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Un titolo che pare uno scherzo, o un'esagerazione, e invece fotografa perfettamente una miserabile - e non dal punto di vista contabile - realtà. Il Fatto quotidiano Emilia Romagna, 12 gennaio 2013, postilla

Portare i bimbi al parco, tra qualche anno a Bologna, potrà diventare un ulteriore esborso di euro. Questo il possibile scenario che tra i tagli della spending review e la ricerca spasmodica di vendita del patrimonio pubblico si presenterà ai cittadini che si recheranno in qualche parco giochi per far usare ai bimbi altalene e giostre.
“Intendiamoci, il Comune in generale ha sempre meno risorse e deve risparmiare”, spiega l’assessore all’urbanistica e agli spazi verdi Patrizia Gabellini al fattoquotidiano.it, “partendo da questo presupposto vogliamo prima di tutto seguire la strada della sussidiarietà. Poi c’è il capitolo privatizzazione di alcuni parchi pubblici che è ancora un’ipotesi”.

E vista la scarsità di risorse, come del resto il settore scelto per i tagli, sarà inevitabile cedere a quegli imprenditori che hanno già visto di buon occhio l’affare: “Sono proposte organiche che alcuni produttori di giochi, non so se bolognesi o meno, hanno avanzato al Comune. Le richieste le abbiamo ricevute, le ho in ufficio, ma sono ancora da valutare”. Intanto si parte dai 1300 giochi dei parchi cittadini, che in media costano all’amministrazione di Palazzo d’Accursio 800 mila euro l’anno, per i quali avanza la cosiddetta sussidiarietà, ovvero l’idea di sponsorizzare o donare singoli giochi da parte di privati: “Questa cifra incide sul 10% del costo complessivo della manutenzione ordinaria e straordinaria degli spazi all’aperto della città affidata alla ditta Global Service. Spesa che non riusciamo più a permetterci. Giocoforza sarà non il sostituire altalene, cavallucci e giostre ma farli gestire direttamente da fondazioni bancarie, sponsor privati e persino gruppi di genitori che sappiano pronti a farlo perché ce n’è pervenuta richiesta”.

Al primo passo della sussidiarietà seguirà il passo successivo, che sarà la graduale apertura di aree gioco con ingresso a pagamento di alcuni euro in luoghi come Caserme rosse o nelle aree verdi di fronte all’area della Manifattura, la cosiddetta esternalizzazione che si effettuerà ritagliando alcune aree negli spazi verdi, recintandole e poi mettendo un prezzo in entrata: “Ci tengo a precisare che questi soggetti privati che vogliono rilevare e diventare proprietari delle aree non li abbiamo cercati noi come amministrazione”.
La possibilità che molti parchi giochi della città diventino a pagamento nel giro di 3-4 anni è sorta durante un’audizione richiesta dall’opposizione di centrodestra a Palazzo d’Accursio: “Intanto vediamo se la fase della sussidiarietà andrà a buon fine come credo. Sono risorse private per aiutare un patrimonio che rimane pubblico. Il passaggio successivo è un’ipotesi che si concentrerà su alcune macroaree. Capisco che il settore in cui si interviene è delicato, ma oggi il Comune di Bologna deve essere capace di razionalizzare il proprio patrimonio perché in cassa non abbiamo più soldi”.
postilla
Come si suol dire, apprendiamo dalla stampa che "il capitolo privatizzazione di alcuni parchi pubblici è ancora un'ipotesi", ma ci accorgiamo anche di una cosa: 1) che l'articolo in questione non è un ritaglio di qualche gazzettiere ottocentesco, dove si racconta di cancelli di ex tenute nobiliari che crollano idealmente davanti alla trionfante idea di spazio pubblico urbano; 2) che il percorso logico non si sta allontanando, dalla privatizzazione del verde pubblico, ma che anzi l'ipotesi appare ovvia quando "in cassa non abbiamo più soldi".
Un capolavoro di politica contabile, probabilmente non ancora portata alle estreme conseguenze. La pubblica amministrazione che tranquillamente per bocca di un suo alto rappresentante politico dichiara di svolgere un altro ruolo, di aver tranquillamente imboccato la strada opposta, rispetto a quella intrapresa, in pratica, da quando la città moderna è uscita dalle nebbie dell'ancien regime. Complimenti, restiamo in attesa della prossima genialata, naturalmente per "motivi di bilancio"

