Entro la primavera del 2013 l’Appia Antica avrà il suo centro d’accoglienza turistica. Sorgerà al V Miglio, dove lo storico Livio riconosceva le leggendarie "Fosse Cluiliae", il confine arcaico dell’Ager Romanus, da cui partono i tre ettari e mezzo della tenuta di Santa Maria Nova di cui la Villa dei Quintili è parte integrante. È qui che si concentra l’ultima tranche di risorse del commissario Roberto Cecchi in programma per la Regina Viarum, pari a 2 milioni di euro con cui da ieri è partito il complesso intervento di restauro e valorizzazione col duplice obiettivo di svelare un patrimonio archeologico inedito e di aprire il nuovo ingresso dall´Appia alla confinante Villa dei Quintili.
Un traguardo importante per un’area acquisita dalla Soprintendenza nel 2006 dalla famiglia americana Kimble che l’aveva più volte usata come location per il cinema, tra cui due perle di Totò come "Sua eccellenza viene a cena" e "Che fine ha fatto Totò baby?". A caratterizzare l’area, che prende il nome dai monaci Olivetani di Santa Maria Nova presenti qui dal 1300, è il monumentale casale a torre in laterizi articolato su due piani, la cui imponenza suggestionò molto il Piranesi che nel ‘700 lo ritrasse più volte. L’edificio risale al XII secolo e si imposta su una struttura di età imperiale, forse una cisterna a due livelli. La fisionomia a torre rimanda ad una tipica funzione di difesa: «Probabilmente una delle torri del sistema difensivo di Roma anche a custodia della Via Appia come il Castrum Caetani», spiega la direttrice Rita Paris.
Il programma dei lavori si concentra su tre progetti. Il restauro della porzione al piano terra del casale che diventerà museo della storia del territorio, da residenza imperiale a latifondo della Chiesa. Dove non mancano curiosità, come quando i monaci scoprirono nel 1485 il corpo di una fanciulla perfettamente conservato, identificata con Tullia figlia di Cicerone, ma che, quando venne esposta in Campidoglio a palazzo dei Conservatori, a contatto con l’aria si dissolse. Strategica sarà la riqualificazione del cosiddetto casalino, edificio dell’800 costruito su muri romani: «Questo sarà il vero punto d’accoglienza, con bookshop, biglietteria, assistenza didattica e tutti i servizi, compresa la caffetteria - racconta Paris - Vorremmo ripristinare l’antica serra adiacente al casalino per allestire un’area ristoro panoramica». Infine, lo scavo e restauro dell’impianto termale riemerso nelle recenti campagne di indagini: «Un settore che ha svelato splendidi mosaici con scene gladiatorie e circensi», dice Paris. Un’ipotesi è che si tratti di un presidio della guardia militare nella fase imperiale, quando la villa venne confiscata da Commodo con l’uccisione dei fratelli. «Il centro è un piccolo miracolo per l’Appia, ora bisogna arrivarci - incalza Paris - È urgente mettere a sistema questo patrimonio con una rete di collegamenti. E il Comune deve fare la sua parte».
Al V miglio dell’Appia Antica, dove l’archeologia affonda le radici nel mito, quando re era Tullio Ostilio e gli Orazi affrontarono in duello i Curiazi per conquistare la supremazia su Albalonga alla metà del VII secolo avanti Cristo, una squadra di ricercatori olandesi sta scoprendo la vera identità dei sepolcri che la tradizione attribuisce agli eroi romani. Per la prima volta dalle indagini di Luigi Canina (1850-59), i monumenti tra i più leggendari dell’antichità sono oggetto di una campagna di scavo. A guidarla, due professori dell’università di Nijmegen, Eric Moorman e Stephan Mols, che hanno ricevuto in concessione dalla Soprintendenza per otto anni l’area compresa tra V e VI miglio.
«È il primo scavo che affidiamo in concessione - racconta la direttrice dell’Appia, Rita Paris – L’istituto universitario è stato scelto per i suoi titoli e procederà con finanziamenti propri». Uno scavo sistematico dei sepolcri, infatti, non è stato mai possibile per mancanza di fondi. La scelta del V miglio è legata al progetto di restauro e valorizzazione messo in campo per l’Appia con il commissariamento, tra Villa dei Quintili e Santa Maria Nova.
L’importanza del sito è evidente: qui il rettifilo dell’Appia, che regala suggestioni di un agro romano incontaminato, disegna l’insolita curva, motivata, come raccontava già Livio, per rispettare i tumuli celebrativi della memoria della battaglia tra Orazi e Curiazi, eretti prima della costruzione della Regina Viarum. Le indagini sono iniziate due anni fa, tra ricerche d’archivio, panoramiche aeree e misurazioni col georadar su sepolcri che appaiono come colline erbose. «Il materiale acquisito è stato propedeutico per la prima campagna di scavo che si concluderà domani», racconta Mols. Protagonisti sono i due tumuli in coppia degli Orazi, legati secondo la tradizione ai due fratelli romani uccisi.
«Nella forma possono essere considerati oggi come piccoli mausolei di Augusto - annuncia Mols - Conservano una possente struttura cilindrica del diametro di circa quindici metri, con un nucleo interno di blocchetti di tufo e materiale vulcanico, e tracce di rivestimento di travertino». Il corpo è alto oltre otto metri e presenta un coronamento arrotondato. La datazione ufficiale colloca i sepolcri alla fine del I secolo a. C. La vera novità è il muro di recinzione, alto oltre un metro e mezzo. Obiettivo principale ora è indagare l’interno dei sepolcri con il sistema del georadar per verificare la presenza della cella funeraria. Lo scavo rientra in un progetto più vasto: «Vogliamo realizzare una carta archeologica tridimensionale del V miglio - dice Mols - Abbiamo fatto fotogrammetrie terrestri per ricostruire in 3D tutti i monumenti dell’area. Il prodotto sarà pronto già a ottobre con l’obiettivo di proporlo in visione al pubblico». Ne viene fuori la prima indagine completa del sito, che comprende anche il sepolcro dei Curiazi, legato, secondo la tradizione, ai tre fratelli albani sconfitti con l’astuzia dall’unico degli Orazi sopravvissuto, e il misterioso mausoleo a piramide alto oltre venti metri.
Apre il 22 giugno a Capo di Bove (Roma), che dal 2008 ospita il prezioso Archivio Cederna, “La via/mia Appia. Laboratorio di mondi possibili tra ferite ancora aperte”, piccola mostra militante allestita fino a dicembre che ripercorre la storia della tutela dell’Appia antica da Luigi Canina (metà ‘800) a oggi, attraverso una settantina di foto storiche dell’Archivio Cederna e attuali. Una grande parete ricuce le tappe principali: iniziative, proposte di legge, piante storiche, documenti.
“Credo sia necessario fare il punto, in un momento di grande incertezza per il destino di questo territorio che non ha trovato ancora una sua definizione”, spiega Rita paris da anni responsabile della regina viarum. Oggi l’Appia è un Parco regionale naturalistico e non archeologico, ha leggi di tutela evidentemente insufficienti, la Soprintendenza fatica a contrastare il continuo fiorire di iniziative private, vivai, ristoranti, piscine, matrimoni, feste ecc. Al contrario l’area da proteggere è stata definita da tempo, i confini ribaditi fin dal piano regolatore del 1931 e dal vincolo paesaggistico del 1953. La sua storia è fatta di abusi continui, in parte condonati e irreversibili, ma anche di battaglie vinte, acquisizioni, scavi e scoperte, splendidi recuperi come quello di Capo di Bove. Con la mostra, Electa pubblica nella collana “Pesci Rossi” gli scritti di Paris, Guermandi, La Regina, Insolera e l’album delle fotografie.
Erano undici anni che un ministro per i Beni culturali non metteva piede sull'Appia Antica. Ieri Giancarlo Galan ha rotto questa tradizione, ha affrontato con un pizzico di amarezza tutta la storia dell'abusivismo edilizio consumatosi dal 1965 ad oggi ai danni della Regina Viarum, che documenta la bella e tragica mostra "La Mia Appia. Laboratorio di mondi possibili tra ferite ancora aperte" in scena a Capo di Bove. E ha preso formalmente un doppio impegno: l'istituzione del parco archeologico dell'Appia Antica e la disponibilità a risorse per acquisire monumenti antichi di proprietà privata.
Una risposta doverosa, quella del ministro, agli appelli lanciati dalla soprintendente ai beni archeologici Anna Maria Moretti e dalla direttrice dell'Appia Antica Rita Paris, applauditissima quest'ultima per il suo discorso dai tanti studiosi, archeologi e appassionati accorsi per l'evento, tra cui l'ex soprintendente Angelo Bottini e l'attore Giuseppe Cederna, figlio del grande ambientalista Antonio Cederna il cui archivio trova sede a Capo di Bove, e che già nel 1953 denunciava in un suo storico articolo "I Gangsters dell'Appia".
"Non sono nello spirito giusto, non sono contento: ho visto cose che mai si sarebbero dovute verificare in Italia - dichiara Galan - Immagini che testimoniano brutalmente tutta la negligenza, distrazione e disinteresse di generazioni di amministratori italiani". E non si dice ottimista, il ministro, "perché nel nostro paese è più presente lo spirito che ha deturpato l'Appia che non quello che anima questi appassionati archeologi". E' tempo di "attrezzarci a fare battaglia", incalza Galan. "Non è concepibile che un ente come quello dell'Appia Antica non abbia uno status giuridico e competenza di tipo archeologico. Bisogna assolutamente lavorare per trovare una soluzione condivisa con la Regione Lazio e il Comune di Roma".
Quanto agli straordinari monumenti privati, come il Mausoleo degli Equinozi del I secolo a. C., e il Sepolcro di Sant'Urbano d'età imperiale, le cui trattative per l'acquisizione si sono arenate per mancanza di risorse nelle casse della Soprintendenza archeologica, Galan avverte: "Ogni euro che abbiamo deve andare nella direzione di acquisire i beni culturali che i privati sono disposti a vendere. Noi dovremmo agevolarli dal punto di vista fiscale e burocratico. Chi dice che non ci sono i soldi per farlo, con poca lungimiranza, dice il vero se ci si limita a guardare lo status quo. Ma se ci sono buone idee e volontà, i soldi si trovano".
Un nuovo grido di dolore dall'Appia antica. Che fare di questo straordinario territorio archeologico che nonostante la bellezza e la ricchezza dei suoi tesori appare progressivamente assediato dal degrado e dagli abusi? Se lo torna a chiedere la Soprintendenza archeologica di Roma che in quel piccolo gioiello che è Capo di Bove (via Appia 222) ha deciso di allestire una bella mostra sulla «scoperta» dell'Appia e su ciò che ne resta. La mostra con 70 foto e pannelli vari si inaugura oggi, presente il neoministro dei beni culturali Giancarlo Galan, e resterà aperta fino all'11 dicembre. Le foto innanzitutto, di tre epoche: quelle della scoperta di fine '800-primi '900, poi le immagini del degrado denunciato negli anni '60 da uomini di cultura come Antonio Cederna, infine qualche sprazzo d'oggi col degrado sotto gli occhi di tutti. «Il territorio attraversato dalla via Appia nel tratto romano si sviluppa per chilometri, un cuneo ben riconoscibile all'interno dell'espansione edilizia della città, cresciuta in modo esuberante negli ultimi decenni e ancora in crescita - spiega Rita Paris, l'archeologa responsabile dell'Appia, che firma uno dei contributi riuniti nel libro accluso alla mostra "La via Appia, il bianco e il nero di un patrimonio italiano" (gli altri sono di Maria Pia Guermandi, Adriano La Regina e Italo Insolera). La città costruita assedia l'Appia e su essa e le altre strade del territorio, come l'Ardeatina e l'Appia Pignatelli, riversa un traffico veicolare intenso, dannoso alla conservazione del patrimonio archeologico, ambientale e naturalistico e decisamente limitativo per ogni iniziativa di fruizione. II fenomeno dell'abusivismo, che qui ha trovato una delle sue espressioni più clamorose e sfrontate, è stato ed è la vera legge per l'Appia, ossia la regola dell'interesse privato a danno di quello pubblico». Come appaiono dunque lontane le immagini quasi idilliache di Rodolfo Lanciani ed Ester Boise ritratti dal fotografo Thomas Ashby all'inizio del secolo scorso. L'Appia è ai suoi albori, la riscoperta di un tesoro ineguagliabile. E ora eccola qui, invece, tra abusi vecchi e nuovi, abusi consolidati, moltiplicazioni di feste e fuochi d'artificio, piscine che continuano a nascere qua e là... «Il problema principale dell'Appia è la sua definizione - prosegue Rita Paris -. A tutti l'Appia evoca qualcosa, una strada antica, conservata con i suoi monumenti, un parco dove poter trascorrere del tempo tra natura e monumenti, decenni di battaglie ricordate da grandi titoli sulla stampa, residenze esclusive di personaggi famosi, la metafora della deturpazione dei monumenti antichi». Che fare allora? Ripristinare innanzitutto la legalità, rispettare le regole, risolvere il problema dei condoni, definire infine il territorio in modo chiaro (naturalistico? archeologico?). «Occorre un progetto di ampia portata e condivisione, a cui può contribuire il Piano Territoriale Paesistico della Regione di recente approvazione. Altrimenti l'Appia rischia di scomparire senza grande clamore». Scriveva Adriano La Regina una quindicina di anni fa: «E stato più volte sottolineato come per giungere alla reale costituzione di un parco di tale rilevanza culturale e urbanistica, quale è potenzialmente quello della via Appia nel suburbio romano, sia necessaria una legge dello Stato. Con essa si può inoltre pervenire all'istituzione di adeguate forme di tutela dell' antica strada e delle relative pertinenze monumentali e ambientali in tutta la sua estensione, da Roma a Brindisi. Solo tramite una legge, infatti, è possibile ottenere in tempi ragionevoli il riconoscimento dell'interesse pubblico di ambiti territoriali così estesi...». Nel 2011 siamo però ancora al grido di dolore.
Erbacce alte più di un metro e rovi che coprono tombe e statue. La denuncia fatta ieri da Leggo ha scatenato una bufera politica sulla manutenzione dell'Appia Antica. Ma per la Regina viarum i problemi non sono solo gestionali, ma di controllo. La strada più famosa del mondo, infatti, all'ora di punta diventa un'autostrada. Il motivo? Automobilisti e motociclisti pur di evitare il traffico dell'ora di punta sull'Appia Pignatelli scelgono di transitare sul basolato romano di 2000 anni fa. Una scelta in voga anche tra gli autisti dell'Archeobus: quella che dovrebbe essere la linea nata per far ammirare ai turisti le bellezze del Parco archeologico, transita sui lastroni mettendo a rischio quel pezzo di patrimonio storico. Una situazione che si ripete ogni giorno dopo le 17, quando la parallela è invasa dal traffico. «L' Appia Antica è in uno stato di abbandono totale - tuona il consigliere del Pd, Paolo Masini - ma il sindaco pare non curarsene affatto. Chiediamo che il Campidoglio si svegli e la riporti in una situazione di pulizia e sicurezza». Gli fa eco Antonio Stampete, vice-presidente della commissione turismo del Comune: «Roma è sempre più abbandonata a sé stessa e l'incuria non colpisce solo le periferie ma anche i monumenti e la via più conosciuta al mondo. La falciatura dell'erba non è stata fatta, le aiuole sono giungle e sul basolato romano forse l'isola pedonale più ambita al mondo passa qualsiasi mezzo». «E una situazione che segnaliamo da tempo - dichiara Rita Paris, della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici - è assurdo che l'Appia venga usata come scorciatoia da auto e bus. Per quello che ci riguarda e compete effettuiamo interventi costanti e mirati contro il degrado, ma per la Regina viarum servirebbero maggiori risorse e cura. Si potrebbe portare a realtà il progetto per farla diventare Ztl. Per quello che riguarda le falciature abbiamo iniziato a sistemare la situazione».
