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Entro la primavera del 2013 l’Appia Antica avrà il suo centro d’accoglienza turistica. Sorgerà al V Miglio, dove lo storico Livio riconosceva le leggendarie "Fosse Cluiliae", il confine arcaico dell’Ager Romanus, da cui partono i tre ettari e mezzo della tenuta di Santa Maria Nova di cui la Villa dei Quintili è parte integrante. È qui che si concentra l’ultima tranche di risorse del commissario Roberto Cecchi in programma per la Regina Viarum, pari a 2 milioni di euro con cui da ieri è partito il complesso intervento di restauro e valorizzazione col duplice obiettivo di svelare un patrimonio archeologico inedito e di aprire il nuovo ingresso dall´Appia alla confinante Villa dei Quintili.

Un traguardo importante per un’area acquisita dalla Soprintendenza nel 2006 dalla famiglia americana Kimble che l’aveva più volte usata come location per il cinema, tra cui due perle di Totò come "Sua eccellenza viene a cena" e "Che fine ha fatto Totò baby?". A caratterizzare l’area, che prende il nome dai monaci Olivetani di Santa Maria Nova presenti qui dal 1300, è il monumentale casale a torre in laterizi articolato su due piani, la cui imponenza suggestionò molto il Piranesi che nel ‘700 lo ritrasse più volte. L’edificio risale al XII secolo e si imposta su una struttura di età imperiale, forse una cisterna a due livelli. La fisionomia a torre rimanda ad una tipica funzione di difesa: «Probabilmente una delle torri del sistema difensivo di Roma anche a custodia della Via Appia come il Castrum Caetani», spiega la direttrice Rita Paris.

Il programma dei lavori si concentra su tre progetti. Il restauro della porzione al piano terra del casale che diventerà museo della storia del territorio, da residenza imperiale a latifondo della Chiesa. Dove non mancano curiosità, come quando i monaci scoprirono nel 1485 il corpo di una fanciulla perfettamente conservato, identificata con Tullia figlia di Cicerone, ma che, quando venne esposta in Campidoglio a palazzo dei Conservatori, a contatto con l’aria si dissolse. Strategica sarà la riqualificazione del cosiddetto casalino, edificio dell’800 costruito su muri romani: «Questo sarà il vero punto d’accoglienza, con bookshop, biglietteria, assistenza didattica e tutti i servizi, compresa la caffetteria - racconta Paris - Vorremmo ripristinare l’antica serra adiacente al casalino per allestire un’area ristoro panoramica». Infine, lo scavo e restauro dell’impianto termale riemerso nelle recenti campagne di indagini: «Un settore che ha svelato splendidi mosaici con scene gladiatorie e circensi», dice Paris. Un’ipotesi è che si tratti di un presidio della guardia militare nella fase imperiale, quando la villa venne confiscata da Commodo con l’uccisione dei fratelli. «Il centro è un piccolo miracolo per l’Appia, ora bisogna arrivarci - incalza Paris - È urgente mettere a sistema questo patrimonio con una rete di collegamenti. E il Comune deve fare la sua parte».

Al V miglio dell’Appia Antica, dove l’archeologia affonda le radici nel mito, quando re era Tullio Ostilio e gli Orazi affrontarono in duello i Curiazi per conquistare la supremazia su Albalonga alla metà del VII secolo avanti Cristo, una squadra di ricercatori olandesi sta scoprendo la vera identità dei sepolcri che la tradizione attribuisce agli eroi romani. Per la prima volta dalle indagini di Luigi Canina (1850-59), i monumenti tra i più leggendari dell’antichità sono oggetto di una campagna di scavo. A guidarla, due professori dell’università di Nijmegen, Eric Moorman e Stephan Mols, che hanno ricevuto in concessione dalla Soprintendenza per otto anni l’area compresa tra V e VI miglio.

«È il primo scavo che affidiamo in concessione - racconta la direttrice dell’Appia, Rita Paris – L’istituto universitario è stato scelto per i suoi titoli e procederà con finanziamenti propri». Uno scavo sistematico dei sepolcri, infatti, non è stato mai possibile per mancanza di fondi. La scelta del V miglio è legata al progetto di restauro e valorizzazione messo in campo per l’Appia con il commissariamento, tra Villa dei Quintili e Santa Maria Nova.

L’importanza del sito è evidente: qui il rettifilo dell’Appia, che regala suggestioni di un agro romano incontaminato, disegna l’insolita curva, motivata, come raccontava già Livio, per rispettare i tumuli celebrativi della memoria della battaglia tra Orazi e Curiazi, eretti prima della costruzione della Regina Viarum. Le indagini sono iniziate due anni fa, tra ricerche d’archivio, panoramiche aeree e misurazioni col georadar su sepolcri che appaiono come colline erbose. «Il materiale acquisito è stato propedeutico per la prima campagna di scavo che si concluderà domani», racconta Mols. Protagonisti sono i due tumuli in coppia degli Orazi, legati secondo la tradizione ai due fratelli romani uccisi.

«Nella forma possono essere considerati oggi come piccoli mausolei di Augusto - annuncia Mols - Conservano una possente struttura cilindrica del diametro di circa quindici metri, con un nucleo interno di blocchetti di tufo e materiale vulcanico, e tracce di rivestimento di travertino». Il corpo è alto oltre otto metri e presenta un coronamento arrotondato. La datazione ufficiale colloca i sepolcri alla fine del I secolo a. C. La vera novità è il muro di recinzione, alto oltre un metro e mezzo. Obiettivo principale ora è indagare l’interno dei sepolcri con il sistema del georadar per verificare la presenza della cella funeraria. Lo scavo rientra in un progetto più vasto: «Vogliamo realizzare una carta archeologica tridimensionale del V miglio - dice Mols - Abbiamo fatto fotogrammetrie terrestri per ricostruire in 3D tutti i monumenti dell’area. Il prodotto sarà pronto già a ottobre con l’obiettivo di proporlo in visione al pubblico». Ne viene fuori la prima indagine completa del sito, che comprende anche il sepolcro dei Curiazi, legato, secondo la tradizione, ai tre fratelli albani sconfitti con l’astuzia dall’unico degli Orazi sopravvissuto, e il misterioso mausoleo a piramide alto oltre venti metri.

Apre il 22 giugno a Capo di Bove (Roma), che dal 2008 ospita il prezioso Archivio Cederna, “La via/mia Appia. Laboratorio di mondi possibili tra ferite ancora aperte”, piccola mostra militante allestita fino a dicembre che ripercorre la storia della tutela dell’Appia antica da Luigi Canina (metà ‘800) a oggi, attraverso una settantina di foto storiche dell’Archivio Cederna e attuali. Una grande parete ricuce le tappe principali: iniziative, proposte di legge, piante storiche, documenti.

“Credo sia necessario fare il punto, in un momento di grande incertezza per il destino di questo territorio che non ha trovato ancora una sua definizione”, spiega Rita paris da anni responsabile della regina viarum. Oggi l’Appia è un Parco regionale naturalistico e non archeologico, ha leggi di tutela evidentemente insufficienti, la Soprintendenza fatica a contrastare il continuo fiorire di iniziative private, vivai, ristoranti, piscine, matrimoni, feste ecc. Al contrario l’area da proteggere è stata definita da tempo, i confini ribaditi fin dal piano regolatore del 1931 e dal vincolo paesaggistico del 1953. La sua storia è fatta di abusi continui, in parte condonati e irreversibili, ma anche di battaglie vinte, acquisizioni, scavi e scoperte, splendidi recuperi come quello di Capo di Bove. Con la mostra, Electa pubblica nella collana “Pesci Rossi” gli scritti di Paris, Guermandi, La Regina, Insolera e l’album delle fotografie.

Erano undici anni che un ministro per i Beni culturali non metteva piede sull'Appia Antica. Ieri Giancarlo Galan ha rotto questa tradizione, ha affrontato con un pizzico di amarezza tutta la storia dell'abusivismo edilizio consumatosi dal 1965 ad oggi ai danni della Regina Viarum, che documenta la bella e tragica mostra "La Mia Appia. Laboratorio di mondi possibili tra ferite ancora aperte" in scena a Capo di Bove. E ha preso formalmente un doppio impegno: l'istituzione del parco archeologico dell'Appia Antica e la disponibilità a risorse per acquisire monumenti antichi di proprietà privata.

Una risposta doverosa, quella del ministro, agli appelli lanciati dalla soprintendente ai beni archeologici Anna Maria Moretti e dalla direttrice dell'Appia Antica Rita Paris, applauditissima quest'ultima per il suo discorso dai tanti studiosi, archeologi e appassionati accorsi per l'evento, tra cui l'ex soprintendente Angelo Bottini e l'attore Giuseppe Cederna, figlio del grande ambientalista Antonio Cederna il cui archivio trova sede a Capo di Bove, e che già nel 1953 denunciava in un suo storico articolo "I Gangsters dell'Appia".

"Non sono nello spirito giusto, non sono contento: ho visto cose che mai si sarebbero dovute verificare in Italia - dichiara Galan - Immagini che testimoniano brutalmente tutta la negligenza, distrazione e disinteresse di generazioni di amministratori italiani". E non si dice ottimista, il ministro, "perché nel nostro paese è più presente lo spirito che ha deturpato l'Appia che non quello che anima questi appassionati archeologi". E' tempo di "attrezzarci a fare battaglia", incalza Galan. "Non è concepibile che un ente come quello dell'Appia Antica non abbia uno status giuridico e competenza di tipo archeologico. Bisogna assolutamente lavorare per trovare una soluzione condivisa con la Regione Lazio e il Comune di Roma".

Quanto agli straordinari monumenti privati, come il Mausoleo degli Equinozi del I secolo a. C., e il Sepolcro di Sant'Urbano d'età imperiale, le cui trattative per l'acquisizione si sono arenate per mancanza di risorse nelle casse della Soprintendenza archeologica, Galan avverte: "Ogni euro che abbiamo deve andare nella direzione di acquisire i beni culturali che i privati sono disposti a vendere. Noi dovremmo agevolarli dal punto di vista fiscale e burocratico. Chi dice che non ci sono i soldi per farlo, con poca lungimiranza, dice il vero se ci si limita a guardare lo status quo. Ma se ci sono buone idee e volontà, i soldi si trovano".

Un nuovo grido di dolore dall'Appia antica. Che fare di questo straordinario territorio archeologico che nonostante la bellezza e la ricchezza dei suoi tesori appare progressivamente assediato dal degrado e dagli abusi? Se lo torna a chiedere la Soprintendenza archeologica di Roma che in quel piccolo gioiello che è Capo di Bove (via Appia 222) ha deciso di allestire una bella mostra sulla «scoperta» dell'Appia e su ciò che ne resta. La mostra con 70 foto e pannelli vari si inaugura oggi, presente il neoministro dei beni culturali Giancarlo Galan, e resterà aperta fino all'11 dicembre. Le foto innanzitutto, di tre epoche: quelle della scoperta di fine '800-primi '900, poi le immagini del degrado denunciato negli anni '60 da uomini di cultura come Antonio Cederna, infine qualche sprazzo d'oggi col degrado sotto gli occhi di tutti. «Il territorio attraversato dalla via Appia nel tratto romano si sviluppa per chilometri, un cuneo ben riconoscibile all'interno dell'espansione edilizia della città, cresciuta in modo esuberante negli ultimi decenni e ancora in crescita - spiega Rita Paris, l'archeologa responsabile dell'Appia, che firma uno dei contributi riuniti nel libro accluso alla mostra "La via Appia, il bianco e il nero di un patrimonio italiano" (gli altri sono di Maria Pia Guermandi, Adriano La Regina e Italo Insolera). La città costruita assedia l'Appia e su essa e le altre strade del territorio, come l'Ardeatina e l'Appia Pignatelli, riversa un traffico veicolare intenso, dannoso alla conservazione del patrimonio archeologico, ambientale e naturalistico e decisamente limitativo per ogni iniziativa di fruizione. II fenomeno dell'abusivismo, che qui ha trovato una delle sue espressioni più clamorose e sfrontate, è stato ed è la vera legge per l'Appia, ossia la regola dell'interesse privato a danno di quello pubblico». Come appaiono dunque lontane le immagini quasi idilliache di Rodolfo Lanciani ed Ester Boise ritratti dal fotografo Thomas Ashby all'inizio del secolo scorso. L'Appia è ai suoi albori, la riscoperta di un tesoro ineguagliabile. E ora eccola qui, invece, tra abusi vecchi e nuovi, abusi consolidati, moltiplicazioni di feste e fuochi d'artificio, piscine che continuano a nascere qua e là... «Il problema principale dell'Appia è la sua definizione - prosegue Rita Paris -. A tutti l'Appia evoca qualcosa, una strada antica, conservata con i suoi monumenti, un parco dove poter trascorrere del tempo tra natura e monumenti, decenni di battaglie ricordate da grandi titoli sulla stampa, residenze esclusive di personaggi famosi, la metafora della deturpazione dei monumenti antichi». Che fare allora? Ripristinare innanzitutto la legalità, rispettare le regole, risolvere il problema dei condoni, definire infine il territorio in modo chiaro (naturalistico? archeologico?). «Occorre un progetto di ampia portata e condivisione, a cui può contribuire il Piano Territoriale Paesistico della Regione di recente approvazione. Altrimenti l'Appia rischia di scomparire senza grande clamore». Scriveva Adriano La Regina una quindicina di anni fa: «E stato più volte sottolineato come per giungere alla reale costituzione di un parco di tale rilevanza culturale e urbanistica, quale è potenzialmente quello della via Appia nel suburbio romano, sia necessaria una legge dello Stato. Con essa si può inoltre pervenire all'istituzione di adeguate forme di tutela dell' antica strada e delle relative pertinenze monumentali e ambientali in tutta la sua estensione, da Roma a Brindisi. Solo tramite una legge, infatti, è possibile ottenere in tempi ragionevoli il riconoscimento dell'interesse pubblico di ambiti territoriali così estesi...». Nel 2011 siamo però ancora al grido di dolore.