Non ci raccontano chi ci guadagna e chi ci perde, altezze a parte: né a chi e a che cosa serve aggiungere metri cubi a metri cubi. E che cosa ciò comporta per la città e i suoi abitanti. E la chiamano informazione. La Repubblica, 18 dicembre 2012

Se non fosse un pezzo di storia della classe operaia, un simbolo unico di archeologia industriale, forse tutto sarebbe stato più semplice. L’isola Seguin, a ovest di Parigi, è stata a lungo la fabbrica modello di Renault. Da questo lembo di terra piantato in mezzo alla Senna, con un parco che ha ispirato pittori come Delacroix e Turner, sono incominciate a uscire le prime autovetture del marchio francese già alla fine degli anni Venti. Dopo che l’ultima catena di montaggio è stata chiusa nel 1992, l’isolotto è rimasto abbandonato, al centro di enormi appetiti immobiliari.

Nessuno è riuscito finora a far rinascere l’Ile Seguin, teatro di epiche lotte sindacali del Novecento francese. Gli abitanti di Boulogne-Billancourt, il quartiere di cui fanno parte gli ex stabilimenti ormai distrutti, parlano scherzosamente di una “maledizione” che nel tempo, tra conflitti burocratici e mobilitazioni di ambientalisti, ha fatto naufragare i piani di affaristi svizzeri, americani, e persino dell’imprenditore francese François Pinault che voleva costruire qui la sua fondazione per l’arte contemporanea ma ha poi deciso di ripiegare sulla più ospitale laguna di Venezia.

L’ultimo a farne le spese è stato Jean Nouvel. Incaricato nel 2009 di immaginare l’edificazione della zona, l’archistar francese non ha ricevuto una calorosa accoglienza. Il suo progetto originale è stato sottoposto a una serie di ricorsi amministrativi fino a essere definitivamente bocciato ieri da un referendum popolare. I residenti hanno infatti votato contro la prima ipotesi presentata da Nouvel, che prevedeva di erigere sull’isola prima cinque, poi quattro grattacieli, da lui definiti “castelli”, alti fino a 120 metri. Nella consultazione ha vinto invece una soluzione di compromesso immaginata sempre dall’architetto per cercare di chiudere le polemiche: una sola torre di 110 metri.

Non è una novità. Il dibattito sull’altezza dei palazzi caratterizza da sempre la Ville Lumière che, salvo rare eccezioni, predilige uno sviluppo urbanistico orizzontale. Ma è comunque uno smacco per uno dei più noti architetti francesi, premio Pritzker nel 2008. «L’importante è che sia rimasta una skyline ben definita e la forma a nave dell’isola», ha commentato Nouvel, incassando con eleganza il responso popolare. Circa metà degli abitanti di Boulogne-Billancourt ha partecipato al referendum, considerato un successo dal sindaco di destra, Pierre-Christophe Baguet, mentre gli oppositori sostengono che l’alto astensionismo non conferisce legittimità al risultato.

Questa volta però sembra davvero il momento di posare la prima pietra. «Ora finalmente possiamo costruire» ha detto il primo cittadino che ha indetto un po’ a sorpresa il referendum per mettere a tacere i gruppi di residenti contrari e chi lo accusa di voler «cementificare» i dodici ettari sulla Senna. Oltre a nuovi uffici, commerci, un parco pubblico, il piano urbanistico prevede di trasformare l’isola in una “Valle della Cultura”, con un polo artistico, una città della musica, una multisala di cinema e un’area dedicatalle arti circensi. Un pezzetto di terra è stato lasciato agli ex operai di Renault che, con un po’ di nostalgia, continuano a presidiare i luoghi di quella che un tempo era chiamata “usine-paquebot”, la fabbrica-nave dalla quale negli anni Sessanta uscivano fino a mille nuove automobili al giorno.

Non ci sarà un museo ma si potrà visitare un centro di documentazione con qualche reperto storico. Un piccolo tributo al passato che sopravviverà sotto al “castello” futurista voluto da Nouvel, lontano ricordo dell’isola che non c’è più.


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