Erba alta più di un metro. Cassonetti sepolti dai rovi. Sporcizia e un senso di abbandono che contrasta con la storia. Siamo sull'Appia Antica: nota al mondo come Regina viarum, oggi somiglia sempre più a una Cenerentola, una strada di periferia. Basta incamminarsi tra i lastroni all'ombra della tomba di Cecilia Metella per rendersi conto dello stato di incuria. La rastrelliera installata per parcheggiare le biciclette sembra uscita da un bombardamento: abbandonata, in parte rotta e arrugginita. Poco più avanti si scorge un cassonetto: per gettare una cartaccia, però, serve buona volontà e scarpe da trekking. Già, perché è completamente coperto da rovi e spuntoni e il risultato è che lattine e sacchetti sono sparsi a terra. La cosa più impressionante è la mancata falciatura dell'erba. In particolare nel tratto compreso tra l'incrocio di via Erode Attico e via Cecilia Metella le aiuole a bordo strada sembrano una selva: quello che doveva essere un prato decorativo tra tombe e statue oggi è alto più di un metro. «Le falciature - dice Daniela Galdiero, del comitato in difesa della Regina viarum - come la manutenzione qui è un miraggio. La strada di Roma più famosa nel mondo è letteralmente abbandonata a se stessa. Abbiamo più volte sollecitato Comune e Sovrintendenze ad intervenire ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti». Ma se la manutenzione latita i controlli non sono da meno: l'Appia Antica dovrebbe essere una sorta di isola pedonale, dove possono passare solo i residenti. Ma il condizionale è d'obbligo: già, perché nel tratto lastricato - quello compreso tra vicolo san Sebastiano e via dei Metelli - ogni giorno transitano (contromano) centinaia di auto per dribblare il traffico infernale di via Appia Pignatelli. Un escamotage che crea pericolose vibrazioni e mette a rischio la pavimentazione di 2000 anni fa. Il tutto davanti agli occhi sbigottiti dei turisti che speravano di vedere un museo a cielo aperto ma trovano degrado e abbandono.
L’Appia Antica svela un altro tesoro. L’unico esempio a Roma di architettura gotica cistercense. È la chiesa di San Nicola, con l’elegante campanile "a vela" che spicca al III miglio della Regina Viarum. Originale per la sua facciata asimmetrica, il monumento sorge di fronte al sepolcro di Cecilia Metella, svelando il cuore religioso di quel Castello Caetani che agli albori del XIV secolo Bonifacio VIII, il papa Caetani del primo giubileo, e il nipote cardinale Francesco, fecero edificare come baluardo della città.
Lasciato per secoli nell’oblio, è al centro da poco meno di un anno di un intervento di restauro avviato dalla Soprintendenza speciale ai beni archeologici con l’obiettivo di aprirlo al pubblico e di inserirlo entro un anno nel percorso di visita. Intanto i lavori iniziati con 70mila euro hanno registrato un primo traguardo: «Abbiamo riaperto la porta d’ingresso della chiesa, murata a fine 800», annuncia Rita Paris, responsabile dell’Appia Antica. Il colpo d’occhio regala una suggestione romantica: l’edificio non ha tetto, ma il restauro della struttura muraria ne restituisce l’idea complessiva, con la grande abside sullo sfondo, gli archi traversi che un tempo sostenevano la copertura in legno e le finestre ogivali impreziosite da cornici di marmo bianco.
Il problema maggiore è la mancanza di copertura: «Il primo intervento è stato di somma urgenza - dice la direttrice dei lavori Maria Grazia Filetici - Le intemperie hanno messo a serio rischio i delicati apparati decorativi». Per ultimare il recupero servono 700mila euro. «La perizia è pronta, stiamo aspettando il finanziamento - dice Paris – L’obiettivo è completare la messa in sicurezza del monumento, e musealizzarlo con pannelli didattici, oltre a studiare un’eventuale copertura». Potrà così iniziare la vita del monumento all’interno del Castrum Caetani, ancora in parte sacrificato dalle proprietà private: «L’intero perimetro originario del castello dovrebbe essere recuperato - osserva Paris - Così si offrirebbe al pubblico la percezione del recinto, l’unica testimonianza di Castrum a Roma». E il futuro di San Nicola potrebbe essere all´insegna della musica: cuore di un Festival dell’Appia Antica, con un progetto cui la Soprintendenza sta lavorando.
Postilla
Straordinario l’impegno dei funzionari della Soprintendenza Archeologica di Roma, veri - e unici - eredi di Cederna nella tutela della Regina Viarum. Ma i loro sforzi rischiano di essere depotenziati da quanto accade nell’area della via Appia immediatamente circostante. Tutto intorno alla chiesetta di San Nicola che si sta recuperando, il complesso del castrum Caetani, di grandissima importanza storica e monumentale, è ancora in larga parte – incredibilmente – di proprietà privata e – meno incredibilmente – luogo di abusi edilizi continuati nel tempo. Impossibile, fino a questo momento, per continui ricorsi, tutelare in maniera adeguata un’area di altissimo e riconosciuto valore archeologico.(m.p.g.)
Quando si parla di Appia fanno notizia l’abuso edilizio, la demolizione, la piscina e vicende di questo genere. In realtà la notizia vera dovrebbe essere che l’Appia non esiste, ossia non è quello che la gente si aspetta che sia, un “parco archeologico” dove si possa passeggiare e ammirare i monumenti antichi che qui sono tanti e in splendida sequenza.
Il progetto ottocentesco di “ristabilimento” della strada e i suoi monumenti fu realizzato con grande impegno perché tutti lo desideravano, ossia desideravano che quei monumenti visitati e immortalati dai viaggiatori e dagli artisti del Grand Tour nel ‘700 diventassero patrimonio disponibile per la collettività. Fu creato “un museo all’aperto” con concezione moderna, dove i reperti antichi furono lasciati sul posto grazie a un allestimento che ne consentiva la conservazione e l’ammirazione da parte di tutti. Anche gli espropri necessari per portare a compimento quest’opera, dilatando lo spazio della strada, furono definiti in piena armonia con i proprietari in vista del dell’utile grande che si procurava alla storia, all’arte.
Ci si aspetterebbe oggi che questo museo all’aperto e il territorio circostante venissero conservati come risorsa preziosa ed esclusiva, gestita con la perizia maturata in questo arco di tempo dai tecnici esperti, con la duplice finalità di conservazione e di valorizzazione per la fruizione e il benessere pubblico.
A proposito di ciò che è accaduto e accade quotidianamente sull’Appia e prendendo spunto dall’episodio trattato nell’articolo apparso su la Repubblica del 26 marzo 2011, vi sarebbero molte considerazioni da fare ma innanzitutto viene da domandarsi se esiste un interesse della collettività a fronte di interessi esclusivamente privati, quindi se esiste ancora il vincolo del rispetto delle regole e se vi è qualcuno preposto alla attuazione dello stato di legalità.
Il riconoscimento di interesse pubblico, quando definito, deve essere rispettato e nel caso dell’Appia - senza neppure appellarsi ai vincoli che pure esistono e che dettano prescrizioni - dovrebbe bastare la consapevolezza dei valori delle zone in cui si vive e si lavora. Espressione civica che non si manifesta solo assegnando all’azienda agricola di famiglia il nome del complesso monumentale in cui è situata.
I funzionari della Soprintendenza non amano svolgere un ruolo di controllo di tipo poliziesco, né avere comportamenti vessatori; si tratta per lo più di professionisti che hanno studiato la letteratura e l’arte del mondo antico, che si dedicano allo scavo e alla sua interpretazione, che ricercano e sperimentano le migliori tecnologie del restauro, per la conservazione e che trovano la migliore soddisfazione nel proprio operato quando il loro impegno è offerto al pubblico godimento, quando le scuole, i cittadini e gli studiosi di tutto il mondo vengono in questi luoghi e ne apprezzano la bellezza e il valore storico e culturale.
Tentare di entrare in una proprietà privata con il risultato di essere lasciati sulla porta è un’incombenza in più, non piacevole, anche perché molto spesso si è costretti a prendere atto di interventi e situazioni non conformi alle prescrizioni che pure per tutti dovrebbero valere.
In qualsiasi altra parte del mondo civile e forse anche in altre parti della nostra nazione vi è ancora il rispetto dei valori, tanto più quando si tratta di beni culturali. Chi vive e lavora sull’Appia invece, ha adottato un modo molto particolare di intendere l’amore per l’antico che si esplica nella continua violazione delle regole, in una conflittualità protratta con chi ha l’onere di salvaguardare questo territorio esercitando gli strumenti della legge.
In questi ultimi anni l’Appia è stata una fabbrica di scavo, di restauro, di rilievo, di studio e ricerca, di sperimentazione di sistemi e tecniche di conservazione, di allestimenti, di didattica, di formazione, di organizzazione di eventi culturali; tutto questo cercando di incrementare il patrimonio pubblico per metterlo a disposizione della collettività.
Che la strada e suoi monumenti sui lati costituiscano un unico complesso monumentale in consegna allo Stato forse non è noto a tutti: come tale va invece trattato attraverso una opportuna informazione e protezione con cancelli (come era fino ai primi decenni del ‘900) a cui oggi si potranno aggiungere sistemi di videosorveglianza. Sarà più facile il controllo dei furti e anche ovviamente del traffico improprio che guasta, notte e giorno, quello che la Soprintendenza va quotidianamente restaurando e conservando.
Ma soprattutto, la situazione di continua illegalità che caratterizza una delle aree archeologiche più preziose della capitale richiede delle risposte ormai improcrastinabili: l’attività dei pochi funzionari statali deve tornare ad essere il risultato di scelte di tutela e gestione del nostro patrimonio esplicite e rinnovate al più alto livello. L’Appia è un bene comune che, come tale, deve essere difeso, nella diversità dei ruoli e delle competenze, dall’intera collettività.
Gazebo e piscine tra i resti romani sfregi continui nel cuore dell´Appia antica
Carlo Alberto Bucci, la repubblica, ed. Roma, 26 marzo 2011
«Mi dispiace, la signora è partita e io non posso aprirle». Clic. Così la domestica ha riattaccato la cornetta del citofono e lasciato fuori dal cancello di via Appia antica l’inviata della Soprintendenza. Rimasto senza risposta il fax spedito due giorni prima a Maria Cecilia Fiorucci, appartenente alla celebre azienda alimentare, giovedì scorso la funzionaria statale ha bussato alla porta per verificare «lo smontaggio e gli eventuali danni» arrecati dalla tensostruttura installata per un affollato ricevimento serale. Si tratta di un gazebo montato senza la prevista autorizzazione, proprio a ridosso del sito archeologico della villa dei Quintili. E sul terreno privato dove si trovano i resti del Circo della villa d’età adrianea.
Ma che male può fare un gazebo alle vestigia romane dei Quintili? D’altro canto, più dell’85 per cento del parco regionale è in mano ai privati, che hanno pure il diritto di organizzare feste all´aperto. «Certo, ma devono rispettare le regole edilizie, anche per le strutture temporanee» precisa Rita Paris, l’archeologa responsabile della tutela sull’Appia. «In questo caso - sottolinea - non ci hanno inoltrato la richiesta di autorizzazione e, ora che chiediamo di andare a verificare gli eventuali danni dei pali nel terreno, neanche ci fanno entrare. Ho spedito una nuova richiesta di sopralluogo, ma intanto gli operai stanno finendo di smontare la tendopoli: e sì che noi avremmo dovuto seguire anche il montaggio».
Cade dalle nuvole Maria Cecilia Fiorucci: «Se ho una colpa, è quella di non aver fatto richiesta di autorizzazione. Ma, visto che siamo confinanti, pensavo che la Paris potesse facilmente vedere che ciò che abbiamo fatto montare per la festa del mio matrimonio è una struttura sospesa sul prato, senza pali nel terreno. Mi chiedo perché la Soprintendenza perda tempo a tormentare i privati invece di pensare di vegliare sui monumenti lungo la strada, che se non fosse per noi che controlliamo verrebbero spogliati dai marmi ogni notte, e alle feste, continue, che vengono allestite nelle ville date in affitto. Questa è casa mia da 40 anni, mi chiamo Cecilia in nome della Metella, e non ho commesso nulla di male».
Non si tratta solo del gazebo per una festa, sostiene la Paris, che parla «di un corposo fascicolo "Fiorucci" di contestazioni fatte alla proprietà dal momento che ha trasformato il casaletto agricolo anni Trenta in sfarzosa residenza privata». In ballo c’è anche la piscina «su cui pende dal 2003 una denuncia alla procura, firmata dall’allora soprintendete La Regina, per abuso edilizio». E sull’Appia, zona sottoposta a decine di vincoli in base ai quali non si dovrebbe costruire più nulla, oltre agli edifici illegali sono molte le piscine, in case private e circoli sportive, che attendono di essere demolite perché abusive.
«Le norme, che qualcuno oltre a noi sarebbe ora si decidesse a far rispettare, vietano che si accendano falò e che si facciano fuochi d’artificio» racconta l´archeologa. «Sono un pericolo d´incendio per il parco, che è invece continuamente vittima dell’inquinamento acustico e luminoso causato dalle centinaia di ricevimenti che si tengono nelle ville private». Per non parlare dello smog delle auto, visto che il parco è attraversato ogni giorno da un fiume di macchine (2000 l’ora, nelle ore di punta). Tanto che due anni fa l’ex presidente del parco, La Regina, e l’ex assessore alla Cultura, Croppi, avevano lanciato l’idea di una ztl con accesso solo per residenti e visitatori. «Parliamone eccome - insiste la Paris - . Il ministero dei Beni culturali, la Regione e il Comune si devono prendere, tutti insieme, le loro responsabilità. E devono dire cosa dobbiamo fare di questa strada che dall´Ottocento, come la via Sacra nel Foro Romano, è un "monumento": il primo, straordinario "museo all’aperto" europeo. Pensate che agli inizi del secolo scorso i funzionari si lamentavano perché "sulle basole appena restaurate passano i carri e il bestiame". Cosa direbbero ora che dobbiamo assistere ogni sera al corteo di camion per il catering e di auto lussuose che scorrazzano sul selciato romano per raggiungere i ricevimenti in villa?».
I Tesori dell'appia antica: privati pronti a venderli, e lo stato non compra
Laura Larcan, il Venerdì di repubblica, 25 marzo 2011
Strano caso, quello dei monumenti antichi "privati" dell'Appia Antica. I proprietari si sono decisi a venderli, anche perché i beni risultano vincolati da almeno trent'anni, e le richieste di condonare costruzioni abusive e arredi "impropri" sono state respinte.A comprare dovrebbe essere la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, cui spetta il diritto di prelazione. Ma nelle casse dei dirigenti archeologi non ci sono soldi e la trattativa sembra destinata ad arenarsi.
In ballo c'è il Mausoleo degli Equinozi, del I secolo a.C., chiamato così perché nei giorni degli equinozi di primavera e d'autunno il sole filtra attraverso una finestra a bocca di lupo e illumina il centro esatto della stanza. Prezzo base, 600 mila euro. L'altro è il Sepolcro di Sant'Urbano, edificio funerario d'età imperiale, considerato luogo di sepoltura del martire cristiano, che l'archeologo Rodolfo Lanciani definì "uno dei più importanti scavi di Roma". Quota di partenza, circa 500 mila euro.
"Proprio ora che i privati danno spiragli di apertura, dopo decenni di chiusure, non possiamo affrontare una trattativa" lamenta Rita Paris, dirigente della Soprintendenza, responsabile dell'Appia Antica. "Con questo tiro della cinghia inflitto alla cultura per il 2011, i pochi fondi che abbiamo li dobbiamo spendere per la manutenzione, e al momento non c'è nessuna prospettiva di incrementare il patrimonio. Ci si può solo augurare che qualche illuminato sponsor prenda a cuore questa situazione, visto che lo Stato non è in grado di farlo".
Sono quindici anni che Rita Paris conduce la sua battaglia solitaria per risollevare le sorti della Regina Viarum, quasi tutta di proprietà privata. Fondamentale, spiega, è il recupero di Sant'Urbano che svetta con la sua aula in cortina laterizia in quella che era proprietà dei fratelli Lugari, ceduta nel 1981 alla famiglia Anzalone. A far soffrire il monumento è stata la separazione dalla contigua Villa Marmenia, un gioiello d'età imperiale, che, dai Lugari, è rimbalzata per tre proprietà diverse, collezionando dagli anni 70 una sfilza di abusi edilizi mascherati da finti restauri. "Cominciando ad acquisire Sant'Urbano si potrebbe poi risolvere anche la questione della Villa in modo da ricostituire l'originario complesso" avverte Paris.
Più fortunato il Mausoleo degli Equinozi, di proprietà dei fratelli Passarelli, che nelle date degli equinozi offrono ai visitatori cibi preparati secondo la cucina antica.
