Un'esortazione a piantare alberi, non tanto e solo ai singoli cittadini, ogni organizzazione di qualunque natura e orientamento, ad ogni azienda pubblica o privata, alla straordinaria rete di comuni e regioni d’Italia, al governo nazionale. Obiettivo: piantare 60 milioni di alberi il prima possibile. Qui l'appello.
IL DIRITTO DI CAMBIARE:
UN HABITAT SANO E VIVIBILE
Siamo un gruppo di urbanisti, architetti, agronomi, ecologi, ambientalisti, attivisti dei movimenti per difesa del territorio e dei beni comuni, per la giustizia ambientale e il diritto alla città.
Chiediamo a tutte e a tutti di usare anche queste elezioni per segnare una inequivocabile svolta nelle politiche territoriali. Non è più il tempo di tergiversare. Cambiamenti climatici, inquinamenti, perdita della biodiversità e della fertilità dei suoli, rarefazione delle risorse naturali, devastazione del paesaggio, emarginazione dei soggetti più fragili, la lotta di tutti contro tutti ci dicono che il nostro habitat è prossimo al collasso.
L’ambiente in cui viviamo è il risultato di un rapporto tra le attività umane e la natura. E’ il risultato delle scelte funzionali, proprietarie e fruitive implicite nelle politiche di un paese.
In Italia, la dimensione fisica, territoriale e ambientale delle scelte politiche è stata ignorata. A guidare le trasformazioni urbane sono state solo le forze economiche di mercato, le rendite immobiliari e finanziarie. Nel nostro paese non vi è mai stata una visione strategica per un uso ecosostenibile e condiviso del territorio.
La pianificazione pubblica, che dovrebbe progettare la collocazione sul territorio delle diverse sedi per le attività umane è stata delegittimata per lasciare campo libero alle singole iniziative immobiliari, alle “grandi opere”, all’urbanizzazione selvaggia.
La produzione legislativa e amministrativa ha accentuato la de-regolazione e lo smantellamento del ruolo della pianificazione urbanistica.
Il percorso di cambiamento ha bisogno di attingere agli elementi di speranza che oggi sono riscontrabili nei comitati, nei movimenti, nelle associazioni e nelle pratiche dal basso che agiscono in difesa dei territori, dell'agricoltura contadina, contro il consumo di suolo, le privatizzazioni dei beni pubblici e la dilapidazione delle risorse naturali.
Da queste esperienze arrivano importanti idee da raccogliere: dal concetto di bene comune a quello di diritto alla città e di giustizia ambientale, dai quali emerge l’imperante necessità di:
- interrompere la dipendenza della società dalla logica del mercato capitalistico ed affermare delle scelte nelle quali siano posti al centro i bisogni umani, il valore d’uso dei beni, la costruzione di un habitat che rispetti e curi il patrimonio naturale e storico
- (ri) conquistare la politica partendo dal basso, dagli abitanti e dai problemi concreti che li accomunano, restituendo quindi la sovranità al popolo.
Un’idea di ciò che occorre fare è espresso nel programma elettorale di POTERE AL POPOLO!, diretta espressione delle tante battaglie, istanze, e vertenze provenienti da comitati e movimenti territoriali:
- un radicale cambiamento di indirizzo degli investimenti pubblici. Le risorse finanziarie destinate alle missioni militari, alle “grandi opere” (come il MOSE, la TAV in Val di Susa, la Pedemontana) e ad altri progetti ambientalmente dannosi (come la TAP, le trivellazioni petrolifere, l’eolico selvaggio), in quanto dispendiosi, devastanti, spesso del tutto inutili che impoverisco territori e indebitano i cittadini, dovrebbero essere destinati al benessere di tutti gli abitanti;
- un massiccio programma di manutenzione e cura del patrimonio naturale, infrastrutturale ed edilizio, a partire della messa in sicurezza idrogeologica e sismica;
- centralità della salute ambientale nelle scelte di sviluppo economico, culturale e sociale: dalla tutela della qualità dell’aria e dell’acqua alla sovranità e qualità alimentare; dall’eliminazione dell’energia da combustibili fossili e altre fonti ambientalmente dannose, alla bonifica dei siti inquinati, dal potenziamento di una mobilità sostenibile e il trasporto pubblico allo stop del consumo di suolo; dalla ripubliccizazione della acqua, a una gestione dei rifiuti basata sulla loro riduzione, riuso e riciclo;
- priorità della vivibilità delle città sugli interessi della rendita: da un piano di riqualificazione delle periferie a un potenziamento dei servizi pubblici, da un piano straordinario di alloggi sociali a una nuova legge per il controllo degli affitti; da una pianificazione democratica dei territori e un reale decentramento delle decisioni al prevalere delle virtù sociali della cooperazione, solidarietà, mutualismo e valorizzazione delle differenze.
L’irresponsabile miopia delle classi dirigenti ancora oggi governanti non ammette mezze misure: l’unico cambiamento radicale è il voto alla nuova lista di Potere al Popolo!
Per aderire all'appello
Inviare nome e cognome a Ilaria Boniburini
Promotori
Ilaria Boniburini
Paolo Cacciari
Eddy Salzano
Sergio Brenna
Guido Viale
Enzo Scandurra
Firmatari
Maurizio Acerbo
Ilaria Agostini
Gualtiero Alunni
Daniella Ambrosino
Amalia Apa
Giuseppe Aragno
Simonetta Astigiano
Paolo Baldeschi
Massimo Barbaglio
Paolo Barone
Maria Carla Baroni
MariaSole Benigni
Fabrizio Bertini
Piero Bevilacqua
Gabriella Bianco
Davide Biolghini
Giuseppe Biondi
Giorgio Boratto
Alessio Brancaccio
Sergio Brenna
Roberto Budini Gattai
Maria Grazia Campari
Antonio Luigi Cannoletta
Marisa Caputi
Tiziano Cardosi
Antonio Castronovi
Carlo Cellamare
Lucia Ciarmoli
Laura Cima
Angelo M. Cirasino
Stefania Cirio
Riccardo Clerici
Flavio Cogo
Giancarlo Consonni
Licia D'Anella
Lidia Decandia
Chiara De Dominicis
Vittoria De Dominicis
Marina De Felici
Vezio De Lucia
Maurizio De Zordo
Francesco Di Cataldo
Giuseppe Di Fazio
Laura di Lucia Coletti
Renato Di Nicola
Enzo Di Salvatore
Paola Errani
Maria Fabrizio
Luigi Fasce
Stefano Fatarella
Salvatore Ferrante
Eliana Ferrari
Antonio Fiorentino
Gallelli Cecina
Giorgio Gallo
Cristiano Gasparetto
Angelo Genovese
Gruppo urbanistica per Unaltracittà-Firenze
Athos Gualazzi
Maria Pia Guermandi
Massimiliano Guerrieri
Licia Infriccioli
Cosimo Invidia
Susanna Kuby
Gianfranco Laccone
Teresa Lapis
Salvatore Lihard
Laura Lobina
Giuseppe Lombardo
Raymond Lorenzo
Simone Lorenzoni
Antonio Luongo
Angela Mancuso
Elisa Marini
Antonella Marras
Alessandro Martelli
Luciano Mazzolin
Elena Mazzoni
Rossana Melito
Lodovico Meneghetti
Bruna Mestrini
Piero Muò
Giuseppe Musolino
Tiziana Nadalutti
Annalisa Nardi
Giorgio Nebbia
Paula Nolff
Mario Ori
Elisabetta Pandolfini
Aldo Pappalepore
Fausto Pascali
Vincenzo Pellegrino
Luigi Piccioni
Jusith Pinnock
Giorgio Pizziolo
Lucy Pole
Daniela Poli
Cristina Quintavalla
Roberta Radich
Nanni Ricci
Nicola Ricciardi Giannoni
Ezio Righi
Maria Pia Robbe
Piergiorgio Rocchi
Irene Rui
Giuseppe Ruiu
Daniela Sacelli
Ruba Saleh
Maurizio Sarti
Giovanni Serni
Piero Serniotti
Monica Sgherri
Marco Simoniato
Mario Sommella
Andrea Spallato
Ugo Sturlese
Graziella Tonon
Marino Trizio
Maria Concetta Tumeo
Vittorio Turco
Daniele Vannetiello
Simonetta Venturini
Giuseppe Claudio Vitale
Maria Rosa Vittadini
Stefano Zenoni
Guido Zentile
Alberto Ziparo
Giustiziaed eguaglianza contro il razzismo:
A Buon Diritto
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A MM-Archivio delle memorie migranti
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A.C.S.E. (Associazione Comboniana Servizio Emigrati e Profughi)
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Action Aid
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ADIF (Associazione Diritti e Frontiere)
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Africa Unite
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Agenzia Habeshia
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Alleanza popolare per la democrazia e l'uguaglianza - Bologna
|
Altramente
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Amnesty International Italia
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Antigone
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AOI
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Arci
|
Arcigay Napoli
|
Arcs
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ARS (Associazione per il rinnovamento della sinistra)
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Articolo 3 Osservatorio sulle discriminazioni
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ASGI
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ASI (Associazione solidarietà internazionale)
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Asinitas Onlus
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Assemblea Antirazzista Antifascista - Vicofaro/Pistoia
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Associazione "Joy e gli altri"
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Associazione PAPANGO
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Associazione "Con...Officine Gomitoli"
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Associazione “CittàVisibili” Firenze
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Associazione A Sud
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Associazione Chi rom e...chi no
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Associazione CIAC onlus di Parma
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Associazione Cultura è Libertà
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Associazione culturale LA COORTE di Campi Salentina (LE)
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Associazione culturale la festa dei folli
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Associazione Dhuumcatu
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Associazione d'iniziativa politica e culturale "IN COMUNE"
|
Associazione Gylania di Perugia
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Associazione Insieme Onlus di Vicchio Firenze
|
Associazione Italia - Nicaragua
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Associazione K_Alma
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Associazione Laboratorio 53 Onlus
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Associazione Laura Lombardo Radice
|
Associazione Le Mafalde Prato
|
Associazione Linearmente Onlus
|
Associazione Marco Mascagni
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Associazione Maschile Plurale
|
Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba
|
Associazione nazionale di solidarietà con il popolo Sahrawi (ANSPS)
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Associazione Nazionale Giuristi Democratici
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Associazione per la Pace Nazionale
|
Associazione Spazio Libero
|
Associazione Sucar Drom
|
Associazione Transglobal
|
Associazione Voci della Terra
|
Associazione Welcome in Val di Cecina ONLUS
|
AssoPacePalestina
|
Attac Italia
|
Baobab Experience
|
Bottega Equosolidale "Tutta n'ata storia" - Nocera Inferiore (SA)
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Camera del Lavoro CGIL Rieti Roma Est Valle dell'Aniene
|
Campagna LasciateCIEntrare
|
Campo Progressista
|
Casa Internazionale delle Donne
|
Casetta Rossa
|
Centro Riforma dello Stato
|
Cesv (Centro di Servizio per il Volontariato).