Erbacce alte più di un metro e rovi che coprono tombe e statue. La denuncia fatta ieri da Leggo ha scatenato una bufera politica sulla manutenzione dell'Appia Antica. Ma per la Regina viarum i problemi non sono solo gestionali, ma di controllo. La strada più famosa del mondo, infatti, all'ora di punta diventa un'autostrada. Il motivo? Automobilisti e motociclisti pur di evitare il traffico dell'ora di punta sull'Appia Pignatelli scelgono di transitare sul basolato romano di 2000 anni fa. Una scelta in voga anche tra gli autisti dell'Archeobus: quella che dovrebbe essere la linea nata per far ammirare ai turisti le bellezze del Parco archeologico, transita sui lastroni mettendo a rischio quel pezzo di patrimonio storico. Una situazione che si ripete ogni giorno dopo le 17, quando la parallela è invasa dal traffico. «L' Appia Antica è in uno stato di abbandono totale - tuona il consigliere del Pd, Paolo Masini - ma il sindaco pare non curarsene affatto. Chiediamo che il Campidoglio si svegli e la riporti in una situazione di pulizia e sicurezza». Gli fa eco Antonio Stampete, vice-presidente della commissione turismo del Comune: «Roma è sempre più abbandonata a sé stessa e l'incuria non colpisce solo le periferie ma anche i monumenti e la via più conosciuta al mondo. La falciatura dell'erba non è stata fatta, le aiuole sono giungle e sul basolato romano forse l'isola pedonale più ambita al mondo passa qualsiasi mezzo». «E una situazione che segnaliamo da tempo - dichiara Rita Paris, della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici - è assurdo che l'Appia venga usata come scorciatoia da auto e bus. Per quello che ci riguarda e compete effettuiamo interventi costanti e mirati contro il degrado, ma per la Regina viarum servirebbero maggiori risorse e cura. Si potrebbe portare a realtà il progetto per farla diventare Ztl. Per quello che riguarda le falciature abbiamo iniziato a sistemare la situazione».

Erba alta più di un metro. Cassonetti sepolti dai rovi. Sporcizia e un senso di abbandono che contrasta con la storia. Siamo sull'Appia Antica: nota al mondo come Regina viarum, oggi somiglia sempre più a una Cenerentola, una strada di periferia. Basta incamminarsi tra i lastroni all'ombra della tomba di Cecilia Metella per rendersi conto dello stato di incuria. La rastrelliera installata per parcheggiare le biciclette sembra uscita da un bombardamento: abbandonata, in parte rotta e arrugginita. Poco più avanti si scorge un cassonetto: per gettare una cartaccia, però, serve buona volontà e scarpe da trekking. Già, perché è completamente coperto da rovi e spuntoni e il risultato è che lattine e sacchetti sono sparsi a terra. La cosa più impressionante è la mancata falciatura dell'erba. In particolare nel tratto compreso tra l'incrocio di via Erode Attico e via Cecilia Metella le aiuole a bordo strada sembrano una selva: quello che doveva essere un prato decorativo tra tombe e statue oggi è alto più di un metro. «Le falciature - dice Daniela Galdiero, del comitato in difesa della Regina viarum - come la manutenzione qui è un miraggio. La strada di Roma più famosa nel mondo è letteralmente abbandonata a se stessa. Abbiamo più volte sollecitato Comune e Sovrintendenze ad intervenire ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti». Ma se la manutenzione latita i controlli non sono da meno: l'Appia Antica dovrebbe essere una sorta di isola pedonale, dove possono passare solo i residenti. Ma il condizionale è d'obbligo: già, perché nel tratto lastricato - quello compreso tra vicolo san Sebastiano e via dei Metelli - ogni giorno transitano (contromano) centinaia di auto per dribblare il traffico infernale di via Appia Pignatelli. Un escamotage che crea pericolose vibrazioni e mette a rischio la pavimentazione di 2000 anni fa. Il tutto davanti agli occhi sbigottiti dei turisti che speravano di vedere un museo a cielo aperto ma trovano degrado e abbandono.

L’Appia Antica svela un altro tesoro. L’unico esempio a Roma di architettura gotica cistercense. È la chiesa di San Nicola, con l’elegante campanile "a vela" che spicca al III miglio della Regina Viarum. Originale per la sua facciata asimmetrica, il monumento sorge di fronte al sepolcro di Cecilia Metella, svelando il cuore religioso di quel Castello Caetani che agli albori del XIV secolo Bonifacio VIII, il papa Caetani del primo giubileo, e il nipote cardinale Francesco, fecero edificare come baluardo della città.

Lasciato per secoli nell’oblio, è al centro da poco meno di un anno di un intervento di restauro avviato dalla Soprintendenza speciale ai beni archeologici con l’obiettivo di aprirlo al pubblico e di inserirlo entro un anno nel percorso di visita. Intanto i lavori iniziati con 70mila euro hanno registrato un primo traguardo: «Abbiamo riaperto la porta d’ingresso della chiesa, murata a fine 800», annuncia Rita Paris, responsabile dell’Appia Antica. Il colpo d’occhio regala una suggestione romantica: l’edificio non ha tetto, ma il restauro della struttura muraria ne restituisce l’idea complessiva, con la grande abside sullo sfondo, gli archi traversi che un tempo sostenevano la copertura in legno e le finestre ogivali impreziosite da cornici di marmo bianco.

Il problema maggiore è la mancanza di copertura: «Il primo intervento è stato di somma urgenza - dice la direttrice dei lavori Maria Grazia Filetici - Le intemperie hanno messo a serio rischio i delicati apparati decorativi». Per ultimare il recupero servono 700mila euro. «La perizia è pronta, stiamo aspettando il finanziamento - dice Paris – L’obiettivo è completare la messa in sicurezza del monumento, e musealizzarlo con pannelli didattici, oltre a studiare un’eventuale copertura». Potrà così iniziare la vita del monumento all’interno del Castrum Caetani, ancora in parte sacrificato dalle proprietà private: «L’intero perimetro originario del castello dovrebbe essere recuperato - osserva Paris - Così si offrirebbe al pubblico la percezione del recinto, l’unica testimonianza di Castrum a Roma». E il futuro di San Nicola potrebbe essere all´insegna della musica: cuore di un Festival dell’Appia Antica, con un progetto cui la Soprintendenza sta lavorando.

Postilla

Straordinario l’impegno dei funzionari della Soprintendenza Archeologica di Roma, veri - e unici - eredi di Cederna nella tutela della Regina Viarum. Ma i loro sforzi rischiano di essere depotenziati da quanto accade nell’area della via Appia immediatamente circostante. Tutto intorno alla chiesetta di San Nicola che si sta recuperando, il complesso del castrum Caetani, di grandissima importanza storica e monumentale, è ancora in larga parte – incredibilmente – di proprietà privata e – meno incredibilmente – luogo di abusi edilizi continuati nel tempo. Impossibile, fino a questo momento, per continui ricorsi, tutelare in maniera adeguata un’area di altissimo e riconosciuto valore archeologico.(m.p.g.)

Quando si parla di Appia fanno notizia l’abuso edilizio, la demolizione, la piscina e vicende di questo genere. In realtà la notizia vera dovrebbe essere che l’Appia non esiste, ossia non è quello che la gente si aspetta che sia, un “parco archeologico” dove si possa passeggiare e ammirare i monumenti antichi che qui sono tanti e in splendida sequenza.

Il progetto ottocentesco di “ristabilimento” della strada e i suoi monumenti fu realizzato con grande impegno perché tutti lo desideravano, ossia desideravano che quei monumenti visitati e immortalati dai viaggiatori e dagli artisti del Grand Tour nel ‘700 diventassero patrimonio disponibile per la collettività. Fu creato “un museo all’aperto” con concezione moderna, dove i reperti antichi furono lasciati sul posto grazie a un allestimento che ne consentiva la conservazione e l’ammirazione da parte di tutti. Anche gli espropri necessari per portare a compimento quest’opera, dilatando lo spazio della strada, furono definiti in piena armonia con i proprietari in vista del dell’utile grande che si procurava alla storia, all’arte.

Ci si aspetterebbe oggi che questo museo all’aperto e il territorio circostante venissero conservati come risorsa preziosa ed esclusiva, gestita con la perizia maturata in questo arco di tempo dai tecnici esperti, con la duplice finalità di conservazione e di valorizzazione per la fruizione e il benessere pubblico.

A proposito di ciò che è accaduto e accade quotidianamente sull’Appia e prendendo spunto dall’episodio trattato nell’articolo apparso su la Repubblica del 26 marzo 2011, vi sarebbero molte considerazioni da fare ma innanzitutto viene da domandarsi se esiste un interesse della collettività a fronte di interessi esclusivamente privati, quindi se esiste ancora il vincolo del rispetto delle regole e se vi è qualcuno preposto alla attuazione dello stato di legalità.

Il riconoscimento di interesse pubblico, quando definito, deve essere rispettato e nel caso dell’Appia - senza neppure appellarsi ai vincoli che pure esistono e che dettano prescrizioni - dovrebbe bastare la consapevolezza dei valori delle zone in cui si vive e si lavora. Espressione civica che non si manifesta solo assegnando all’azienda agricola di famiglia il nome del complesso monumentale in cui è situata.

I funzionari della Soprintendenza non amano svolgere un ruolo di controllo di tipo poliziesco, né avere comportamenti vessatori; si tratta per lo più di professionisti che hanno studiato la letteratura e l’arte del mondo antico, che si dedicano allo scavo e alla sua interpretazione, che ricercano e sperimentano le migliori tecnologie del restauro, per la conservazione e che trovano la migliore soddisfazione nel proprio operato quando il loro impegno è offerto al pubblico godimento, quando le scuole, i cittadini e gli studiosi di tutto il mondo vengono in questi luoghi e ne apprezzano la bellezza e il valore storico e culturale.

Tentare di entrare in una proprietà privata con il risultato di essere lasciati sulla porta è un’incombenza in più, non piacevole, anche perché molto spesso si è costretti a prendere atto di interventi e situazioni non conformi alle prescrizioni che pure per tutti dovrebbero valere.

In qualsiasi altra parte del mondo civile e forse anche in altre parti della nostra nazione vi è ancora il rispetto dei valori, tanto più quando si tratta di beni culturali. Chi vive e lavora sull’Appia invece, ha adottato un modo molto particolare di intendere l’amore per l’antico che si esplica nella continua violazione delle regole, in una conflittualità protratta con chi ha l’onere di salvaguardare questo territorio esercitando gli strumenti della legge.

