela dell’Appia con lo Stato italiano, dobbiamo coinvolgere anche l’Europa e la Turchia in un grande parco europeo”), ora quella riedizione benculturalista della Società delle Nazioni chiamata Unesco (“Sarà difficile, poiché l’Italia ha già fatto il pieno di siti ma faremo di tutto per far inserire l’Appia Antica tra i siti Unesco”). Ignora il De Caro evidentemente, che in Italia la protezione Unesco ha la cogenza normativa di salvaguardia del bollino blu appiccicato alle note banane.
Non migliora la situazione quando a prender la parola tocca ad Umberto Broccoli, una vita a metà tra l’archeologia medievale e la Rai, ora nuovo Sovrintendente di Roma (a Roma, unica in Italia, c’è una Soprintendenza con la “v” nominata dal Sindaco).
Chi abbia sin qui seguito le prime uscite pubbliche del nuovo Sovrintendente avrà riconosciuto un canovaccio retorico chiaro: si comincia soft, si omaggia Cederna, si accarezza Italia nostra, e ci si irrigidisce pian piano… con finale rossiniano a colpi di piatti, grancassa e “ Bisogna mettere a reddito! Bisogna mettere a reddito i beni culturali, lo dico un’altra volta: Bisogna far rendere il nostro patrimonio!”. Forte e chiaro Maestro. C’è tempo per sentir paragonata la romana Tor dei Conti ad “ un grattacielo medievale”(sic!) con la proposta di creare nel suo ventre “ librerie specializzate su Roma ed all’ultimo piano un ristorante od un caffè letterario”..Telesogni. Abbasso lo sguardo come molti e mi occhieggia dalla pagina del giornale di oggi, una bella foto di Antonio Cederna. Sorride diritto in faccia alla camera, è una giornata di sole nella sua Appia antica, la figura magra, il volto affilato, tagliente come la sua penna, seduto pigramente sopra un “rudero” immerso in un mare d’erba. Sembra lui il genius loci dell’Appia ma forse, e sorrido anch’io nonostante Broccoli, somiglia più ad uno di quei piccoli e semplici volatili tanto cari agli antichi greci ed ai romani, capaci di vedere nell’oscurità e di indicare a tutti gli uomini di buona volontà il giusto sentiero che passa quasi sempre per Ragione e ragionevolezza. C’è ancora molto bisogno di Antonio Cederna, vedere per credere.
L'archeologa Rita Paris, responsabile per l'Appia antica della Soprintendenza di Roma, interviene sul caso della villa-scempio descritto ieri da Repubblica. Racconta di aver subito «pressioni di ogni genere» in seguito alla prelazione che ha esercitato sulla tenuta messa in vendita dai Salabè. «Premetto che lavoro sulle pratiche e non contro le persone. E che non ci stiamo accanendo contro i privati, poiché attuiamo la prelazione solo nei casi di vendita spontanea».
Così è stato per la Villa dei Quintili. E con i Salabè?
«Nel giugno 2001 la Frasa dei Salabè ci ha notificato - dato che tutta l'area è vincolata dal 1995 - che mettevano in vendita la proprietà. Ma la vendita è stata realizzata pochi giorni dopo a vantaggio della società Posta del Borgo, di Andrea Meschini, senza rispettare i 60 giorni di tempo previsti dalla prelazione. Da quel momento, è iniziata una vera battaglia».
Con quali armi?
«Le mie armi sono state ore e ore alla scrivania, nel rispondere a infondate e diffamanti dichiarazioni, per spiegare le ragioni delle azioni mirate esclusivamente a tutelare e acquisire al pubblico parti del parco dell'Appia. Loro, hanno prodotto una serie interminabile di ricorsi e sono intervenuti presso i miei superiori con i quali ho dovuto giustificare il mio operato. E ci sono state due interrogazioni parlamentari, del senatore della Margherita Giuseppe Vallone, relative a questa prelazione ma anche a quella di Capo di Bove, di proprietà fino al 2002 della famiglia Streccioni».
Cosa volevano sapere?
«Mi hanno chiesto perché lo Stato fosse interessato a queste proprietà. Perché? Siamo nella tenuta della Farnesiana, che il Piano di assetto del Parco regionale dell´Appia Antica prevede diventi tutto di proprietà pubblica. E a Capo di Bove a fine ottobre apriremo completamente al pubblico, gratuitamente, la villa grande, e renderemo consultabile l´Archivio di Antonio Cederna».
C'è un errore nel vincolo della proprietà già dei Salabé?
«Il vincolo fu notificato alla Frasa su tutte le particelle catastali. Ma all'Ufficio del registro fu fatto un errore materiale per cui, su alcune particelle, il vincolo è stato riportato alla vecchia proprietà, la Farnesiana srl».
Poi ci sono gli abusi edilizi, inizialmente condonati. Perché?
«Un mese prima dell'atto di vendita, L'Ufficio condono edilizio del Comune ha rilasciato concessioni edilizie in sanatoria ma senza consultare il parere delle due Soprintendenze, l'archeologica e la monumentale. Dopo varie mie segnalazioni, e riscontrato l'errore, le concessioni in sanatoria sono state ritirate».
Cosa chiede al Demanio?
«Di acquisire rapidamente l'area utilizzando i 425mila euro pronti dal 2001. Non verranno spesi tutti, perché su alcune particelle catastali c'è stato l'errore di registrazione. Ma quando entreremo in possesso di quelle vincolate, potremo provvedere alla demolizione degli abusi che vi si trovano».
Appia, la villa-scempio degli 007
Alberto Custodero – la Repubblica, ed. Roma, 30 agosto 2008
È da sette anni che la Soprintendenza archeologica tenta di acquistare dalla società Frasa di Adolfo Salabè (l’architetto balzato agli onori delle cronache negli anni 90 perché coinvolto nello scandalo dei fondi neri del Sisde), una tenuta nel cuore dell’Appia Antica. È il pezzo mancante del puzzle per fare di quell’area del Parco fra la colata lavica di Capo di Bove e il sepolcro di Cecilia Metella un unico luogo aperto al turismo in cui storia e natura si sposano felicemente. Gli uffici del ministero dei Beni Culturali ci stanno provando, ma non ci sono ancora riusciti perché i proprietari le hanno tentate di tutte pur di non cedere il complesso immobiliare allo Stato che vanta il diritto di prelazione.