|
Cild
|
CIPSI
|
Circolo culturale cerco...piteco di Roma
|
Circolo culturale left / Vibra di Modena
|
Cittadinanza e Minoranze
|
Cittadinanzattiva
|
Cnca
|
Coalizione Civica di Bologna
|
Coalizione Sociale - L'Aquila
|
Cobas
|
Comitato 3e32 - L'Aquila
|
Comitato Accoglienza Solidale Castelnuovo di Val di Cecina
|
Comitato Aqcua pubblica Nocera Inferiore
|
Comitato Fiorentino Fermiamo la Guerra
|
Comitato Organizzatore "Convegno Libertà delle donne 21 sec. "
|
Comitato per gli Immigrati e contro ogni forma di discriminazione
|
Comitato Popolare Antirazzista Milet Tesfamariam Genova
|
Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos
|
Comune-info.net
|
Comunità Cristiana di Via Caldieri
|
Coop. Agorà Kroton
|
Coop. Gea Irpina Impresa Sociale Fattoria Sociale Onlus
|
Cooperativa Be free
|
Cooperativa Sociale Dedalus
|
Cooperativa Sociale La Nuova Arca
|
Coordinamento Basta morti nel Mediterrraneo - Firenze
|
Coordinamento genitori democratici di Roma
|
Coordinamento nord sud del mondo
|
Coordinamento per la democrazia Costituzionale
|
Coordinamento per la Democrazia Costituzionale di Roma
|
COSPE
|
Cotrad Cooperativa Sociale - Onlus
|
Cultura è libertà
|
Donne in rete per la rivoluzione gentile
|
E Zezi gruppo operaio
|
Emergency
|
Emmaus Italia
|
Ex Opg - Je So Pazzo
|
Filef (Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie)
|
Fiom-Cgil
|
Flc Cgil
|
Focus-Casa dei Diritti Sociali
|
Fondazione Cercare Ancora
|
Forum Droghe onlus
|
Forum Permanente del Sostegno a Distanza - Forumsad Onlus
|
ForumSad Italia
|
Gesco
|
Giornale "Il Bolscevico"
|
Giuristi Democratici di Roma
|
Greenpeace Italia
|
Gruppo Abele
|
gruppo Murga Sincontrullo
|
Gruppo PaLaDe (sez. Roma nordovest Alleanza per la Democrazia e l'Uguaglianza)
|
Gruppo promotore della DIP (Dichiariamo Illegale la Povertà)
|
Italiani senza cittadinanza
|
Kumpania impresa sociale
|
l'Altra Europa con Tsipras
|
LegaCoopSociali Nazionale
|
Legambiente
|
Libera
|
Libertà e Giustizia
|
Link Coordinamento Universitario
|
Lunaria
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Medici Senza Frontiere
|
MEDU
|
Movimento Consumatori
|
Movimento Nonviolento
|
Nelpaese.it
|
Noi Siamo Chiesa, movimento per la riforma della Chiesa cattolica
|
Osservatorio Migranti di Basilicata
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Pmli
|
Possibile
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Prc S.E
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Progetto Diritti
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Progetto Ubuntu Firenze
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Radicali italiani
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Redazione periodico Lavoro e Salute
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Reorient Onlus
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Rete Antirazzista Fiorentina
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Rete degli Operatori e delle Operatrici Sociali
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Rete degli Studenti Medi
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Rete della Conoscenza
|
Rete della Pace
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Rete delle Città in Comune
|
Rete ECO - Ebrei contro l'occupazione
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Rete italiana delle Donne in Nero
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Rete nazionale "Educare alle differenze"
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Rete Primo Marzo
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Rete Radiè Resch
|
Rete Scuole Migranti
|
ReteRomana Palestina
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S.E.I. Sindacato Emigranti e Immigrati
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Senzaconfine
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Servizio Civile Internazionale
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Sinistra Italiana
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SOS Razzismo Italia
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Sprar "Valeria Solesin" (AV)
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Sud Pontino Social Forum
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Train to Roots
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Uds
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Udu
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Uisp
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Un ponte per...
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Una città in comune Pisa
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Unione Sindacale Italiana fondata nel 1912
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UsACLI
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WILPF Italia
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eddyburg aderisce all'appello "Sosteniamo Margherita, punita per aver salvato "i Caraibi d'Italia" da uno scempio edilizio" e invita a sottoscriveres:(link in calce.19 settembre 2017.
Margherita Corrado è un'archeologa che in contesto difficile ha avuto il coraggio di denunciare un disastro ambientale: ora per ritorsione le viene impedito di lavorare. Facciamole sapere che non è sola. Ministro Franceschini, intervenga!
Un altro scandalo si sta consumando in Calabria. Margherita Corrado, l’archeologa che aveva fermato con le sue denunce la distruzione del paradiso naturale di Punta Scifo, ha ricevuto un’interdizione al lavoro come professionista, oltre che una denuncia per diffamazione, dallo stesso soprintendente per i beni archeologici sotto accusa (qui l'articolo di La Repubblica) per lo sfregio della costa e per falso ideologico.
Si tratta di un atto inqualificabile contro una cittadina e archeologa che ha osato opporsi al sistema di connivenze e inadempienze che aveva permesso l'avvio dei lavori nell'area ora sotto sequestro (qui la denuncia di L'Espresso). Altri articoli dei media, negli ultimi 3 giorni raccontano della solidarietà dei cittadini e degli addetti ai lavori.(qui l'articolo del Corriere della Calabria dell'11/09/2017)
Non lasciamo sola Margherita!
Firma anche tu questa petizione per chiedere al Ministro Franceschini di intervenire subito per porre fine a questa ingiustizia!
#fermiamoquestoSCIFO
La storia: Gli imprenditori Scalise erano riusciti nel 2012 a iniziare la costruzione di un enorme complesso turistico nel paradiso naturale di Punta Scifo, spacciandolo per un piccolo agriturismo. Il soprintendente in questione, Mario Pagano, non aveva avuto un ruolo secondario nella vicenda. Proprio grazie alle denunce e al dossier di Margherita Corrado, infatti, è stato travolto insieme ad altre 7 persone dalle indagini della procura di Crotone, accusato tra l’altro di falso ideologico in atto pubblico, per aver comunicato al Ministero (per sostenere l’ineluttabilità dell’abuso perpetrato) che tutti i 79 bungalow del complesso erano già stati realizzati, quando ciò non era vero.
Era il “capo” di Margherita e gliel’ha fatta pagare cara. Prima denunciandola per diffamazione presso la procura di Torre Annunziata, poi imponendo a tutti i suoi sottoposti, tramite una circolare, di non farla più lavorare.
Non lasciamola sola!
A Buon Diritto
Antigone onlus
CGIL
Cnca (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza)
Comunità San Benedetto al Porto
Forum Droghe
Funzione Pubblica CGIL
Itardd (Rete Italiana Riduzione del Danno)
La Società della Ragione onlus
Legacoop sociali
Lila (Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids)
L'Isola di Arran
Presidenza onoraria Gruppo Abele
Il Piano paesaggistico della Sardegna (2006), obbligatorio secondo il Codice dei beni culturali e del paesaggio, è strumento indispensabile per la difesa delle coste dell'Isola e ottimo esempio per altre esperienze di pianificazione. In questi dieci anni ha resistito al referendum abrogativo contro la legge “Salvacoste” del 2004, suo presupposto, e a numerosissimi ricorsi presso i tribunali amministrativi oltre che al goffo tentativo di cancellarlo da parte del governo di Ugo Cappellacci.
L'attuale governo di centrosinistra ha dato il via, nell’aprile 2015, a un piano-casa nella logica di Berlusconi, mentre nel marzo scorso ha approvato un disegno di legge con l'idea di “snellire” e “semplificare” i procedimenti, con gravi deroghe al PPR in violazione dell’art. 9 della Costituzione.
La legge, se sarà approvata, sarà certamente dichiarata incostituzionale, ma nel frattempo produrrà la destabilizzazione della tutela del territorio dell'Isola, con effetti devastanti specialmente nella fascia costiera.