In questi ultimi anni l’Appia è stata una fabbrica di scavo, di restauro, di rilievo, di studio e ricerca, di sperimentazione di sistemi e tecniche di conservazione, di allestimenti, di didattica, di formazione, di organizzazione di eventi culturali; tutto questo cercando di incrementare il patrimonio pubblico per metterlo a disposizione della collettività.

Che la strada e suoi monumenti sui lati costituiscano un unico complesso monumentale in consegna allo Stato forse non è noto a tutti: come tale va invece trattato attraverso una opportuna informazione e protezione con cancelli (come era fino ai primi decenni del ‘900) a cui oggi si potranno aggiungere sistemi di videosorveglianza. Sarà più facile il controllo dei furti e anche ovviamente del traffico improprio che guasta, notte e giorno, quello che la Soprintendenza va quotidianamente restaurando e conservando.

Ma soprattutto, la situazione di continua illegalità che caratterizza una delle aree archeologiche più preziose della capitale richiede delle risposte ormai improcrastinabili: l’attività dei pochi funzionari statali deve tornare ad essere il risultato di scelte di tutela e gestione del nostro patrimonio esplicite e rinnovate al più alto livello. L’Appia è un bene comune che, come tale, deve essere difeso, nella diversità dei ruoli e delle competenze, dall’intera collettività.

Gazebo e piscine tra i resti romani sfregi continui nel cuore dell´Appia antica

Carlo Alberto Bucci, la repubblica, ed. Roma, 26 marzo 2011

«Mi dispiace, la signora è partita e io non posso aprirle». Clic. Così la domestica ha riattaccato la cornetta del citofono e lasciato fuori dal cancello di via Appia antica l’inviata della Soprintendenza. Rimasto senza risposta il fax spedito due giorni prima a Maria Cecilia Fiorucci, appartenente alla celebre azienda alimentare, giovedì scorso la funzionaria statale ha bussato alla porta per verificare «lo smontaggio e gli eventuali danni» arrecati dalla tensostruttura installata per un affollato ricevimento serale. Si tratta di un gazebo montato senza la prevista autorizzazione, proprio a ridosso del sito archeologico della villa dei Quintili. E sul terreno privato dove si trovano i resti del Circo della villa d’età adrianea.

Ma che male può fare un gazebo alle vestigia romane dei Quintili? D’altro canto, più dell’85 per cento del parco regionale è in mano ai privati, che hanno pure il diritto di organizzare feste all´aperto. «Certo, ma devono rispettare le regole edilizie, anche per le strutture temporanee» precisa Rita Paris, l’archeologa responsabile della tutela sull’Appia. «In questo caso - sottolinea - non ci hanno inoltrato la richiesta di autorizzazione e, ora che chiediamo di andare a verificare gli eventuali danni dei pali nel terreno, neanche ci fanno entrare. Ho spedito una nuova richiesta di sopralluogo, ma intanto gli operai stanno finendo di smontare la tendopoli: e sì che noi avremmo dovuto seguire anche il montaggio».

Cade dalle nuvole Maria Cecilia Fiorucci: «Se ho una colpa, è quella di non aver fatto richiesta di autorizzazione. Ma, visto che siamo confinanti, pensavo che la Paris potesse facilmente vedere che ciò che abbiamo fatto montare per la festa del mio matrimonio è una struttura sospesa sul prato, senza pali nel terreno. Mi chiedo perché la Soprintendenza perda tempo a tormentare i privati invece di pensare di vegliare sui monumenti lungo la strada, che se non fosse per noi che controlliamo verrebbero spogliati dai marmi ogni notte, e alle feste, continue, che vengono allestite nelle ville date in affitto. Questa è casa mia da 40 anni, mi chiamo Cecilia in nome della Metella, e non ho commesso nulla di male».

Non si tratta solo del gazebo per una festa, sostiene la Paris, che parla «di un corposo fascicolo "Fiorucci" di contestazioni fatte alla proprietà dal momento che ha trasformato il casaletto agricolo anni Trenta in sfarzosa residenza privata». In ballo c’è anche la piscina «su cui pende dal 2003 una denuncia alla procura, firmata dall’allora soprintendete La Regina, per abuso edilizio». E sull’Appia, zona sottoposta a decine di vincoli in base ai quali non si dovrebbe costruire più nulla, oltre agli edifici illegali sono molte le piscine, in case private e circoli sportive, che attendono di essere demolite perché abusive.

«Le norme, che qualcuno oltre a noi sarebbe ora si decidesse a far rispettare, vietano che si accendano falò e che si facciano fuochi d’artificio» racconta l´archeologa. «Sono un pericolo d´incendio per il parco, che è invece continuamente vittima dell’inquinamento acustico e luminoso causato dalle centinaia di ricevimenti che si tengono nelle ville private». Per non parlare dello smog delle auto, visto che il parco è attraversato ogni giorno da un fiume di macchine (2000 l’ora, nelle ore di punta). Tanto che due anni fa l’ex presidente del parco, La Regina, e l’ex assessore alla Cultura, Croppi, avevano lanciato l’idea di una ztl con accesso solo per residenti e visitatori. «Parliamone eccome - insiste la Paris - . Il ministero dei Beni culturali, la Regione e il Comune si devono prendere, tutti insieme, le loro responsabilità. E devono dire cosa dobbiamo fare di questa strada che dall´Ottocento, come la via Sacra nel Foro Romano, è un "monumento": il primo, straordinario "museo all’aperto" europeo. Pensate che agli inizi del secolo scorso i funzionari si lamentavano perché "sulle basole appena restaurate passano i carri e il bestiame". Cosa direbbero ora che dobbiamo assistere ogni sera al corteo di camion per il catering e di auto lussuose che scorrazzano sul selciato romano per raggiungere i ricevimenti in villa?».

I Tesori dell'appia antica: privati pronti a venderli, e lo stato non compra

Laura Larcan, il Venerdì di repubblica, 25 marzo 2011

Strano caso, quello dei monumenti antichi "privati" dell'Appia Antica. I proprietari si sono decisi a venderli, anche perché i beni risultano vincolati da almeno trent'anni, e le richieste di condonare costruzioni abusive e arredi "impropri" sono state respinte.A comprare dovrebbe essere la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, cui spetta il diritto di prelazione. Ma nelle casse dei dirigenti archeologi non ci sono soldi e la trattativa sembra destinata ad arenarsi.

In ballo c'è il Mausoleo degli Equinozi, del I secolo a.C., chiamato così perché nei giorni degli equinozi di primavera e d'autunno il sole filtra attraverso una finestra a bocca di lupo e illumina il centro esatto della stanza. Prezzo base, 600 mila euro. L'altro è il Sepolcro di Sant'Urbano, edificio funerario d'età imperiale, considerato luogo di sepoltura del martire cristiano, che l'archeologo Rodolfo Lanciani definì "uno dei più importanti scavi di Roma". Quota di partenza, circa 500 mila euro.

"Proprio ora che i privati danno spiragli di apertura, dopo decenni di chiusure, non possiamo affrontare una trattativa" lamenta Rita Paris, dirigente della Soprintendenza, responsabile dell'Appia Antica. "Con questo tiro della cinghia inflitto alla cultura per il 2011, i pochi fondi che abbiamo li dobbiamo spendere per la manutenzione, e al momento non c'è nessuna prospettiva di incrementare il patrimonio. Ci si può solo augurare che qualche illuminato sponsor prenda a cuore questa situazione, visto che lo Stato non è in grado di farlo".

Sono quindici anni che Rita Paris conduce la sua battaglia solitaria per risollevare le sorti della Regina Viarum, quasi tutta di proprietà privata. Fondamentale, spiega, è il recupero di Sant'Urbano che svetta con la sua aula in cortina laterizia in quella che era proprietà dei fratelli Lugari, ceduta nel 1981 alla famiglia Anzalone. A far soffrire il monumento è stata la separazione dalla contigua Villa Marmenia, un gioiello d'età imperiale, che, dai Lugari, è rimbalzata per tre proprietà diverse, collezionando dagli anni 70 una sfilza di abusi edilizi mascherati da finti restauri. "Cominciando ad acquisire Sant'Urbano si potrebbe poi risolvere anche la questione della Villa in modo da ricostituire l'originario complesso" avverte Paris.

Più fortunato il Mausoleo degli Equinozi, di proprietà dei fratelli Passarelli, che nelle date degli equinozi offrono ai visitatori cibi preparati secondo la cucina antica.

Una città «fuori controllo» dal punto di vista urbanistico, dove «la lotta agli abusi è rallentata moltissimo» e dove «l´ultima demolizione è datata aprile 2010». Un «far west edilizio» in attesa del prossimo condono. «E tutto questo - dice un amareggiato Massimo Miglio - Roma non se lo merita». Geometra, 61 anni, dal 1998 al 2008 ha guidato l´ufficio antiabusivismo del Comune di Roma, conquistandosi i soprannomi di "sceriffo" e "cagnaccio". È riuscito a demolire oltre un milione di metri cubi di abusi, compresi quelli dei vip, da Ferdinando Adornato a Luciano Gaucci a Lory del Santo. È stato oggetto di minacce, per due volte gli è stata bruciata la macchina. Oggi, allontanato prima dal Campidoglio con l´arrivo di Gianni Alemanno poi, dopo la vittoria di Renata Polverini, da un medesimo ufficio creato in Regione, non si occupa più, se non per passione, di abusi edilizi e condoni.

La procura ha aperto un´inchiesta sulla cosiddetta "Condonopoli". Ma qual è la situazione a Roma della lotta all´abusivismo?

«La macchina anti-abusi ha rallentato moltissimo. L´ufficio istituito presso il Campidoglio era diventato un punto di riferimento e supporto per i 19 municipi. Avevamo stretto convenzioni con gli enti parco, lavoravamo insieme alla polizia municipale e a stretto contatto con la procura. Al pool di magistrati che si occupa di reati urbanistici presentammo anche un sistema all´avanguardia per il controllo territoriale fotoaereo».

Che fine ha fatto quel sistema?

«È scomparso. Il Comune non dispone più di uno strumento fondamentale che consente di rilevare qualsiasi variazione, anche prospettica che viene realizzata sul territorio».

E le demolizioni?

«Mi risulta che l´ultima sia stata effettuata nell´aprile del 2010, quando ero a capo dell´ufficio antiabusivismo della Regione».

La situazione a Roma e nel Lazio qual è?

«La relazione pubblicata alla fine del 2010 dalla Regione ci dice che, solo nella capitale, ci sono 6 abusi edilizi al giorno. Per quel che mi è dato sapere, in tutto il Lazio esistono 10 milioni di metri cubi di costruzioni abusive. In questi anni ne abbiamo abbattuti un milione, ovunque: nei parchi, compreso quello dell´Appia antica, e nei centri storici. Con i carabinieri di Frascati abbiamo demolito quattro edifici che appartenevano al clan dei Casamonica».

Ora è tutto fermo. Si è chiesto perché?

«Non so cosa abbia impedito le demolizioni in quest´ultimo anno. So solo che in precedenza c´era un interesse molto forte verso questo tema. Sono stato esautorato da ogni incarico. Sicuramente sono state scelte legittime da parte dalle nuove amministrazioni. Posso solo dire che, finché mi è stata data la possibilità di tutelare il territorio, l´ho fatto col massimo impegno».

Il suo allontanamento è stato oggetto di polemiche.

«Mi hanno cacciato da un giorno all´altro. Prima dal Comune, con un fax. Avrei preferito un contatto diretto, qualche motivazione più chiara. Ma è una decisione che non posso e non voglio sindacare».

E dalla Regione?

«Lì nemmeno un fax. Mi hanno semplicemente disattivato il badge per entrare in ufficio».

Lei è stato anche minacciato durante la sua attività.

«È stato un periodo triste. Mi hanno incendiato due auto ma non era il modo per dissuadermi dall´occuparmi di queste questioni».

Ritiene di aver toccato interessi delicati?

«Durante il mio lavoro, chi commetteva un abuso era regolarmente perseguito. Brutalmente: non abbiamo guardato in faccia nessuno».

Dunque, la pazienza nei confronti degli attacchi al territorio e alla qualità urbana inferti dall’amministrazione capitolina è esercizio ormai quotidiano. Di ieri è la notizia (Bucci su la Repubblica, ed. Roma, 15/11/2010) dell’ennesimo tentativo di legalizzazione di un abuso edilizio sull’Appia. La regina viarum, manzonianamente protetta da prescrizioni rigidissime di assoluta inedificabilità è da sempre al centro di iniziative speculative di ogni tipo. Come avevamo ripetutamente sottolineato su eddyburg, il frutto avvelenato dei condoni edilizi passati rischia di travolgere, attraverso la perversa interazione di sovrapposizioni e inerzia amministrativa, le barriere del sistema della tutela, sempre più fragili perché sempre più isolate.