Quella tenuta del contendere di 30 mila metri di terreno con edifici al suo interno quasi tutti abusivi (negli anni Cinquanta c´era una cava di basalto), si trova in via Ardeatina 285. Là, in quei locali lontani da occhi indiscreti, negli anni Novanta furono ospitati gli archivi degli 007, in attesa che la sede dei servizi segreti di Monte Oppio venisse ristrutturata dalla Frasa dei fratelli Salabè.
La contesa fra i Beni Culturali e i Salabè è la più lunga del genere. Senza contare che la direttrice della Soprintendenza, Rita Paris, è stata in questo tempo sottoposta a pressioni di ogni genere. E’ la stessa Paris a denunciarlo a Repubblica: «In tutti i modi - ha dichiarato - hanno tentato di impedirmi di acquisire quell’area nella disponibilità del Parco. Ho subìto pressioni di ogni genere. Due interrogazioni parlamentari hanno messo in cattiva luce la mia iniziativa. E c’è chi ha provato - senza ovviamente riuscirci - a corrompermi».
Questa strana storia ha inizio l’11 giugno del 2001 con un giallo, quando, nell’ufficio del notaio Giancarlo Mazza (il professionista arrestato quest´anno per una serie di truffe), vengono redatti, a distanza di 4 giorni, 2 misteriosi passaggi di proprietà. Nel primo, la Frasa dei Salabè vende il complesso immobiliare di via Ardeatina ad un’altra società di famiglia, la Cober. I Salabè vendono a se stessi. Nel secondo, la Cober cede il tutto alla società locataria, la Posta del Borgo dell’immobiliarista Andrea Meschini. Ma quei due atti contengono una stranezza, e una irregolarità. È strano, infatti, che nello stesso rogito siano stati dichiarati 2 prezzi di vendita differenti. «Il prezzo convenuto - si legge negli atti - è di 425 mila euro, ma il valore dichiarato dalle parti, ai soli fini fiscali, è di un milione e 380 mila». Perché questa differenza di valore? Per legge l’imponibile fiscale è solo la somma di denaro transitata fra le parti. Perché dichiararne un altro, è per di più di un ammontare superiore? Dopo questa stranezza, l’irregolarità.
Nonostante nello stesso rogito si concedano 2 mesi di tempo ai Beni Culturali per esercitare il diritto di prelazione grazie al vincolo archeologico, lo stesso notaio Mazza sigla la seconda vendita appena 4 giorni dopo la prima, senza aspettare i 60 previsti dalla legge, triplicando l’imponibile fiscale. Perché i Salabè hanno tutta questa fretta di vendere la proprietà al loro inquilino? Quest’ultimo atto notarile viene nascosto alla Soprintendenza, che fa scattare la prelazione sulla prima società venditrice, la Frasa, scatenando il ricorso al Tar della Cober. Cioè dei Salabè. L’interminabile schermaglia giudiziaria passata per i 2 gradi della giustizia amministrativa e un parere dell’Avvocatura generale dello Stato, si è conclusa a favore dei Beni Culturali. Ad eccezione di alcune particelle della proprietà sfuggite alla prelazione per un vizio di forma, la Soprintendenza può diventare proprietaria di una cospicua parte del complesso immobiliare che s´incunea nell’Appia Antica. Può. Anzi, potrebbe.
Nonostante la Soprintendenza fin dal 2001 abbia a disposizione i 425 mila euro per l’acquisto, il Demanio – l’ente che deve procedere alla transazione per conto degli uffici ministeriali - non ha ancora proceduto, inspiegabilmente, a prendere possesso della proprietà. Perché? Nei giorni scorsi, nei confronti dell’agenzia demaniale è scattata la diffida della Soprintendenza. In quell’aut aut, al Demanio è stato imposto di acquisire l’area e, in caso di rifiuto da parte del Meschini di cederla, di procedere allo sfratto amministrativo.
Ma c’è un altro capitolo di questa storia che vede sempre protagonisti i Salabè e Andrea Meschini: è quello degli abusi edilizi e dei falsi condoni. Gran parte del complesso edilizio, infatti, è stato costruito dai Salabè prima, e da Meschini poi, senza licenze, trasformando gli originali magazzini dell´ex cava in una lussuosa villa. La Frasa aveva chiesto un condono generale, il Comune in un primo tempo gliel’aveva concesso, salvo poi fare una precipitosa retromarcia perché - e questo è un altro mistero - non aveva chiesto il parere, che è stato poi negativo, alla Soprintendenza, titolare dei vincoli. A quel punto sono scattate due indagini dei guardiaparco coordinate dal pm Maria Cristina Palaia. La prima, sulle opere abusive, s’è conclusa con la condanna in primo grado di Andrea Meschini a un anno di arresto per reati edilizi. La seconda, invece, è relativa a un condono, risultato inveritiero, presentato in comune dai fratelli Mario e Adolfo Salabè, entrambi indagati per falso in un’inchiesta tuttora pendente dal gip. È il caso di una torretta nella quale, secondo una dichiarazione della Frasa, avrebbero dovuto esserci alcuni uffici. In quell’antico manufatto, invece, i guardiaparco, anziché uffici, hanno scoperto una cabina elettrica dell´Acea, in funzione, ininterrottamente, dal 1935.
Il casale degli abusi edilizi nel parco delle meraviglie
Carlo Alberto Bucci -la Repubblica, ed. Roma, 30 agosto 2008
Se non fosse per la tramoggia della vecchia cava trasformata illegalmente in salottino o per la centralina dell’Enel tinta di rosa e fatta passare abusivamente per palazzina di uffici, il casale nel verde venduto dai Salabè ad Andrea Meschini sarebbe uguale alle altre preesistenze della Farnesiana: intatto. Infatti, la tenuta di 25 ettari circa, vincolata alla metà degli anni Novanta e inserita nel Parco regionale dell’Appia antica, presenta quel continuum tra natura e archeologia, economia rurale e architettura medievale, che costituisce per Salvatore Settis la peculiarità del patrimonio italiano, il marchio distintivo «dell’identità nazionale».