L’obiettivo del Ddl è soprattutto evidente in alcuni articoli che darebbero vita a un programma derogatorio durevole, con l'ampliamento di alberghi a pochi passi dal mare (art. 31), favorendo grandi progetti pure in contrasto con il PPR (art. 43), con l'aumento delle volumetrie turistiche già dimezzate da precedenti disposizioni (art. A4). Ma sono tanti altri i contenuti inaccettabili della normativa, ad esempio sull'uso delle aree agricole.
Allo stesso obiettivo di allontanamento dalla vigente disciplina di tutela vanno ascritte le insostenibili critiche mosse da esponenti della Giunta regionale al soprintendente Fausto Martino, al quale va la nostra solidarietà e il nostro apprezzamento per la benemerita azione che svolge in difesa dei beni culturali dell'Isola.
Sono queste le ragioni dell’appello che sottoponiamo al presidente Francesco Pigliaru chiedendogli di confermare il livello di tutela previsto dal PPR, da estendere alle zone interne, sospendendo nel frattempo l'iter di approvazione del Ddl, avviandone il riesame alla luce delle numerose e autorevoli critiche espresse in questi mesi.
Paolo Berdini, Piero Bevilacqua, Graziano Bullegas, Stefano Deliperi, Vezio De Lucia, Tore Dessena, Vittorio Emiliani, Maria Pia Guermandi, Paolo Maddalena, Antonietta Mazzette, Tomaso Montanari, Maria Paola Morittu, Sandro Roggio, Edoardo Salzano, Tore Sanna, Alessio Satta, Salvatore Settis, Carmelo Spada
Settembre 2017
Le adesioni possono essere inviate alla Consulta delle associazioni ambientaliste della Sardegna consulta.sardegna@tiscali.itonsulta.sardegna@tiscali.it
Circola ancora quella proposta di legge nazionale inutile, sponsorizzata da molte brave persone, che prevede la lotta al consumo di suolo mediante una legge assolutamente priva di efficacia. Non si caschi di nuovo nella trappola.
Nell’intenzione lodevole di combattere il consumo di suolo, il Forum Salviamo il paesaggio ha predisposto una proposta di legge nazionale che ha fatto circolare in questi giorni, per raccogliere eventuali modifiche.
Per comprendere meglio, vi invitiamo a rileggere la proposta di eddyburg del 3 giugno 2013.
Nell’accogliere questo appello di Anna Falcone e Tomaso Montanari, vogliamo promuovere un incontro pubblico per avviare qui a Roma un percorso verso quell’Alleanza popolare indicata dall’assemblea nel Teatro Brancaccio del 18 giugno scorso. Pur se provenienti da esperienze diverse, siamo persone da sempre impegnate nelle battaglie per la democrazia e l’uguaglianza e sentiamo l’esigenza, oltreché la responsabilità, di ricostruire un pensiero critico e sviluppare un’iniziativa sociale, in alternativa all’attuale quadro politico cittadino.
In una città impoverita e sfiduciata, in cui non si vedono all’orizzonte neanche gli esordi di politiche pubbliche che si propongano di affrontare gli squilibri e i dissesti dell’oggi, né di delineare i risanamenti e le strategie per il domani. E dove aumentano le diseguaglianze economiche, la fatica e la solitudine delle donne, cresce il degrado materiale; i servizi pubblici si riducono e si deteriorano, tra mancanza di risorse e gestione approssimata; il lavoro diminuisce e fa aumentare la disoccupazione, la sottoccupazione, il precariato, il lavoro nero; il patrimonio pubblico, il territorio, l’ambiente e i beni culturali alla mercé dei poteri privati.
E se il centrosinistra ha definitivamente esaurito la sua traiettoria politica, consegnandosi al mercato e lasciandosi contagiare dalla corruzione, anche la nuova esperienza cinquestelle non sembra in grado di corrispondere adeguatamente ai bisogni della città, tra inconsistenze e dilettantismi, oltre a quel meschino riflesso culturale che la spinge verso derive perbeniste, se non razziste.
La città rischia di perdersi.
Roma ha un disperato bisogno di tornare a respirare e di ritrovare una speranza. Ha bisogno di una politica nuova. Una politica che accolga tutti e tutte e non lasci indietro nessuno; che costruisca vivibilità e non paura; che rispetti i diritti sociali e promuova il lavoro; che non faccia mercato del proprio territorio; che salvaguardi i beni comuni e non svenda il suo patrimonio; che non realizzi grandi opere inutili, ma investa sulla manutenzione della città e delle sue bellezze; che usi le imposte e le tariffe per redistribuire la ricchezza e per finanziare e gestire servizi pubblici. Una politica insomma che salvaguardi Roma e le dia un futuro di crescita economica e serenità sociale.
C’è bisogno di un’alternativa, di un nuovo progetto di società che guardi ai valori civili e sociali della Costituzione e superi i confini dei partiti tradizionali. Un progetto che unifichi le aspirazioni di chi avverte l’urgenza di impegnarsi al servizio della democrazia.
Tanti e tante, ci auguriamo, saranno protagonisti di questo percorso. Noi vogliamo essere solo un inizio, un innesco per cominciare insieme a parlare di noi e della nostra città. Vediamoci il prossimo 10 luglio alle 17, alla Casa internazionale delle donne, in Via della Lungara 25.
Prime firme:
Giuliana Aliberti, Andrea Baranes, Andrea Costa, Vezio De Lucia, Francesca Fornario, Francesca Koch, Roberto Giordano, Sandro Medici, Maurizio Messina, Roberto Morea, Roberto Musacchio, Rita Paris, Bianca Pomeranzi, Alessandro Portelli, Enrico Pugliese, Rosa Rinaldi, Giulia Rodano, Bia Sarasini, Enzo Scandurra, Anna Simone, Tina Stumpo, Francesco Sylos Labini, Stefania Tuzi
Per aderire:
civediamoildieci@gmail.com
evento facebook: www.facebook.com/events/1913965345555364
altreconomia online, 15 giugno 2017 (c.m.c.)
Lo scorso maggio è stata approvata dal Senato (195 voti a favore, 8 contrari) una proposta di legge sull’introduzione del reato di tortura nell’ordinamento giuridico italiano. Si tratta di un provvedimento atteso da molto tempo ma che, nella sua formulazione attuale si pone in totale contraddizione con la convenzione Onu sulla tortura e con le indicazioni contenute nella sentenza di condanna contro l’Italia della Corte europea per i diritti umani del 7 aprile 2015 (Cestaro vs Italia per il caso Diaz).
Un testo “provocatorio e inaccettabile” che non produrrà nessun cambiamento. Una “legge truffa” come scrivevano – tra gli altri – Lorenzo Guadagnucci, Enrico Zucca e Ilaria Cucchi in un appello diffuso all’indomani dell’approvazione della legge al Senato. Di questa norma, che sembra essere stata scritta appositamente per non essere applicata, si è discusso ieri a Roma durante il convegno “Legittimare la tortura“, che ha visto la partecipazione di giuristi, studiosi, vittime di tortura e attivisti per i diritti umani.
Dite no a questa legge che legittima la tortura
Siamo operatori del diritto, studiosi, testimoni di tortura e ci rivolgiamo ai parlamentari chiamati a discutere il 26 giugno prossimo il testo di legge sulla tortura approvato nel maggio scorso al Senato, per chiedere di fermarsi.
Chiediamo di non approvare quel testo, perché sbagliato e inefficace, destinato a produrre un effetto perverso, ossia legittimare alcune forme di tortura, forse la maggior parte delle forme di tortura praticate in Italia e nel mondo, a cominciare da casi noti del passato come quelli avvenuti alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto nel 2001 a Genova, e come la tortura psichica, che diventerebbe pressoché impunibile a causa della formulazione scelta dai senatori (il “verificabile trauma psichico” è un concetto fuorviante e ingannevole).
Il testo di legge in discussione sembra concepito contro le vittime di tortura anziché a loro tutela, ed è in palese antagonismo con le prescrizioni della Corte europea per i diritti umani, a cominciare da quelle contenute nella sentenza dell’aprile 2015 sul caso Diaz (Cestaro contro Italia). Se il testo uscito dal Senato diventasse legge, l’Italia si allontanerebbe ulteriormente dagli standard democratici internazionali e sancirebbe – di fatto – la fuoriuscita del nostro paese dalla Convenzione europea per i diritti umani.
Chiediamo quindi al Parlamento di non approvare il testo uscito dal Senato e di riaprire la discussione a partire dalla formulazione della Convenzione Onu contro la tortura e dalla giurisprudenza della Corte europea sui diritti umani. È un percorso possibile e necessario, realizzabile in tempi brevi da un Parlamento che si proponga l’obiettivo di adeguare il nostro ordinamento a ciò che l’esperienza storica e la giurisprudenza in materia di tortura ci consegnano.
Le forze di polizia italiane hanno il diritto di confrontarsi con una normativa rigorosa, dalla quale non hanno nulla da temere. Il testo oggi in esame sembra invece ritenere che le forze dell’ordine italiane non possano sopportare una normativa che corrisponda ai criteri più avanzati e accettati nelle democrazie moderne.
Una cattiva legge in questo caso non è meglio di niente: è piuttosto un passo falso che fa arretrare l’impegno storico di ogni democrazia contro gli abusi di potere e in particolare contro il più odioso degli abusi, qual è la tortura.