Nel caso denunciato, la gravità dell’episodio deriva infatti dal coinvolgimento attivo degli organismi di governo pubblico, Comune ed Ente Parco regionale, che, con assoluto sprezzo dei dovuti passaggi istituzionali (il coinvolgimento della Soprintendenza competente), dell’interesse pubblico e della logica, hanno non solo ammesso una sanatoria illegittima, ma ne hanno aggravato l’impatto concedendo il permesso di ulteriori operazioni edilizie

Effetto di evidente stato confusionale è poi il riferimento, nel lasciapassare dell’Ente Parco, alla necessità di mantenimento di materiali originali, riferito alle lamiere fatiscenti di un capannone industriale.

Purtroppo, questo ennesimo caso di deriva istituzionale degli enti locali è in perfetto allineamento con quello che è l’attuale conclamato indirizzo politico del Ministero Beni Culturali: in un recente documento ufficiale elaborato per le celebrazioni del decennale della Convenzione Europea sul paesaggio, con fantozziano spirito anticostituzionale si ricorda che: “prima di pervenire ad espressioni di pareri che siano in contrapposizione a tali proposte [interventi sul territorio di ogni tipo, n.d.r.], il Ministero qualora possibile, perviene a pareri la cui formulazione si configura come una elencazione di buone maniere (prescrizioni) da mettere in pratica per l’ottimizzazione dei progetti, la cui qualità è data dal porsi in dialogo con i luoghi prevedendo, caso per caso, mitigazioni, minimizzazioni, varianti tali da permettere il corretto inserimento delle opere previste.”

Insomma, dopo l’epoca della tutela è giunta l’epoca delle “buone maniere”.

Auguri all’Appia.

La struttura è da accampamento militare. Una copertura metallica, rivestita con un praticello in erba sintetica e ornata da vasi con vere piante rigogliose, che, a un clic di telecomando, scorre sui binari e svela ai bagnanti ciò che perfettamente mimetizzava nel verde di Roma: una piscina da 11 metri per 6 scavata nel terreno inviolabile dell’Appia Antica. Siamo al civico 219/a della "Regina viarum", che dal dopoguerra è (sarebbe) l’area archeologica più vincolata d’Italia. Invece il Parco è continuamente violato da costruzioni illegali e attraversato da 2000 macchine l’ora nelle ore di punta.

A scoprire il nuovo abuso nella villa privata, dopo le piscine dei circoli sportivi scovate e sequestrate due anni fa a via Appia nuova (Sporting Palace) e in via dell’Almone (Circolo tennis Acquasanta), sono stati gli archeologi della Soprintendenza statale. Oltre la recinzione della proprietà di Filippo Guani affacciata su uno dei punti più importanti di via Appia Antica, il tratto compreso tra i sepolcri romani di Claudio Secondo e quello della famiglia Rabiri, ecco brillare il blu di una vasca piena d´acqua. Ed è partita la denuncia alla procura per violazione dell’area protetta.

I padroni dei terreni (il 95% dei 3500 ettari del Parco è in mano ai privati) sono obbligati a chiedere il permesso anche per un gazebo estivo. O per una festa che preveda l’accensione delle fiaccole, visto il pericolo incombente di roghi. La proprietà della mega villa con piscina, nel 2008 aveva chiesto il permesso proprio per una cisterna interrata, utile "contro eventuali incendi". Permesso accordato. Ma invece del pozzo d’acqua piovana ecco una piscina. Di espedienti come questo sono piene le carte nelle migliaia di domande di sanatoria che ancora aspettano di essere respinte. Inoltre, l’Ufficio condono del Comune è paralizzato (la società che lo mandava avanti è fallita e ha lasciato a casa 300 dipendenti). E ci ha pensato l’XI circoscrizione, presieduta da Andrea Catarci (Sel), con la Regione (durante la giunta di centrosinistra), a mettere a segno demolizioni nelle proprietà di Gaucci o del costruttore Scarpellini (un parcheggio accanto alla villa che fu della Mangano), mentre si attende di intervenire contro gli edifici illegali della "Posta del Borgo" nella tenuta della Farnesiana.

«E’ assurdo, sono ancora in piedi domande dei condoni dell’85, del ‘95 e del 2003» ha denunciato il sottosegretario Francesco Giro. E mancano i soldi per arricchire le proprietà demaniali e mettere così l’Appia al riparo degli abusi, anche recentissimi: costruzioni illegali favorite dalle voci di un "condono dei condoni" nella manovra finanziaria o dalla facilità offerta adesso dalla "Scia" ("Segnalazione certificato inizio attività", al posto della vecchia "Via"), nonostante proprio ieri il ministro Bondi abbia assicurato che l’articolo 49 "prevede l’esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali". «La soluzione è nell’articolo 31 del testo unico – spiega Massimo Miglio, protagonista di molte battaglie contro l’abusivismo al servizio del Comune e della Regione durante le giunte di centrosinistra – che prevede l’acquisizione del fabbricato illegale. Con la proprietà di Cavicchi davanti all’Acquedotto dei Quintili l’acquisizione è già avvenuta. E in questo modo si fa soprattutto una convincente azione deterrente».

Le ruspe sono pronte, ma gran parte delle demolizioni nel cuore dell'Appia Antica come nel Centro storico restano bloccate. «Sono oltre mille gli abbattimenti da effettuare - precisa Massimo Miglio che guida l'ufficio antiabusivismo della Regione Lazio - ma finché l'Uce non rilascia il provvedimento di reiezione non possiamo intervenire». Così richieste di condono palesemente abusive o finte restano congelate nei cassetti dell'ufficio comunale e si allungano i tempi per veder realizzato il progetto di un grande parco dell'Appia Antica senza abusi edilizi. E se sono mille gli abbattimenti sulla carta, di questi ben 43 potrebbero subito essere realizzati.

Si va da strutture completamente fuorilegge nella riserva della Farnesiana come nel caso della Posta nel Borgo a oltraggi a monumenti lungo l'Appia Antica fino a ville, dependance o piscine abusive nella riserva Torlonia, via di Torricola e via Ardeatina. È tutto però fermo, bloccato dalle domande sospese all'Uce. «Il Comune non ci ha dato i soldi e abbiamo risolto con le convenzioni, non c'è nessuna collaborazione ma fanno ostruzionismo per impedirci di fare il nostro lavoro, in più ora c'è anche il sabotaggio amministrativo - ribadisce Andrea Catarci, presidente del municipio XI - La nostra proposta è quella di dare ai dirigenti tecnici del municipio, almeno nei territori dove ci sono le aree vincolate, la facoltà di respingere i condoni lì dove sono chiaramente strumentali. Si dovrebbe modificare il regolamento, visto che l'Uce non funziona».

Un'operazione che, grazie all'accordo tra l'ufficio antibusivismo della Regione, la soprintendenza statale di cui è responsabile per l'Appia Rita Paris e l'Ente parco, presieduto dal professor Adriano La Regina, ha già portato all'abbattimento di 10 mila metri cubi in dieci mesi. Basta ricordare i casi più eclatanti di nomi noti: come Gaucci nella cui villa è stata demolita la soprelevazione della casa e durante il sopralluogo sono stati scoperti cinque abusi aggiuntivi via Appia perché si volevano realizzare dei manufatti ma erano solo depositi a cielo aperto nel cuore dell'Appia; come Scarpellini che aveva organizzato un parcheggio per 140 macchine a disposizione della vil43 la per eventi; Mangano o Cavicchi che aveva fatto costruire un supermercato in via Appia Antica 1280; Poli che aveva realizzato un prefabbricato sopra le Fosse Ardeatine e sbancato la collina per aprire un passo carrabile. «Chiediamo che siano risolti tutti i casi per i quali viene espressamente richiesta la reiezione - incalza Miglio - Non si può pensare che un ufficio plurindagato e posto sotto sequestro fermi tutto il nostro lavoro che è una battaglia per la legalità». L'Uce latita e anche nel municipio I presieduto da Orlando Corsetti le demolizioni sono ferme. «Stiamo ancora aspettando il via libera per abbattere tre o quattro canne fumarie illegali o terrazzi abusi all'Aventino e a San Saba dove sono stati costruiti mini appartamenti.

Appia Antica, arrivano nuovi vincoli. Il piano paesaggistico approvato ieri nel penultimo consiglio regionale prima delle elezioni ha messo sotto tutela altre zone fuori dei confini del parco. Prime fra tutte, l’area degli Acquedotti compresa tra Porta Furba e Porta Maggiore e la fascia esterna alle Mura Aureliane tra Porta Maggiore e via Ardeatina. Il risultato è una superficie vincolata di oltre 6000 ettari, quasi doppia rispetto ai confini del parco.

Non solo. Il provvedimento rende finalmente possibile il trasferimento di 25 imprese, tra autodemolitori, laboratori artigiani e piccole fabbriche, dal territorio del parco dove finora hanno svolto la loro attività, in un’area sull’Ardeatina, fuori del Gra. «In questo modo - dichiara il vicepresidente della Regione Esterino Montino - vengono restituiti ai cittadini 150 ettari di parco pubblico occupati impropriamente».

«L’estensione del vincolo paesaggistico tutela non solo i monumenti, già sotto vincolo monumentale, ma anche le aree circostanti - spiega Daniele Iacovone, responsabile della direzione Territorio e Urbanistica della Regione - ma non vuol dire ampliamento dei confini del parco». Quelli rimangono fermi ad una superficie di 3370 ettari, perché il consiglio regionale non ha trasformato in legge la proposta di estensione dell’allora assessore all’Ambiente Angelo Bonelli, approvata in giunta nel settembre 2005. Il provvedimento avrebbe portato il parco ad una superficie di 5000 ettari, includendo nei confini il Colle della Strega e l’area del comune di Marino, dove incombe un’edificazione da un milione e 200mila metri cubi.

Ritirato in extremis l’ordine del giorno bipartisan denunciato da Legambiente Lazio che dava mandato al vicepresidente della giunta di rivedere i confini dell’ampliamento nel comune di Marino. Il consigliere di Sinistra e Libertà Enrico Fontana aveva già tolto la sua firma il giorno precedente. «Per il momento sono salvi i 120 ettari di splendida campagna dei Castelli Romani, all’interno del Divino Amore e dell’ambito archeologico di Mugilla, su cui rischiavano di piombare 1.200.000 metri cubi di cemento - dichiara il presidente di Legambiente Lazio, Lorenzo Parlati - Purtroppo la Pisana ha perso la scommessa dell’ampliamento del parco».

Postilla

Come sanno molto bene i nostri lettori, eddyburg riserva da sempre un’attenzione speciale all’Appia Antica, la regina viarum amata da Cederna, simbolo sia della straordinarietà del nostro patrimonio culturale nella sua incredibile mescolanza di paesaggio e archeologia e, allo stesso tempo, dell’insipienza e avidità di alcuni che la condannano ad un lento degrado, come, all’inverso, della tenacia e dell’intelligenza di altri che, con mezzi infinitamente inferiori ai primi, non smettono di lottare per salvarla.

Oltre alle ingiurie dell’abusivismo e del degrado, su eddyburg abbiamo puntualmente segnalato- attraverso un’apposita rubrica – anche i successi in termini di tutela e fruizione di quest’area straordinaria che pure, faticosamente, vengono perseguiti.

Così nella notizia che riportiamo sottolineiamo alcuni aspetti positivi, fra i quali soprattutto la sventata lottizzazione nel comune di Marino. Al di là dei toni trionfalistici del vicepresidente Montino, però, gli elementi negativi prevalgono: ancora una volta la pubblica amministrazione non ha avuto il coraggio di perseguire una politica di governo del territorio di coerente ampliamento degli spazi collettivi e di tutela radicale di un bene comune così prezioso perché sempre più scarso, come è quello dell’agro romano.

Anche in questo l’Appia Antica e il suo territorio sono un simbolo: dell'uso strumentale e spregiudicato del nostro patrimonio culturale sul quale si sbandierano, spesso impropriamente, le iniziative di salvaguardia soprattutto in prossimità di scadenze elettorali, salvo poi dimenticarsene fin dal momento in cui si aprono le urne. (m.p.g.)