Una città «fuori controllo» dal punto di vista urbanistico, dove «la lotta agli abusi è rallentata moltissimo» e dove «l´ultima demolizione è datata aprile 2010». Un «far west edilizio» in attesa del prossimo condono. «E tutto questo - dice un amareggiato Massimo Miglio - Roma non se lo merita». Geometra, 61 anni, dal 1998 al 2008 ha guidato l´ufficio antiabusivismo del Comune di Roma, conquistandosi i soprannomi di "sceriffo" e "cagnaccio". È riuscito a demolire oltre un milione di metri cubi di abusi, compresi quelli dei vip, da Ferdinando Adornato a Luciano Gaucci a Lory del Santo. È stato oggetto di minacce, per due volte gli è stata bruciata la macchina. Oggi, allontanato prima dal Campidoglio con l´arrivo di Gianni Alemanno poi, dopo la vittoria di Renata Polverini, da un medesimo ufficio creato in Regione, non si occupa più, se non per passione, di abusi edilizi e condoni.
La procura ha aperto un´inchiesta sulla cosiddetta "Condonopoli". Ma qual è la situazione a Roma della lotta all´abusivismo?
«La macchina anti-abusi ha rallentato moltissimo. L´ufficio istituito presso il Campidoglio era diventato un punto di riferimento e supporto per i 19 municipi. Avevamo stretto convenzioni con gli enti parco, lavoravamo insieme alla polizia municipale e a stretto contatto con la procura. Al pool di magistrati che si occupa di reati urbanistici presentammo anche un sistema all´avanguardia per il controllo territoriale fotoaereo».
Che fine ha fatto quel sistema?
«È scomparso. Il Comune non dispone più di uno strumento fondamentale che consente di rilevare qualsiasi variazione, anche prospettica che viene realizzata sul territorio».
E le demolizioni?
«Mi risulta che l´ultima sia stata effettuata nell´aprile del 2010, quando ero a capo dell´ufficio antiabusivismo della Regione».
La situazione a Roma e nel Lazio qual è?
«La relazione pubblicata alla fine del 2010 dalla Regione ci dice che, solo nella capitale, ci sono 6 abusi edilizi al giorno. Per quel che mi è dato sapere, in tutto il Lazio esistono 10 milioni di metri cubi di costruzioni abusive. In questi anni ne abbiamo abbattuti un milione, ovunque: nei parchi, compreso quello dell´Appia antica, e nei centri storici. Con i carabinieri di Frascati abbiamo demolito quattro edifici che appartenevano al clan dei Casamonica».
Ora è tutto fermo. Si è chiesto perché?
«Non so cosa abbia impedito le demolizioni in quest´ultimo anno. So solo che in precedenza c´era un interesse molto forte verso questo tema. Sono stato esautorato da ogni incarico. Sicuramente sono state scelte legittime da parte dalle nuove amministrazioni. Posso solo dire che, finché mi è stata data la possibilità di tutelare il territorio, l´ho fatto col massimo impegno».
Il suo allontanamento è stato oggetto di polemiche.
«Mi hanno cacciato da un giorno all´altro. Prima dal Comune, con un fax. Avrei preferito un contatto diretto, qualche motivazione più chiara. Ma è una decisione che non posso e non voglio sindacare».
E dalla Regione?
«Lì nemmeno un fax. Mi hanno semplicemente disattivato il badge per entrare in ufficio».
Lei è stato anche minacciato durante la sua attività.
«È stato un periodo triste. Mi hanno incendiato due auto ma non era il modo per dissuadermi dall´occuparmi di queste questioni».
Ritiene di aver toccato interessi delicati?
«Durante il mio lavoro, chi commetteva un abuso era regolarmente perseguito. Brutalmente: non abbiamo guardato in faccia nessuno».
Dunque, la pazienza nei confronti degli attacchi al territorio e alla qualità urbana inferti dall’amministrazione capitolina è esercizio ormai quotidiano. Di ieri è la notizia (Bucci su la Repubblica, ed. Roma, 15/11/2010) dell’ennesimo tentativo di legalizzazione di un abuso edilizio sull’Appia. La regina viarum, manzonianamente protetta da prescrizioni rigidissime di assoluta inedificabilità è da sempre al centro di iniziative speculative di ogni tipo. Come avevamo ripetutamente sottolineato su eddyburg, il frutto avvelenato dei condoni edilizi passati rischia di travolgere, attraverso la perversa interazione di sovrapposizioni e inerzia amministrativa, le barriere del sistema della tutela, sempre più fragili perché sempre più isolate.
Nel caso denunciato, la gravità dell’episodio deriva infatti dal coinvolgimento attivo degli organismi di governo pubblico, Comune ed Ente Parco regionale, che, con assoluto sprezzo dei dovuti passaggi istituzionali (il coinvolgimento della Soprintendenza competente), dell’interesse pubblico e della logica, hanno non solo ammesso una sanatoria illegittima, ma ne hanno aggravato l’impatto concedendo il permesso di ulteriori operazioni edilizie
Effetto di evidente stato confusionale è poi il riferimento, nel lasciapassare dell’Ente Parco, alla necessità di mantenimento di materiali originali, riferito alle lamiere fatiscenti di un capannone industriale.
Purtroppo, questo ennesimo caso di deriva istituzionale degli enti locali è in perfetto allineamento con quello che è l’attuale conclamato indirizzo politico del Ministero Beni Culturali: in un recente documento ufficiale elaborato per le celebrazioni del decennale della Convenzione Europea sul paesaggio, con fantozziano spirito anticostituzionale si ricorda che: “prima di pervenire ad espressioni di pareri che siano in contrapposizione a tali proposte [interventi sul territorio di ogni tipo, n.d.r.], il Ministero qualora possibile, perviene a pareri la cui formulazione si configura come una elencazione di buone maniere (prescrizioni) da mettere in pratica per l’ottimizzazione dei progetti, la cui qualità è data dal porsi in dialogo con i luoghi prevedendo, caso per caso, mitigazioni, minimizzazioni, varianti tali da permettere il corretto inserimento delle opere previste.”
Insomma, dopo l’epoca della tutela è giunta l’epoca delle “buone maniere”.
Auguri all’Appia.
La struttura è da accampamento militare. Una copertura metallica, rivestita con un praticello in erba sintetica e ornata da vasi con vere piante rigogliose, che, a un clic di telecomando, scorre sui binari e svela ai bagnanti ciò che perfettamente mimetizzava nel verde di Roma: una piscina da 11 metri per 6 scavata nel terreno inviolabile dell’Appia Antica. Siamo al civico 219/a della "Regina viarum", che dal dopoguerra è (sarebbe) l’area archeologica più vincolata d’Italia. Invece il Parco è continuamente violato da costruzioni illegali e attraversato da 2000 macchine l’ora nelle ore di punta.
A scoprire il nuovo abuso nella villa privata, dopo le piscine dei circoli sportivi scovate e sequestrate due anni fa a via Appia nuova (Sporting Palace) e in via dell’Almone (Circolo tennis Acquasanta), sono stati gli archeologi della Soprintendenza statale. Oltre la recinzione della proprietà di Filippo Guani affacciata su uno dei punti più importanti di via Appia Antica, il tratto compreso tra i sepolcri romani di Claudio Secondo e quello della famiglia Rabiri, ecco brillare il blu di una vasca piena d´acqua. Ed è partita la denuncia alla procura per violazione dell’area protetta.
I padroni dei terreni (il 95% dei 3500 ettari del Parco è in mano ai privati) sono obbligati a chiedere il permesso anche per un gazebo estivo. O per una festa che preveda l’accensione delle fiaccole, visto il pericolo incombente di roghi. La proprietà della mega villa con piscina, nel 2008 aveva chiesto il permesso proprio per una cisterna interrata, utile "contro eventuali incendi". Permesso accordato. Ma invece del pozzo d’acqua piovana ecco una piscina. Di espedienti come questo sono piene le carte nelle migliaia di domande di sanatoria che ancora aspettano di essere respinte. Inoltre, l’Ufficio condono del Comune è paralizzato (la società che lo mandava avanti è fallita e ha lasciato a casa 300 dipendenti). E ci ha pensato l’XI circoscrizione, presieduta da Andrea Catarci (Sel), con la Regione (durante la giunta di centrosinistra), a mettere a segno demolizioni nelle proprietà di Gaucci o del costruttore Scarpellini (un parcheggio accanto alla villa che fu della Mangano), mentre si attende di intervenire contro gli edifici illegali della "Posta del Borgo" nella tenuta della Farnesiana.
«E’ assurdo, sono ancora in piedi domande dei condoni dell’85, del ‘95 e del 2003» ha denunciato il sottosegretario Francesco Giro. E mancano i soldi per arricchire le proprietà demaniali e mettere così l’Appia al riparo degli abusi, anche recentissimi: costruzioni illegali favorite dalle voci di un "condono dei condoni" nella manovra finanziaria o dalla facilità offerta adesso dalla "Scia" ("Segnalazione certificato inizio attività", al posto della vecchia "Via"), nonostante proprio ieri il ministro Bondi abbia assicurato che l’articolo 49 "prevede l’esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali". «La soluzione è nell’articolo 31 del testo unico – spiega Massimo Miglio, protagonista di molte battaglie contro l’abusivismo al servizio del Comune e della Regione durante le giunte di centrosinistra – che prevede l’acquisizione del fabbricato illegale. Con la proprietà di Cavicchi davanti all’Acquedotto dei Quintili l’acquisizione è già avvenuta. E in questo modo si fa soprattutto una convincente azione deterrente».
Le ruspe sono pronte, ma gran parte delle demolizioni nel cuore dell'Appia Antica come nel Centro storico restano bloccate. «Sono oltre mille gli abbattimenti da effettuare - precisa Massimo Miglio che guida l'ufficio antiabusivismo della Regione Lazio - ma finché l'Uce non rilascia il provvedimento di reiezione non possiamo intervenire». Così richieste di condono palesemente abusive o finte restano congelate nei cassetti dell'ufficio comunale e si allungano i tempi per veder realizzato il progetto di un grande parco dell'Appia Antica senza abusi edilizi. E se sono mille gli abbattimenti sulla carta, di questi ben 43 potrebbero subito essere realizzati.
Si va da strutture completamente fuorilegge nella riserva della Farnesiana come nel caso della Posta nel Borgo a oltraggi a monumenti lungo l'Appia Antica fino a ville, dependance o piscine abusive nella riserva Torlonia, via di Torricola e via Ardeatina. È tutto però fermo, bloccato dalle domande sospese all'Uce. «Il Comune non ci ha dato i soldi e abbiamo risolto con le convenzioni, non c'è nessuna collaborazione ma fanno ostruzionismo per impedirci di fare il nostro lavoro, in più ora c'è anche il sabotaggio amministrativo - ribadisce Andrea Catarci, presidente del municipio XI - La nostra proposta è quella di dare ai dirigenti tecnici del municipio, almeno nei territori dove ci sono le aree vincolate, la facoltà di respingere i condoni lì dove sono chiaramente strumentali. Si dovrebbe modificare il regolamento, visto che l'Uce non funziona».
Un'operazione che, grazie all'accordo tra l'ufficio antibusivismo della Regione, la soprintendenza statale di cui è responsabile per l'Appia Rita Paris e l'Ente parco, presieduto dal professor Adriano La Regina, ha già portato all'abbattimento di 10 mila metri cubi in dieci mesi. Basta ricordare i casi più eclatanti di nomi noti: come Gaucci nella cui villa è stata demolita la soprelevazione della casa e durante il sopralluogo sono stati scoperti cinque abusi aggiuntivi via Appia perché si volevano realizzare dei manufatti ma erano solo depositi a cielo aperto nel cuore dell'Appia; come Scarpellini che aveva organizzato un parcheggio per 140 macchine a disposizione della vil43 la per eventi; Mangano o Cavicchi che aveva fatto costruire un supermercato in via Appia Antica 1280; Poli che aveva realizzato un prefabbricato sopra le Fosse Ardeatine e sbancato la collina per aprire un passo carrabile. «Chiediamo che siano risolti tutti i casi per i quali viene espressamente richiesta la reiezione - incalza Miglio - Non si può pensare che un ufficio plurindagato e posto sotto sequestro fermi tutto il nostro lavoro che è una battaglia per la legalità». L'Uce latita e anche nel municipio I presieduto da Orlando Corsetti le demolizioni sono ferme. «Stiamo ancora aspettando il via libera per abbattere tre o quattro canne fumarie illegali o terrazzi abusi all'Aventino e a San Saba dove sono stati costruiti mini appartamenti.
Appia Antica, arrivano nuovi vincoli. Il piano paesaggistico approvato ieri nel penultimo consiglio regionale prima delle elezioni ha messo sotto tutela altre zone fuori dei confini del parco. Prime fra tutte, l’area degli Acquedotti compresa tra Porta Furba e Porta Maggiore e la fascia esterna alle Mura Aureliane tra Porta Maggiore e via Ardeatina. Il risultato è una superficie vincolata di oltre 6000 ettari, quasi doppia rispetto ai confini del parco.
Non solo. Il provvedimento rende finalmente possibile il trasferimento di 25 imprese, tra autodemolitori, laboratori artigiani e piccole fabbriche, dal territorio del parco dove finora hanno svolto la loro attività, in un’area sull’Ardeatina, fuori del Gra. «In questo modo - dichiara il vicepresidente della Regione Esterino Montino - vengono restituiti ai cittadini 150 ettari di parco pubblico occupati impropriamente».
«L’estensione del vincolo paesaggistico tutela non solo i monumenti, già sotto vincolo monumentale, ma anche le aree circostanti - spiega Daniele Iacovone, responsabile della direzione Territorio e Urbanistica della Regione - ma non vuol dire ampliamento dei confini del parco». Quelli rimangono fermi ad una superficie di 3370 ettari, perché il consiglio regionale non ha trasformato in legge la proposta di estensione dell’allora assessore all’Ambiente Angelo Bonelli, approvata in giunta nel settembre 2005. Il provvedimento avrebbe portato il parco ad una superficie di 5000 ettari, includendo nei confini il Colle della Strega e l’area del comune di Marino, dove incombe un’edificazione da un milione e 200mila metri cubi.
Ritirato in extremis l’ordine del giorno bipartisan denunciato da Legambiente Lazio che dava mandato al vicepresidente della giunta di rivedere i confini dell’ampliamento nel comune di Marino. Il consigliere di Sinistra e Libertà Enrico Fontana aveva già tolto la sua firma il giorno precedente. «Per il momento sono salvi i 120 ettari di splendida campagna dei Castelli Romani, all’interno del Divino Amore e dell’ambito archeologico di Mugilla, su cui rischiavano di piombare 1.200.000 metri cubi di cemento - dichiara il presidente di Legambiente Lazio, Lorenzo Parlati - Purtroppo la Pisana ha perso la scommessa dell’ampliamento del parco».
Postilla
Come sanno molto bene i nostri lettori, eddyburg riserva da sempre un’attenzione speciale all’Appia Antica, la regina viarum amata da Cederna, simbolo sia della straordinarietà del nostro patrimonio culturale nella sua incredibile mescolanza di paesaggio e archeologia e, allo stesso tempo, dell’insipienza e avidità di alcuni che la condannano ad un lento degrado, come, all’inverso, della tenacia e dell’intelligenza di altri che, con mezzi infinitamente inferiori ai primi, non smettono di lottare per salvarla.
Oltre alle ingiurie dell’abusivismo e del degrado, su eddyburg abbiamo puntualmente segnalato- attraverso un’apposita rubrica – anche i successi in termini di tutela e fruizione di quest’area straordinaria che pure, faticosamente, vengono perseguiti.
Così nella notizia che riportiamo sottolineiamo alcuni aspetti positivi, fra i quali soprattutto la sventata lottizzazione nel comune di Marino. Al di là dei toni trionfalistici del vicepresidente Montino, però, gli elementi negativi prevalgono: ancora una volta la pubblica amministrazione non ha avuto il coraggio di perseguire una politica di governo del territorio di coerente ampliamento degli spazi collettivi e di tutela radicale di un bene comune così prezioso perché sempre più scarso, come è quello dell’agro romano.
Anche in questo l’Appia Antica e il suo territorio sono un simbolo: dell'uso strumentale e spregiudicato del nostro patrimonio culturale sul quale si sbandierano, spesso impropriamente, le iniziative di salvaguardia soprattutto in prossimità di scadenze elettorali, salvo poi dimenticarsene fin dal momento in cui si aprono le urne. (m.p.g.)