Si tratta di un pianoro, costituito dalla colata lavica che dall’Appia declina sino all’Ardeatina, che il Piano di assetto del parco (pronto da anni ma ancora in attesa del via libera della Regione) prevede diventi di proprietà pubblica. La Soprintendenza statale è pronta ad entrare in possesso del casale già Salabè. Mentre l’ente Parco ha avviato i lavori di restauro delle Vignacce: il casale settecentesco ospiterà un centro studi, per documentare l’attività agricola dall’età romana (vi coltivavano anche le rose) a quella medievale (soprattutto vigne), fino all’Ottocento; ma anche alcune stanze da letto, modello per quella tipologia di attività ricettive "leggere" - stazioni di riposo per cicloturisti o per i podisti del trekking - che la tenuta, venduta nel 1810 dai Farnese ai Torlonia, e oggi per lo più di proprietà della Farnesiana srl, potrà ospitare in un quadro di predominante conservazione del paesaggio rurale e dell’economia agricola.
La Farnesiana, visitabile solo grazie alle passeggiate organizzate dalle guide del Parco, è parte del pianoro denominato Zampa di Bove, estremità di quella colata che ha nella tomba di Cecilia Metella il Capo di Bove. È fiancheggiata dalle antiche Appia e Ardeatina ma era percorsa in antico da una fitta rete viaria, tra cui la via Asinaria, di collegamento tra le varie ville romane, ancora tutte da scavare seguendo i resti affioranti. Ad esempio, le strutture d’epoca romana sepolte sotto la diruta torre di Zampa di Bove, alta 15 metri e appartenente a un castelletto medievale, affiancata dalla rovina di un edificio detto "ninfeo" per la presenza di una piccola abside.
La tenuta delle meraviglie conserva inoltre il più grande bosco di querce del parco: lecci, roverelle, e sughere. Ed è nel sottobosco di biancospini e marruche che i guardiaparco, coordinati da Guido Cubeddu, tendono le reti per la cattura di upupe, civette e picchi verdi che, ricevuto l’anello intorno a una zampa, vengono poi liberati. E tornano così a volare intorno ai resti delle 5 torri medievali di vedetta, innalzate sfruttando al meglio i dieci metri di altezza, sul livello della campagna, del pianoro lavico costruito dall´ultima fase di attività del Vulcano Laziale, 190mila anni fa. Da lassù, è assicurato il belvedere sulla Città Eterna, dal Colosseo alla cupola di San Pietro. Ed è possibile zoomare sull’integrità di natura e cultura di questo lembo di campagna romana faticosamente sottratto all’avanzata dei palazzi moderni.
Occhio all'Appia. Da qualche settimana quella che è stata definita come una tra le più belle vie del mondo va subendo una serie di impressionanti attacchi e violazioni. Il primo caso, circa un mese fa, ha riguardato l'installazione di una piscina da 25 metri per 20 e profonda 4. Viene spontaneo domandarsi: che fine ha fatto tutta la terra sbancata? Un sito archeologico, infatti, non è solamente uno scrigno, bensì un inestimabile archivio di dati. Le scavatrici che ne devastano i tesori, distruggono al contempo informazioni di inestimabile valore per gli studiosi. Malgrado i divieti del Parco regionale e della Sovrintendenza archeologica, il circolo del tennis all'Acquasanta e lo Sporting Palace hanno scavato, costruito, elevato muri in cemento armato e sopraelevazioni. Ma non è tutto. Qualche giorno fa, a 200 metri dall'Acquedotto dei Quintili è stata costruita una struttura in ferro destinata alla ristorazione e dotata di alcuni banchi da supermarket.
Potete immaginare un abuso simile in mezzo alle Piramidi o ai monumenti aztechi? Ebbene, ciò che nessuno oserebbe fare in Egitto o in Messico, è invece realizzabile in Italia, nel cuore stesso della Capitale. La gravità dell'accaduto appare evidente, se paragonata alla situazione di nazioni che dovrebbero possedere una cultura civica teoricamente più esile della nostra. Ma ormai non dobbiamo più paragonarci al nord Europa o agli Stati Uniti (nazioni dove è diffuso un elevato senso dello Stato), bensì all'Africa o all'America Latina. Riusciamo ancora a afferrare l'enormità di un fatto simile, o dobbiamo rassegnarci a scivolare nella «gomorrizzazione» del nostro territorio?
«È la zona più vincolata del mondo», ha dichiarato la direttrice del Parco dell'Appia Antica, Alma Rossi, «ma senza l'approvazione del piano e del regolamento del parco, si tratta di una lotta impari ». Non resta che plaudire al lavoro di chi ha portato al sequestro dei cantieri illegali, e sperare che la battaglia per la conservazione del patrimonio venga vinta. Ma cosa importa questo ad un privato, di fronte alla prospettiva di aumentare il suo giro d'affari? Bisognerà comprendere la necessità di bloccare le licenze commerciali. Solo così potremo arrestare la continua erosione del bene comune. L'Appia Antica è di tutti: difendiamola.
È guerra senza quartiere agli abusivi che attaccano con ferro e cemento l'Appia Antica. Campo di battaglia, per l'ennesima volta, è quel lembo di parco archeologico a ridosso del Grande raccordo anulare e, soprattutto, dell'acquedotto dei Quintili. A meno di 200 metri dalle eleganti arcate romane, all'interno dell'azienda agricola Cavicchi, è stata costruita una struttura in ferro per ospitare decine di tavoli per i viandanti delle gite fuori porta. E numerosi banchi di un supermarket. Ma nei giorni scorsi i guardaparco, coordinati da Guido Cubeddu, hanno sequestrato questa ennesima superfetazione all'interno dell'area di via Appia Nuova 1280, dove si trova il contestatissimo ristorante "Pappa e ciccia".
Gli uomini dell'ente Parco Appia Antica stavolta si sono mossi insieme con i carabinieri dei Nas. I militari dell'Arma hanno apposto i propri sigilli perché hanno riscontrato numerose violazioni delle norme di igiene: l'acqua della rivendita di pane e porchetta, ad esempio, veniva da un pozzo abusivo.