Le ruspe sono accese, ma non possono partire per realizzare il parco archeologico déll'Appia Antica. Oltre cento domande di condono inviate all'ufficio condono edilizio (che non risponde) bloccano di fatto demolizioni di costruzioni illegali. Ma per capire quanto l'inerzia dell'amministrazione possa danneggiare aree di grande pregio basta fare un giro di qualche ora con il guardiaparco, Entriamo nella tenuta agricola della Farnesiana, qui l'agro romano è una cornice naturale all'area archeologica, un luogo meraviglioso: campagna, greggi di pecore scortati dai pastori maremmani, un ruscello, il rudere dell'antica torretta, quartiere di una legione romana Nel cuore della tenuta c'è una villa con ingresso da via Ardeatina 285, uno dei casi più eclatanti di abusivismo edilizio. «Su una parte di questa costruzione, della società Posta del borgo, abbiamo un ordine d'abbattimento - racconta Andrea Catarci, presidente del Municipio - ma la richiesta di condono del 2004 per la ristrutturazione di un edificio che non doveva esistere blocca di fatto ogni intervento».

A pochi metri dall'acquedotto dei Quintili la scena è la stessa:, un luogo meraviglioso deturpato da un capannone illegale, che funge da ristorante-sala ricevimenti. Poco oltre ci sono alcuni prefabbricati usati come deposito di materiali ed alloggi per i lavoranti. Tutto è assolutamente illegale, ma intoccabile, perché ogni intervento è bloccato da una richiesta di condono. E quindi la sinergia, nata dall'accordo firmato lo scorso ottobre tra Regione, Municipio e Soprintendenza, per velocizzare gli abbattimenti viene vanificata dall'inerzia dell'ufficio condoni. «Ormai demolizioni di costruzioni illegali» perché costruite in aree edificabili come il parco dell'Appia Antica - dice Massimo Miglio, responsabile dell'ufficio regionale anti-abusivismo edilizio - non vengono realizzate per il silenzio dell'ufficio condono edilizio. Ovvero restano sospese domande di condono di fatto irricevibili, con l'unico vantaggio di chi ha commesso l'abuso».

«Chiederò ad Alemanno di affrontare con l'ufficio condoni la piaga dell'abusivismo, che va arrestata nel rispetto della proprietà privata legittima. Le richieste di condono sono state cassate ma bisogna superare questa situazione di stallo, e trarne le conseguenze dovute. Gli abusi vanno abbattuti. Va fatta una campagna di pulizia se si considera che sono stati stimati oltre un milione e mezzo di metri cubi di edilizia e attività improprie, che sfruttano la bellezza dell'area, in una zona che deve essere inedificabile. Altrimenti decretiamo la morte del parco». Lo dichiara il sottosegretario ai beni culturali Francesco Giro nel corso del sopralluogo al Mausoleo di Cecilia Metella al terzo miglio dell'Appia Antica, in occasione dell'inizio dell'intervento di pulitura straordinaria della sommità del monumento.

«Oggi è stata l'occasione per ammirare la bellezza ma anche la malattia che piaga l'Appia Antica - continua Giro - Lancio un appello al Comune di Roma ad aprire un tavolo di concertazione sull'Appia Antica coinvolgendo l'ufficio condoni». Ad accompagnarlo la soprintendente responsabile dell'Appia Antica Rita Paris che ha lamentato i problemi che assillano la «regina viarum»: «Il traffico, lo scarso arredo e manutenzione dei tratti di gestione comunale, l'abusivismo e l'assenza di una connotazione di parco archeologico più accentuata rispetto alla legge attuale istitutiva dei parchi.

Insomma - dice Paris - Parco archeologico o no? Dobbiamo capire cosa vogliamo fare: ci danno fastidio le attività improprie sul'Appia, i vivai che si trasformano in ville a catering. E altro. Chiunque ha qualcosa qui, vuole metterlo a frutto. Noi dobbiamo garantire la tutela e promuovere nuove acquisizione, anche perché l'area è quasi per il 90 per cento privata, seppur sottoposta in parte a vincoli». «Dobbiamo definire meglio l'entità del parco archeologico dell'Appia Antica - insiste Giro - che si affianchi alla valenza paesaggistica. Insomma, stop agli abusi».

C'è il contadino che ha tirato su un muro. E il signore che ha innalzato una reggia. Tutti e due in una zona protetta come l'Appia antica. Entrambi abusi da abbattere. Ma la macchina per far rispettare legge e ambiente rischia di impantanarsi davanti alla montagna di pratiche: 3.670 all'XI Municipio. Per questo, il consiglio municipale ha votato all'unanimità una delibera che dà una nuova scaletta agli interventi anti abusivismo.

«Abbiamo proposto nuove priorità perché la discrezionalità può provocare l'immobilismo e perché bisogna iniziare dai casi più gravi» spiega il presidente Andrea Catarci (Sel). Ecco allora che con l'assessore all'Urbanistica Alberto Attanasio sono stati individuate le categorie degli interventi di demolizione.

Hanno innanzitutto la priorità gli abusi post 2003, ossia fuori condono edilizio rispetto a quelli non sanati dal condono stesso. Altro discrimine è l'esistenza di vincoli. All'interno di un'area protetta le ruspe devono andare prima sugli edifici in corso di costruzione poi sugli abusi già edificati (la maggioranza). Scendendo, altra priorità ce l'hanno gli abusi in aree demaniali rispetto a quelle in tenute private: perché se lo scempio e nella terra di tutti, il danno è ambientale e patrimoniale. Infine, la dimensione: attaccare prima le corazzate dell'abusivismo e per ultime le piccole (ma ugualmente illegali) superfetazioni dell'edilizia fai-da-te.

L’art. 101 del Codice Urbani individua e definisce, tra i luoghi della cultura, anche il “parco archeologico”: esso, a differenza dell’“area archeologica”, non è un semplice sito, ma un ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto. Era ora che si definisse cosa è, o dovrebbe essere, una parco archeologico, ma, purtroppo, nonostante consessi qualificati, riunioni programmatiche e dibattiti strategici di illustri esperti del settore, fattivamente ancora non si può far aderire una definizione, così semplice e lineare, ad una realtà concreta, tangibile ed innestabile su un preciso territorio, molto spesso o quasi sempre urbanizzato. Il parco archeologico sfugge all’identificazione, almeno per ora. Ma la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, che ha il privilegio, faticoso ma costantemente assiduo, di essere preposta alla tutela e alla valorizzazione anche del comprensorio attraversato dalla Via Appia Antica, concretamente vuole applicare la citata definizione alla realtà dell’Appia, poichè in essa riconosce questa specifica valenza di museo all’aperto.

E’ per questo che la Via Appia Antica, con la sua sede stradale, con il suo basolato, le sue crepidini, le sue ottocentesche macere, i monumenti ad essa prospicienti e le aree archeologiche e monumentali ad essa connesse, tutti sono considerati e trattati, dal punto di vista delle tutela, della valorizzazione e della fruizione, come unitario complesso archeologico e monumentale, pur nelle sue specificità, unico al mondo. Ma qui il parco archeologico vero e proprio ancora è lontano…: molte, troppe le edificazioni succedutesi dagli anni ’60 dello scorso secolo fino ad ora, enorme ed abnorme il numero di abusi su questo territorio, nonostante le norme d’attuazione del PRG del 1965 lo avessero coraggiosamente inserito in zona N, Parco Pubblico e come tale reso inedificabile. La Soprintendenza ogni giorno lotta, insieme ad altri Enti territoriali “sensibili” alla tutela, per sottrarre agli illeciti edilizi questo prezioso territorio. Uno strumento di lotta è, quando ci siano presupposti legislativi e favorevoli condizioni finanziarie, l’acquisizione, cioè l’inserimento nel patrimonio disponibile del demanio dello Stato di porzioni di questo territorio, che, una volta consegnate alla Soprintendenza, possano essere utilizzate con le migliori finalità per la tutela finalizzata allo sviluppo della cultura.

Il prossimo 4 febbraio, su richiesta immediata e specifica, alla Soprintendenza verrà consegnato, dall’Agenzia del Demanio (che lo aveva inopinatamente messo al pubblico incanto) un terreno prospiciente la Via Appia Antica e la Via dell’Aeroscalo, in località Fioranello. Non è grande (è solo 1,50 ha.) ma sarebbe stato sufficiente, vista la vicinanza con l’aeroporto G.B.Pastine di Ciampino, per divenire un bel parcheggio di autoveicoli, o un centro benessere, con tanto di piscina, per i poveri viaggiatori dell’aeroporto dopo le fatiche del volo (come dichiarato da un acquirente interessato in un colloquio telefonico con responsabili della Soprintendenza). Grazie al continuo monitoraggio, anche di procedure di compravendita eo amministrative, che la Soprintendenza opera ai fini della tutela, è stata possibile questa piccola acquisizione, ma grande nel valore: lo Stato deve tutelare questo territorio in tutti i modi, anche riscattandolo da un improprio eventuale uso privato. In questo caso la consegna alla Soprintendenza sarà inoltre priva di oneri finanziari, poiché l’immobile era già nel patrimonio demaniale: sarà invece onere della Soprintendenza garantirne la pulizia ed il decoro, realizzando in esso un “presidio”, magari nell’edificio tecnico presente, a salvaguardia di un tratto stradale della Via Appia Antica, che, non ancora interessato dai previsti lavori di restauro e riqualificazione finora condotti nei tratti immediatamente precedenti, appare piuttosto una landa di crateri marziani che un antico prestigioso asse stradale, dove ancora imperversa la sosta selvaggia delle automobili…

Ma un passo alla volta tenacemente, “il parco archeologico” sarà.

L’autrice lavora nell’Ufficio Appia della Soprintendenza Archeologica Speciale per Roma e Ostia.

Conosciamo i giornalisti: si stancano presto, così sentenziava un funzionario della Pubblica Istruzione circa un anno fa, quando cominciammo a denunciare le prodezze dei Gangsters dell’Appia. L’astuto funzionario si sbagliava: la campagna di stampa ha preso proporzioni considerevoli e l’Appia Antica, com’era giusto, è man mano diventata un banco di prova di tutta un’amministrazione; come era giusto essa ha procurato notevoli preoccupazioni a parlamentari, ministri e senatori, ha promosso voti, interrogazioni….ha spinto ad agire soprintendenti i distratti…ha provocato le dimissioni dell’assessore all’urbanistica Enzo Storoni. La conservazione dell’Appia val bene una crisi in Campidoglio”(da La valle di Giosafat, Il Mondo, 2.11.1954)

Ancora una volta partiamo dalle parole di Antonio Cederna per fare il punto sulla condizione dell’Appia dopo un incontro promosso, nei giorni scorsi, dal Municipio XI, dall’Ufficio antiabusivismo della Regione Lazio, dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma che hanno siglato, da qualche mese, un accordo per collaborare negli interventi contro quelle realizzazioni che arrecano sfregio a questo ambito territoriale.

L’iniziativa si è focalizzata sul fenomeno massiccio delle pratiche relative a concessioni edilizie in sanatoria presso l’Ufficio Condono Edilizio del Comune di Roma riguardanti il Parco dell’Appia: concessioni rilasciate senza alcuna valutazione di conformità con lo strumento urbanistico e con i vincoli e senza l’imprescindibile parere di competenza di chi è preposto alla tutela.

Domande di condono che attendono, a migliaia, di essere esaminate dopo anni dall’avvenuto pagamento di oblazione, che ha quindi creato più che motivate aspettative nei richiedenti; domande relative alle ultime tre leggi sul condono edilizio che, in attesa di un riscontro, hanno dato luogo a un crescendo di abusi, sovrapposti uno sull’altro nel corso degli anni, determinando situazioni che, nella loro complessità, non sono ora più riconducibili a uno stato di legittimità e sono divenute, quindi, ingestibili.

Per questo, la proposta del presidente del Municipio XI di trasferire l’istruzione di queste pratiche agli uffici tecnici del Municipio, non è una provocazione mediatica, ma un’offerta di collaborazione per risolvere il problema delle numerosissime domande inevase, destinate ad aumentare nel tempo. D’altro canto i Municipi rappresentano gli organi dell’amministrazione pubblica a più stretto contatto con il territorio e di questo, come dello stato degli immobili che vi sono presenti, hanno una conoscenza non superficiale.

