Il governo ha pubblicato oggi il GLA Bill proponendo un rafforzamento dei poteri della GLA - Mayor di Londra e London Assembly – sulla base dei risultati positivi ottenuti sinora.
Il progetto di legge sviluppa norme per attuare molti dei risultati dell’esame sui poteri di Mayor e Assembly, pubblicato a luglio. Complessivamente si conferisce a Londra la forte leadership necessaria a una città mondiale per affrontare le sfide del futuro.
Si propongono nuovi poteri strategici per il Mayor in aree fondamentali, tali da fare la differenza nella qualità della vita dei londinesi: nuovo ruolo decisionale per le questioni della casa e per affrontare il riscaldamento globale, compiti rafforzati in urbanistica e gestione dei rifiuti, maggiori poteri in sanità e cultura.
Il Bill dà anche nuovi poteri al Mayor per intervenire sui piani regolatori locali delle circoscrizioni, e per quanto riguarda decisioni di piano di importanza strategica per l’insieme di Londra.
Yvette Cooper, Ministro per la Casa e l’Urbanistica, ha dichiarato:
“I maggiori poteri che proponiamo in questo progetto di legge sono una buona notizia per Londra. Questo governo ha ripristinato il governo metropolitano per la città capitale creando gli istituti ad elezioni diretta del Mayor e della Assembly. A Londra la devolution ha funzionato. Il sindaco metropolitano offre una leadership forte, visibile, verificabile.
“La legge prosegue la strada di questi risultati positivi, conferendo poteri adeguati al livello decisionale adeguato. Dà al Mayor la possbilità di fare davvero la differenza: affrontare con successo la sfida di dare più case economiche al londinesi; assumere un approccio strategico alla pianificazione della capitale; assumere un ruolo guida nella lotta al cambiamento climatico. E dà alla Assembly un ruolo rafforzato per controllare il Mayor per conto dei londinesi”.
“Rafforzerà la leadership del sindaco metropolitano, offrendo basi più solide per una crescita economica sostenibile, e confermando il ruolo di Londra di vera città globale con una economia di grande successo”.
A breve anche il Ministero per le Aree Urbane proporrà un progetto di legge sul governo locale. Ciò comporterà una ulteriore significativa delega: da Whitehall a town hall.
Nota: qui di seguito scaricabile il PDF del progetto di legge; per altri particolari si può partire anche dalla pagina originale di questo comunicato al sito del Ministero per leAree Urbane; per un impietoso confronto si veda il recente articolo da Repubblica sui problemi “analoghi” della regione metropolitana milanese (f.b.)
L'articolo descrive dettagliatamente la sconcertante vicenda del nuovo piano regolatore di Palermo voluto da Leoluca Orlando e redatto con la consulenza di Pierluigi Cervellati. L'articolo inizia delineando il quadro politico degli anni 2000-2002 caratterizzati dall'affermazione del centro-destra in Italia, in Sicilia e a Palermo. Il testo è così articolato: 1. Elementi al contorno; 2. Il "piano Cervellati"; 2.1. L'iter di formazione del piano; 3. L'approvazione regionale: il contro-piano.
Qui sotto il link al testo integrale
II fascino di Amsterdam è la sua autenticita. Città medievale che fiorì nel XVII secolo, l'eta dell'oro dell'Olanda, Amsterdam è stata edificata nel corso dei secoli dai suoi residenti. Non c'è dubbio che i suoi cana1i colpissero chi visitava 1a città, ma non erano stati concepiti o costruiti come un'attrazione turistica. La combinazione tra 1a moderna vita quotidiana e 1a bel1a e ricca cornice in cui essa si svo1ge incanta i visitatori - specia1mente gli americani come me, per i qua1i 1'idea di centro è stata per decenni sinonimo di decadimento e pericolo.