"Pappa e ciccia" è tornato alla ribalta della cronaca perché inserito dalla trasmissione Report di Rai Tre, dedicata il 4 maggio scorso all'urbanistica a Roma, nell'elenco degli illegali presenti nel parco. Ma si tratta di una vecchia conoscenza della procura romana. Massimo Miglio e gli uomini dell'Ufficio antibusivismo del Comune hanno già lavorato, e per ben tre giorni, all'abbattimento di una nuova ala del ristorante. «Agli albori di questa triste vicenda, c'era solo una serra, fatta di pali e teloni, peraltro abusiva. Poi la Cavicchi è diventata una delle pratiche più voluminose della Soprintendenza archeologica» racconta Rita Paris, responsabile per l'Appia. «Dalla fine degli anni ‘90 - aggiunge l'archeologa - sono spuntate le coperture, i saloni, il cartello sulla strada. Vorremmo occuparci solo della tutela e degli scavi archeologici. Siamo stanchi dei continui attacchi dei "gangster dell'Appia Antica", come li chiamava Antonio Cederna. È ora che il Comune blocchi qualsiasi tipo di licenze commerciali all'interno del Parco».
Nuovo, devastante attacco dell'abusivismo al parco dell'Appia antica. Il Circolo del tennis all'Acquasanta e lo Sporting Palace sono stati dotati di altrettante piscine, e di annessi muri in cemento armato, nonostante sia il Parco regionale sia la Soprintendenza archeologica statale avessero negato le autorizzazioni. Ma i lavori illegali sono stati scoperti prima della fine. E, nel giro di una decina di giorni, sono stati sequestrati il cantiere del circolo tennistico di via dell'Almone 49 e, l'altro ieri, quello del complesso di via Appia Nuova 700 che, come reclamizzano i poster in tutta la città, sarà inaugurato il 18 giugno.
Durante la ricognizione per il piano anticendio, i guardiaparco coordinati da Guido Cubeddu hanno scoperto che all'Acquasanta era stato realizzato un colossale sbancamento per una piscina da 25 metri per 20 e profonda 4, come l'altezza dei locali. «Non avevano il nostro nulla osta - spiega la direttrice del Parco, Alma Rossi - . Hanno presentato una dichiarazione d'inizio attività al IX Municipio. Ecco il risultato: un cantiere di 70 metri per 50. E siamo nella zona più vincolata al mondo. Ma senza l'approvazione del piano e del regolamento del Parco, è una lotta impari».
Incalza Rita Paris, responsabile dell'Appia per la Soprintendenza. «Già nel 1994 ci esprimemmo contro il condono dell'intero impianto. .. e sono tre anni che riceviamo pressioni per autorizzare questa piscina. Abbiamo detto sempre no. Poi hanno presentato una perizia geologica per pericolo di frana. Abbiamo dato l'ok a una vasca per l'acqua piovana. Serviva per l'irrigazione e in caso di incendi. Invece hanno fatto tutt´altro. È una zona archeologica, piena di reperti: che fine ha fatto tutta quella terra sbancata?».
L'archeologa è indignata anche lo Sporting Palace: «Si trova nella valle della Caffarella. Nacque nel 1956 come impianto per l'imbottigliamento dell'acqua. Io avevo già proposto la demolizione. E ora torno a chiederla dopo questo ulteriore abuso. Mi chiedo: quale istituzione ha autorizzato un tale scempio?». L'anno scorso l'ente Parco non è stato neanche invitato alla conferenza dei servizi sullo Sporting. A maggio 2007 aveva rilasciato un nulla osta solo per lavori di manutenzione ordinaria. Il 3 ottobre ha negato il permesso al cambio di destinazione d'uso e alla piscina interrata. Invece, una l'hanno realizzata sul tetto. Sopraelevando l'edificio: due metri in più di cemento armato che si frappone tra le meraviglie di Cecilia Metella e delle Tombe Latine.
Roma, 17 ottobre 1995
Al Sindaco del Comune di Roma
p.c.
Al Ministero Beni Culturali e Ambientali, Gabinetto dell'On. Ministro ROMA
Al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Ufficio Centrale Beni AAA e S Div. N - Archeologia ROMA
Al Ministero Beni Culturali e Ambientali, Ufficio Centrale Beni Ambientali ROMA
Alla Regione Lazio Assessorato del Territorio ROMA
Alla Regione Lazio Assessorato Ambiente ROMA
Al Presidente della Provincia di Roma
Al Comune di Roma Assessore alle Politiche del Territorio, ROMA
Al Comune di Roma, Ufficio Speciale Piano Regolatore ROMA
Al Comune di Roma, Ufficio Speciale Condono Edilizio ROMA
Al Comune di Roma Ripartizione XV ROMA
Alla Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici di Roma
Alla Soprintendenza Archeologica per l'Etruria Meridionale, ROMA
Alla Soprintendenza Archeologica di Ostia, ROMA
OGGETTO: Condono edilizio
La Soprintendenza Archeologica di Roma ha appreso, da organi di informazione, che il Comune di Roma, di recente, ha istituito l'Ufficio Speciale Condono Edilizio, al fine di procedere celermente all'esame di una considerevole quantità di richieste di sanatoria per abusi edilizi.
Questo Ufficio, nell'ambito dei territorio di sua competenza, fa presente di essere interessato: 1- a tutte le richieste di sanatoria per abusi che abbiano comportato nuova occupazione di suoli 2- a quegli abusi che, indipendentemente dalla nuova occupazione di suoli, quali sopraelevazioni, giardini pensili schermati e quant'altro, interferiscano con le visuali di complessi archeologici monumentali, per i quali ci si riserva di inviare quanto prima la perimetrazione dei singoli ambiti di influenza.
Fermo restando quanto le vigenti Leggi prevedono relativamente ai pareri su abusi realizzati in aree demaniali o soggette a vincoli di tutela, giova ricordare quanto segue.