Per fortuna i giornalisti, come all’epoca dell’articolo di Cederna, non sembrano stanchi dei problemi dell’Appia, ne seguono le vicende, accorrono ad ogni occasione e contribuiscono, forse in forma esclusiva, a tenere viva l’attenzione sul problema. Credo anzi di poter affermare che questa attenzione non sia derivata solo dal “mestiere”, ma dal fatto che questo territorio, con la sua bellezza e la complessità della gestione che ne deriva, suscita un interesse profondo, in molti casi: a quest’attenzione, che non permette di dimenticare, l’Appia deve molte delle sue residue speranze di salvezza.

Ciò che sorprende è che, diversamente dai tempi di Cederna, non sembra che sulla situazione di questa area si manifestino preoccupazioni da parte di chi è istituzionalmente interessato al caso Appia. Il fenomeno dei condoni ha iniziato a manifestarsi nella sua gravità dal 1998 e da allora è stato sempre regolarmente denunciato dalla Soprintendenza Archeologica.

L’interesse istituzionale, all’inverso, è stato scarso, ed ha portato solo a qualche presa di posizione politica che non ha mai condotto a soluzioni efficaci: mai si è tentato un ordinamento delle leggi urbanistiche e di tutela archeologica e paesaggistica, oltre che di quelle più recenti del parco regionale, mai ne è stato condotto l’aggiornamento alla luce delle varie sentenze dei tribunali. La situazione si è a tal punto aggrovigliata che, a questo punto, occorre ribadire al più presto il sistema delle regole che governano questo territorio, affinchè ne sia garantita quella conservazione da tutti auspicata, a parole, ma sottoposta, nei fatti quotidiani, alla prevaricazione di interessi personali sostenuti da uffici legali e delegittimata dall’inerzia delle amministrazioni pubbliche.

Come ha dichiarato nell’incontro del 14 gennaio Vezio De Lucia (cfr. C. A. Bucci in La Repubblica, 15.1.2010) occorre ripartire dal vincolo decretato dal Piano Regolatore del 1965: già allora risultava evidente e, all’epoca, a livello istituzionale, che per l’Appia si fosse superato ogni limite consentito di rovina e devastazione e fosse necessario ripartire con un piano che sancisse chiaramente i valori di questo ambito territoriale e non lasciasse spazio a ulteriori scempi.

Riprendere quelle idee e quelle determinazioni non deve avere il senso di un immobilismo appiattito sul passato, ma deve divenire lo stimolo per una seria ricognizione e presa d’atto della situazione attuale e per ricominciare a decidere e progettare, nell’interesse pubblico, su questo immenso patrimonio storico-ambientale.

L’autrice è la Responsabile dell’Appia Antica per la Soprintendenza Archeologica Speciale di Roma e Ostia.

«L’Ufficio condono edilizio non collabora nella lotta alla repressione degli abusi sull’Appia Antica». Per questo l’XI Municipio chiede ad Alemanno di commissariare l’Uce. Proponendo al Comune di far gestire ai dirigenti dei municipi le pratiche più urgenti e clamorose. Ma dietro la lentezza con cui vengono sbrigate le richieste di sanatoria, c’è chi vede il fantasma di un nuovo, nefasto condono edilizio.

A dicembre il presidente dell’XI Andrea Catarci ha mandato persino un’auto per prendere il dirigente dell’Uce e portarlo alla conferenza dei servizi su un clamoroso caso di abusivismo nella tenuta della Farnesiana. Ma l’Uce ha mandato un collega che non aveva potere decisionale. Mancando il parere dell´Ufficio condono, l’ennesima, irricevibile domanda di sanatoria non è stata ufficialmente respinta. E le ruspe dell’XI municipio e della Regione Lazio sono state bloccate.

È solo uno dei molti casi di inaspettato stop alla repressione dell’illegalità. «Il sindaco Alemanno - dichiara Catarci - vada a vedere che succede all’Uce, non si capisce il perché di tanta inerzia». E con il suo vice, Alberto Attanasio, chiede che d’ora in poi il Campidoglio, «previo cambio del regolamento», affidi «ai dirigenti dei municipi, personale equiparato a quello comunale, il compito di respingere le domande di condono palesemente errate e irricevibili».

L’obiettivo è incentivare quell’attività di ripristino e reintegro dei luoghi violati che da agosto sull’Appia - grazie all’accordo con l’ufficio antibusivismo della Regione guidato da Massimo Miglio, la soprintendenza statale di cui è responsabile per l’Appia Rita Paris e l’Ente parco, presieduto dal professor Adriano La Regina - ha permesso di demolire abusi in proprietà come quelle di Gaucci, Scarpellini, Cavicchi.

Ma l’Uce non collabora. La società Gemma, che la gestisce, è in affanno. Ha sbrigato solo 8000 delle 60mila pratiche previste entro marzo 2010. E i 350 dipendenti non hanno ancora ricevuto lo stipendio di dicembre, né la tredicesima. Eppure, nel caso del parco dell’Appia antica, le reiezioni dovrebbe essere un atto dovuto. «Andrebbero rigettate in blocco» spiegano Miglio e la Paris. Della stessa opinione l’urbanista Vezio De Lucia. «Grazie al ministro Giacomo Mancini e all’impegno di Antonio Cederna - spiega lo studioso - nel 1965 lo Stato pose un vincolo di "tutela integrale" sull’Appia: la più bella pagina della storia dell’urbanistica italiana. Solo con i condoni si è riusciti ad aggirare le leggi». Per Miglio e De Lucia, la lentezza con cui vengono rigettate le vecchie domande di sanatoria crea quindi ora «il rischio che arrivi un nuovo condono per "sanare" la situazione».

Con l’iniziativa che inauguriamo oggi, eddyburg riprende e rilancia uno dei temi a noi più cari: la difesa dell’Appia Antica, questo straordinario spazio in cui natura e cultura, perfettamente integrate, hanno creato, nei secoli, un ambiente dalle caratteristiche uniche per fascino e importanza archeologica e naturalistica.

Unico, certo, ma allo stesso tempo esemplare rispetto alle tante minacce che il nostro territorio subisce, con rinnovata violenza negli ultimi anni. L’Appia rappresenta infatti, una sorta di bignami dei danni inferti da fenomeni come speculazione edilizia, abusivismo e successivi condoni, spregio della legislazione di tutela, degrado in senso lato.

Destinata, dopo il decreto Mancini del 1965, al pubblico godimento come parco, area classificata nella categoria della inedificabilità assoluta, subisce da allora, come tanti altri luoghi in Italia, uno stillicidio di assalti edilizi da parte dei privati, tesi a eroderne il carattere di spazio aperto e pubblico. L’Appia costituisce quindi uno dei tanti beni comuni che, con sempre maggiore frequenza in tempi recenti, vengono sottratti alla collettività e per il cui recupero e difesa eddyburg leva la sua voce.

In questa direzione ereditiamo il testimone di una battaglia che fu lanciata oltre cinquant’anni fa da Tonino Cederna: l’Appia era la sua strada, percorsa e ripercorsa all’infinito, conosciuta in ogni centimetro, difesa con una passione mai domata dai numerosi insuccessi e premiata, però, da alcune significative vittorie.

E’ soprattutto grazie all’azione di Cederna e, dietro di lui, di Italia Nostra, che tanto splendore, pur se ridotto in quantità, ci è stato consegnato.

Come ci ha insegnato Cederna, però, in Italia soprattutto, il nostro territorio ha bisogno di un’azione di salvaguardia continua e ininterrotta: per questo noi di eddyburg riprendiamo il cammino, con le poche risorse disponibili, ma sicuri di raggruppare sotto questa bandiera molte altre voci.

Da subito ci accompagna in questa vicenda colei che può essere definita la vera erede di Cederna per quanto riguarda la tutela (nel senso più ampio e pieno del termine) della regina viarum: Rita Paris, responsabile, per la Soprintendenza Speciale Archeologica di Roma e Ostia, di questa zona, che, con l’impegno di anni e la collaborazione di un gruppo affiatatissimo, è riuscita, fra l'altro, a regalare a tutti noi due aree straordinarie come la Villa dei Quintili e Capo di Bove, dove è attualmente ospitato l’archivio Cederna donato dalla famiglia e reso liberamente accessibile on-line, primo e fondamentale nucleo informativo sulle vicende moderne dell’Appia.

In uno spazio dedicato del sito troverete, da oggi, una serie di notizie, informazioni, documentazione storica, fotografica che si arricchirà nel tempo anche, speriamo, con il contributo di chi vorrà inviarci altro materiale. E ancora i commenti, i ricordi, le analisi di chi ha partecipato, a vario titolo, a questa storia, da Vezio De Lucia ad Italo Insolera, da Adriano La Regina alla famiglia Cederna, ai tanti soci di Italia Nostra.

Ma soprattutto ci sarà la cronaca, in tempo (quasi) reale, di ciò che accade oggi sull’Appia per quanto riguarda il governo di questo territorio fragilissimo: nel bene e nel male.

In questo senso, in uno spirito di ottimismo, la prima cronaca che inaugura questo spazio, inizia con il racconto dell’ennesima, emozionante scoperta archeologica: l’ennesimo regalo dell’Appia Antica a tutti noi.

In questi giorni, nel corso di un intervento per la bonifica di parte della tenuta di S. Maria Nova, sull’Appia Antica, recentemente acquistata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma, è tornato alla luce un lungo tratto di strada romana basolata. Si tratta, con ogni probabilità, di una strada che collegava la Via Appia con la Via Latina, lo fanno pensare l’andamento e altre parti del tracciato trovate in passato nelle vicinanze. La strada partiva dal quinto miglio dell’Appia, luogo sacro pieno di memorie, limite dell’ager romanus, con la grandi tombe a tumulo, riconosciute dalla tradizione degli Orazi e Curiazi, la struttura forse un ustrino, il grande Sepolcro a Piramide, la Villa dei Quintili.

La strada basolata si trova solo in parte nella nuova proprietà pubblica, dove sarà lasciata a vista, per il resto rimarrà obliterata sotto muri, recinzioni, villette, proprietà private che, fino a qualche tempo, fa erano solo campagna. Allora ci si ritrova disorientati con il gruppetto di esperti che lavora per l’Appia, come un unico corpo di fronte al fenomeno che ogni giorno questo territorio fa scoprire, nel bene e nel male, sempre in bilico tra i risultati raggiunti e l’abisso dei problemi.

Le scoperte a Roma non ci sorprendono, sono all’ordine del giorno ma sull’Appia il miracolo poteva ancora accadere, fino a 50 anni fa, ma anche fino a 20 anni, anche meno, ancora oggi potrebbe accadere. Perché i monumenti, la strada basolata e tutto il patrimonio che c’è sarebbero ancora recuperabili e potrebbero essere una risorsa eccezionale, unica al mondo, da mettere a disposizione di tutti.

Lascio la Villa dei Quintili al tramonto e, come sempre, mi sorprendo per la bellezza indescrivibile dei luoghi, per la luce rossa tra le grande arcate dei monumenti, per la quiete che riesce a ignorare il traffico intenso che passa accanto.

Come sempre mi domando: cosa si può fare, come si può salvare tutto questo e farlo godere a tutti. Non sono riusciti personaggi importanti, non è riuscito Antonio Cederna, non sarà possibile.

Ma almeno, mi dico, non dovrà passare sotto silenzio, almeno si deve tentare di comunicare cosa accade lì ogni giorno, quanto sia costoso un piccolo risultato, quanto sia disarmante muoversi tra ricorsi, cause perse, sentenze ingiuste, tentativi continui di aggressione del bene prezioso che è il territorio: di tutto questo non si può dare colpa ai privati che perseguono il proprio interesse individuale ma piuttosto assegnare le responsabilità alle amministrazioni pubbliche che non fanno, fanno finta di ignorare, lasciano correre, mostrando poco interesse. Tutti i problemi rimangono affastellati in un ufficietto che ha il compito della tutela e della valorizzazione archeologica di questo comprensorio, che non ha una connotazione particolare, che va avanti solo per l’impegno personale di chi vi lavora, troppo spesso incredulo di fronte agli accadimenti. Si deve lasciar correre e ratificare tutto quello che è stato fatto illecitamente, si deve ostinatamente riaffermare che si tratta dell’Appia antica, ci si deve convincere che lo stato di fatto è più forte di ogni ragione di salvarla, che forse stiamo esagerando?