Le ruspe sono accese, ma non possono partire per realizzare il parco archeologico déll'Appia Antica. Oltre cento domande di condono inviate all'ufficio condono edilizio (che non risponde) bloccano di fatto demolizioni di costruzioni illegali. Ma per capire quanto l'inerzia dell'amministrazione possa danneggiare aree di grande pregio basta fare un giro di qualche ora con il guardiaparco, Entriamo nella tenuta agricola della Farnesiana, qui l'agro romano è una cornice naturale all'area archeologica, un luogo meraviglioso: campagna, greggi di pecore scortati dai pastori maremmani, un ruscello, il rudere dell'antica torretta, quartiere di una legione romana Nel cuore della tenuta c'è una villa con ingresso da via Ardeatina 285, uno dei casi più eclatanti di abusivismo edilizio. «Su una parte di questa costruzione, della società Posta del borgo, abbiamo un ordine d'abbattimento - racconta Andrea Catarci, presidente del Municipio - ma la richiesta di condono del 2004 per la ristrutturazione di un edificio che non doveva esistere blocca di fatto ogni intervento».
A pochi metri dall'acquedotto dei Quintili la scena è la stessa:, un luogo meraviglioso deturpato da un capannone illegale, che funge da ristorante-sala ricevimenti. Poco oltre ci sono alcuni prefabbricati usati come deposito di materiali ed alloggi per i lavoranti. Tutto è assolutamente illegale, ma intoccabile, perché ogni intervento è bloccato da una richiesta di condono. E quindi la sinergia, nata dall'accordo firmato lo scorso ottobre tra Regione, Municipio e Soprintendenza, per velocizzare gli abbattimenti viene vanificata dall'inerzia dell'ufficio condoni. «Ormai demolizioni di costruzioni illegali» perché costruite in aree edificabili come il parco dell'Appia Antica - dice Massimo Miglio, responsabile dell'ufficio regionale anti-abusivismo edilizio - non vengono realizzate per il silenzio dell'ufficio condono edilizio. Ovvero restano sospese domande di condono di fatto irricevibili, con l'unico vantaggio di chi ha commesso l'abuso».
«Chiederò ad Alemanno di affrontare con l'ufficio condoni la piaga dell'abusivismo, che va arrestata nel rispetto della proprietà privata legittima. Le richieste di condono sono state cassate ma bisogna superare questa situazione di stallo, e trarne le conseguenze dovute. Gli abusi vanno abbattuti. Va fatta una campagna di pulizia se si considera che sono stati stimati oltre un milione e mezzo di metri cubi di edilizia e attività improprie, che sfruttano la bellezza dell'area, in una zona che deve essere inedificabile. Altrimenti decretiamo la morte del parco». Lo dichiara il sottosegretario ai beni culturali Francesco Giro nel corso del sopralluogo al Mausoleo di Cecilia Metella al terzo miglio dell'Appia Antica, in occasione dell'inizio dell'intervento di pulitura straordinaria della sommità del monumento.
«Oggi è stata l'occasione per ammirare la bellezza ma anche la malattia che piaga l'Appia Antica - continua Giro - Lancio un appello al Comune di Roma ad aprire un tavolo di concertazione sull'Appia Antica coinvolgendo l'ufficio condoni». Ad accompagnarlo la soprintendente responsabile dell'Appia Antica Rita Paris che ha lamentato i problemi che assillano la «regina viarum»: «Il traffico, lo scarso arredo e manutenzione dei tratti di gestione comunale, l'abusivismo e l'assenza di una connotazione di parco archeologico più accentuata rispetto alla legge attuale istitutiva dei parchi.
Insomma - dice Paris - Parco archeologico o no? Dobbiamo capire cosa vogliamo fare: ci danno fastidio le attività improprie sul'Appia, i vivai che si trasformano in ville a catering. E altro. Chiunque ha qualcosa qui, vuole metterlo a frutto. Noi dobbiamo garantire la tutela e promuovere nuove acquisizione, anche perché l'area è quasi per il 90 per cento privata, seppur sottoposta in parte a vincoli». «Dobbiamo definire meglio l'entità del parco archeologico dell'Appia Antica - insiste Giro - che si affianchi alla valenza paesaggistica. Insomma, stop agli abusi».
C'è il contadino che ha tirato su un muro. E il signore che ha innalzato una reggia. Tutti e due in una zona protetta come l'Appia antica. Entrambi abusi da abbattere. Ma la macchina per far rispettare legge e ambiente rischia di impantanarsi davanti alla montagna di pratiche: 3.670 all'XI Municipio. Per questo, il consiglio municipale ha votato all'unanimità una delibera che dà una nuova scaletta agli interventi anti abusivismo.
«Abbiamo proposto nuove priorità perché la discrezionalità può provocare l'immobilismo e perché bisogna iniziare dai casi più gravi» spiega il presidente Andrea Catarci (Sel). Ecco allora che con l'assessore all'Urbanistica Alberto Attanasio sono stati individuate le categorie degli interventi di demolizione.
Hanno innanzitutto la priorità gli abusi post 2003, ossia fuori condono edilizio rispetto a quelli non sanati dal condono stesso. Altro discrimine è l'esistenza di vincoli. All'interno di un'area protetta le ruspe devono andare prima sugli edifici in corso di costruzione poi sugli abusi già edificati (la maggioranza). Scendendo, altra priorità ce l'hanno gli abusi in aree demaniali rispetto a quelle in tenute private: perché se lo scempio e nella terra di tutti, il danno è ambientale e patrimoniale. Infine, la dimensione: attaccare prima le corazzate dell'abusivismo e per ultime le piccole (ma ugualmente illegali) superfetazioni dell'edilizia fai-da-te.
L’art. 101 del Codice Urbani individua e definisce, tra i luoghi della cultura, anche il “parco archeologico”: esso, a differenza dell’“area archeologica”, non è un semplice sito, ma un ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto. Era ora che si definisse cosa è, o dovrebbe essere, una parco archeologico, ma, purtroppo, nonostante consessi qualificati, riunioni programmatiche e dibattiti strategici di illustri esperti del settore, fattivamente ancora non si può far aderire una definizione, così semplice e lineare, ad una realtà concreta, tangibile ed innestabile su un preciso territorio, molto spesso o quasi sempre urbanizzato. Il parco archeologico sfugge all’identificazione, almeno per ora. Ma la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, che ha il privilegio, faticoso ma costantemente assiduo, di essere preposta alla tutela e alla valorizzazione anche del comprensorio attraversato dalla Via Appia Antica, concretamente vuole applicare la citata definizione alla realtà dell’Appia, poichè in essa riconosce questa specifica valenza di museo all’aperto.
E’ per questo che la Via Appia Antica, con la sua sede stradale, con il suo basolato, le sue crepidini, le sue ottocentesche macere, i monumenti ad essa prospicienti e le aree archeologiche e monumentali ad essa connesse, tutti sono considerati e trattati, dal punto di vista delle tutela, della valorizzazione e della fruizione, come unitario complesso archeologico e monumentale, pur nelle sue specificità, unico al mondo. Ma qui il parco archeologico vero e proprio ancora è lontano…: molte, troppe le edificazioni succedutesi dagli anni ’60 dello scorso secolo fino ad ora, enorme ed abnorme il numero di abusi su questo territorio, nonostante le norme d’attuazione del PRG del 1965 lo avessero coraggiosamente inserito in zona N, Parco Pubblico e come tale reso inedificabile. La Soprintendenza ogni giorno lotta, insieme ad altri Enti territoriali “sensibili” alla tutela, per sottrarre agli illeciti edilizi questo prezioso territorio. Uno strumento di lotta è, quando ci siano presupposti legislativi e favorevoli condizioni finanziarie, l’acquisizione, cioè l’inserimento nel patrimonio disponibile del demanio dello Stato di porzioni di questo territorio, che, una volta consegnate alla Soprintendenza, possano essere utilizzate con le migliori finalità per la tutela finalizzata allo sviluppo della cultura.
Il prossimo 4 febbraio, su richiesta immediata e specifica, alla Soprintendenza verrà consegnato, dall’Agenzia del Demanio (che lo aveva inopinatamente messo al pubblico incanto) un terreno prospiciente la Via Appia Antica e la Via dell’Aeroscalo, in località Fioranello. Non è grande (è solo 1,50 ha.) ma sarebbe stato sufficiente, vista la vicinanza con l’aeroporto G.B.Pastine di Ciampino, per divenire un bel parcheggio di autoveicoli, o un centro benessere, con tanto di piscina, per i poveri viaggiatori dell’aeroporto dopo le fatiche del volo (come dichiarato da un acquirente interessato in un colloquio telefonico con responsabili della Soprintendenza). Grazie al continuo monitoraggio, anche di procedure di compravendita eo amministrative, che la Soprintendenza opera ai fini della tutela, è stata possibile questa piccola acquisizione, ma grande nel valore: lo Stato deve tutelare questo territorio in tutti i modi, anche riscattandolo da un improprio eventuale uso privato. In questo caso la consegna alla Soprintendenza sarà inoltre priva di oneri finanziari, poiché l’immobile era già nel patrimonio demaniale: sarà invece onere della Soprintendenza garantirne la pulizia ed il decoro, realizzando in esso un “presidio”, magari nell’edificio tecnico presente, a salvaguardia di un tratto stradale della Via Appia Antica, che, non ancora interessato dai previsti lavori di restauro e riqualificazione finora condotti nei tratti immediatamente precedenti, appare piuttosto una landa di crateri marziani che un antico prestigioso asse stradale, dove ancora imperversa la sosta selvaggia delle automobili…
Ma un passo alla volta tenacemente, “il parco archeologico” sarà.
L’autrice lavora nell’Ufficio Appia della Soprintendenza Archeologica Speciale per Roma e Ostia.
“Conosciamo i giornalisti: si stancano presto”, così sentenziava un funzionario della Pubblica Istruzione circa un anno fa, quando cominciammo a denunciare le prodezze dei Gangsters dell’Appia. L’astuto funzionario si sbagliava: la campagna di stampa ha preso proporzioni considerevoli e l’Appia Antica, com’era giusto, è man mano diventata un banco di prova di tutta un’amministrazione; come era giusto essa ha procurato notevoli preoccupazioni a parlamentari, ministri e senatori, ha promosso voti, interrogazioni….ha spinto ad agire soprintendenti i distratti…ha provocato le dimissioni dell’assessore all’urbanistica Enzo Storoni. La conservazione dell’Appia val bene una crisi in Campidoglio”(da La valle di Giosafat, Il Mondo, 2.11.1954)
Ancora una volta partiamo dalle parole di Antonio Cederna per fare il punto sulla condizione dell’Appia dopo un incontro promosso, nei giorni scorsi, dal Municipio XI, dall’Ufficio antiabusivismo della Regione Lazio, dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma che hanno siglato, da qualche mese, un accordo per collaborare negli interventi contro quelle realizzazioni che arrecano sfregio a questo ambito territoriale.
L’iniziativa si è focalizzata sul fenomeno massiccio delle pratiche relative a concessioni edilizie in sanatoria presso l’Ufficio Condono Edilizio del Comune di Roma riguardanti il Parco dell’Appia: concessioni rilasciate senza alcuna valutazione di conformità con lo strumento urbanistico e con i vincoli e senza l’imprescindibile parere di competenza di chi è preposto alla tutela.
Domande di condono che attendono, a migliaia, di essere esaminate dopo anni dall’avvenuto pagamento di oblazione, che ha quindi creato più che motivate aspettative nei richiedenti; domande relative alle ultime tre leggi sul condono edilizio che, in attesa di un riscontro, hanno dato luogo a un crescendo di abusi, sovrapposti uno sull’altro nel corso degli anni, determinando situazioni che, nella loro complessità, non sono ora più riconducibili a uno stato di legittimità e sono divenute, quindi, ingestibili.
Per questo, la proposta del presidente del Municipio XI di trasferire l’istruzione di queste pratiche agli uffici tecnici del Municipio, non è una provocazione mediatica, ma un’offerta di collaborazione per risolvere il problema delle numerosissime domande inevase, destinate ad aumentare nel tempo. D’altro canto i Municipi rappresentano gli organi dell’amministrazione pubblica a più stretto contatto con il territorio e di questo, come dello stato degli immobili che vi sono presenti, hanno una conoscenza non superficiale.
Per fortuna i giornalisti, come all’epoca dell’articolo di Cederna, non sembrano stanchi dei problemi dell’Appia, ne seguono le vicende, accorrono ad ogni occasione e contribuiscono, forse in forma esclusiva, a tenere viva l’attenzione sul problema. Credo anzi di poter affermare che questa attenzione non sia derivata solo dal “mestiere”, ma dal fatto che questo territorio, con la sua bellezza e la complessità della gestione che ne deriva, suscita un interesse profondo, in molti casi: a quest’attenzione, che non permette di dimenticare, l’Appia deve molte delle sue residue speranze di salvezza.
Ciò che sorprende è che, diversamente dai tempi di Cederna, non sembra che sulla situazione di questa area si manifestino preoccupazioni da parte di chi è istituzionalmente interessato al caso Appia. Il fenomeno dei condoni ha iniziato a manifestarsi nella sua gravità dal 1998 e da allora è stato sempre regolarmente denunciato dalla Soprintendenza Archeologica.
L’interesse istituzionale, all’inverso, è stato scarso, ed ha portato solo a qualche presa di posizione politica che non ha mai condotto a soluzioni efficaci: mai si è tentato un ordinamento delle leggi urbanistiche e di tutela archeologica e paesaggistica, oltre che di quelle più recenti del parco regionale, mai ne è stato condotto l’aggiornamento alla luce delle varie sentenze dei tribunali. La situazione si è a tal punto aggrovigliata che, a questo punto, occorre ribadire al più presto il sistema delle regole che governano questo territorio, affinchè ne sia garantita quella conservazione da tutti auspicata, a parole, ma sottoposta, nei fatti quotidiani, alla prevaricazione di interessi personali sostenuti da uffici legali e delegittimata dall’inerzia delle amministrazioni pubbliche.
Come ha dichiarato nell’incontro del 14 gennaio Vezio De Lucia (cfr. C. A. Bucci in La Repubblica, 15.1.2010) occorre ripartire dal vincolo decretato dal Piano Regolatore del 1965: già allora risultava evidente e, all’epoca, a livello istituzionale, che per l’Appia si fosse superato ogni limite consentito di rovina e devastazione e fosse necessario ripartire con un piano che sancisse chiaramente i valori di questo ambito territoriale e non lasciasse spazio a ulteriori scempi.
Riprendere quelle idee e quelle determinazioni non deve avere il senso di un immobilismo appiattito sul passato, ma deve divenire lo stimolo per una seria ricognizione e presa d’atto della situazione attuale e per ricominciare a decidere e progettare, nell’interesse pubblico, su questo immenso patrimonio storico-ambientale.
L’autrice è la Responsabile dell’Appia Antica per la Soprintendenza Archeologica Speciale di Roma e Ostia.
«L’Ufficio condono edilizio non collabora nella lotta alla repressione degli abusi sull’Appia Antica». Per questo l’XI Municipio chiede ad Alemanno di commissariare l’Uce. Proponendo al Comune di far gestire ai dirigenti dei municipi le pratiche più urgenti e clamorose. Ma dietro la lentezza con cui vengono sbrigate le richieste di sanatoria, c’è chi vede il fantasma di un nuovo, nefasto condono edilizio.
A dicembre il presidente dell’XI Andrea Catarci ha mandato persino un’auto per prendere il dirigente dell’Uce e portarlo alla conferenza dei servizi su un clamoroso caso di abusivismo nella tenuta della Farnesiana. Ma l’Uce ha mandato un collega che non aveva potere decisionale. Mancando il parere dell´Ufficio condono, l’ennesima, irricevibile domanda di sanatoria non è stata ufficialmente respinta. E le ruspe dell’XI municipio e della Regione Lazio sono state bloccate.
È solo uno dei molti casi di inaspettato stop alla repressione dell’illegalità. «Il sindaco Alemanno - dichiara Catarci - vada a vedere che succede all’Uce, non si capisce il perché di tanta inerzia». E con il suo vice, Alberto Attanasio, chiede che d’ora in poi il Campidoglio, «previo cambio del regolamento», affidi «ai dirigenti dei municipi, personale equiparato a quello comunale, il compito di respingere le domande di condono palesemente errate e irricevibili».
L’obiettivo è incentivare quell’attività di ripristino e reintegro dei luoghi violati che da agosto sull’Appia - grazie all’accordo con l’ufficio antibusivismo della Regione guidato da Massimo Miglio, la soprintendenza statale di cui è responsabile per l’Appia Rita Paris e l’Ente parco, presieduto dal professor Adriano La Regina - ha permesso di demolire abusi in proprietà come quelle di Gaucci, Scarpellini, Cavicchi.