La rilevanza del patrimonio archeologico-monumentale e storico-artistico di Roma, che continuamente si arricchisce di nuovi apporti a seguito di importantissime scoperte nel corso delle trasformazioni territoriali o a seguito di ricerche finalizzate, ha comportato la necessità , nel tempo, di promuovere la tutela di tale patrimonio in concorso con gli Enti locali - Comune di Roma e Regione Lazio - con normative, accordi e studi (ad es. Carta storica archeologica monumentale e paesistica dell'Agro Romano) che hanno consentito, anche in assenza di vincoli emessi ai sensi delle Leggi 1089/39, 1497/39 e 431/85, di operare a fini di tutela.
Per non vanificare i risultati faticosamente fino ad oggi conseguiti, si pone l'attenzione in particolare su quelle aree che, se pur degradate dall'abusivismo, sono tuttavia ancora recuperabili e valorizzabili a seguito di oculate valutazioni e progettazioni finalizzate. Si pensi, ad esempio, alle aree indicate dal P.R.G. di Roma come soggette a vincoli archeologici-paesistici di P.R., nelle tavole 1:10.000 del P.R.G. del 1965, alle fasce di rispetto degli Acquedotti, agli ambiti di pertinenza delle antiche vie consolari, ai cunei di abusivismo sorti in aree soggette ai sopracitati vincoli archeologici e paesistici di Piano Regolatore.
Comunque, in seguito alle Osservazioni della Direzione Generale Antichità e Belle Arti dei Ministero della Pubblica Istruzione, recepite nel DPR del 16.12.1965 di approvazione del P.R.G. di Roma, il Comune di Roma ha predisposto in collaborazione con la Soprintendenza, come già detto, la Carta storico-archeologica monumentale e paesistica dell'Agro Romano che, approvata, ma mai adottata, ha pur costituito un punto di partenza per la tutela operativa in connessione con le attuazioni di Piano Regolatore.
Nel predisporre, in seguito, le osservazioni alla Variante Generale di P.R. del 1967 la Soprintendenza archeologica di Roma sottolineava l'esigenza di assumere un controllo più puntuale del sottosuolo archeologico, esigenza recepita nel D.M. 6.12.1971, che ha permesso alle Soprintendenze di intervenire preliminarmente sulle aree interessate dalle trasformazioni di P.R. AI fine di poter esercitare una ancor più capillare azione di tutela, la Soprintendenza chiese ed ottenne, in seguito al D.M. 6.12.1971, di presiedere alle operazioni di sterro ovunque eseguite nell'ambito del territorio di competenza, imponendo agli operatori di comunicare l'inizio di qualsiasi lavoro interessasse il sottosuolo.
Le Norme Tecniche di Attuazione di P.R., comportano l'obbligo di sottoporre al preventivo benestare delle competenti Soprintendenze archeologiche tutti i progetti di costruzione, ampliamento o trasformazione da effettuarsi in località individuate con il simbolo di avanzi archeologici o di costruzione di interesse storico, monumentale, panoramico o ambientale, con riferimento alla Carta dell'Agro e a tutti i dati archeologici acquisiti successivamente all'ultimo aggiornamento della Carta stessa. In particolare le Soprintendenze archeologiche possono disporre (art. 16 punto 7) che "vengano preventivamente effettuati saggi di ricognizione e rilevamenti a carico del proprietario", ove lo ritengano necessario.
Pertanto i competenti Uffici comunali sono tenuti ad inviare, per il parere, alle Soprintendenze le richieste di sanatoria per realizzazioni abusive in tutti quei casi - previsti, come sopra detto, dalle Leggi e normative vigenti - in cui sarebbe stato d'obbligo la comunicazione di inizio lavori, e nei casi in cui le Soprintendenze avrebbero potuto richiedere ai proprietari indagini e rilevamenti (N.T.A. art.16 punto 7).
Questo Ufficio rimane a disposizione per ogni eventuale ulteriore chiarimento.
Il Soprintendente
Adriano La Regina
Postilla
Il documento che pubblichiamo rappresenta una testimonianza di prima mano sul problema dei condoni edilizi e della gestione che ne è stata fatta dalle amministrazioni comunali, approssimativa e unilateralmente disponibile alle richieste dei privati e assai poco collaborativa nei confronti delle pubbliche istituzioni preposte alla tutela del patrimonio culturale, e quindi dell'interesse dell''insieme dei cittadini.
Con questa lettera la Soprintendenza Archeologica di Roma, al momento della istituzione dell’Ufficio Speciale Condono Edilizio del Comune di Roma, prese tempestivamente una iniziativa concreta nei confronti del problema delle sanatorie edilizie che, come annunciavano gli organi di informazione, si presentava di ampia portata e stava per essere affrontato dall’ufficio di nuova costituzione. Il senso della lettera, scritta dal responsabile del patrimonio archeologico più importante del mondo, all’epoca Adriano La Regina, era di fornire informazioni e regole affinché, nel rispetto delle leggi sui condoni, si tenesse nel debito conto la rilevanza del patrimonio storico, archeologico, monumentale di Roma. Nella lettera, dell'ottobre 1995, e nelle molte altre che sono seguite, il Soprintendente rappresenta, con circostanziate argomentazioni, la necessità di non vanificare i risultati faticosamente raggiunti nella tutela archeologica e paesaggistica della città e delle zone di campagna che ne sono parte integrante. Il Piano Regolatore Generale approvato nel 1965 aveva recepito le osservazioni delle Istituzioni statali competenti per la tutela e nelle Norme Tecniche di Attuazione a tale piano (D.M. 6.12.1971) fu riconosciuto l’obbligo di sottoporre al parere della Soprintendenza ogni progetto di trasformazione localizzato in aree riconosciute d’interesse dalla Carta storica archeologica monumentale e paesistica dell’Agro Romano e di richiedere scavi preventivi ogni volta che fosse ritenuto necessario. La richiesta è ben definita: in ognuna delle circostanze menzionate, gli Uffici comunali erano tenuti a chiedere il parere preventivo alle Soprintendenze (Roma, Ostia, Etruria Meridionale).