Rivolgere a eddyburg queste riflessioni è un modo per comunicare con i suoi lettori, che, sicuramente, potranno comprendere, per sentirsi meno soli e dare spazio a un “osservatorio” sull’Appia che possa informare, rispondere, vigilare.

Altri, forse, avranno voglia di segnalare, di rispondere, di porre quesiti e sarebbe davvero un gran successo poter creare una piccola rete di consenso per l’Appia.

Intanto, per non dimenticare rileggiamo Cederna, quanto mai attuale, e troviamo qui la forza per andare avanti.

Chissà mai accada un miracolo!

“ Per tutta la sua lunghezza, per un chilometro e più da una parte e dall’altra la via Appia era un monumento unico da salvare religiosamente intatto, per la sua storia e per le sue leggende, per le sue rovine e per i suoi alberi, per la campagna e per il paesaggio, per la vista, la solitudine, il silenzio, per la sua luce, le sue albe e i suoi tramonti…Andava salvata religiosamente perché da secoli gli uomini di talento di tutto il mondo l’avevano amata, descritta, dipinta, cantata, trasformandola in realtà fantastica, in momento dello spirito, creando un’opera d’arte di un’opera d’arte: la Via Appia era intoccabile, come l’Acropoli di Atene” (da I Gangsters dell’Appia, Il Mondo 8 Settembre 1953).

PROGETTI E PROSPETTIVE PER IL PARCO DELL'APPIA ANTICA

di Vittoria Calzolari

(in: La via Appia, a cura di Stefania Quilici Gigli, Roma 1990)

I primi trent’anni della storia moderna dell’Appia Antica ripercorsi da una protagonista. Dal volume La via Appia (a cura di Stefania Quilici Gigli), Roma, 1990 (m.p.g.).

1. 1946‑1976: trent'anni di alterne vicende

All'inizio del 1976 in una mostra e convegno a Palazzo Braschi, fu presentato lo studio «Piano per il Parco dell'Appia Antica» preparato dalla Sezione di Roma di Italia Nostra. Sembrava che si stesse felicemente concludendo una travagliata vicenda trentennale che aveva visto la «questione Appia Antica» ora totalmente perduta, ora riemergente e quasi al sicuro da quella che Goethe ‑ parlando di luoghi come l'Appia Antica ‑ definiva «la follia devastatrice alla quale tutto deve cedere» [1].

Trent'anni prima del 1976, nell'immediato dopoguerra, era ripresa l'attuazione dei piani particolareggiati previsti dal Piano Regolatore del 1931, dando il via a una nuova ondata di edifici intensivi, palazzine, ville intorno alla Valle della Caffarella, al Quarto Miglio, sull'Appia Antica: queste costruzioni e quelle abusive che ad esse si sono aggiunte hanno sostanzialmente trasformato gli accessi alla via Appia Antica, il carattere delle strade interne, i profili della campagna circostante.

Vent'anni prima il drammatico appello di un gruppo di uomini di cultura (primo firmatario Corrado Alvaro ultimo Umberto Zanotti Bianco) [2] contro la devastazione del territorio dell'Appia, sembrava avere toccato amministratori e politici, fino allora silenziosamente o attivamente acquiescenti. Nell'appello del febbraio 1954, si denunciava lo scempio, si chiedeva il rispetto assoluto delle parti ancora libere, la demolizione degli edifici abusivi, la preparazione di un piano unitario da inserire nel Piano Regolatore.

Come risultato il Consiglio Comunale di Roma approvava un ordine del giorno per la sospensione delle licenze edilizie, il Ministero della Pubblica Istruzione avviava lo studio del Piano Paesistico dell'Appia Antica attraverso una commissione presieduta da Zanotti Bianco. Il Piano paesistico pubblicato nel 1955 prevedeva alcune macchie di edilizia estensiva, ma era sufficientemente tutelante. Ma, sotto la pressione dei proprietari di aree, veniva rielaborato e sostanzialmente peggiorato nella riedizione del 1960. Di fatto il piano di tutela diventava un piano di edificazione con quasi cinque milioni di metri cubi costruibili entro il perimetro del parco; un trattamento speciale veniva riservato alla valle della Caffarella ‑ prevalentemente proprietà di Torlonia e Gerini ‑ nella quale alla promessa di cessione al Comune delle aree di fondovalle corrispondeva una accresciuta edificabilità dei terreni elevati.

Dieci anni prima del 1976 il Decreto Ministeriale di approvazione del Piano Regolatore Generale di Roma aveva dato la risposta più insperatamente positiva alle sollecitazioni espresse, durante il convegno del 10 novembre 1965 presso il ridotto del Teatro Eliseo, da uno schieramento di forze culturali e di alcune forze politiche estremamente deciso e unitario nelle sue richieste: si chiedeva che venisse garantita la tutela completa del territorio dell'Appia Antica modificando, in fase di approvazione ministeriale, il Piano Regolatore adottato dal Comune di Roma nel 1962: questo, pur avendo sensibilmente migliorato il Piano Paesistico, manteneva molte macchie edificabili nelle parti più vicine alle Mura Aureliane.

Il decreto firmato da Giacomo Mancini, allora Ministro dei Lavori Pubblici, destinava a parco pubblico ‑ Zona N del Piano Regolatore l'intera area di 2517 ettari compresa in un perimetro sensibilmente ampliato rispetto a quello del Piano Paesistico.

All'entusiasmo del momento seguivano però alcuni anni di totale assenza di iniziative pubbliche e di ripresa di più o meno palesi iniziative private ‑ frazionamento di terreni, ristrutturazioni di casali, cambi di destinazioni d'uso, oltre alle costruzioni abusive concentrate soprattutto nella zona di Cava Pace. E tuttavia con la forte ripresa dell'iniziativa di base e delle associazioni culturali della fine anni sessanta ‑ inizio anni settanta sui temi della vivibilità urbana, del verde, della tutela delle memorie storiche, anche il tema dell'Appia Antica viene riportato all'attenzione dei cittadini e degli amministratori.

In questo clima viene presentata nel 1969 la proposta di legge Giolitti‑La Malfa, che per la prima volta impegna in modo concreto il Governo a concedere al Comune di Roma un contributo di 30 miliardi per l'esproprio e la sistemazione dell'intero comprensorio.

In questo clima nel 1972 l'Amministrazione Comunale di Roma predispone l'esproprio di 80 ettari della Valle della Caffarella (da fuori Porta S. Sebastiano fino al Casale della Vaccareccia) utilizzando la possibilità data dalla recente legge n. 865 del 1971 di acquistare i terreni a prezzo agricolo.

In questo clima viene sviluppato il Piano per il Parco dell'Appia Antica promosso da Italia Nostra.

Quasi in contemporanea ‑ e forse in qualche modo sollecitati dalla risonanza che ebbe allora il Piano ‑ si verificarono altri due fatti positivi per l'Appia Antica: l'approvazione da parte della Regione Lazio dell'esproprio degli 80 ettari deciso dal Comune quattro anni prima (D.R.L. n. 220 del 9/2/1976) e la decisione da parte del Comune di avviare la seconda fase di esproprio ‑ 110 ettari ‑ che avrebbe completato il parco della Caffarella. Senonché nell'ultima seduta del Consiglio Comunale prima delle elezioni del giugno 1976 ‑ alla delibera venne a mancare l'appoggio della maggioranza.

E tuttavia sui prati della valle della Caffarella nelle settimane prima delle elezioni si svolsero raduni, feste e «corse per il verde» nella speranza che l'attesa trentennale fosse ormai arrivata alla soluzione.

2. Il Piano per il Parco dell'Appia Antica ‑ 1976

Lo studio del Piano per il Parco dell'Appia Antica è stato elaborato tra il 1973 e il 1976 su iniziativa della Sezione Romana di Italia Nostra da un gruppo di lavoro interdisciplinare di cui facevano parte esperti in archeologia, storia territoriale, geologia, botanica, forestazione, urbanistica, paesistica, legislazione [3]; è stato presentato nel febbraio 1976 in una mostra a Palazzo Braschi, accompagnata da una serie di incontri e visite guidate; è stato ripresentato nel 1984 ‑ aggiomato e integrato con il quadro della situazione del verde del settore est e con le proposte per l'Appia nel frattempo intervenute ‑ in una pubblicazione alla quale si rimanda per una documentazione più approfondita [4].

Il carattere, l'interesse e anche l'attualità di questo studio credo siano fortemente legati a quanto si è saputo cogliere, allora, del particolare momento culturale e sociale di cui ho detto e di conseguenza all'avere assunto come ipotesi, nelle indagini e nelle proposte, la reale fattibilità di quell'opera. Lo studio è stato sviluppato ‑ come detto ‑ da esperti di diverse discipline, ciascuno dei quali ha condotto una ricerca specifica sul suo campo, ma anche con la costante, attiva collaborazione di chi conosceva i luoghi perché ci viveva, con la collaborazione dei gruppi culturali locali e delle circoscrizioni, assai più vitali allora di oggi. Obiettivo comune era trovare un filo conduttore tra le diverse categorie di valori, intorno al quale costruire l'unità formale e organizzativa del parco: e ciò non solo per motivi estetici, o storici, o urbanistici, ma anche perché alla nascita di un'immagine unitaria nella mente e nell'opinione pubblica era legata la possibilità di fare davvero il parco e tutelarne l'integrità, continuamente minacciata dalle iniziative tendenti a sottrarre delle parli a un complesso «così vasto e così eterogeneo».

Come elemento‑base di struttura sono stati assunti nel progetto del Parco i grandi lineamenti geomorfologici (colata lavica di Capodibove, canaloni, dossi, cave, ecc.) ai quali si legano i lineamenti e le potenzialità vegetazionali e colturali (vegetazione delle zone umide di fondovalle, dei pendii e dossi, delle cave, dei ruderi, boschi, prati‑pascolo, ecc.).

Alla morfologia, alle acque, ai paesaggi vegetali si legano anche le scelte insediative e le strutture archeologiche e storiche, viste come sistema unitario da ricomporre, dai Fori fino alle Frattocchie e poi, attraverso il Parco dei Castelli, al Tuscolo. Coerentemente con questa linea progettuale lo studio ha compreso i seguenti argomenti:

‑ lettura contestuale del territorio sotto il profilo fisico, storico, della proprietà, del suo uso attuale e rapporto con la città attraverso rilevamento diretto sul posto e documentazione catastale, d'archivio, presso uffici, ecc.;

‑ proposta di sistemazione complessiva del parco dal Campidoglio fino ai confini comunali, fondata sulla restituzione dell'unítà geomorfologica, storica, paesistica, ma anche sul soddisfacimento della domanda di verde, di cultura e svago di chi abita ai margini del parco e dell'intera cìttà (sì veda l'allegato schema di assetto del parco);

‑ studio della reale fattibilità della proposta, sotto il profilo giuridico, finanziario e attuativo.

Un intento del Piano è stato infatti quello di offrire un metodo per programmare e attuare il parco che coordinasse i problemi tecnici con quelli istituzionali e legislativi. Lo schema di legge per il finanziamento e la costituzione del parco e l'organo di gestione ipotizzati (un'azienda consortile con la partecipazione della Regione Lazio, Provincia di Roma, Comune di Roma, associazioni culturali e scientifiche) erano evidentemente abbastanza idonei, tanto che sono stati assunti quasi per intero nella Proposta di legge regionale recentemente approvata. Si prevedeva allora che il parco venisse attuato in dieci anni con un investimento statale di 45 miliardi (15 per espropri, 30 per sistemazioni), utilizzando la possibilità data dalla legge n. 865 /71 che consentiva di espropriare aree non urbanizzate al prezzo del terreno agricolo [5].

Altro tema dello studio era la gestione: si prefigurava come la gente avrebbe utilizzato il parco concentrandosi nelle parti attrezzate e diradandosi in quelle più «naturali»; si individuavano le essenze e le formazioni vegetali più adatte a svilupparsi spontaneamente, in quanto autoctone, e insieme adatte a creare un paesaggio coerente con la natura e la storia dei luoghi; si studiava in particolare il problema della fruibilità e insieme tutela dei monumenti, dei percorsi storici, delle cavità di interesse storico e scientifico. Il tutto nell'intento di ridurre al minimo, attraverso la progettazione, gli enormi problemi di manutenzione e gestione che rendono la conduzione di un parco (e in particolare di un parco archeologico) ancor più difficile della sua creazione.