Firmatari
Don Luigi Ciotti, presidente di Libera
Enrico Zucca, sostituto procuratore generale a Genova, già pm nel processo “Diaz”
Roberto Settembre, già giudice nel processo d’appello per i fatti di Bolzaneto Lorenzo Guadagnucci, comitato Verità e giustizia per Genova
Michele Passione, avvocato del foro di Firenze
Adriano Zamperini, università di Padova, autrice di “Violenza e democrazia” Marialuisa Menegatto, università di Padova, autrice di “Violenza e democrazia”
Marina Lalatta Costerbosa, università di Bologna, autrice di “Il silenzio della tortura”
Vittorio Agnoletto, già portavoce del Genova Social Forum
Donatella Di Cesare, università di Roma La Sapienza, autrice di “Tortura” Tomaso Montanari, presidente Libertà e Giustizia
Ilaria Cucchi, associazione Stefano Cucchi
Mauro Clerici, sostituto procuratore di Milano
Pietro Raitano, direttore, e la redazione della rivista Altreconomia
la Repubblica online, 4 giugno 2017 (p.d.)
L'alta partecipazione al referendum costituzionale del 4 dicembre, confrontata con il crescente astensionismo alle elezioni politiche, ha dimostrato che esistono milioni di elettori che attendono proposte sulle quali sono disposti a mobilitarsi quando non si tratta semplicemente di essere convocati o, meglio, utilizzati in operazioni di potere da cui sono lontani, che non li interessano più e che spesso nemmeno comprendono. Essi sono una risorsa della democrazia e una forza potenziale di rinnovamento della politica.
Solo cerchie chiuse di potere possono non curarsi del progressivo restringersi della partecipazione politica e perfino rallegrarsene, fino a quando non verrà per loro il momento di dover constatare su quanto fragili basi sociali poggia il sistema di potere che hanno costruito. Per questo, Libertà e Giustizia ritiene necessaria una proposta che possa motivare politicamente i cittadini, dando loro una prospettiva per la quale valga la pena di impegnarsi politicamente, a incominciare dal prossimo appuntamento elettorale.
A fronte del tanto sbandierato rinnovamento, il Partito Democratico si logora in tattiche di sopravvivenza, incurante della sua tradizione riformatrice e della sua storia, una storia che fu a favore della giustizia sociale e contro il privilegio. La riproposizione dell'alleanza con il partito Forza Italia, presentata come necessaria nel prevedibile quadro politico post-elettorale, non fa che confermare il forse definitivo mutamento di natura in atto in quel Partito. Si prospetta il ritorno a un passato tutt'altro che glorioso, segnato da interessi inconfessabili, da scandali che non finiscono di indignare e da conseguenti manovre per impedirne la conoscenza e la discussione nel dibattito pubblico. Per questo Libertà e Giustizia invita all'impegno pubblico coloro che avvertono l'urgenza di una politica per l'uguaglianza nella società e per la trasparenza nella politica.
I maggiori partiti si presentano ai cittadini non con i tratti della partecipazione dei cittadini, ma con quelli della personalizzazione nella figura del capo, cui fanno seguito corteggi di seguaci che dal capo sperano d'ottenere gratificazioni. Piccole oligarchie di partito formano tra loro un'oligarchia grande e autoreferenziale. Per questo Libertà e Giustizia ritiene essere il momento di tentare di scoperchiare un sistema di potere chiuso che, per coloro che non vi sono dentro, è divenuto irrespirabile.
La grottesca e vergognosa vicenda che ha portato alla legge elettorale in discussione in questi giorni è la dimostrazione d'una classe politica che si sente assediata e, invece di aprirsi alla democrazia, se ne difende rinchiudendosi sempre più su se stessa. La legge elettorale dovrebbe essere fatta per i cittadini e, invece, sarà fatta per gli interessi di partito, secondo i sondaggi. S'era detto no al Parlamento dei nominati e saranno tutti nominati. S'era detto no alle liste bloccate e per metà saranno bloccate e per l'altra metà non ci sarà bisogno di bloccarle perché non ci saranno proprio. S'era detto, no alle candidature plurime e sono rimaste. S'era detto no alle nomenclature di partito garantite e inamovibili e ce le troveremo tali e quali, anzi più forti che mai. Si può discutere sull'opportunità di ritornare alla proporzionale, ma questo sistema è di per sé uno scandalo. Lo si può subire in silenzio, magari decidendo di non farsene complici astenendosi dal voto. Oppure si può decidere di non stare al gioco. Libertà e Giustizia sosterrà coloro che prenderanno iniziative per cambiarlo.
A questo quadro piuttosto desolante è prevedibile che, se rimarrà invariato, la risposta sarà ancora più astensionismo, proprio quando, il 4 dicembre, abbiamo constatato il desiderio di partecipazione soprattutto della parte più debole del nostro Paese: poveri e giovani che chiedono di contare ai quali si risponde, invece, rafforzando le oligarchie. L'associazione Libertà e Giustizia, sollecitata in questo senso da molti dei suoi aderenti, ritiene doveroso tentare una proposta che colmi il vuoto di rappresentanza e che offra agli elettori una identità politica chiara nel senso della giustizia sociale, dell'istruzione e della salute pubbliche, della lotta alla corruzione, della difesa dei beni comuni dal loro sfruttamento privatistico, della partecipazione: in una parola, il patrimonio di valori che sono nella Costituzione ai quali si può guardare per un "futuro" che non sia chiacchiera e slogan, ma progetto di società concreta.
La nostra Associazione non ha mai preso parte direttamente alle contese elettorali né si è mai candidata a qualche cosa. Conformemente alla sua natura culturale, non lo farà nemmeno ora. Ma, la sua è "cultura politica" e ciò la obbliga a dire che la più vasta possibile unione che sorga fuori dei confini dei partiti tradizionali tra persone che avvertano l'urgenza del momento e non siano mosse da interessi, né tantomeno, da risentimenti personali, è necessaria, come servizio nei confronti dei tanti sfiduciati nella politica e nella democrazia. In questo senso e a queste condizioni, essa è pronta a partecipare al dibattito e alle iniziative che si renderanno necessarie in vista delle prossime elezioni.
Sandra Bonsanti, presidente emerito
Tomaso Montanari, presidente
Gustavo Zagrebelsky, presidente onorario
Comitato per il No nel Referendum Costituzionale, 16 novembre 2016
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L’Italia, facendo parte della Nato, deve destinare alla spesa militare in media 52 milioni di euro al giorno secondo i dati ufficiali della stessa Nato, cifra in realtà superiore che l’Istituto Internazionale di Stoccolma per la Ricerca sulla Pace quantifica in 72 milioni di euro al giorno.
Secondo gli impegni assunti dal governo nel quadro dell’Alleanza, la spesa militare italiana dovrà essere portata a oltre 100 milioni di euro al giorno. È un colossale esborso di denaro pubblico, sottratto alle spese sociali, per un’alleanza la cui strategia non è difensiva, come essa proclama, ma offensiva.
Già il 7 novembre del 1991, subito dopo la prima guerra del Golfo (cui la NATO aveva partecipato non ufficialmente, ma con sue forze e strutture) il Consiglio Atlantico approvò il Nuovo Concetto Strategico, ribadito ed ufficializzato nel vertice dell’aprile 1999 a Washington, che impegna i paesi membri a condurre operazioni militari in “risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza”, per ragioni di sicurezza globale, economica, energetica, e migratoria. Da alleanza che impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell’area nord-atlantica, la Nato viene trasformata in alleanza che prevede l’aggressione militare.
La nuova strategia è stata messa in atto con le guerre in Jugoslavia (1994-1995 e 1999), in Afghanistan (2001-2015), in Libia (2011) e le azioni di destabilizzazione in Ucraina, in alleanza con forze fasciste locali, ed in Siria. Il Nuovo concetto strategico viola i principi della Carta delle Nazioni unite.
Uscendo dalla Nato, l’Italia si sgancerebbe da questa strategia di guerra permanente, che viola la nostra Costituzione, in particolare l’articolo 11, e danneggia i nostri reali interessi nazionali.
L’appartenenza alla Nato priva la Repubblica italiana della capacità di effettuare scelte autonome di politica estera e militare, decise democraticamente dal Parlamento sulla base dei principi costituzionali.
La più alta carica militare della Nato, quella di Comandante supremo alleato in Europa, spetta sempre a un generale statunitense nominato dal presidente degli Stati uniti. E anche gli altri comandi chiave della Nato sono affidati ad alti ufficiali statunitensi. La Nato è perciò, di fatto, sotto il comando degli Stati uniti che la usano per i loro fini militari, politici ed economici.
L’appartenenza alla Nato rafforza quindi la sudditanza dell’Italia agli Stati Uniti, esemplificata dalla rete di basi militari Usa/Nato sul nostro territorio che ha trasformato il nostro paese in una sorta di portaerei statunitense nel Mediterraneo.
Particolarmente grave è il fatto che, in alcune di queste basi, vi sono bombe nucleari statunitensi e che anche piloti italiani vengono addestrati al loro uso. L’Italia viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione nucleare, che ha sottoscritto e ratificato.
L’Italia, uscendo dalla Nato e diventando neutrale, riacquisterebbe una parte sostanziale della propria sovranità: sarebbe così in grado di svolgere la funzione di ponte di pace sia verso Sud che verso Est.
Sostieni la campagna per l'uscita dell'Italia dalla Nato per un’Italia neutrale.