Negli anni successivi questa e le successive richieste con le quali gli uffici preposti alla tutela chiedevano di essere messi in condizione di operare nell’interesse della salvaguardia del patrimonio culturale, sono state totalmente ignorate. La giungla degli abusi nelle aree di maggiore pregio della compagna romana ha trovato piena legittimazione dalle concessioni rilasciate che, pur se irregolari, non possono essere ignorate dagli uffici della Soprintendenza, resi impotenti di fronte alla quantità di sanatorie concesse senza la minima valutazione di compatibilità con alcuno degli strumenti urbanistici, in spregio alle norme di tutela archeologica e paesaggistica. Sconcertanti , a questo proposito, le repliche succedutesi in questi anni da parte dell’amministrazione comunale che evidenziano l’assoluta indifferenza nei confronti dei valori più peculiari di Roma, rifugiandosi in una conduzione del problema esclusivamente, e spesso erroneamente, burocratica. Il caso del Parco dell’Appia illustrato nella trasmissione Report è in tal senso esemplare: non si è saputo controllare l’edilizia abusiva nel territorio e la si è legittimata, forse senza alcuna consapevolezza che la campagna romana con rovine, condizione essenziale per la vera esistenza del Parco, si è trasformata in un suburbio residenziale a sviluppo spontaneo non regolato se non dall'interesse e dalla speculazione privati. (m.p.g.)
Appia antica, un parco fino in Centro
di Adriano La Regina
Il proposito di provvedere con una legge della Regione Lazio all'ampliamento del Parco dell'Appia antica, su cui la Giunta si era in passato impegnata e di cui vi è grande attesa, viene ora ripreso negli uffici regionali, e la nuova attività istruttoria dovrebbe giungere a compimento in tempi brevi. Il progetto prevede l'estensione dell'area inclusa nel perimetro del parco, che passerebbe dagli attuali 3500 a ben oltre 5000 ettari di superficie. Si verrà così a costituire un comprensorio territoriale di ragguardevoli dimensioni, tutelato non solo dallo Stato per la conservazione del patrimonio archeologico e paesaggistico, ma anche dalle norme regionali sulla protezione dei caratteri naturalistici e ambientali.
Sulla base delle intese da tempo istituite con l'assessore all'ambiente della Regione, Filiberto Zaratti, si sono avuti al riguardo due incontri del presidente del Parco con il vice presidente della giunta regionale, Esterino Montino. Si sono esaminate le concrete possibilità di far pervenire celermente il progetto di legge all'esame del Consiglio regionale con i ritocchi necessari per incrementarne l'efficacia. Si è tra l'altro convenuto sull'opportunità di procedere all'approvazione del piano d'assetto del Parco solamente dopo l'approvazione della legge di ampliamento, in modo da adeguarlo alla nuova dimensione e di rivederlo in alcuni aspetti risultati carenti a seguito di verifiche eseguite nel tempo intercorso dalla sua predisposizione. Sarà inoltre necessario raccordare il piano stesso, lo strumento che renderà pienamente efficace l'azione dell'Ente, con le norme di tutela paesistica approntate dalla Regione.
Sono confermati i propositi di inserire nel perimetro del parco le aree di grande pregio ambientale sulle quali il Comune di Marino sta predisponendo massicci programmi di urbanizzazione, dal peso di quelli a suo tempo previsti per Tormarancia e scongiurati con il vincolo archeologico e con l'attribuzione di quella tenuta al parco. Sempre riguardo al territorio di Marino sarà necessario riconsiderare il perimetro dell'ampliamento per includervi l'area di una città antica, comunemente identificata con Mugilla, anch'essa esposta a gravi trasformazioni e tuttavia ancora priva di tutela archeologica. È parimenti confermata la previsione di inserire nell'ambito del parco il fosso della Cecchignola con il colle della Strega.
La maggiore novità è costituita dalla previsione di ampliare l'area del parco all'interno delle mura aureliane non solo ai lati della via Appia fino a piazzale Numa Pompilio, com´è nel progetto di legge già formulato, ma anche al di là della via Latina fino a Porta Metronia, e di includervi inoltre il primo tratto della strada, a partire dal punto in cui si trovava l'antica porta Capena, ossia subito prima del Circo Massimo. Il parco della via Appia verrà così effettivamente a saldarsi con l'area archeologica centrale, e vi rientreranno le Terme di Caracalla con le aree retrostanti fino alle mura, e quelle alle pendici del Celio verso la passeggiata archeologica. Questi spazi all'interno delle mura, che si potevano immaginare sufficientemente tutelati, alla prova dei fatti si sono rivelati esposti a gravissime trasformazioni. Una, la più devastante, è stata provocata con il riempimento della vallecola a ridosso del bastione del Sangallo, avvenuto nel 2004, che ha comportato la perdita di un paesaggio affascinante nel contesto monumentale. Altre trasformazioni perniciose incombono sul parco S. Sebastiano e sulle aree limitrofe, ove si vorrebbe costruire un teatro per l'associazione Angelo Mai, e dove baracche abusive condonate starebbero per essere trasformate in ville. Per non dire del decadimento d´immagine a cui viene periodicamente esposto l'ingresso all'area centrale di Roma per la ripresa abitudine di ubicare feste e manifestazioni poco consone al carattere dei luoghi lungo il tratto iniziale della via Appia, di fronte alla FAO e alle terme di Caracalla.
Condonate due mega ville tra le rovine
di Carlo Alberto Bucci
La lunga battaglia per la difesa dell'Appia antica dall'assalto dell'abusivismo registra la vittoria dei proprietari di due mega ville costruite in zona e su resti archeologici. A denunciarlo è Rita Paris, responsabile della Regina Viarum per la Soprintendenza archeologica di Roma, l'indomani l'inchiesta di Repubblica sul paradossale caso del concessionario Hyundai (che, privo di permessi, lavora nel parco occupandosi, tra l'altro, della manutenzione delle auto della Provincia e del Viminale) e della villa della famiglia Anzalone costruita sopra e dentro il sepolcro di Sant'Urbano. «È di questi giorni la sentenza del Tar e del Consiglio di Stato - racconta l'archeologa - che rigetta il ricorso del Comune di Roma che, dopo l'opinione della nostra Soprintendenza, si era espresso contro la costruzione di due ville di circa 500 metri quadri l'una».