Ma l’Uce non collabora. La società Gemma, che la gestisce, è in affanno. Ha sbrigato solo 8000 delle 60mila pratiche previste entro marzo 2010. E i 350 dipendenti non hanno ancora ricevuto lo stipendio di dicembre, né la tredicesima. Eppure, nel caso del parco dell’Appia antica, le reiezioni dovrebbe essere un atto dovuto. «Andrebbero rigettate in blocco» spiegano Miglio e la Paris. Della stessa opinione l’urbanista Vezio De Lucia. «Grazie al ministro Giacomo Mancini e all’impegno di Antonio Cederna - spiega lo studioso - nel 1965 lo Stato pose un vincolo di "tutela integrale" sull’Appia: la più bella pagina della storia dell’urbanistica italiana. Solo con i condoni si è riusciti ad aggirare le leggi». Per Miglio e De Lucia, la lentezza con cui vengono rigettate le vecchie domande di sanatoria crea quindi ora «il rischio che arrivi un nuovo condono per "sanare" la situazione».
Con l’iniziativa che inauguriamo oggi, eddyburg riprende e rilancia uno dei temi a noi più cari: la difesa dell’Appia Antica, questo straordinario spazio in cui natura e cultura, perfettamente integrate, hanno creato, nei secoli, un ambiente dalle caratteristiche uniche per fascino e importanza archeologica e naturalistica.
Unico, certo, ma allo stesso tempo esemplare rispetto alle tante minacce che il nostro territorio subisce, con rinnovata violenza negli ultimi anni. L’Appia rappresenta infatti, una sorta di bignami dei danni inferti da fenomeni come speculazione edilizia, abusivismo e successivi condoni, spregio della legislazione di tutela, degrado in senso lato.
Destinata, dopo il decreto Mancini del 1965, al pubblico godimento come parco, area classificata nella categoria della inedificabilità assoluta, subisce da allora, come tanti altri luoghi in Italia, uno stillicidio di assalti edilizi da parte dei privati, tesi a eroderne il carattere di spazio aperto e pubblico. L’Appia costituisce quindi uno dei tanti beni comuni che, con sempre maggiore frequenza in tempi recenti, vengono sottratti alla collettività e per il cui recupero e difesa eddyburg leva la sua voce.
In questa direzione ereditiamo il testimone di una battaglia che fu lanciata oltre cinquant’anni fa da Tonino Cederna: l’Appia era la sua strada, percorsa e ripercorsa all’infinito, conosciuta in ogni centimetro, difesa con una passione mai domata dai numerosi insuccessi e premiata, però, da alcune significative vittorie.
E’ soprattutto grazie all’azione di Cederna e, dietro di lui, di Italia Nostra, che tanto splendore, pur se ridotto in quantità, ci è stato consegnato.
Come ci ha insegnato Cederna, però, in Italia soprattutto, il nostro territorio ha bisogno di un’azione di salvaguardia continua e ininterrotta: per questo noi di eddyburg riprendiamo il cammino, con le poche risorse disponibili, ma sicuri di raggruppare sotto questa bandiera molte altre voci.
Da subito ci accompagna in questa vicenda colei che può essere definita la vera erede di Cederna per quanto riguarda la tutela (nel senso più ampio e pieno del termine) della regina viarum: Rita Paris, responsabile, per la Soprintendenza Speciale Archeologica di Roma e Ostia, di questa zona, che, con l’impegno di anni e la collaborazione di un gruppo affiatatissimo, è riuscita, fra l'altro, a regalare a tutti noi due aree straordinarie come la Villa dei Quintili e Capo di Bove, dove è attualmente ospitato l’archivio Cederna donato dalla famiglia e reso liberamente accessibile on-line, primo e fondamentale nucleo informativo sulle vicende moderne dell’Appia.
In uno spazio dedicato del sito troverete, da oggi, una serie di notizie, informazioni, documentazione storica, fotografica che si arricchirà nel tempo anche, speriamo, con il contributo di chi vorrà inviarci altro materiale. E ancora i commenti, i ricordi, le analisi di chi ha partecipato, a vario titolo, a questa storia, da Vezio De Lucia ad Italo Insolera, da Adriano La Regina alla famiglia Cederna, ai tanti soci di Italia Nostra.
Ma soprattutto ci sarà la cronaca, in tempo (quasi) reale, di ciò che accade oggi sull’Appia per quanto riguarda il governo di questo territorio fragilissimo: nel bene e nel male.
In questo senso, in uno spirito di ottimismo, la prima cronaca che inaugura questo spazio, inizia con il racconto dell’ennesima, emozionante scoperta archeologica: l’ennesimo regalo dell’Appia Antica a tutti noi.
Sulla via Appia Antica, fuori Porta S. Sebastiano, c'è una «stazione di servizio» per automobili, mal situata, brutta, ridicola. Mal situata, perché appena cinquanta metri prima del Domine quo vadis?, cioè al bivio con la via Ardeatina, dove l'Appia si restringe e l'incrocio è pericoloso. Brutta, perché arieggia a portico di vecchia fattoria con le sue tre arcate, la tettoia coperta da tegole e qualche sparuta pianta verde in vasi di terracotta, nella pretesa di non stonare con «l'ambiente circostante». Ridicola, perché nel suo muro, a edificazione del turista, sono incastrati frammenti antichi di marmo, di iscrizioni greche e latine, sarcofagi, comici architettoniche: altri frammenti antichi di marmo e terracotta sono esposti in una vetrina tra i bidoni dell'olio, e ancora marmi, terrecotte, pezzi di stemmi medioevali, unti e macchiati, sono collocati sopra ai distributori di benzina. Tutte queste «antichità», in parte false, in parte comprate in via del Babuino, in parte rubate sulla via stessa, oltre a costituire un degno prologo per chi si accinge a visitare in macchina i resti di quella che fu la «regina delle vie», hanno un grande valore simbolico: oggi l'antico è tollerato solo se, fatto a pezzi insignificanti, può essere ridotto a ornamento, a fronzolo, a servo sciocco delle «esigenze della vita moderna», del «traffico», del «dinamismo del nostro tempo», insomma di quello che dicono «progresso». ù quello che sta succedendo a tutta la via Appia, destinata entro pochissimi anni a scomparire, per diventare un rigagnolo in mezzo alla nuova città che sta sorgendo sopra e intorno ad essa, grazie a una banda di speculatori, alla previdenza dei tecnici del Comune di Roma, all'inerzia degli organi ministeriali, teoricamente preposti alla tutela del nostro patrimonio archeologico, paesistico, monumentale.
Ammirato il distributore di benzina, voltiamo a destra per un sentiero in salita: fatta qualche decina di metri, restiamo esterrefatti. Abbiamo davanti a noi tutta la zona tra le vie Appia e Ardeatina da una parte e la via Cristoforo Colombo dall'altra, quasi un grande rettangolo di un chilometro per seicento metri: quello che l'anno scorso era ancora un pezzo di campagna romana, un dolce irregolare avvallamento a prati, alberi, orti, con qualche vecchio casale, è oggi un deserto d'inferno, ad altipiani e abissi, sconvolto dalle macchine scavatrici, che hanno distrutto alberi, prati e orti, che mangiano la terra intorno ai vecchi casali, lasciandoli sospesi in cima ad assurdi pinnacoli. Si sta sistemando il terreno, si stanno scavando le fondamenta di un nuovo quartiere di Roma extra moenia, esteso quanto Villa Borghese.
In prossimità della via Appia e dell'Ardeatina sorgerà una fascia di «villini» e di «villini signorili» a quattro piani, quindi una fascia di «palazzine» a cinque e sei piani, quindi verso la via Cristoforo Colombo un ampio agglomerato a costruzione intensiva, con edifici di almeno otto piani, per un'altezza massima di ventotto metri. A parte i consueti abusi, come l'aumento dei piani grazie ai finti seminterrati, gli attici «arretrati» ecc., il nuovo quartiere incomberà ad altezze scalate sulla via Appia, divenuta misero budello ai suoi piedi, tanto più che essa in quel tratto è a quota 16‑18, mentre il terreno del nuovo quartiere arriva a quota 30‑40. Qualche esigua e frammentaria zona di rispetto «assoluto» (un centinaio di metri sulla carta) e di rispetto «con particolari limitazioni», servirà soltanto ad attestare l'ipocrisia dei progettisti.
Il nuovo quartiere sarà naturalmente attraversato da strade. Una strada larga venti metri, partita dalla piazza dei Navigatori sulla via C. Colombo, dove sta la truce mole dell'ex‑«albergo di massa», oggi casa‑prigione popolare, attraverserà il nuovo quartiere in diagonale, scavalcherà la via Appia quasi all'altezza del Domine quo vadis? e andrà a finire al quartiere Appio‑Latino. Una seconda strada, di circonvallazione, larga cinquanta metri, partita dalla via Ostiense, scavalcherà la via Appia quasi all'altezza del Domine quo vadis? e arriverà all'Appia Nuova. Una terza strada, proveniente presumibilmente dall'E 42, scavalcherà la via Appia quasi all'altezza del Domine quo vadis? dove si unirà alle prime due. Altre strade minori taglieranno il nuovo quartiere recando nuova congestione al Domine quo vadis?: la scelta dell'illustre chiesina come centro di confluenza di tanto traffico è davvero una trovata ammirevole. Infine, un'altra strada di circonvallazione lungo la ferrovia Roma‑Pisa, di cui già esiste un tratto (via Cilicia), ma che si è dovuta arrestare di fronte alla scoperta dei ragguardevoli resti di un mausoleo, scavalcherà la via Appia a metà strada tra il Domine quo vadis? e la Porta S. Sebastiano. Chi arriverà a Roma dalla via Appia si meraviglierà di entrare in galleria.
Guardiamoci attorno: Roma col suo più bel tratto di mura è ancora, per il momento, davanti a noi. Ma già sulla via C. Colombo si alzano i sinistri scheletri di due smisurati casamenti a 10‑11 piani (cooperative Villa Madama e Montecitorio), destinati a case economiche per deputati, senatori e funzionari del Senato e del Parlamento: tutta la larghissima via, in origine destinata ad essere strada‑parco, diventerà una strada‑corridoio, costruita intensivamente con edifici colossali su entrambi i lati, anzi, un'apposita commissione ne garantirà il «carattere monumentale» (!). Più lontano, tutta la zona ai piedi del Bastione del Sangallo rigurgita di villini di freschissima data, costruiti ad opera di varie cooperative edilizie, per abitazione di funzionari delle Belle Arti, che si sono auto‑autorizzati a infischiarsi delle zone di rispetto: il «via» alle costruzioni abusive appena sotto alle Mura fu dato, poco prima della guerra, dalla villa di Eugenio Gualdi,presidente della Società Generale Immobiliare. Guardiamo infine al di là dell'Appia, al di là della valle dell'Acquataccio e della Caffarella: grotteschi edifici sono sorti in via Cilicia, la via Latina è scomparsa sotto un mucchio confuso di nuove costruzioni: tutta la zona tra la ferrovia Roma‑Pisa e la via Latina sarà costruita intensivamente, e gran parte della bella conca della Caffarella costruita a «villini» (o come altro saranno chiamati), per oltre mezzo chilometro.
Nella relazione che il 21 ottobre 1951, la Giunta romana tenne al Consiglio Comunale, intorno al nuovo piano regolatore, si diceva, in tono saggio e mellifluo, che Roma deve espandersi verso i Colli e verso il mare: tra queste due direttrici, sarebbe rimasto intatto «il grande cuneo della zona archeologica (che), a cavallo dell'Appia Antica, si spinge fino al cuore della città, al Campidoglio, come una riposante fascia di verde, dalla quale emergeranno, testimonianza perenne di storia e civiltà, i resti dei gloriosi monumenti», ecc. ecc. Farebbe un'opera buona chi volesse spiegarci perché mai, in meno di due anni, il cuneo archeologico e la riposante fascia di verde si sono trasformati in cuneo, fascia e baluardo di cemento armato.
Pochi metri oltre la basilica di S. Sebastiano, sulla nostra destra, il muro della via è abbattuto: un centinaio di metri in là, nella bella campagna, ecco il primo esempio della nuova edilizia che distruggerà per sempre l'integrità monumentale e paesistica di tutta la via Appia. Sei villini sono già pronti, arancione, gialli e rossi, strani nella pianta e nell'alzato, a mezzo tra la piccola stazione ferroviaria, la vecchia fattoria e la casina della bambola; tetti, terrazze, verande, scale esterne si accostano, si susseguono, si incastrano ad angoli retti, ottusi, acuti: vediamo finti comignoli di forma indescrivibile, torrette cilindriche, loggiati ad arcate, balconcini e tettoia sorretti da travi di legno, pensiline sorrette da pilastri di tufo, finestre lunghe e corte, alte e basse, strette e larghe, rettangolari e quadrate, barbacani ed oblò. Retrocediamo in fretta, e superiamo la Tomba di Cecilia Metella.
Comincia il tratto più splendido e più famoso della via Appia. Al quarto chilometro, di fronte alla casa in cui Pio IX nel 1853 si fermò a sperimentare il telegrafo (electrico relatori experiundo), entriamo nei campi alla nostra sinistra. Ecco, a un centinaio di metri, un altro gruppo di ville (tutto il vasto terreno è già lottizzato, tra la via Appia e la via dell'Acquasanta), giallognole, dal tetto a spioventi, con alti comignoli: nonostante che portici e finestre siano «moderni», queste ville hanno qualcosa di vecchio, di cui non sappiamo per ora renderci ragione. Ci inoltriamo ancora nella campagna, fin che arriviamo sul ciglio di una vecchia cava di selce, e per poco non vi precipitiamo dalla meraviglia: una decina di metri sotto ai nostri piedi ci appare una vasta macchia di un azzurro accecante, una grande piscina privata con fondo in mosaico di vetro, orlo ondulato di cemento come le fosse degli orsi, toboga, trampolino, ombrelloni gialli, rossi e blu.
Tornati sulla via e fatto un centinaio di passi, pieghiamo a sinistra in una nuova strada asfaltata: eccoci di fronte a un grande edificio in costruzione, arrivato al primo piano. A terra vediamo un mucchio di tegole, e comprendiamo quanto prima ci aveva sorpreso: l'aria di «antico» delle case, che a decine e a centinaia vanno sorgendo sulla via Appìa, deriva in gran parte dall'impiego di tegole usate; un muratore che sta lavandosi i piedi in una vasca dove sono a bagno i mattoni ci spiega che ciò avviene per legge. Con simili espedienti i responsabili si mettono a posto la coscienza.
Guardiamo meglio l'edificio in costruzione, un'altra grande sorpresa ci aspetta: per un paio di metri di altezza il muro esterno è rustico, fatto di pietre chiare e scure, ma tutte, di nuovo, hanno qualcosa di «antico», molte addirittura sono già coperte di muschio. C'era da aspettarselo: per tutta la sua ampiezza il muro è composto di pietre antiche, rubate alla via Appia e ai suoi monumenti. Giriamo intorno all'edificio, tra cataste di mattoni e pozzi di calce, e contiamo, sull'erba, una dozzina di grossi mucchi (carico di altrettanti camion) di pietre antiche rubate alla via Appia e ai suoi monumenti: sono blocchi di selce del pavimento antico della via, inconfondibili per la forma e l'impronta delle carreggiate, sono grossi pezzi di marmo lunense e di pietra albana tolti al rivestimento dei sepolcri, sono (chi non ci crede vada a verificare) grossi frammenti di statue.
Non basta: tutti i muretti e relativi pilastri d'ingresso, che sono stati costruiti per centinaia di metri lungo la via Appia, a delimitazione delle nuove proprietà, sono tutti fatti con pietre antiche rubate alla via Appia e ai suoi monumenti; tra le pietre antiche vediamo ancora iscrizioni, frammenti di sarcofagi, di ornati architettonici, di colonne, basi e capitelli, frantumi di selce dell'antico pavimento. Un secolo fa l'archeologo Luigi Canina eresse lungo la via delle piccole pareti in cotto e con gusto eccellente vi murò i frammenti antichi che man mano veniva scoprendo: da anni, un giorno dopo l'altro, questi frammenti vengono smurati, trafugati, venduti, usati come materiale di costruzione.
Torniamo sull'Appia: un cartello ci informa che «42.000 metri quadrati di terreno, eventualmente divisibili» sono in vendita; passiamo davanti a una nuova villa (n. 201, «Sola beatitudo»: vedremo tra un paio d'anni dove sarà andata a finire la beata solitudo), e arriviamo al n. 203: ci balza innanzi la massa informe, orrenda della Pia Casa Santa Rosa, ormai famosa per lo scandalo che suscitò un paio di anni fa. Se non ricordiamo male, l'edificio, progettato a tre piani, venne autorizzato dal Consiglio Superiore del Ministero della P.I. «per deferenza alla benefica istituzione» (bel principio urbanistico).