LA PACE HA BISOGNO ANCHE DI TE
per leggere la petizione e aderire cliccate qui: Petizione No Nato No guerra
Primi firmatari
Dinucci Manlio, giornalista
Fo Dario, Premio Nobel, autore e attore
Imposimato Ferdinando, magistrato
Zanotelli Alex, religioso
Minà Gianni, giornalista
Vauro, disegnatore
Chiesa Giulietto, giornalista
Fo Jacopo, scrittore
Vattimo Gianni, filosofo
Pallante Maurizio, saggista
Mazzeo Antonio, giornalista
Canfora Luciano, filologo
Gesualdi Francesco, saggista
Giannuli Aldo, docente universitario
Grimaldi Fulvio, giornalista
Celestini Ascanio, attore
Cacciari Paolo, esponente politico
Cardini Franco, storico
Cremaschi Giorgio, sindacalista
Losurdo Domenico, filosofo
Mazzucco Massimo, giornalista e regista
Riondino David, musicista
Zucchetti Massimo, docente universitario
hanno firmato anche
Albanesi Mario, giornalista
Alciator Chiesa Agostino, diplomatico
Alleva Piergiovanni, giuslavorista
Amoretti Scarcia Bianca Maria,docente universitaria
Francesco Zanchini, docente universitario
Dante Cattaneo, Sindaco di Ceriano Laghetto
Apicella Vincenzo, disegnatore
Barbarossa Romano, operaio Acciaierie Terni
Becchi Paolo, docente universitario
Belardinelli Alessandro, operaio Whirpool-Indesit
Benigni Glauco, giornalista
Bongiovanni Giorgio, direttore Antimafia2000
Boylan Patrick, cittadino USA, docente universitario
Brandi Vincenzo, ingegnere
Bottene Cinzia, attivista
Braccioforte Martino, operaio Riva Acciaio Terni
Brotini Maurizio, sindacalista
Bulgarelli Mauro, senatore
Cabras Pino, direttore Megachip
Cacciarru Alberto, operaio Alcoa Sulcis
Calderoni Maria Rosa, giornalista
Cao Mariella, attivista
Capuano Enrico, musicista
Castellani Mirko, operaio La Folgore Prato
Castrale Francesco, operaio Akerlund and Rausing
Catone Andrea, direttore rivista “MarxVentuno”
Cernigoi Claudia, storica
Cicalese Pasquale, economista
Cipolla Nicola, senatore
Cocco Giovanni, docente universitario
Correggia Marinella, ecopacifista Rete No War
Crippa Aurelio, senatore
Cristaldi Mauro, scienziato
D’Alessio Ciro, operaio Pomigliano d’Arco
D’Andrea Filomena, cantautrice
De Iulio Pier Francesco, direttore Megachip
De Lorenzo Francesco, ingegnere
De Santis Paolo, docente universitario
De Pin Paola, senatrice
D’Eliso Filippo, compositore
D’Orsi Angelo, docente universitario
Donati Mirko, operaio Teleco S.p.A.
Fisicaro Anita, attivista Rete No War
Franzoni Dom, teologo
Galli Giorgio, politologo
Gemma Mauro, direttore sito web “MarxVentuno”
Germano Roberto, scienziato
Giacomini Ruggero, storico
Giannini Fosco, senatore
Ginatempo Nella, attivista Rete No War
Girasole Mario, operaio Fiat Mirafiori
Girasole Tommaso, operaio Samar
Guidetti Serra Gabriella, attivista Casa Internazionale Delle Donne
Kersevan Alessandra, storica
La Grassa Gianfranco, giornalista
Macchietti Loredana, editore rivista 'Latinoamerica e tutti i sud del mondo'
Manisco Lucio, giornalista
Manca Luigi, operaio Carbosulcis
Manduca Paola, docente universitaria
Marino Luigi, direttore rivista “MarxVentuno”
Matiussi Dario, storico
Morese Giuseppe, operaio Thyssenkrupp Torino
Pagliani Piero, pensionato
Palermi Manuela, giornalista
Palombo Marco, attivista Rete No War
Pellegrini Ferri Miriam, giornalista
Pepe Bartolomeo, senatore
Pesce Delfino Vittorio, antropologo
Pesce Ulderico, attore e regista
Pullini Pierpaolo, operaio Fincantieri Ancona
Salzano Edoardo, urbanista
Severini Maurizio, musicista
Slaviero Paolo, insegnante
Spetic Stoyan, senatore
Spinelli Vladimiro, operaio Vibac
Steri Bruno, Ass. Ricostruire il PC
Viale Guido, scrittore
Vindice Lecis giornalista
Vlajic Gilberto, segretario Ass. Non Bombe ma solo Caramelle
Vitiello Giuseppe, scienziato
per leggere la petizione e aderire cliccate qui: Petizione No Nato No guerra
Siamo rimasti sconcertati nell’apprendere che l’amministrazione capitolina sta partecipando alla conferenza dei servizi della Regione Lazio per l’approvazione – in località Tor di Valle, al posto del vecchio ippodromo – di una mastodontica speculazione edilizia che in campagna elettorale il M5S aveva decisamente contrastato. Il progetto va sotto il nome di Stadio della Roma e comprende una pluralità di volumi edilizi per un totale di circa un milione di metri cubi di cui solo un quinto riguarda lo stadio e altre funzioni connesse alle attività sportive. Il resto sono tre grattacieli alti più di 200 metri e altri edifici destinati ad attività direzionali, ricettive e commerciali privi di rapporto funzionale con lo stadio ma destinati a compensare il costo delle opere infrastrutturali necessarie alla fruibilità dell’impianto sportivo. Il tutto su un’area in un’ansa del Tevere che il piano regolatore destina a verde sportivo attrezzato. Con il pretesto dello stadio si aggiunge insomma alla capitale un nuovo centro direzionale, non lontano dall’Eur, per iniziativa di un privato costruttore. Tra l’altro, senza che nessuno abbia spiegato che fine fanno lo stadio Olimpico e il vecchio stadio Flaminio ormai abbandonato. Per non dire della difficoltà a negare lo stesso trattamento a un eventuale richiesta di altri costruttori apparentati alla squadra della Lazio o ad altre società sportive.
All’origine dell'affare non c’è una organica “legge sugli stadi”, ma un comma inserito forzosamente all’ultimo momento nella legge di stabilità del 2014 (147/213, c. 304) nell’ambito del tradizionale maxiemendamento e quindi approvato solo grazie alla decisione del governo (Letta) di imporre il voto di fiducia. Il comma prevede che il Comune, se d’accordo con il proponente, dichiara “il pubblico interesse della proposta”. L’approvazione definitiva spetta alla Regione Lazio a seguito di un’apposita conferenza dei servizi.
Il proponente è il presidente della Roma James Pallotta che, tre mesi dopo l’approvazione della legge di stabilità, ha presentato il progetto dello stadio. L’intervento dovrebbe essere realizzato dalla società Eurnova di proprietà dell’imprenditore Luca Parnasi proprietario anche dell’ex ippodromo. Il 22 dicembre 2014 l’assemblea capitolina, con il voto favorevole della maggioranza che sosteneva il sindaco Marino, deliberò l’interesse pubblico dell’intervento fra le proteste del M5S, del comitato Salviamo Tor di Valle dal cemento e di altri. Nel giugno scorso Pallotta ha consegnato a Comune e Regione il progetto definitivo, ma la sindaca Virginia Raggi, invece di revocare come ci si aspettava la deliberazione di pubblico interesse, ha concordato con la Regione l’avvio della conferenza dei servizi, vincolandosi a un esito pressoché scontato di approvazione. Nello sconcerto di coloro, come chi sottoscrive quest’appello, che o speravano nel radicale cambiamento promesso da Raggi o che, pur non avendo votato M5S, auspicavano che insieme alle Olimpiadi venisse accantonato, subito e per sempre, anche il nuovo stadio.
Il manifesto, 10 settembre 2016
Quattordici delle maggiori organizzazioni di coltivatori e ambientalisti palestinesi hanno mandato un appello alla Coldiretti Veneto per chiedere che riveda la sua decisione di sponsorizzare e partecipare a Watec, convegno israeliano su questioni idriche che quest’anno si terrà dal 21 al 23 settembre a Venezia, per la prima volta in Europa. Tra i firmatari il Sindacato degli Agricoltori Palestinesi, la Rete delle ONG Ambientaliste Palestinesi e il Gruppo Idrologico Palestinese.
A motivare la richiesta, il ruolo dell’industria idrica israeliana «nelle gravi violazioni dei diritti umani e dei diritti relativi all’acqua» e la partecipazione a Watec di imprese che «svolgono un ruolo fondamentale nell’occupazione e nella colonizzazione» delle loro terre. Tra queste, Tahal Group International, il quale «costruisce impianti per il trattamento delle acqua reflue per le colonie israeliane», e IOSight, «che conta tra i suoi principali clienti la compagnia statale israeliana Mekorot, nota per l’appropriazione delle risorse idriche palestinesi e per le forniture di acqua alle colonie, così come Hagihon, coinvolta negli impianti di trattamento delle acque reflue per le colonie».
Nella lettera si sottolinea inoltre che proprio «nel controllo delle risorse idriche si manifesta una delle più evidenti violazioni del diritto internazionali legate all’occupazione illegale del nostro territorio» ad opera di Israele e delle colonie illegali in Cisgiordania, a Gerusalemme est e nel Golan, e dell’assedio israeliano contro Gaza.