Non una veranda né un barbecue in muratura. Ma un grande abuso, uno dei centinaia che funestano il parco. Una distesa di stanze e cemento per due principesche dimore, a proposito delle quali i giudici hanno sentenziato che il vincolo archeologico era stato posto solo dopo la loro costruzione nel parco composto da 3500 ettari in mano (soprattutto) ai privati. «Si sono attaccati a un cavillo» esplode la studiosa. «Perché, prima ancora della tutela archeologica, sull'area vige da mezzo secolo il vincolo di assoluta inedificabilità sancita dal Piano regolatore del 1965 e da quello paesaggistico del 1953». I proprietari delle ville, costruite negli anni Settanta, hanno puntato sui condoni edilizi dell'85 e del ‘97. E l'hanno avuta vinta. Almeno per il momento. «Noi ora abbiamo le mani legate e, dopo il danno anche la beffa, siamo stati condannati a pagare 4000 euro per le spese del processo» aggiunge Rita Paris «ma rimane aperta la questione dei vincoli urbanistici e paesaggistici che il Campidoglio può, e deve, far valere».
Nei prossimi giorni si terrà al Ministero Beni Culturali un incontro tra i direttori generali dell'archeologia (De Caro) e del paesaggio (Di Francesco) con i dirigenti dell'ufficio condoni (Murra) del Campidoglio. Mentre a occuparsi, tra l'altro, dell'Appia Antica, sarà oggi il programma televisivo di Rai Tre Report focalizzato, stasera, sull'urbanistica di Roma.
ROMA Traffico soffocante, vandalismo sui monumenti, abusivismo edilizio selvaggio incentivato da tre condoni: cinquantacinque anni dopo le accuse che Antonio Cederna scagliava ai “Gangster dell’Appia Antica”, nulla è cambiato. Anzi. Come denunciato l’estate scorsa da Repubblica, le ville dei vip sono diventati centri di catering senza licenze commerciali per feste con tanto di fuochi artificiali. Il degrado della regina viarum, e l’impotenza dello Stato nel perseguirne lo scempio, proseguono fra l’indifferenza generale che fa sì che una concessionaria automobilistica occupi da anni, abusivamente, un pezzo del parco accanto alla tomba di Priscilla. Ma mezzo secolo di denunce non hanno prodotto ancora gli effetti necessari al recupero di questo immenso patrimonio culturale e ambientale.
Proprio nei giorni scorsi il degrado dell’Appia Antica è stato denunciato dal “New York Times”, che ha addirittura evocato la violenza dei “vandali” per descrivere lo stato di abbandono in cui versa la queen of roads. Simbolo dell’incapacità della pubblica amministrazione laziale di affrontare efficacemente il fenomeno dell’abusivismo, in una delle aree di più alto interesse archeologico e storico al mondo è, oggi, il “Centro motoristico Appia Antica snc” ricavato nell’ex essiccatoio Tabacchi.
Mentre perfino i quotidiani Usa denunciano il degrado dell’Appia Antica, nessuno - politici, poliziotti, autisti, funzionari ministeriali e della Provincia, magistrati - sembra essersi mai accorto di questo piccolo-grande scandalo ambientale e storico: il parco dell’Appia Antica deturpato da una concessionaria Hyundai che occupa senza titolo — non avendo mai firmato un contratto di affitto — un immobile del Comune. Che espone le auto su un’area di diecimila metri espropriata dal municipio, nel marzo scorso, perché utilizzata abusivamente. E che non ha mai ottenuto l’autorizzazione di inizio attività perché ha sempre avuto i pareri negativi dall’Ente Parco, dalla Soprintendenza archeologica e dai vari uffici comunali. Con in mezzo due sentenze, del Tar e poi del Consiglio di Stato, che le hanno sempre dato torto.
In una situazione igienico-ambientale del tutto fuorilegge: manca il permesso della Provincia per gli scarichi e l’emissione fumi, mentre l’allacciamento all’acqua è “di fortuna”, grazie al parroco della chiesetta del Domine Quo Vadis. Eppure, da 10 anni, il centro motoristico di Salvatore Bonanno, fra il sepolcro di Geta e la sede del Parco, nel cuore della valle della Caffarella sulle rive dell’Almone e a breve distanza dalle catacombe di San Sebastiano, non solo è sempre là, ma incredibilmente, nell’aprile scorso, ha ottenuto dalla Provincia e senza bando pubblico (grazie a una scrittura privata), l’appalto della manutenzione delle auto della polizia provinciale.
La polizia della Provincia che dovrebbe perseguire «le violazioni urbanistiche edilizie» e provvedere alla «tutela dei vincoli archeologici e paesaggistici», invece di inviare i propri agenti a far rispettare al centro le leggi in materia ambientale e commerciale, si è convenzionata con quella concessionaria con un contratto esclusivo per riparare le proprie jeep.
Non solo: in quello stesso centro motoristico, nel cui perimetro una villetta a un piano completamente abusiva non può essere demolita, come previsto da un’ordinanza comunale, perché ci abita un’anziana parente del Bonanno (e dove perfino l’insegna blu della Hyundai, che s’affaccia sui selci della Regina Viarum da un pilone del cancello verde zozzo, è priva di autorizzazione), viene riparata anche parte del parco auto del Viminale. I vigili della Capitale nel 2003 hanno denunciato Bonanno per vari reati edilizi. Il comune di Roma nell’aprile del 2007 gli ha espropriato il terreno (sul quale prosegue, come se nulla fosse, l’attività commerciale abusiva), e ha tentato, invano, di demolire la villetta abusiva. A indagare sulla scrittura privata fra Provincia e la concessionaria di Bonanno è stato solo l’ex consigliere provinciale di sinistra critica Nando Simeone. «Voglio sapere — ha dichiarato Simeone — come sia stato possibile che, all’interno della stessa amministrazione provinciale, l’assessorato alla Sicurezza abbia stipulato una scrittura privata con la concessionaria Hyundai alla quale l’assessorato all’Ambiente non ha rilasciato le necessarie autorizzazioni per gli scarichi».
Per Rita Paris, direttore archeologo della Soprintendenza, «si tratta di un caso emblematico della totale disattenzione, se non ignoranza, del valore del complesso monumentale del Parco. È, questa, la conferma che l’Appia Antica non evoca più nulla, neanche a un ente pubblico come la Provincia, se non la sede di una concessionaria di motori».