Nell'entusiasmo dei lavori l'architetto (Spina Alberto) pensò bene di aggiungere un quarto piano: contro il quarto piano insorsero la Commissione provinciale per le bellezze naturali, panoramiche e paesistiche, insorse la Soprintendenza ai Monumenti, insorse lo stesso Consiglio Superiore, che ne ordinò «l'immediata demolizione». L'ordine rimase naturalmente lettera morta, capitò invece che i fondi stanziati venissero anzitempo esauriti, tanto che si sperò vivamente che la Pia Casa rimanesse incompiuta: ma intervenne la Provvidenza, e oggi la Pia Casa è in funzione, con tutti i suoi quattro piani e il suo macabro intonaco violetto. E’ psicologicamente interessante ricordare che l'architetto Spina si difese dalle critiche, non solo paragonando il suo capolavoro alle badie di Farfa, Casamari e Subiaco e al Monastero di Montecassino, ma sostenendo che la via Appia, lungi dall'esseme danneggiata, ci guadagnava.
Andiamo avanti ancora, osservando i monumenti a testa bassa, per non scoprire altri scempi. Ma i monumenti stessi sono ridotti a letamai, sommersi da immondizie di ogni genere: sembra che per il bilancio del Comune di Roma (o della Sopraintendenza alle Antichità o di quella ai Monumenti?) un paio di spazzini per la via Appia siano un carico eccessivo. Giungiamo all'altezza di Tor Carbone: qui sulla destra dell'Appia dovrebbe sorgere, grazie alla Società Immobiliare, un grande quartiere di villini di lusso, collegato con una strada all'E 42. Prendiamo a sinistra la via Erode Attico che porta all'Appia Pignatelli: fatti pochi metri, riceviamo un altro tremendo colpo nello stomaco. Nel vasto angolo formato dalla via Erode Attico con la via Appia, ci feriscono la vista una dozzina di «villini signorili», di varia foggia e dimensione. Tra i colori predominano il viola e l'arancione: le case hanno forma assai complessa, con avancorpi, sporgenze e rientranze, i tetti hanno i soliti comignoli e le solite tegole; vediamo portici ad arco pieno, ad arco ribassato, ad architrave, finestre a feritoia, arcuate, quadrate, finte colombaie, lampioni di ferro battuto: ogni casa è recintata da un muro di tufo giallo, talvolta con pilastri coperti a tettuccio. Il bel quartierino ha la solita aria finto paesana da città dei balocchi, come fosse costruito da uno scenografo incerto tra Italia centrale, Tirolo e Svizzera, con qualche reminiscenza classica. Tra le curiosità principali notiamo una casa con grondaia in su anzi che in giù, e una specie di pagoda cinese a due piani, il primo ad arcate di mattoni, il secondo a vetrate continue.
Giriamo intorno gli occhi: verso Nord, dietro al bel quartierino, si innalza in tutta la sua profondità lo spettro della Pia Casa; verso Sud, cioè sempre sulla sinistra della via Appia, ci appaiono adesso altre ville e villini; verso Oriente, in basso, ecco distendersi un nuovo e maggiore quartiere, dall'aspetto meno «signorile» del primo; scendiamo nella stessa direzione e passiamo in mezzo alla vasta e miserabile nuova Borgata di Santa Maria Nuova. Quanto all'Appia Pignatelli, la bella via solitaria a valle dell'Appia Antica, sappiamo che verrà allargata per essere trasformata in grande strada di traffici (naturalmente con costruzioni ai lati, anche attomo al Circo di Massenzio), che sarà prolungata fino a Roma con un tronco parallelo all'Appia Antica, portando nuova rovina nella valle della Caffarella, fino a Porta Latina: sarà quindi la quinta grande nuova strada che cancellerà dalla faccia della terra la campagna a Sud di Roma.
Rientrati a Roma, fermatici davanti alla stupida e spropositata mole del palazzo della FAO, rovina della Passeggiata Archeologica, cioè del primo tratto della via Appia, nel riporre una vecchia guida, rileggiamo la frase di Goethe, dell'11 novembre 1786, messa a epigrafe del primo capitolo: «Questi uomini lavoravano per l'eternità; tutto essi hanno preveduto tranne la demenza dei devastatori, cui tutto ha dovuto cedere».
La demenza dei devastatori ha raggiunto oggi vette inimmaginabili: un ultimo esempio corona per il momento il nostro triste e parzialissimo elenco. Al sesto chilometro della via Appia, sulla sinistra, isolate nella campagna, sorgono le rovine famose, vaste, imponenti della Villa dei Quintili, del secondo secolo dopo Cristo, avanzi di un ninfeo, di un acquedotto, di un criptoportico, di terme, di cisterne, di sale grandiose, ecc., con una vista stupenda sui Colli e i Castelli. Ebbene, anche qui i nuovi vandali dementi stanno tramando un colpo inaudito: un «nucleo residenziale» (grazie alla Società Generale Immobiliare) sorgerà immediatamente a ridosso delle rovine, per una profondità di circa trecento metri nella campagna; la lottizzazione si estenderà in uguale misura, complessivamente per una cinquantina di lotti, anche sulla destra della via Appia: questa, chiusa in mezzo, sarà affiancata da due strade parallele, una a destra, l'altra a sinistra. Lottizzare il Foro Romano o la Villa Adriana non sarebbe misfatto peggiore.
Ingenuo chiedersi come avvenga tutto ciò. Esistono articoli di leggi (legge 1939 sulla tutela delle cose d'interesse artistico e storico, legge 1939 sulla protezione delle bellezze naturali e panoramiche, regolamento 1940 per l'applicazione della precedente), intesi a salvaguardare «l'integrità», le condizioni di «prospettiva», «luce», «ambiente», «decoro», dei monumenti, la «bellezza panoramica», la «spontanea concordanza e fusione fra la espressione della natura e quella del lavoro umano», e via dicendo. Esiste un vincolo di rispetto per un centinaio di metri da una parte e dall'altra della via Appia, esiste un altro vincolo di poco più esteso, proposto il gennaio scorso dalla Commissione provinciale per le bellezze naturali ecc., ma che non comporta l'inedificabilità delle aree, limitandosi solo a imporre generici riguardi ai costruttori. Esistono organi di tutela, statali, comunali, provinciali, cui manca spesso la cultura e l'intelligenza, cui manca sempre l'iniziativa e la forza di intervenire.
Da un paio d'anni lo scempio della via Appia è entrato nella sua fase definitiva. Le lottizzazioni da sporadiche si vanno facendo organizzate, stringendosi a soffocare tutta la via in un abbraccio mortale, la campagna assume un aspetto da stazione climatica, gli edifici cui abbiamo accennato (ipocrisia delle sottili strisce di rispetto) sono e saranno tutti visibili dalla via: il gioco degli interessi stronca in partenza qualsiasi iniziativa sensata.
Per tutta la sua lunghezza, per un chilometro e più da una parte e dall'altra, la via Appia era un monumento unico da salvare religiosamente intatto, per la sua storia e per le sue leggende, per le sue rovine e per i suoi alberi, per la campagna e per il paesaggio, per la vista, la solitudine, il silenzio, per la sua luce, le sue albe e i suoi tramonti. Perfino per la cattiva letteratura che nel nostro secolo vi era sorta intorno. Andava salvata religiosamente perché da secoli gli uomini di talento di tutto il mondo l'avevano amata, descritta, dipinta, cantata, trasformandola in realtà fantastica, in momento dello spirito, creando un'opera d'arte di una opera d'arte: la via Appia era intoccabile, come l'Acropoli di Atene. Ma che importa ai funzionari, agli architetti, agli speculatori? Il loro ideale estetico sono gli obelischi di via della Conciliazione, e i baracconi di gesso dell'E 42, nati per ospitare le «Olimpiadi della Civiltà» e scaduti, com'era giusto, a fiera campionaria e parco dei divertimenti.
La storia della tutela della Via Appia attraverso una selezione dei documenti dell'Archivio di Stato di Roma e dell'Archivio Centrale di Stato ( 1816-1910) che contengono provvedimenti per la salvaguardia, gli scavi, i restauri e ogni altra azione e iniziativa indirizzate al recupero e alla valorizzazione del complesso archeologico.
I documenti illustrano chiaramente il destino della più celebre delle strade pubbliche romane, restaurata e destinata a passeggiata archeologica nella metà dell'800, ad opera di Luigi Canina, durante il Governo Pontificio, che richiamò visitatori e studiosi di ogni parte del mondo, e le difficoltà della Amministrazione dello Stato per preservare questo complesso archeologico, esteso per chilometri, solo nella sua prima parte di pertinenza della città. Gli interessi dei privati e la mancanza delle risorse necessarie, già dalla fine dell'800, hanno segnato le sorti dell'Appia, vanificando l'impegno di illustri personaggi dell'Amministrazione pubblica, preparandola agli scempi perpetrati nel corso del secolo successivo.
Dopo i programmi per le sistemazioni urbanistiche della città a seguito della presa di possesso dello Stato Pontificio da parte di Napoleone e il sogno per la realizzazione di un grande parco archeologico dal Campidoglio alla Via Appia, la più celebre delle strade pubbliche romane, sempre al centro dell'attenzione di studiosi e artisti di ogni epoca, attese ancora alcuni decenni per vedere realizzati i primi importanti interventi di restauro.
I documenti prodotti dal Camerlengato per gli anni dal 1816 al 1854, dal Ministero del Commercio, Belle Arti, Industria, Agricoltura e Lavori Pubblici per gli anni 1855-1870 e dalla Direzione Generale Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione per gli anni 1870-1907, descrivono la storia della Via Appia, attraverso i provvedimenti per la tutela, gli scavi, i restauri e ogni altra azione e iniziativa indirizzata al recupero e alla valorizzazione del complesso archeologico.
In questa storia i documenti sottolineano i momenti diversi che hanno accompagnato il destino dell'Appia, in una alternanza di denunce, provvedimenti, iniziative, che sempre, e ancora oggi, hanno caratterizzato il destino di questo monumento.
Una lunga lettera del 8 settembre 1816 del Commissario alle Antichità e Belle Arti Carlo Fea al Camerlengo illustra lo stato di abbandono della strada, esposta ad atti di vandalismo e ruberie.
" E' cosa ben nota anche agli ignoranti, che la osservazione alle strade pubbliche è una delle Regalie, dei diritti del Sovrano, che devono gelosamente custodirsi. In Roma e nello Stato Ecclesiastico vanno sotto la stessa regola, e come strade, e come antichità, le selciate antiche di grandi selci, che oltre la conservazione e l'uso della via, si sono sempre riguardate come monumenti, che interessano la storia delle strade antiche celebri in tanti libri, e presso tutti gli eruditi che se ne sono occupati. Fra le strade antiche di simile natura la Via Appia è sempre stata la più famosa e meritevole di gelosa conservazione: illustrata con rami e con libri da tanti scrittori più d'ogni altra. Ne esistono grandi porzioni conservate a maraviglia coi loro grandi selci, particolarmente da Capo di Bove fino a Genzano. Ma da qualche anno in qua è venuta la moda negli Appaltatori delle Strade, che devastano barbaramente tutto, senza veruna autorizzazione, per profittare dei selci, riducendoli piccoli per servirsene a loro vantaggio o in nuove selciate o ad altri usi. ... In particolare si reclama contro l'Appaltatore Vitelli, il quale da due anni in qua devasta la strada nei contorni della Valle Riccia e di Genzano.... sulla grandiosa sostruzione di grandi massi di peperino quadrati, a guisa di un grande, e lungo ponte, per raddolcire la salita, che toltane la selciata, dopo duemila , e più anni dal fondatore Appio Claudio, anderà man mano in rovina, e il Pubblico resterà senza strada. ... E' da notarsi che Pio VII, trovandosi a villeggiare in Genzano,, essendosi incontrato a vedere uno precisamente che devastava i selci di quella strada, lo sgridò severamente, e disse al Principe Colonna , padrone di Genzano, che badasse bene, che mai più alcuno la guastasse..."[1]
Nel 1824 Carlo Fea sente la necessità di chiedere di far cancellare il nome "Via Appia" dai miliari che indicano la strada che esce da Porta S. Giovanni: " ... Vengo avvisato che fuori Porta S. Giovanni sulla strada di Albano rinnovandosi le pietre milliarie, alla prima è stato scritto Via Appia. Chi ha veduta questa goffaggine ne ha riso e deriso. Per mostrare che la Commissione invigila anche alle piccole cose di antichità, sarebbe bene scrivere a Monsig. Presidente delle Strade, che faccia subito cassare quella falsità ridicola. Pur Monsignore più volte ha sentito dallo scrivente, che la via Appia da riaprirsi, passava da S. Sebastiano". [2]
L’opera di restauro della Via Appia e di parte dei suoi monumenti, nel tratto tra il mausoleo di Cecilia Metella e Frattocchie, fu realizzata da Luigi Canina in veste di Commissario alle Antichità di Roma negli anni 1853-1855 [3]. Precedentemente, tra il 1777 e il 1784, per volere del pontefice Pio VI, fu restaurato il tratto di strada nella Pianura Pontina, riportando alla luce le grandi opere antiche, tra lo stupore degli abitanti che si gloriavano di passeggiare sopra le rovine di una delle più belle opere della magnificenza romana.
Un documento di 12 pagine, del mese di settembre 1858, contiene un rapporto sui lavori svolti: " Nell'anno 1851 sotto il Ministero della Ch. M. Camillo Iacobini ebbero principio i lavori della nuova apertura dell'Appia antica. I medesimi si eseguivano sotto la direzione dei Sig. Com. Canina e Cav. Grifi e colla sorveglianza dell'Architetto Ingegnere di questo Ministero in allora Luigi Rossini, oggi Francesco Fontana. ... I lavori principali, cioè di escavazioni, macere e sistemazione della via si compiono definitivamente nel 1855; e quelli di riattamento de' Monumenti sepolcrali, che di mano in mano si scuoprirono, vennero anche essi eseguiti collo stesso e di anno in anno. Perché poi la strada fosse conservata e non guasta dal passaggio dei circonvicini possidenti, fu chiusa alle due estremità, mediante cancelli, lasciando in diversi punti della medesima alcuni passi pel sol transito e comodo dei suddetti possidenti, e a tale effetto vi si destinò un guardiano a soldo fisso, anche per vigilare non solo che tal disposizione ministeriale fosse onninamente osservata, ma anche non venissero manomessi, specialmente nell'inverno, che dagli esteri vien continuamente frequentata, tutti quei frammenti che lungo la via si trovavano depositati, o danneggiati quei monumenti riedificati con tanta cura e impegno dei due sud. Sig. Canina e Grifi. Portatosi a termine, come si è detto di sopra, lo scuoprimento totale della Via, che importa la maggior spesa, come vien dimostrato nell'unito prospetto, il Ministero non ha mai tralasciato in seguito di portarvi la sua attenzione col mantenere e proseguire la riedificazione di quelli Monumenti più rilevanti, come in questo anno si è fatto per quello della famiglia Aurelia dei Cotta celebre nell'istoria. Nell'anno 1854 in seguito di autorizzazione Sovrana, e dopo che giunsero in Roma gli strumenti acquistati a Parigi il R.do P. Secchi della Compagnia di Gesù dette incominciamento alla misura e livellazione di questa monumentale via, la quale operazione fu portata a termine nell'anno seguente 1855, e che ora mercè le cure dello stesso R. Padre e la benigna annuenza della E.V.R.ma sarà per essere pubblicata... (seguono elenchi spese per tipologie di lavori, escavazioni, costruzioni macerie, sistemazioni della strada, riedificazione dei monumenti, oltre a spese per alberi, espropri, spese per operai e di vario genere) [4]
Il lavoro fu ben eseguito e mantenuto per anni con una cura che trovava apprezzamento presso studiosi e visitatori italiani e stranieri. La via Appia è considerata un monumento unitario con i resti di pertinenza; ogni forma di alterazione e manomissione veniva repressa con sanzioni, compreso il transito di greggi non autorizzato. La relazione del segretario generale Luigi Grifi al Ministero del giugno 1869 descrive con orgoglio lo stato della strada: " ...Il piano stradale dal cancello non lontano dal sepolcro dal Cecilia Metella, fino all'altro cancello delle Frattocchie, è mantenuto benissimo e pulito in tutta la sua larghezza da una crepidine all'altra per la lunghezza di circa nove miglia. Lo stesso dicasi della maceria nei due lati della via, che è ottimamente mantenuta. ... Fra le moltissime opere che con Sovrana provvidenza sono state ordinate dalla Santità di N.S. in benefizio delle memorie antiche, vi dee stare a capo la riapertura della via Appia. Non più i suoi monumenti e le sue moli sepolcrali sono in balia dei coltivatori, non più sono inaccessibili per disagiato terreno senza via. Ma sono tutte visibili e la strada riaperta e ben tenuta vi chiama nell'inverno migliaia di stranieri, che lodano tutti la Sovrana Munificenza di Sua Santità che ha tratto fuori dalla terra e conservato ai luoghi loro tante memorie storiche e le ha rese di facilissimo accesso e custodia diligentemente. E' grato al mio dovere il dire che da diciotto anni, da che è stata aperta l'Appia Antica agli studi e alle investigazioni degli eruditi vi siano mancati né oggetti né cure, e che essendone affidata a me la immediata custodia e direzione, l'abbia sempre tenuta in modo che il Sovrano, cui si dee sì bell'opera, ne abbia riscosso continui elogi. Avendo fatto tenere un conto approssimativo delle carrozze dei forestieri, dalle quali in questo anno 1868-1869 è stata percorsa, torna una media di circa sessanta al giorno dal mese di Novembre 1868 al mese di giugno 1869....La custodia dell'Appia è tenuta da un guardiano, che non l'abbandona mai..." [5]
Solo alcuni anni dopo le cure per il monumento della via Appia, così egregiamente recuperato, sono sostituite da episodi ineluttabili, quali la costruzione dei Forti Militari e della Strada Militare che li collegava (l'attuale via di Cecilia Metella), negli anni 1877-1878. Rodolfo Lanciani fu incaricato di sorvegliare i cantieri per conto del Ministero della Pubblica Istruzione e per la parte che riguardava le antichità.