Le organizzazioni palestinesi evidenziano come l’uso quasi esclusivo da parte di Israele e dei coloni dell’acqua causa gravissimi danni alle condizioni di vita ed alle attività agricole dei palestinesi. Denunciano ai loro colleghi italiani, infatti, che «questa estate in alcune zone della Cisgiordania la carenza di acqua ha obbligato molti allevatori palestinesi ad abbattere o vendere il proprio bestiame e molte coltivazioni sono state distrutte». Nel 2009 la Banca Mondiale aveva stimato che il danno subito dall’agricoltura palestinese per la carenza di irrigazione può ammontare al 10% del PIL e alla perdita di 110.000 posti di lavoro. «Da allora la situazione non ha fatto altro che peggiorare».
A Gaza «meno del 6% dei palestinesi di Gaza ha a disposizione acqua potabile». La salinizzazione delle falde e l’inquinamento determinato dalle distruzioni di impianti di depurazione e rete fognaria operate dagli attacchi militari israeliani provocano gravi malattie, soprattutto a bambini e anziani.
Nel chiedere alla Coldiretti Veneto di rivedere la sponsorizzazione di Watec, le organizzazioni palestinesi fanno notare che «importanti compagnie internazionali si sono ritirate o hanno annullato la propria collaborazione» con alcune delle imprese presenti alla fiera israeliana «a causa del loro coinvolgimento nelle violazioni delle leggi internazionali».
Le organizzazioni palestinesi hanno anche espresso solidarietà a tutta l’Italia e, in particolare, agli agricoltori colpiti dal recente terremoto. Attendono ancora risposta da parte di Coldiretti.
La campagna No Mekorot, che ha promosso campagne contro gli accordi tra la società idrica israeliana e gli enti italiani, sostiene la protesta delle organizzazioni palestinesi contro l’adesione di Coldiretti a Watec e fa appello a tutte le imprese ed enti italiani coinvolti di ritirare la propria partecipazione.
Libertàgiustizia, 6 maggio 2016 (p.d.)
Più di settantaduemila sono i firmatari dell’appello lanciato dal fisico Giorgio Parisi attraverso Change.Org, “Salviamo la ricerca italiana” (vedilo qui).
Anche noi, nel nostro piccolo, di petizioni ne abbiamo lanciate due, entrambe corredate da una dozzina di primi firmatari che sono fra i migliori o più noti “umanisti” del nostro paese.
La prima (vedila qui) a sostegno delle denunce di Elena Cattaneo e Giovanni Bignami relative al metodo seguito dal Governo per il megafinanziamento decretato a favore della ricerca biomedica e destinato a creare nell’area Post Expo un polo di ricerca biomedica, Human Tehnopole: un metodo di arbitraria erogazione di denaro pubblico a un ente chiamato a sostituirsi a una tanto desiderata e ancora inesistente Agenzia Generale della Ricerca – ma nel peggior modo possibile: assegnando denari e collaborazioni col metodo dei phone calls al posto dei public calls, nella più completa assenza di trasparenza, competizione e valutazione oggettiva dei meriti. E nel silenzio del ministro che, vedendosi palesemente ignorato e aggirato, constatando anzi la sorprendente sfiducia nelle istituzioni pubbliche competenti, avrebbe dovuto come minimo dimettersi, e invece ha agito quasi di conserva con il Presidente del Consiglio, nominando lo scorso febbraio un fisico sperimentale di tutto rispetto, il Professor Massimo Inguscio (classificato solo terzo a pari merito nella top list dei candidabili) alla Presidenza del CNR. La quale, sfortunatamente per lui, è anche la Presidenza della Commissione Nazionale per l’Etica della Scienza. Una disciplina, l’etica pubblica, con la quale il prof. Inguscio non sembra intrattenere buoni rapporti, come non li intrattiene forse con ogni tipo di regole, come mostra l’ormai tristemente nota dichiarazione pubblica che abbiamo ripreso da ROARS, e che ha suscitato la nostra seconda petizione, altrettanto ben fornita di primi firmatari d’eccellenza, una richiesta di immediate dimissioni. Entrambi gli appelli hanno ottenuto migliaia di contatti e complessivamente centinaia di adesioni. Una lettera che li raccoglieva è stata inviata al Ministro Giannini.
Risultato? Silenzio dal lato delle istituzioni; ma anche un gran discutere e confrontarsi, finalmente, anche fra umanisti e scienziati, nella nostra piccola comunità. Al punto che alcuni hanno scritto, a nome della sezione italiana dell’EMBO (i biologi) una lettera al Ministro, che anche noi abbiamo ripreso (vedila qui); e a loro, a quanto pare, Il Ministro ha risposto, chiedendo di incontrarli.
Sarebbe bello se, preparandosi all’incontro, leggessero le limpide perplessità espresse ancora una volta da Elena Cattaneo su “Repubblica” (leggi qui): ma come è possibile che il ministro della Ricerca definisca l’Agognata Agenzia Nazionale della Ricerca “Un altro carrozzone” inutile, dimostrando lo stesso disprezzo che il suo Presidente del Consiglio ostenta nei confronti di tutte le istituzioni di garanzia e di controllo, quelle che, come le “soprintendenze” lo “Sblocca Italia” dovrebbe rottamare? Guai se questo incontro fosse l’anticamera di un ennesimo accordo particolare: “imbarcate anche noi”.
Del resto se si seguono gli aggiornamenti sulla pagina dell’appello di Giorgio Parisi, non sembra che le nostre ragioni, che sono assolutamente universali e in questo senso “assolute”, con buona pace del Prof. Inguscio che sui “principi assoluti” ci sputa, perché non sono “costruttivi”) siano finora state ascoltate. Ragione di più per continuare, imperterriti e pacati, a snocciolarle. L’Università, la Ricerca SIAMO NOI! Noi universitari e ricercatori, certo, ma anche e forse soprattutto noi cittadini, a beneficio dei quali, e di ogni donna e uomo capace di libertà e pensiero su questa terra, la ricerca e l’istruzione esistono. Perché forse c’è un punto che gli stessi filosofi non sottolineano mai abbastanza, un punto che ostinatamente ignorano le corporazioni, le consorterie, le baronìe residue convertite prosperando nei mestieri più rampanti dei politicanti. Anche cercare la verità è promuovere giustizia, è promuovere anzi il bisogno più alto della persona libera, pensante e capace di autonomia. Anzi: il bisogno di verità è il gradino più alto del bisogno di giustizia. E’ per questo che il linguaggio degli Inguscio tanto profondamente ci disgusta, e ci avvilisce.
Il manifesto, 29 aprile 2016 (p.d.)
La verità però ormai purtroppo è sotto gli occhi di tutti, comprovata ed esibita dall’ultima brutale ondata di arresti al Cairo tra i quali, oltre al consulente della famiglia Regeni, Ahmed Abdallah, anche quello di una giornalista egiziana che non aveva creduto alla versione del regime sull’uccisione dei rapinatori accusati del rapimento di Giulio. Per questo in molti, dal senatore Luigi Manconi a Ilaria Cucchi che ha lanciato una petizione su Change.org, chiedono che dopo il richiamo per consultazioni dell’ambasciatore ora il governo muova altri passi senza ulteriori indugi.
Per il presidente della commissione Diritti umani del Senato non rimane che dichiarare l’Egitto paese non sicuro, e così la pensano anche molti europarlamentari italiani del gruppo socialista che già da settimane premono in tal senso sulle istituzioni europee.
Ieri invece Ilaria Cucchi ha lanciato una petizione al governo italiano per ricordare ciò che accomuna le vicende di «Giulio Regeni, Giuseppe Uva, Federico Aldrovandi, Riccardo Magherini» e di suo fratello Stefano, «morto tra sofferenze disumane quando era nelle mani dello Stato e, soprattutto, per mano dello Stato». «Stiamo chiedendo all’Egitto verità per Regeni. Dobbiamo farlo. Ma ricordiamoci che lo facciano dall’alto del fatto di essere l’unico Paese d’Europa a non avere una legge contro le brutalità di Stato – scrive Ilaria Cucchi chiedendo di firmare su Change.org – La Corte di Strasburgo ha già condannato l’Italia per gli orrori del G8 di Genova nel 2001. E ci ha imposto l’introduzione del reato di tortura nel nostro codice penale. Che aspettiamo?».
Anche le manifestazioni del Primo Maggio organizzate da Cgil, Cisl e Uil in alcune città italiane ricorderanno Regeni. In particolare, al ricercatore friulano sarà dedicato il tradizionale corteo di Cervignano, così come nel suo nome si sfilerà anche da Trieste a Gradisca d’Isonzo fino a Pordenone.
«Da questa terra di lavoro un soffio di libertà», è lo slogan scelto dai sindacati della provincia di Udine che mette insieme la richiesta di «verità e giustizia per Giulio» con i diritti dei lavoratori (sui quali si concentravano gli studi di Regeni), ma anche con il tema di un’Europa «incapace di esprimere una politica comune di accoglienza di fronte a un’emergenza profughi». Un modo per ricordare che i diritti umani sono universali, oppure non sono.