Ma la concessionaria non è certo l’unico caso di abusi edilizi e commerciali visto che Adriano La Regina, presidente del Parco dell’Appia Antica, nella relazione del bilancio di previsione 2008, ha dovuto porre l’obiettivo di «sollecitare le amministrazioni competenti per chiudere definitivamente tutte le pratiche relative agli abusi edilizi giacenti dal 1985 in poi».
A questo proposito, il contenzioso più antico fra pubblico e privato è quello degli abusi edilizi nel complesso del sepolcro di Sant’Urbano con annessa Villa Marmenia, un sito storico di straordinaria importanza scavato nell’Ottocento da Lugari — che ha dato il nome alla via — e venduto negli anni Sessanta, non si sa ancora oggi come, ad alcuni privati. Già nel 1965, “Paese Sera”, a proposito di quelle speculazioni edilizie, titolava così: «Stanno costruendo una casa nel rudere».
Da allora, però, gli abusi sono proseguiti pressoché indisturbati, nonostante dal 1970 la pubblica amministrazione tenti di fermarli. L’area storica che comprende il sepolcro, sulle cui mura romane è addossato un barbecue, è diventata un giardino privato: all’interno della cella funeraria è stato ricavato un piccolo spazio per feste, con tanto di tinello moquettato e cucinetta. Per costruire una piccola piscina sono stati rimossi preziosi pezzi da basolato. Per quegli abusi, il proprietario dell’epoca, Gianfranco Anzalone, fu denunciato in procura dai carabinieri. Il processo però — l’accusa fu sostenuta dall’allora pm Giovanni Ferrara — finì con un nulla di fatto: il pretore Roberto Mendoza, nel 1987, assolse Anzalone: una parte dei reati si estinse grazie a un condono, un’altra per un’amnistia. E così il contenzioso con la Soprintendenza è arrivato ai giorni nostri con un nulla di fatto.
«È assurdo — commenta Rita Paris — che si possa presentare un condono per abusi fatti dentro un monumento ». Gli eredi ora vorrebbero alienare l’immobile storico allo Stato, ma le trattative con la Soprintendenza sono appena all’inizio. «L’assoluzione del pretore — ha spiegato Paris — ha impedito di perseguire nel tempo quegli abusi. Un eventuale nostro acquisto ora deve tener conto che la situazione antica del bene è stata stravolta, la strada è scomparsa, e per riportare il monumento allo stato originale ci vuole un notevole impegno finanziario».
Accanto al sepolcro, un’altra storia di abusi che riguarda altri proprietari. Uno spezzone dell’antica villa romana di Marmenia fu trasformata, trentotto anni fa, in un villino che ha stravolto completamente il manufatto archeologico. L’allora proprietario, Camillo Micarelli, fu denunciato nel 1970 dai carabinieri, ma nel tempo la struttura abusiva fu rilevata dalla società Sant’Urbano che, oggi, ha come amministratore unico la signora Antonella Meduri. Inutili, dagli anni Settanta a oggi, gli interventi di Soprintendenze, le ordinanze del Comune e altri enti pubblici per tentare di porre fine a tanto scempio. Vani anche i tentativi della Soprintendenza di acquistare l’area: il diritto di prelazione dell’ente è stato aggirato dalla Sant’Urbano evitando di ricorrere ad atti pubblici di compravendita, ma ricorrendo a riservati passaggi di proprietà delle azioni societarie.
Oggi la situazione è a un punto morto: il Comune, dopo il parere negativo della Soprintendenza Archeologica, ha rigettato l’istanza di condono presentato dalla signora Meduri. Quella villa edificata abusivamente nel ’70 è, di fatto, priva di licenza edilizia. Sulle carte catastali del 2008, pur essendoci da quasi 40 anni, ufficialmente non esiste. «Ciò che non si capisce — dichiara Rita Paris — ora che il Comune ha respinto il condono, è come si possa procedere all’acquisizione pubblica del bene e a chi competa l’eventuale demolizione e il ripristino dello stato storico dei luoghi. Sono state fatte numerose riunioni, senza capire se debba intervenire la Prefettura, il Ministero o il Comune». La morale della storia dell’abusivismo edilizio nel Parco dell’Appia Antica denunciato anche oltreoceano non è affatto rincuorante: lo Stato s’è rivelato impotente a tutelare il patrimonio archeologico che il mondo ci invidia.
"Traffico e condoni, colpa del Comune"
intervista al Presidente dell'Ente Parco
«Non esiste da nessuna parte un parco che abbia il volume di traffico automobilistico come quello che attraversa l´Appia Antica. È questo uno dei punti più importanti sul quale il Comune deve intervenire». Adriano La Regina, presidente dell´Ente Parco, punta l´indice sull´amministrazione comunale, responsabile, a suo dire, di «applicare in modo singolare gli strumenti che ha per far rispettare le leggi» nei 3500 ettari di parco che il mondo ci invidia.
Professor La Regina, cosa dovrebbe fare il Comune di Gianni Alemanno per restituire dignità alle bellezze storiche e archeologiche della regina viarum?
«Il Comune di Roma è sempre stato molto prodigo di condoni e su questo c´è sempre stato un contenzioso con la Sovrintendenza. È un fenomeno che ha attraversato tutte le amministrazioni precedenti. Il punto debole è sempre stato quello comunale».
Lei è presidente dell´Ente Parco: che strumenti avete voi per contrastare, ad esempio, l´abusivismo?
«Per gli strumenti che ha, l´Ente Parco si sta prodigando in modo esemplare. Peccato, però, che non abbia molti mezzi per affrontare questo tipo di problemi».
Cosa state facendo per risolvere il caso dell´abusivismo commerciale ed edilizio dell´officina Hyundai, che paradossalmente si trova proprio di fronte alla vostra sede legale?
«È una vicenda che si dovrebbe concludere, sono lì senza titolo, quindi si tratta di provvedere allo sfratto, cosa di cui dovrebbe occuparsi il Comune, essendo il proprietario dell´immobile».
Qual è il futuro del Parco?
«Il futuro è nel suo ampliamento: siamo in attesa di includere nel territorio dell´Appia Antica altri 1500 ettari, parte sul territorio di Roma, parte su quello di Marino».