Di fronte alla necessità, considerata irrinunciabile, di difesa della città, nessuno si oppose alla realizzazione dell'opera (per questo e altri casi) e quando fu necessario, per esigenze della fortificazione, demolire parte della macera ottocentesca e un sepolcro, ciò fu fatto con la motivazione che si trattava di un rudere senza "forma" né "memoria" né "importanza" [6]. Nel frattempo gli scavi nell'area del Forte rivelavano scoperte interessanti, in particolare testimonianze epigrafiche pertinenti a una vasta necropoli di epoca romana. [7]
Le numerose iscrizioni recuperate, per la distribuzione sul terreno e le indicazioni delle misure nei cippi consentirono al Lanciani di definire l'estensione dell'area funeraria e la distribuzione dei lotti di terreno delle sepolture. Del materiale della necropoli, cippi, are, urne, sarcofagi, di un arco cronologico tra l'epoca augustea e il III sec. d. C., una parte è stata raccolta nel complesso del mausoleo di Cecilia Metella e del Palazzo Caetani.
Merita di essere ricordata la incredibile richiesta di realizzare binari per un tramway lungo la via Appia da parte della società di Tramways Roma-Milano-Bologna, inoltrata nel 1880 al Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, Giuseppe Fiorelli per " congiungere la città di Albano colla Capitale mediante un tram a vapore come già fece per Tivoli ed aspirando ad auspicare all'interesse industriale della nuova via quello caratteristico della plaga che deve attraversare...". La proposta è sostenuta dalle seguenti considerazioni: "La via Appia, nel tratto fra Capo di Bove e le Frattocchie, essendo chiusa al pubblico transito, è solo percorsa dagli studiosi di sue antichità e sufficientemente larga per accogliere il tramway, senza che questo tocchi o danneggi menomamente i sepolcri che la fiancheggiano e senza che il pavimento antico ne sia punto danneggiato e possa dar motivo a quegli inconvenienti che si verificano talvolta sulle vie frequentate. Il Tramway faciliterebbe assai la visita, lo studio e l'illustrazione degl'insigni monumenti di questa Regina Viarum. Essa sarebbe maggiormente sorvegliata e conservata affidandone la custodia ai numerosi cantonieri della Società...". Il Ministero non sarebbe stato alieno dal concedere il permesso, a determinate condizioni, se il Lanciani non avesse formulato circostanziate osservazioni sulla inattuabilità del progetto.
Lo spirito che aveva sostenuto la grande opera di recupero della strada destinandola a monumento di interesse universale e luogo di attrazione per turisti e studiosi cede il posto all'incombenza gravosa di doverla mantenere, così che quasi appare un soluzione la proposta per quella che sarebbe stata la più esclusiva infrastruttura per la mobilità, realizzata a danno della grandiosa via di comunicazione dell'antichità.
Pochi anni dopo infatti, tra il 1884 e il 1887, R. Lanciani, preposto all'Ufficio degli Scavi di Antichità di Roma, inizia a presentare relazioni e richieste alla Direzione Generale, con elenchi dettagliati di lavori e preventivi, per la conservazione della via Appia che, dopo i lavori di scavo e restauro di Canina e Iacobini, non aveva più ricevuto alcuna cura: " La via Appia Antica della quale è possessore lo Stato (a partire dal IV chilometro fuori di Porta S. Sebastiano fino al casale delle Frattocchie) trovasi in istato di assoluto abbandono.... La partita stradale dal cancello di ingresso alla traversa di Fiorano è difficilmente praticabile; massime nel tronco più vicino alla città; dalla traversa di Fiorano alle Frattocchie è assolutamente impraticabile. Le macerie di confine sono cadute in molti punti, i cancelli di legno sono andati a male; iscrizioni, monumenti di sepolcri, scolture figurate etc., sono state mosse di posto ed altrimenti danneggiate" (1884) [8]
Il 17 agosto 1886 il quotidiano L'Opinione pubblica un articolo, indirizzato al Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, Giuseppe Fiorelli, nel quale si critica lo stato di abbandono della strada riscontrato da un gruppo di ammiratori " degli avanzi dell'antica civiltà romana", nel corso di una escursione serale. La strada era completamente invasa da erbe e spine, come pure i margini dei marciapiedi; dominavano l'incuria e l'abbandono mentre " le vaccine", raggruppate in mezzo alla strada, fra i monumenti e ovunque, facevano da " padrone assolute e dispotiche dell'antica regina viarum" [9].
Alla tempestiva richiesta di chiarimenti in merito da parte del Direttore Generale Fiorelli, [10] di fronte a un simile attacco della stampa, il Lanciani ricorda di aver denunciato, un anno prima, alla Direzione lo stato vergognoso di abbandono dell'Appia, senza ricevere alcuna risposta [11].
Solo nel 1888, dopo intensa corrispondenza tra il Direttore Generale e il Lanciani, si approvarono e quindi iniziarono i primi lavori di riparazione delle macere, che delimitavano la proprietà pubblica da quella privata, mentre continuavano i guasti alla strada e alle macere causati dal transito dell'artiglieria e dei carri delle cave.
Altre lettere di denuncia sullo stato deplorevole della via Appia giungono al Direttore Generale e al Ministro della Pubblica Istruzione P. Boselli, come quella del 12 gennaio 1891: " ...Questa via, la più celebre del mondo e che gli stessi antichi chiamavano Regina Viarum, la quale dopo gli scavi del Canova nel 1808 e del Canina dal Sepolcro di M. Servilio Quarto a un miglio circa dalle rovine di Bovillae negli anni 1850, 1851, 1852, ebbe dal cessato governo pontificio una manutenzione diligentissima, fa pena a vederla abbandonata ora a tutte le vicende del tempo, degli animal e degli uomini, o di questi al ludibrio e al vandalismo dei trafugatori, in ispecie forestieri e di guastatori... Le distruzioni dei monumenti, di resti d'ogni genere e fino alle piante presso di essi, come del trafugamento di marmi, statue, di buste, e fino di staccate dai bassorilievi, come dal Sepolcro di Seneca in tre anni fa, sono cresciuti a dismisura!"[12]
Il Direttore Generale sollecita interventi dell'Ufficio speciale per le antichità e monumenti di Roma e Suburbio, nella persona del direttore Angelo Contigliozzi, ricordando il grave danno al magnifico blocco di marmo a segmento di edicola con l'iscrizione del sepolcro vicino, con nucleo di forma rotonda, "Sergio Demetrio, mercante di vino al Velabro"
Fra l'altro si ricordano alcuni crolli di mura e di una volta medievali nella Villa dei Quintili, gravi lesioni a Casal Rotondo, di proprietà del Principe Torlonia, su cui è stata costruita una casa colonica e ancora lo stato sconfortante di manutenzione dell'intera Via Appia a causa della scarsezza del personale.
Nei rapporti redatti per il Ministro allo scopo di definire il problema dell'Appia si individuano le soluzioni, ponendo in evidenza che le cause dei danni sono da ricondursi a due fatti: " non sorveglianza, non opere di conservazione" [13]
Un corposo fascicolo raccoglie documenti sui varchi e i passaggi sulla via Appia avviato dal Direttore Generale Fiorelli, con l'esame dei documenti del tempo del Canina, al fine di trovare una soluzione ai sempre più numerosi contenziosi e conoscere le relazioni giuridiche tra la proprietà ministeriale della strada e i proprietari "frontisti" dei terreni. Già il 16 ottobre 1882 R. Lanciani aveva inviato una relazione al Direttore Fiorelli: " Quando il Governo Pontificio, a partire dal 1852 intraprese le espropriazioni, lo scavo e il restauro dell'Appia, tra capo di Bove e le Frattocchie, ciascheduna delle tenute che confinavano con detta via, e che sono da essa attraversate, aveva la propria strada di accesso, a partire sia dall'Appia Nuova, sia dall'Ardeatina, sia dalla strada detta del Divino Amore. Aperta a tutte le spese del governo, la nuova linea, destinata a scopo puramente archeologico, e chiusa con macerie e cancelli da ambo i lati, i frontisti ebbero naturalmente il diritto di accedere ai propri fondi con vetture: ma il transito dei carri, delle barozze e degli armenti fu rigorosamente vietato per più ragioni. In primo luogo perché tale transito è dannoso ai monumenti e al selciato antico. In secondo luogo perchè avrebbe richiesto un spesa annua pi mantenimento della partita stradale, a tutto carico del Ministero. In terzo luogo perché la strada ha soltanto m. 3,80 di larghezza, in modo che nemmeno due carrozza di lusso vi trovano lo scambio in senso diverso. In quarto luogo perché ogni tenuta trovavasi già munita delle propria strada. Però, come suole avvenire in simili casi, sia per impegni, influenze e relazioni personali dei frontisti con le autorità, sia per altre cause urgenti e temporanee, la maggior parte di essi ottennero concessioni di passaggio, ma dentro limiti ristrettissimi e senza pericolo di danno ai monumenti o di aggravio alle spese di manutenzione. Queste limitate concessioni sono ora consacrate dall'uso, benché non mi sia riuscito di trovare in archivio documenti in proposito. Negli ultimi anni le domande di transito si sono centuplicate. In generale quando l'Ufficio ha creduto di negarle, i frontisti se le sono accordate di proprio arbitrio. Per persuadersi quanto sia urgente di regolare la questione basta percorrere l'Appia e vedere a quale stato di rovina è ridotta... Il partito più semplice per togliersi l'imbarazzo sarebbe quello di costituire un consorzio tra i frontisti, per il mantenimento della strada, delle macerie e dei cancelli. Ma tale partito non può ammettersi primieramente perché il Ministero verrebbe in tal guisa ad alienare la propria esclusiva dello stato sull'Appia antica; in secondo luogo perché appena fosse reso libero il passaggio, tutti i frammenti scritti e scolpiti sarebbero derubati, i mosaici e i sepolcri danneggiati; senza calcolare che ogni cella sepolcrale diverrebbe un nascondiglio o una latrina. Il partito che suggerisce rispettosamente alla S.V. sarebbe il seguente. I. Raccolte tutte le informazioni che è possibile raccogliere intorno i diritti di transito che competono ai frontisti, se non de iure, almeno de facto, farne soggetto di una convenzione (coi singoli interessati) con tutte le più solenni formule legali. II. Stabilite coteste convenzioni coi frontisti, adottare, come massima a legge rigorosa, che nessun'altra concessione, sia anche temporanea ed eccezionale, possa essere rilasciata sotto qualsiasi pretesto." [14]
Nel 1889 il Fiorelli chiede ad direttore dell'Ufficio Speciale per le Antichità e Monumenti di Roma e Suburbio (A. Contigliozzi) di affrontare il tema dei transiti sulla via Appia "... La questione è molto importante, perché dai continui passaggi su questa via che da monumento è divenuto luogo di pubblico transito, dipende in parte il cattivo stato di manutenzione in cui si trova e la difficile custodia della via stessa e dei monumenti che la circondano..." Si rinnovano le raccomandazioni sulla vigilanza affinché non si verifichino passaggi di carri o bestiame occasionali e si dispone che alla domande di passaggio si risponda sempre negativamente; nei casi di fondato diritto di passaggio questo comporterà l'obbligo di contribuire alle spese di manutenzione della via.
La ricerca del Direttore Fiorelli dei carteggi relativi agli scavi del Canina e agli espropri del Governo Pontificio è intensa, anche presso la Sovrintendenza agli Archivi nelle Province Romane e il Ministero dei Lavori Pubblici e viene interessato anche il senatore Pietro Rosa, Ispettore Generale dei Musei e degli Scavi d'Antichità. Le varie ricerche non danno risultati e l'unico documento che il Sovrintendente agli Archivi riesce a trovare è il rapporto del 14 settembre 1858 sui lavori della nuova apertura della via Appia, sopra in parte riportato.
Intanto su incarico del Direttore Generale si esegue il lucido delle Mappe Catastali della via Appia, fino al confine della giurisdizione dell'Agenzia delle Imposte di Roma, e si effettuano ispezioni sui passi esistenti e sulle proprietà, sempre con la grave lacuna del carteggio relativo agli espropri del Governo Pontificio e si elaborano una pianta, l'elenco dei proprietari, l'elenco dei varchi. In data 13 novembre 1889 il professionista incaricato scrive al Direttore Fiorelli una relazione e allega gli elaborati grafici. Tale documento è di fondamentale importanza in quanto per la prima volta si indica in una planimetria tutti i dati relativi alle proprietà private e demaniale, nonostante continui ad essere mancante il carteggio sugli espropri degli anni 1851 e seguenti. Sulla pianta è tinteggiata in rosso la proprietà demaniale, limitata dalle macere, inclusi appezzamenti che sporgono dalla fascia rettilinea e le sporgenze dei monumenti considerati all'epoca meritevoli di appartenere al patrimonio artistico dello Stato, quindi racchiusi entro le macere. Si specifica che alcune aree o monumenti, come ad esempio il mausoleo di Casal Rotondo, pur essendo nel recinto della macera (" via riservata"), sono occupati da privati che vi depositano attrezzi e vi tengono persone ad abitare. Nel rapporto si forniscono suggerimenti utili per la gestione della via Appia, nella condizione alquanto diversa dall'epoca del Canina, soprattutto in assenza di "convenzioni" quali furono definite in origine in pieno accordo con i proprietari: il ripristino dei cancelli ai due estremi della via con tessere agli aventi diritto; introduzione di una tassa d'ingresso, per coloro che non hanno permessi, al fine di custodire la proprietà demaniale, minima per i pedoni, elevata per le carrozze, i proventi della quale potrebbe essere utilizzati per la manutenzione della strada stessa. [15]
Fra cause giudiziali e problemi giuridici sempre connessi con il passaggio e i varchi sulla via Appia viene interpellata anche la Regia Avvocatura Erariale Generale che esprime il proprio parere in forma definitiva con la lettera del 29 gennaio 1891.
I fatti sono i seguenti: " Il Governo Pontificio verso il 1852 intraprese l'espropriazione, lo scavo e il restauro dell'Appia e prima di tale scavo le tenute confinanti erano tutte provvedute di strada d'accesso a partire dalla via Appia Nuova, sia dall'Ardeatina, sia dalla strada del Divino Amore. La nuova via fu aperta a solo scopo archeologico e i proprietari finitimi ebbero solo in via di concessione il permesso di transitare con vetture". Essendo la via Appia dello Stato e trattandosi di un monumento non si sarebbero pertanto potuti acquisire diritti di passaggio. Alcuni privati tuttavia si opposero ai provvedimenti di divieto emanati dal Ministero rendendo necessaria la definizione della questione degli espropri. Poiché gli atti di esproprio non erano più reperibili, il Direttore Fiorelli interpella l'ispettore Pietro Rosa nella speranza che la memoria di colui che aveva lavorato affianco al Canina e aveva redatto la pianta della strada con i monumenti possa chiarire i dubbi ancora esistenti in merito agli espropri e ai diritti di passaggio [16].