Eddyburg ovviamente aderisce. Il manifesto, 29 aprile 2016
Primi firmatari
Bevilacqua Piero, Abati Velio, Accendere Pier Davide, Aragno Giuseppe, Attili Giovanni, Baldeschi Paolo, Battinelli Andrea, Belgioioso Giulia, Berdini Paolo, Betti Maria Pia, Bevilacqua Dario, Bianchi Alessandro, Bonora Paola, Brutti Massimo, Budinigattai Roberto, Carascon Guillermo, Carducci Michele, Cellamare Carlo, Cingari Salvatore, Ciuffetti Augusto, Collisani Amalia, Consonni Giancarlo, Cristaldi Flavia, Decandia Lidia, Di Siena Pietro, Drago Anna, Favilli Paolo, Fiorentini Mario, Fubini Lia, Gambardella Alfonso, Gattuso Domenico, Gisotti Marinella, Guermandi Maria Pia, Indovina Francesco, La Torre Gioacchni Francesco, Leder Francesca, Magnaghi Alberto, Marchini Luisa, Marson Anna, Massari Olga, Masulli Ignazio, Nassisi Anna, Olivieri Ugo, Pagano Giorgio, Pardi Pancho, Pasquale Riccardo, Riviello Annamaria, Pazzagli Rossano, Picone Mario, Poli Daniela, Ricci Cecilia, Rufino Annamaria, Ricci Cecilia, Saponaro Giuseppe, Saresella Daniela, Savino Michelangelo, Scandurra Enzo, Sciarrone Rocco, Siciliani de Cumis Nicola, Sylos Labini Stefano, Tonello Fabrizio, Tonon Graziella, Toscani Franco, Trane Franco, Vavalà Luigi, Villani Claudia, Vitale Armando.
Ulteriori adesioni possono essere inviate a:
assessore alle Trasformazioni di Roma, la nostrasolidarietà con un breve messaggio inviato alla sua pagina Facebook. Lo riproponiamo qui, aggiornato al3 marzo
Premessa
Non c’è da meravigliarsi troppo del tentativo di linciaggio mediatico di Giovanni Caudo. Lo strumento del lancio di manciate di fango sull’avversario è diventato un attrezzo consueto nella politica italiana. Nascondersi dietro le parole dette e non dette, le allusioni eteree, le mezze verità, mescolate alle bugie palesi, l’inclusione quasi distratta del nome di un innocente tra quelli di noti colpevoli: sono tutte tecniche ormai sperimentate della lotta politica in questa Italia immiserita.
E la crosta bipartisan degli interessi immobiliari è a Roma talmente consolidata che chiunque tenti di introdurre un po' di legalità è subito destinato al massacro. Sfogliando all’indietro le pagine di eddyburg sono riemerse parole che abbiamo scritto non molti mesi fa, nel luglio dell’anno scorso. Le riportiamo interamente perché aiutano a capire:
«Chi, come noi, ha seguito e criticato passo per passo l’urbanistica romana degli anni di Francesco Rutelli e di Walter Veltroni sa bene che ben prima ancora di Gianni Alemanno il territorio romano era stato venduto alla speculazione dei padroni del cemento. Per chi volesse documentarsi, basterebbe digitare sul “cerca” di eddyburg le parole “pianificar facendo”, e poi magari quelle“diritti edificatori”, per rintracciare i numerosi articoli che raccontano in che modo la gestione dell’urbanistica romana sia stata appaltata agli “energumeni del cemento”. Un’analisi appena un po’ più approfondita consentirebbe di comprendere in che modo le consorterie poi battezzate “larghe intese” o “patto del Nazareno” abbiano dominato il governo del territorio nella Capitale, facendo di quest’ultima il laboratorio della peggiore stagione che la nostra Repubblica abbia conosciuto»
Chiunque avesse voluto turbare l’equilibrio di potere che gestiva questo “laboratorio” era destinato al linciaggio. Questa volta è toccato a Giovanni Caudo, di cui si è voluta colpire la rettitudine personale. Ma troppi la conoscono perché la mobilitazione a sua difesa non si faccia sentire. Come si sta facendo sentire, anche con questo appello di eddyburg (e.s.).
Noi stiamo con Giovanni Caudo
primi firmatari
Edoardo Salzano, direttore di eddyburg.it
Paolo Baldeschi, Università di Firenze
Roberto Camagni, Politecnico di Milano
Vezio De Lucia, urbanista
Maria Cristina Gibelli, Politecnico di Milano
Anna Marson, Università IUAV di Venezia
Enzo Scandurra, Università di Roma
Piero Bevilacqua, Università di Roma
Mauro Baioni, direttore della Scuola di eddyburg
Ilaria Boniburini, University of the Witwatersrand
al 29 febbraio
Danilo Andriollo
Sandra Annunziata
Donato Belloni
Rossana Benevelli
Giorgia Boca
Alessandro Boldo
Alberto Calabrese
Carlamaria Carlini
Gabriella Corona
Giancarlo Cotella
Marco Cremaschi
Nicola Dall’Olio
Paolo Dignatici
Francesco Erbani
Stefano Fatarella
Elisabetta Forni
Georg Joseph Frisch
Paolo Grassi
Graziella Guaragno
Marco Guerzoni
Daniele Iacovone
Francesca Leder
Elettra Malossi
Leonarda Martino
Ugo Marelli
Cristina Marietta
Giulia Melis
Lodo Meneghetti
Barbara Nerozzi
Luca Nespolo
Pancho Pardi
Rita Paris
Camilla Perrone
Laura Punzo
Cristina Renzoni
Serena Righini
Maria Pia Robbe
Sandro Roggio
Rodolfo Sabelli
Maurizio Sani
Alfredo Scardina
Stefano Simoncini
Giancarlo Storto
Giulio Tamburini
Walter Tocci
Luigi Toscano
Gaetano Urzí
Norberto Vaccari
Lorenzo Venturini
Maria Rosa Vittadini
Ulteriori adesioni a: eddyburg@tin.it
“E’ dal lavoro che stiamo facendo insieme in Afghanistan – ha riportato Obama al termine dell’incontro – alle opportunità che si presentano nel finalizzare un accordo come il TTIP. Abbiamo concordato che un’azione comune tra Stati Uniti ed Italia non solo serve gli interessi di entrambi i nostri paesi, ma anche la più ampia relazione transatlantica che ha comportato così tanta pace e prosperità in molti degli ultimi decenni”. Anche Mattarella ha convenuto che il TTIP potrebbe servire per prevenire ulteriori crisi economiche e sociali.
Scherzi e retorica a parte, non ci sfugge che Obama stia giocando il tutto per tutto per arrivare a confezionare il pacco del TTIP, come sia sia, prima della fine del suo mandato. Anzi: prima della fine dell’estate, nei prossimi tre round negoziali, previsti a Bruxelles dal 22 al 24 febbraio, ad aprile negli Usa e di nuovo a Bruxelles a luglio.
Ma Mattarella… perché servire questa causa persa, anzi dannosa per il nostro Paese? Chiediamoglielo!
Tagliate e incollate il messaggio sottostante nella pagina webmail del Quirinale
Presidente Mattarella, non cada nella rete del TTIP
Si informi meglio, dalle oltre 300 organizzazioni, associazioni, sindacati, imprese, e comitati che dicono no al Trattato Transatlantico.
Riferimenti
Ai docenti, Agli studenti, Al personale tecnico-amministrativo e bibliotecario, Agli esponenti della società civile,
Gli estensori di questa lettera-appello e i suoi sottoscrittori sono accomunati dal convincimento che l'Università italiana vede il drammatico ridimensionamento della sua influenza sulla società. Negli ultimi 7 anni, per la prima volta nella storia dell'Italia repubblicana, l' Università ha perduto un quinto delle sue strutture organizzative e lavorative e ha visto ridursi il numero degli studenti universitari. Come emerge da una ricerca condotta, tra gli altri, da Gianfranco Viesti per conto della fondazione Res è drammatico il generale calo delle immatricolazioni che assume le dimensioni di un crollo al Sud: nel 2012 -16% rispetto al 2000-2001 in Sicilia, -19,8% in Calabria, -21,9 in Sardegna.
L’Università è stretta in una morsa mortale, tra un’intollerabile riduzione delle risorse finanziarie e una soffocante burocrazia. Si assiste al proliferare di disposizioni normative, di pratiche inquisitive, di controlli amministrativi, volti ad accrescere la sua “resa” economica, a diminuire i costi interni e a subordinare strettamente il processo di formazione al mercato del lavoro e delle professioni.
L'Italia figura ultima dei Paesi OCSE per i fondi destinati all'Università e alla ricerca con un misero 1% del PIL. Le tasse d’ iscrizione sono cresciute negli ultimi 7 anni del 51%: il più elevato incremento a carico di studenti e famiglie verificatosi a livello mondiale. Oggi l'accesso all'istruzione universitaria italiana è il più costoso d'Europa, dopo quello di UK e Olanda; inoltre da noi il diritto allo studio è stato di fatto smantellato: solo il 7% degli studenti riceve una borsa di studio a fronte del 27% della Francia e del 30% della Germania.
Le risorse già insufficienti sono quindi attribuite sulla base di due parametri: il costo standard necessario alla formazione di ciascuno studente sul territorio nazionale, un parametro del tutto inappropriato quando si deve finanziare la crescita culturale del paese, e la qualità della ricerca stimata attraverso il parametro VQR (Valutazione della Ricerca), un elefantiaco sistema di valutazione che ha creato una situazione di confusione montante e di conflittualità. Tra l’altro a questo metodo di valutazione sono sottoposti docenti sottopagati e del tutto privi, da anni, di fondi per la ricerca, cioè delle risorse minime per ottenere i risultati per i quali sarebbero valutati. Il risultato di queste politiche è stato la penalizzazione di risorse, di aree disciplinari, di atenei e territori, soprattutto (ma non esclusivamente) al Sud.
Le classi dirigenti italiane vogliono liquidare l'Università di massa e tornare a una configurazione classista degli studi superiori. Il mondo universitario, luogo di formazione del pensiero critico, deve languire poiché a selezionare le poche élites necessarie alla continuità del processo economico basteranno pochi centri di “eccellenza”, perlopiù privati.