3. Dal 1978 ad oggi

Una delle prime iniziative della nuova amministrazione comunale di Roma ‑ giunta di sinistra con sindaco G.C. Argan ‑ fu l'approvazione della delibera per l'acquisizione della Caffarella restata sospesa. Ma, a partire dal 1977, il vento di restaurazione che cominciava a scalzare le fondamenta della disciplina e della prassi urbanistica investì anche la questione Appia Antica; a ciò si aggiunse, da parte delle amministrazioni locali, una non sufficiente prontezza ed energia di iniziativa.

Nel 1978 ‑ mentre il Comune prendeva in consegna la parte della Caffarella già espropriata ‑ il Consiglio di Stato accoglieva i ricorsi dei proprietari contro l'esproprio, per il mancato stanziamento di fondi adeguati. Di conseguenza nel 1980 il Comune doveva restituire gli atti di proprietà e i terreni; contemporaneamente una sentenza della Corte Costituzionale invalidava i criteri di esproprio basati sul valore agricolo dei suoli contenuti nella legge n. 865/71 e nella successiva «legge sui suoli» n. 10/77, senza peraltro dare nuovi criteri: si determinava così la situazione ‑ che tutt'oggi perdura ‑ di impossibilità per le pubbliche amministrazioni di acquistare a costi ragionevoli e prevedere l'entità degli impegni finanziari da assumere.

Nel 1981 il Comune tentava di rientrare in possesso dei terreni perduti utilizzando la facoltà di occupazione per «opera necessaria e urgente» data dalla legge n. 1/78; ma si trattava, per i motivi detti prima, di un'operazione al buio sotto il profilo dell'impegno finanziario; i 5,5 miliardi inclusi nel bilancio comunale 1982 per finanziare l'opera ‑ come richiesto dalla legge ‑ erano ormai certo insufficienti, per l'enorme lievitazione dei prezzi dei terreni causata dalla sentenza di cui si è detto. Il progetto di sistemazione della Valle della Caffarella preparato dall'Ufficio Giardini del Comune ebbe tutte le approvazioni prescritte ma restò sulla carta.

Nel 1984 decadono i vincoli ‑ più volte prorogati ‑ della destinazione a parco pubblico prevista dal Piano Regolatore: si è in prossimità delle nuove elezioni del 1985, si parla di un nuovo Piano Regolatore Generale per Roma, non si riesce ‑ come tentato ‑ a rinnovare in tempi utili almeno i vincoli, con un piano‑stralcio. Così il Piano Paesistico del 1960 torna ad essere il solo strumento di tutela; ma di quale tutela!

A partire dal 1985 nella vicenda dell'Appia Antica, insieme ad alcuni spiragli di speranza, vi sono nuovi pesanti motivi di preoccupazione. Tra questi: il moltiplicarsi delle operazioni di frazionamento dei suoli e di liquidazione delle aziende agricole ancora efficienti, il moltiplicarsi di piccoli manufatti abusivi e discariche, la richiesta da parte dei proprietari di realizzare nella Valle della Caffarella un campo di golf su 110 ettari e, da parte dello stesso Comune, la riproposizione di una strada di collegamento tra via Cilicia e via Latina che taglierebbe l'imbocco della Caffarella e che era stata eliminata dalle previsioni perché fortemente incompatibile con l'ambiente del parco.

Tra i fatti virtualmente positivi rientra l'obbligo per la Regione Lazio, a seguito della legge n. 431/85, di predisporre un nuovo Piano Paesistico per l'Appia Antica. Tale piano, redatto con due anni di ritardo rispetto al termine del 31 dicembre '86 posto dalla legge, non è mai stato discusso in Consiglio regionale né presentato al pubblico: è un oggetto misterioso, il che naturalmente non rassicura.

Tra i fatti positivi è l'approvazione da parte del Consiglio regionale del Lazio della legge per l'istituzione del «Parco regionale suburbano dell'Appia Antica» del 21 Settembre 1988. La legge istitutiva riprende per molti aspetti come già detto ‑ lo schema di legge allegato al Piano del 1976. Sono finalità del parco:

‑ tutelare monumenti e complessi archeologici e diffondere la conoscenza;

‑ preservare e ricostituire l'ambiente naturale,

‑ creare e gestire attrezzature sociali, culturali e ricreative, compatibili con il carattere del parco.

Entro un anno dall'approvazione della Legge si sarebbe dovuto costituire l'organo di gestione ‑ un'Azienda consorziale formata da Regione, Provincia, Comuni di Roma, Marino, Ciampino, Circoscrizioni e il Comitato Tecnico-scientifico; entro altri 12 mesi questi avrebbero dovuto predisporre un piano di assetto del parco. Senonché, dopo un anno e mezzo, nulla di questo è accaduto. Resta di positivo il fatto che con l'approvazione della Legge sono entrati in vigore vincoli di salvaguardia che impediscono edificazioni e trasformazioni e si sono per lo meno esplicitate le finalità e la struttura di gestione. Emergono ‑ e andrebbero al più presto corretti ‑ alcuni limiti, non si sa quanto dovuti a dimenticanza o a vincoli di tipo politico: come lo scarso rilievo dato all'aspetto archeologico (non è previsto un archeologo nel comitato tecnico‑scientifico), come una pericolosa sovrapposizione tra piano di assetto del parco e programma di sviluppo dell'Azienda ed una non chiara identificazione di cosa va acquisito al patrimonio pubblico, in che tempi e con quali finanziamenti.

Del Parco dell'Appia Antica si è occupato anche il Decreto per Roma Capitale, quattro volte reiterato e non approvato, poi decaduto e non più ripresentato dopo essere stato discusso per un anno nella Commissione parlamentare territorio: prevedeva un finanziamento di 140 miliardi per espropri di terreni dell'Appia e del Sistema direzionale orientale, senza specificare quanto andasse all'una o all'altro.

Più specifica, più completa la Proposta di legge n. 3858 del 26/4/89 «Interventi per la riqualificazione di Roma capitale della Repubblica» (a firma di Cederna, Bassanini, ecc.), riguardante la realizzazione del Sistema direzionale orientale, la realizzazione del Parco archeologico dell'area centrale dei Fori e dell'Appia Antica, il potenziamento dei sistemi di trasporto pubblico su ferro.

La questione dell'Appia Antica viene dichiarata «di preminente interesse nazionale» e interamente affidata alla responsabilità dello Stato: per il finanziamento (2 1.000 miliardi nel periodo 1989‑2000) e per l'attuazione (espropri, coordinamento organizzativo, prima fase progettuale affidata ad un comitato presso la Presidenza del Consiglio e al Dipartimento per Roma Capitale). 1 compensi per gli espropri sono basati sulla legge n. 865/71, ma graduati in base al valore d'uso; i finanziamenti derivano da speciali imposte aggiuntive su tabacchi e olii combustibili per autotrazione. 1 vantaggi di questa legge stanno nello snellimento delle procedure, nella chiarezza delle indicazioni sulle acquisizioni e nello sforzo di proporre soluzioni innovative; i pericoli nell'eccesso di centralizzazione. La Proposta di legge all'inizio del 1990 non ha avuto ancora alcun esito.

4. Prospettive

Giunti al 1990 la situazione dell'Appia Antica è di gravità estrema: basti ricordare che non un solo metro quadro è davvero passato alla proprietà pubblica né è stato sistemato, oltre le aree archeologiche e il Parco Ardeatino, già posseduti; l'unica legge ‑ approvata ma non attuata ‑ che dia qualche tutela e prospettiva di assetto del parco è la legge regionale del 1988.

In questa situazione, come nei momenti più difficili della vicenda Appia Antica, è indispensabile ‑ credo ‑ un'azione rinnovata, concorde, decisa e propositiva delle forze culturali e in primo luogo del settore disciplinare più coinvolto nei destini dell'Appia Antica, quello dell'archeologia.

Tale iniziativa è d'altra parte già in corso e si sta consolidando ‑ attraverso un movimento costituito dal Comitato per il Parco della Caffarella e dal Comitato parchi dell'area metropolitana di Roma (cui aderiscono Italia Nostra, INU, Lega ambiente, WWF, e altre associazioni ambientaliste).

Questo incontro di studio, che ha portato nuovi contributi alla conoscenza del significato storico e culturale dell'Appia Antica, è l'occasione per un ulteriore contributo attraverso un documento che affermi l'urgenza di realizzare finalmente il Parco dell'Appia Antica e solleciti le istituzioni a farlo.

Il documento ‑ di cui possono essere qui posti i termini fondamentali e che potrà poi essere approfondito con la collaborazione di altri organismi culturali ‑ dovrebbe chiedere garanzie e fare proposte per la predisposizione di un progetto unitario fondato su di una chiara idea‑guida (la ricostituzione del sistema storico‑ambientale); per i criteri di tutela ‑ anche immediata ‑ di fruibilità, di acquisizione all'uso pubblico; per i modi di finanziamento e gestione; per i tempi entro i quali il comprensorio dell'Appia Antica potrà davvero e definitivamente divenire parte del patrimonio culturale di Roma.

Il documento si deve rivolgere:

‑ al Parlamento, affinché assuma la questione dell'Appia Antica come di preminente interesse nazionale ed emani una legge di finanziamento e modi di acquisizione per l'intero comprensorio;

‑ alla Regione Lazio, affinché presenti alla pubblica discussione il Piano Paesistico dell'Appia Antica e proceda nell'attuazione della Legge Regionale;

‑ al Comune di Roma, affinché attraverso un provvedimento‑stralcio rinnovi il vincolo del Piano Regolatore sul territorio dell'Appia, formalizzi l'efficacia della Carta storico‑archeologica dell'Agro Romano e prenda tutti i provvedimenti immediati per tutelare e migliorare l'integrità dei terreni dell'Appia.

Credo che questa iniziativa, a conclusione dell'incontro in onore di Massimo Pallottino, possa avere anche il significato di omaggio a uno studioso che in tutta la sua attività ha considerato l'archeologia come parte vitale della cultura della città e di un suo ulteriore contributo a questa idea.

[1]W. Goethe, Viaggio in Italia, Firenze 1980.

[2]L'appello pubblicato nel febbraio 1954 era firmato da C. Alvaro, G. Bacchelli, V. Brancati, A. Cecchi, E. Craveri Croce, G. de Sanctis, U. La Malfa, C. Levi, A. Moravia, M. Pannunzio, N. Ruffini, G. Salvemini, I. Silone, M. Valgimigli, U. Zanotti Bianco.

[3]Il gruppo di lavoro che ha svolto lo studio del Piano per il Parco dell'Appia Antica era costituito da: V. Calzolari, S. Carata, M. Olivieri per lo studio urbanistico‑paesistico; L. Benevolo e G. Ferraro per lo studio dell'area interna alle mura; A. Battista, V. Gìacomini per lo studio botanico e vegetazionale; V. Caselli per lo studio idrogeologico; F. Drago per le colture e uso del suolo; G. Gisotti per la geopedologia; L. Quilici per lo studio storico‑archeologico; L. Cassanelli per la storia territoriale; G. Cervati, L. Cervati e P.M. Piacentini per gli aspetti giuridico‑amministrativi. V. Calzolari ha coordinato lo studio. Il gruppo operativo è stato affiancato da un gruppo di rappresentanti dell'Associazione Italia Nostra con M. Antonelli, I. Belli Barsali, A. Cederna, F. Giovenale, G. Luciani, A. Quarra, A. Thierry, A. Toscano.

[4]ITALIA NOSTRA ‑ SEZIONE DI ROMA, Piano per il Parco dell'Appia Antica, Roma 1984.

[5]Alla stessa legge n. 865/71 si erano rifatte nel 1974 la proposta di legge del gruppo parlamentare P.C.I. (Ciai, Giannantoni, Trombadori, Vetere, ecc.) che prevedeva un finanziamento statale di 8 miliardi in 12 anni per l'esproprio dei terreni e quella delgruppo D.C. (Jozzelli e altri)che prevedeva un esproprio limitato alle sole aree non occupate con un finanziamento di 4 miliardi (vedi Piano per il Parco dell'Appia Antica, sopra cit., pp. 193‑195).

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