La risposta del Rosa fu immediata e chiarificatrice sull'intera questione: dopo i lavori e gli espropri il Governo Pontificio recintò la via Appia con due cancelli e le macere; all'epoca del raccolto del frumento e della tagliatura dei fieni venivano rilasciati permessi di transito ai proprietari dei terreni limitrofi. " Tale fatto prova evidentemente chei proprietari dei terreni laterali alla via Appia Antica non avevano alcun diritto di passaggio sulla antica via monumentale...scopo precipuo dell'espropriazione si fu di impedire il libero transito sull'antica via monumentale per conservarla, siccome ne fan fede e le macerie costruite ai lati della zona monumentale e i cancelli apposti a capo ed a piedi della zona medesima". [17]
Il parere definitivo dell'Avvocatura, sopra citato, si fonda dunque su elementi di verità che possono ricavarsi dal fatto che la strada fu recintata e chiusa, dal rapporto del Rosa e dagli scritti del Canina, sufficienti per dimostrare che l'espropriazione ebbe luogo. "... E c'è abbastanza per giustificare il divieto formale da parte del Governo a che i carri e le barozze, segnatamente se cariche di selce, continuino la loro opera di distruzione. Si faccia dunque il divieto. Avremo causa. O gli avversari riusciranno a provare il loro diritto e il Governo saprà quale via gli resta per tutelare la storia e l'arte in uno dei suoi più mirabili monumenti, o non riescono, e allora saremo noi ad avere causa vinta..." [18]
Continuando la ricerca del carteggio sui lavori dell'epoca di Canina si rintracciano alcuni documenti che vengono trasmessi, il 31 marzo 1892, dal Sovrintendente agli Archivi alla direzione generale relativi al transito sulla via Appia dal 1855 al 1866. Fra le varie istanze è una richiesta del 1856 di far pascolare alcune cavalle sull'Appia che viene respinta con la motivazione che " la via Appia è stata aperta per uso de' dotti e non per ritornarla pascolo d'animali". Il resto dei documenti riguarda multe per passaggi non autorizzati e per danni ai monumenti [19].
Il 27 maggio 1893 il Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, Carlo Fiorilli, risponde all'onorevole ing. Severino Casana in merito alla chiusura del passaggio per i carri su tutta la via Appia: " La S.V. Onor.le desidera sapere se sia vero che il Ministero della P. I. abbia interdetto il passaggio ai veicoli lungo la via Appia demaniale monumentale. Questo Ministero per salvaguardare e rivendicare i diritti demaniali e tutelare la conservazione di quella antica Via e monumenti laterali, dopo sentita reiteratamente l'Avvocatura Generale erariale che vagliò lo stato diretto e le circostanze di fatto; ha ora presi energici provvedimenti perché a datare dal 1 luglio venturo siano assolutamente proibiti i passaggi longitudinalmente alla detta via, ed anche trasversalmente,ove non esista la servitù formalmente costituita, alle barozze e ad altri carri presenti, che specialmente trasportano materiale siliceo e che in diversi tratti abusivamente transitando, hanno arrecato guasti alla via. Ma non si è mai avuto in mente di impedire il passaggio ai pedoni ed alle carrozze che trasportano visitatori e passeggeri, anzi è stato esplicitamente dato ordine che a questi sia libero l'andare per quella via.." [20].
L'impegno della Direzione Generale a far rispettare il divieto appare anche dalla corrispondenza intercorsa tra il Direttore Generale e il Direttore dell'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti delle Province di Aquila Roma Chieti, G. Calderini, quando quest'ultimo propone di riaprire un varco abusivo e informa su lavori che si stanno eseguendo di risistemazione della strada e di lati riordinando i massi e le lapidi. E' severo il rimprovero rivolto dalla Direzione all'Ufficio territoriale sia per la riapertura del varco abusivo, sia per i lavori di spostamento dei vari elementi lapidei, che invece dovevano rimanere al loro posto [21].
Le controversie sui passaggi sulla via Appia attraverso varchi abusivi continuano per alcuni anni, in particolare per le zone di Fiorano e Frattocchie dove si svolgevano attività estrattive di selce, con la conseguente necessità di trasporto del materiale. Le cause si risolvono con esito favorevole per il Ministero, ritenendo i Tribunali abusivo il transito dei carri di selce. Una sentenza del 2 luglio 1894 sancisce che il Ministero ha il dovere di tutela della strada monumentale e la via Appia è riconosciuta a tutti gli effetti un monumento nazionale. Le denunce e le sanzioni penali e civili nei confronti dei trasgressori fanno riferimento all'articolo 56 e 57 dell'Editto del 7 aprile 1820 sopra le Antichità e Scavi del Cardinal Pacca: " Siccome ancora resta assolutamente vietato di guastare gli avanzi qualunque delle antiche celebri Strade, interessando sommamente la loro conservazione.." .(art.57) e " Le contravvenzioni agli Art. 51 e seguenti saranno punite con una multa di Scudi Cencinquanta e colla refezione dei danni" [22].
Tra la fine del 1894 e il maggio del 1896 si definiscono, attraverso una fitta corrispondenza tra la Direzione Generale Antichità e Belle Arti e l'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti delle province di Aquila Roma Chieti, i modi e la spesa per la risanamento dei danni e della buche al fondo stradale della strada dal IV al X chilometro con pietrisco misto a terra ben ribattuto, non senza le consuete polemiche con alcuni dei privati che utilizzando la strada per il transito avrebbero dovuto concorrere alla spesa da sostenere per i lavori.
Il problema di una manutenzione periodica della strada è evidente dal carteggio anche per gli anni successivi, dal 1898 [23], sotto la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti di Felice Barnabei, Ministro Guido Baccelli.
Non si trovano riferimenti a particolari interventi e azioni di tutela sulla via Appia fino al 1910 [24] e si conclude questa scelta di note con la proposta del Direttore degli Scavi al Palatino e Foro Romano, Giacomo Boni al Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, Corrado Ricci, di piantumazione di alcune alberature: " Alcuni frequentatori della via Appia antica mi raccomandano di ottenere che si freni l'invasione delle brutte piante esotiche che danneggiano i ruderi degli antichi sepolcri e sopprimono ogni vestigio della flora più caratteristica della Regina Viarum. Le nuove piantagioni dovrebbero farsi nel prossimo novembre e sarei disposto a offrire un centinaio di pinus pinea e ad acquistare un altro centinaio di cupressus pyramidalis, perchè codesto On. Ministero volesse far estirpare le robilie e gli ailanti, risparmiando altrettanta legna per le stufe della R. Soprintendenza dei monumenti di Roma e provincia". [25]
In un momento in cui l'Appia con il suo territorio è in bilico tra noncuranza, inosservanza di regole che si davano per scontate e soluzioni solo apparentemente accattivanti, la storia della sua tutela assume un valore sostanziale. Quando si mira a cancellare la memoria, in modo che risulti più facile intervenire per trasformare, e il rischio che questo accada è quasi una dato di fatto, allora è opportuno riflettere volgendosi indietro, per conoscere e far conoscere cosa è stato, cosa si è fatto.
E non è poco.
La ricerca d'archivio sul territorio dell'Appia è stata eseguita, in modo completo, da Mauro De Filippis per la Soprintendenza Archeologica di Roma. Chi scrive e Mauro De Filippis hanno in corso la pubblicazione di tutti i documenti.
Bibliografia principale di riferimento
C. Fea, Osservazioni critiche sul ristabilimento della via Appia da Roma a Brindisi per il viaggio ad Atene, Roma 1833; A. Nibby, Analisi storico-topografico-antiquaria della Carta de’ Dintorni di Roma, 2a ed. I-III Roma 1848-49; A. Iacobini, Lo scavo della Via Appia fatto nel 1851, in “Giornale Arcadico” CXXIII (1851); P. Rosa, Monumenti inediti pubblicati dall’Istituto, V, Roma 1849-53; L. Canina, La prima parte della Via Appia dalla Porta Capena a Bovillae, Roma 1853; A. Muñoz, Restauri e nuove indagini su alcuni monumenti della Via Appia, in “Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma” XLI, (1913); G. Tomassetti, La campagna romana antica, medievale e moderna. Nuova edizione aggiornata a cura di L. Chiumenti e F. Bilancia, II: Via Appia, Via Ardeatina, Via Aurelia, Firenze 1975; F. Coarelli, Dintorni di Roma, Bari 1981; AA.VV., Piano per il Parco dell’Appia Antica, Italia Nostra – Sezione Romana, Roma 1984; L. Quilici, Via Appia da Porta Capena ai colli Albani, Roma 1989; AA.VV., Via Appia, Sulle Ruine della magnificenza antica, cat. mostra, Roma 1997; Paolo Fancelli, Antonio Canova tra archeologia e restauro: il monumento di M. Servilio Quarto sulla Via Appia, in Studi in onore di Renato Cevese, 2000; Via Appia. La Villa dei Quintili, a cura di R. Paris, Roma 2000; Via Appia. Il Mausoleo di Cecilia Metella e il Castrum Castani, a cura di R. Paris, Roma 2000; M.G. Filetici, S. Pasquali, Via Appia antica in Roma, 1850-1999: un percorso tra documenti d’archivio e monumenti attraverso la rappresentazione in 3D, in Centro di Ricerche Informatiche per i beni Culturali, quaderni 10, a cura di G.Beltramini e M.Gaiani, Scuola Normale Superiore, Pisa, 2000, pagg183-188; R.Paris, Via Appia. Nota introduttiva sui lavori., in Archeologia e Giubileo, Gli interventi a Roma e nel Lazio nel Piano per il Grande Giubileo del 2000,, Vol. I, Electa, Napoli, 2000; R.Paris, Mausoleo di Cecilia Metella e Castrum Castani, in Archeologia e Giubileo, Gli interventi a Roma e nel Lazio nel Piano per il Grande Giubileo del 2000,, Vol. I, Electa, Napoli, 2000; R.Paris, Villa dei Quintili, in Archeologia e Giubileo, Gli interventi a Roma e nel Lazio nel Piano per il Grande Giubileo del 2000,, Vol. I, Electa, Napoli, 2000; P.Meogrossi, Supporti documentari dell’Appia Antica:il Castello Castani e la cartografiageoriferita della Villa dei Quintili, in Archeologia e Giubileo, Gli interventi a Roma e nel Lazio nel Piano per il Grande Giubileo del 2000,, Vol. I, Electa, Napoli, 2000; M.G.Filetici, Conservazione di otto piccoli sepolcri e ritrovamento di un colombario, in Archeologia e Giubileo, Gli interventi a Roma e nel Lazio nel Piano per il Grande Giubileo del 2000,, Vol. I, Electa, Napoli, 2000; D.Cirone, Valle della Caffarella. Scavi della Torre Valca, al Colombario Costantiniano e al Ninfeo di Egeria, in Archeologia e Giubileo, Gli interventi a Roma e nel Lazio nel Piano per il Grande Giubileo del 2000,, Vol. I, Electa, Napoli, 2000; Adriano La Regina, Lexicon Topographicum Urbis Romae. Suburbium, I, Roma 2001, voce " Appia via"(S. Bruni, S. Mineo, R. Paris); AA. VV. La Via Appia. Iniziative e interventi per la conoscenza e la valorizzazione da Roma a Capua, a cura di L. Quilici e S. Quilici Gigli, Roma 2002.
[1] ASR, Camerlengato. Parte I. Titolo IV. Antichità e Belle Arti (1816-1823), B.38 f. 25
[2] ASR, Camerlengato. Parte II. Titolo IV. Antichità e Belle Arti (1824-1854), B.150 f.112
[3] I lavori sono descritti nella prefazione dell'opera di L. Canina, La prima parte della Via Appia....; R. Paris, Luigi Canina e il museo all'aperto della via Appia, in Tusculum. Luigi Canina e la riscoperta di un'antica città, Roma 2002, a cura di G. Cappelli e S. Pasquali, pp. 221-224
[4] Rapporto del capo contabile al Ministero, ASR, Ministero del Commercio, Belle Arti, Industria, Agricoltura e Lavori Pubblici. Sezione V. Titolo I, Articolo I. Monumenti (1855-1870), B349 f.59. Il lavoro di misurazione della Via Appia è stato pubblicato nell'opera di Padre Secchi, Secchi A. Misura della base trigonometrica eseguita sulla via Appia per ordine del governo Pontificio nel 1854-55, Roma, Tipografia della Camera Apostolica 1858.
In occasione dei lavori di restauro della strada eseguiti nell'ambito dei programmi del Giubileo 2000, è stato rinvenuto il caposaldo materializzato nei pressi del mausoleo di Cecilia Metella (caposaldo A), nel centro della carreggiata stradale; un secondo caposaldo era presso un monumento in località Frattocchie (caposaldo B); cfr. E. Borchi-A. Cantile, La nuova base geodetica dell'Appia antica, estratto dal volume Eventi e documenti diacrinici delle principali attività geotopocartografiche in Roma, a cura di A. Cantile, Suppl. al N. 6/2000 (a. LXXX) di "L'Universo", Istituto Geografico Militare, Firenze.
[5] ASR, Ministero del Commercio, Belle Arti, Industria, Agricoltura e Lavori Pubblici. Sezione V. Titolo I. Articolo I. Monumenti (1855-1870). B. 363 f. 6.
[6] Cfr. S. Quilici Gigli, Gli sterri per la costruzione dei forti militari, in L'archeologia in Roma Capitale tra sterro e scavo, 1983, pp. 89-98; ASR, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, I versamento(1860-1890) B. 131 (già 83) f. 215.
[7] Per gli scavi al Forte Appio: G. Fiorelli, NSc (1877), 272; R. Lanciani, NSc (1878), 67, 134-136, 164-166, 369-370; Id., NSc (1879), 15-16; Id., BCom (1878), 107-119; Id., BCom (1880), 46-48; G. Mancini, NSc (1913), 119; E. Gatti, NSc (1919), 46-47); anche Lexicon Topograficum Suburbium Urbis Romae, p. , v. Appia (S. Mineo).
[8] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 420 (già 502), f. 4651 (il fascicolo contiene numerosi documenti sugli interventi urgenti da eseguirsi per la manutenzione della via Appia tra il 1880 e il 1896).
[9] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897), B. 420 (già 502), f. 4651, il fascicolo contiene copia dell'articolo.
[10] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897), B. 420 (già 502), f. 4651, lettera del 18 agosto.
[11] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897), B. 420 (già 502), f. 4651, lettera del 24 agosto.
[12] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897), B. 420 (già 502), f. 4651
[13] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897), B. 420 (già 502), f. 4651(presumibilmente marzo 1891)
[14] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664.
[15] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664, lettera del 13 novembre dell'ing. Adolfo Bergomi al Direttore Generale G. Fiorelli, con allegati (busta 13 fascicolo 619) tra cui la planimetria della Via Appia Antica e delle proprietà limitrofe in scala 1:2000.
[16]ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664, lettera del 10 luglio 1890.
[17] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664, lettera dell'11 luglio 1890.
[18] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664, lettera del 29 gennaio 1891 dell'avvocato Generale Erariale di Roma al direttore generale delle Antichità e Belle Arti Carlo Fiorilli.
[19] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664, allegato al documento interno del 31 marzo 1892 firmato direttore generale delle Antichità e Belle Arti C.Fiorilli per concertare con l'Avvocato Generale Erariale una linea politica sui varchi e i passaggi, contenente varie pratiche
[20] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664, lettera del 27 maggio 1893.
[21] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, II versamento, II serie (1891-1897) B. 422 (già 503), f. 4664, lettere del 12, 13, 21, 24, 29 aprile e del 6 , 31 maggio, 3 giugno e 1 luglio 1892.
[22] Per l'editto:A. Emiliani, Leggi, bandi e provvedimenti per la tutela dei Beni Artistici e Culturali negli antichi stati italiani (1571-1869), pp. 100-111.
[23] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, I divisione (1908-1924), B. 560, f. 2862.
[24]Continua tuttavia il carteggio sul problema dei varchi e passaggi per i quali la Direzione del Ministero esprime sempre parere contrarissimo con la motivazione che la "via cesserebbe di avere il carattere di proprietà riservata e di esclusivo uso del demanio pubblico", fra l'altro ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, I divisione (1908-1912), B. 170, fasc.2951, lettera del 30 ottobre 1907 del direttore dell'Ufficio Tecnico per la conservazione dei Monumenti di Roma, Aquila e Chieti, D. Marchetti al Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti C. Ricci.
[25] ACS, Ministero della Pubblica Istruzione. Direzione Generale Antichità e Belle Arti, I divisione (1908-1912), B.138, fasc. 2643.