Gli estensori dell’appello chiamano quanti lo sottoscriveranno e il mondo universitario a una giornata di mobilitazione con un’assemblea generale, di docenti, studenti, personale tecnico-amministrativo e bibliotecario, da tenersi l’11 febbraio all'Università di Napoli
L’obiettivo è discutere e portare all’attenzione dell’opinione pubblica: 1) la necessità di nuovi e organici e costanti investimenti nell’Università pubblica; 2) la creazione di un welfare studentesco per sostenere l'accesso e la permanenza dei ragazzi all'Università 3) un supporto alle regioni per garantire uguali standard di diritto allo studio; 4) l’immissione di nuovo personale docente e TAB che copra almeno il turn-over; 5) la revisione dei ruoli della docenza con nuove e chiare regole per la progressione di carriera e il rinnovo del contratto di lavoro per il personale contrattualizzato.
Vogliamo lanciare un segno di speranza e di stimolo perché risorga un momento di discussione critica dentro l’Università.
Se muore l'Università per tutti, l'Italia non sarà più l'Italia, ma una qualunque periferia vacanziera del mondo.
Piero Bevilacqua, già docente de La Sapienza, Roma,
Ugo M. Olivieri, Federico II, Napoli,
Alessandro Arienzo, Federico II, Napoli,
Antonio Bonatesta, Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani
Alberto Campailla (Associazione studentesca)
Armando Carravetta, Federico II, Napoli,
Bruno Catalanotti, Federico II, Napoli
Angelo D'Orsi
Paolo Favilli, già docente dell’Università di Genova
Mario Lavagetto, già docente dell’Università di Bologna
Romano Luperini, già docente dell’Università di Siena
Ignazio Masulli
Maurizio Matteuzzi, Università di Bologna, associazione “Docenti preoccupati”
Tomaso Montanari, Federico II, Napoli
Daniela Montesarchio, Federico II, Napoli
Giorgio Parisi, La Sapienza, Roma
Laura Pennacchi, economista, Fondazione Basso
Tonino Perna
Enzo Scandurra
Ermanno Rea, scrittore
Il manifesto, 17 novembre 2015 (m.p.r.)
La Repubblica, 10 agosto 2015
SIGNOR Presidente della Repubblica, in un suo recentissimo intervento, ha scritto che «dobbiamo chiederci... perché spesso, nei decenni che ci sono alle spalle, siamo venuti meno al precetto dell’articolo 9, che con lungimiranza il costituente aveva inserito tra i principi fondamentali della Carta».
Ebbene, oggi siamo a chiederle di voler accertare se le Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche approvate dal Senato della Repubblica lo scorso 4 agosto, e ora sottoposte alla Sua firma, non contengano indicazioni che palesemente vengono meno proprio al precetto di quel lungimirante articolo 9 (“ La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”).
Ci riferiamo in particolare a due punti.
Il primo è quello che inserisce stabilmente nel nostro ordinamento il principio del cosiddetto “silenzio assenso” tra amministrazioni pubbliche (articolo 2, comma 1, lettere g e n; art. 3, comma 2). Questo principio non è applicabile all’ambito dei beni culturali e del paesaggio, e infatti la legge 241/90 espressamente escludeva che il silenzio-assenso potesse applicarsi «agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico»: lo stesso concetto è stato poi ribadito più volte, dalla legge 537 del 1993 alla legge 80 del 2005. Questa esclusione deriva proprio dalla presenza dell’articolo 9 nella Costituzione, e dalla interpretazione che la Corte Costituzionale ne ha dato in numerose sentenze, a cominciare dalla nr. 151 del 1986: «La primarietà del valore estetico- culturale», sancita dalla Costituzione, non può in nessun caso essere «subordinata ad altri valori, ivi compresi quelli economici», e anzi dev’essere essa stessa «capace di influire profondamente sull’ordine economico-sociale». Se il valore estetico-culturale del patrimonio e la sua centralità nell’ordine degli interessi nazionali vanno intesi come «primari e assoluti» di fronte a qualsiasi tornaconto privato, l’eventuale silenzio di un pubblico ufficio non può mai e poi mai valere come assenso; semmai, qualsiasi temporanea alterazione della naturale gerarchia dev’essere il frutto di un’accurata meditazione e di un’esplicita formulazione, e non di un casuale silenzio.
Il secondo è quanto dispone la lettera “e” del comma 1 dell’articolo 8, che prevede la «confluenza nell’Ufficio territoriale dello Stato di tutti gli uffici periferici delle amministrazioni civili dello Stato... individuazione della dipendenza funzionale del prefetto in relazione alle competenze esercitate... attribuzione al prefetto della responsabilità dell’erogazione dei servizi ai cittadini, nonché di funzioni di direzione e coordinamento dei dirigenti degli uffici facenti parte dell’Ufficio territoriale dello Stato, eventualmente prevedendo l’attribuzione allo stesso di poteri sostitutivi».
Ora, nel caso delle soprintendenze questa confluenza in uffici diretti dal rappresentante dell’esecutivo sostituisce una discrezionalità tecnica con una amministrativa, e si configura come la messa sotto tutela governativa di un ufficio che deve invece rimanere del tutto autonomo. Questa svolta contraddice fatalmente la lunga storia italiana della tutela pubblica. L’articolo 2 della legge 386 del 22 giugno 1907 disponeva che: «I prefetti e le autorità che ne dipendono, i procuratori del Re e gli ufficiali di polizia giudiziaria (...) coadiuvano le sopraintendenze e gli analoghi uffici più prossimi, dando notizia di qualunque fatto che attenga alla tutela degli interessi archeologici e artistici e intervenendo dovunque lo richieda l’osservanza della legge che regola tale tutela». Anche prima della Costituzione, dunque, la specificità tecnico-scientifica delle Soprintendenze era riconosciuta, e i prefetti dovevano non dirigere i Soprintendenti, ma semmai coadiuvare il loro lavoro di tutela. Nemmeno le leggi fasciste del 1939 osarono negare questo principio, che fu poi consacrato, al massimo livello possibile, tra i principi fondamentali su cui si fonda la Repubblica.
Signor Presidente, siamo certi che la palese incostituzionalità di queste due disposizioni sarà accertata dalla Corte Costituzionale: ma le chiediamo se non sia saggio evitare al paesaggio e al patrimonio storico e artistico della Nazione lo scempio che potrebbe avvenire in attesa di un tale pronunciamento.
Con osservanza,
Come Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua sentiamo la necessità di prendere parola in merito al deposito di diversi quesiti referendari presso la Corte di Cassazione effettuato lo scorso 16 luglio dall’associazione “Possibile” promossa da Pippo Civati. Sono otto quesiti che spaziano dalla materia elettorale al Jobs Act, dalla “Buona scuola” allo “Sblocca Italia”, con l’intenzione dichiarata di raccogliere le oltre 500.000 firme necessarie entro il prossimo 30 settembre.
Riteniamo di dover prendere parola perché in base alla nostra esperienza - quella di due referendum che nel giugno 2011 hanno portato la maggioranza assoluta del popolo italiano a dichiarare l’acqua bene comune e la necessità di una sua gestione pubblica e partecipativa - crediamo che si stia sbagliando nel metodo e nel merito.
Il referendum è uno dei pochissimi strumenti a disposizione della popolazione per poter intervenire e decidere su temi e problemi che riguardano l’intera società; uno strumento spuntato dalla crisi della democrazia, come abbiamo sperimentato con la mancata applicazione di quanto deciso sull’acqua, ma sicuramente capace di costruire sensibilizzazione culturale, mobilitazione sociale, partecipazione collettiva. Elementi senza la presenza dei quali, l’annuncio di nuovi referendum, oltreché palesemente inefficace - ha idea l’onorevole Civati di cosa voglia dire raccogliere le firme in tutto il paese entro il 30 settembre? - rischia di essere il già conosciuto tentativo di sovradeterminare i conflitti reali aperti nella società.
Come Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua siamo direttamente impegnati in molte delle lotte ambientali che riguardano lo Sblocca Italia, insieme a reti e comitati che in moltissimi territori stanno costruendo l’attivazione sociale per fermare la nuova ondata di opere e impianti inutili e devastanti. Così come siamo impegnati a contrastare il nuovo ciclo di privatizzazione dei servizi pubblici locali e a favorirne la ripubblicizzazione. E’ solo dall’elaborazione e dall’esperienza dei comitati direttamente impegnati che può maturare l’eventuale decisione di costruire una campagna referendaria.
Lo stesso dicasi su temi come la “Buona scuola” o il “Jobs Act” che, pur non vedendoci direttamente impegnati come Forum, ci vedono comunque interessati come esperienza che ha fatto dei beni comuni e dei diritti sociali l’humus del proprio agire sociale.
La profondità della crisi della democrazia in questo Paese e l’attacco sistematico ai diritti e ai beni comuni portato avanti dal governo Renzi e dai dogmi dell’austerità dell’Unione Europea richiedono senz’altro una forte risposta da parte dei movimenti sociali e la possibilità di costruire una stagione di “referendum sociali”, connettendo l’insieme delle lotte in campo nel Paese, è senz’altro tema su cui ci interessa un confronto dentro i movimenti e nella società.
In nessun caso, crediamo che questo confronto possa essere by-passato o addirittura “rappresentato” da proposte velleitarie interamente giocate dentro lo schema di un autoreferenziale riposizionamento dentro il quadro politico.
Sulla base di queste riflessioni, e come già richiesto pubblicamente dal variegato movimento per la scuola pubblica, crediamo sia necessario chiedere all’associazione “Possibile” di ritirare la propria proposta.