Amsterdam non è un museo, ma è sicuro che, per quanto lentamente, il carattere del centro storico sta cambiando. L'equilibrio precario tra visitatori e residenti, tra spazi abitativi, spazi lavorativi e spazi destinati al divertimento si sta spostando a favore di questi ultimi. Sempre più spesso il tono lo danno i visitatori, i cui bisogni determinano il tipo di destinazione e di utilizzazione dello spazio pubblico, e quindi le decisioni politiche, poichè il divertimento è cresciuto così tanto da diventare l'attività numero uno del centro città. A stare all'Ufficio del turismo di Amsterdam, nel 2000, nell'intero conglomerato, sono stati spesi per il divertimento circa 3.200 milioni di euro, di cui più della metà nel centro storico.
Nell'economia turistica i visitatori passeggiano incantati da un negozietto all'altro, mentre i residenti constatano che i servizi sono sempre più a senso unico. Turisti che si fanno trasportare lungo le vie adiacenti ai canali in ottocenteschi calessi a cavallo (dotati di pannoloni creati ad hoc per evitare che il cavallo faccia i suoi bisogni per strada) osservano altri turisti navigare in pedalò sui canali. Al posto del pescivendolo troviamo l'antiquario, al posto del ciabattino una boutique di vestiti, un istituto di bellezza là dove un tempo c'era un droghiere. Con la trasformazione dei quartieri popolari in zone signorili, le attivita più semplici, più deboli sul piano commerciale, non sono più in grado di pagare gli affitti elevatissimi. Nella caccia all'anima autentica di Amsterdam, i luoghi e gli oggetti di uso comune vengono venduti come fossero attrazioni: la casa galleggiante nei pressi della mia abitazione è diventata un Museo della casa galleggiante («Visitate l'interno di una casa galleggiante!»). E oltre alle case galleggianti, oggi , a solcare i canali, c'è pure una gondola veneziana.
Un esempio perfetto di questa situazione lo forniscono le vie laterali che mettono in comunicazione i canali tra di loro. Si tratta davvero di un'area ricca di fascino, dove in una strana mescolanza di negozi ultimo grido e vecchio stile si trovano parrucchieri, boutiques, alimentari e ogni genere di commercio specializzato, dal fioraio, alIa libreria che vende libri di viaggio, al fruttivendolo carissimo, noto nella zona per «vendere a peso d'oro la frutta e la verdu- ra». Negli anni la zona si è fatta sempre più chic, ma questa mescolanza esiste ancora. Attualmente le Nine Streets iniziano a patire del loro proprio successo, e sono minacciate da incrementi nei prezzi degli affitti che vanno dal 100 al 300%. I negozianti e la municipalità temono che i proprietari dei negozietti che rendono questa zona così speciale non potranno più permettersi affitti così alti e che le vie adiacenti ai canali seguiranno l'esempio dei grandi assi commerciali dove possono permettersi gli affitti solo i negozi che fanno parte di una catena.
Negli ultimi dieci o quindici anni la municipalità ha impiegato molto denaro e molti sforzi per migliorare l'aspetto della città, in particolare la qualità estetica dello spazio pubblico. Dam Platz è stata ripavimentata due volte. Gli Amsterdammertjes, i caratteristici paletti volti a impedire alle automobili di parcheggiare lungo i marciapiedi stanno scomparendo dai canali; le strade sono state rifatte in mattoncini rosso scuro, i marciapiedi in pietra naturale, e i lampioni sono la copia di quelli che c'erano in passato. La Musemplein, un tempo la più corta strada carrozzabile olandese, è stata trasformata, in superficie, in un parco su cui si affacciano i grandi musei della città, e, sottoterra, in un parcheggio e in un supermercato. Si tratta di un processo estremamente ambiguo. Da un lato la città è resa più attraente, non solo per i visitatori ma anche per i residenti. Senza i suoi dieci milioni circa di visitatori all'anno, Amsterdam, città con meno di un milione di abitanti. non avrebbe affatto quella vasta e cosmopolita scelta di ristoranti, negozi e cultura che ne fanno una metropoli dalle dimensioni di un villaggio. E’ di questo avviso anche il panettiere all'angolo della strada dove abito: «Non potrei affatto vivere qui senza i turisti che comprano per ricordo un pacchetto di tipici stroopwafels 0 di Jodenkoeken. Chi abita in questa zona ama l'idea che vi sia un vecchio panificio all'angolo, ma solo come idea: il pane se lo comprano al supermercato». Sono gli euro che spendono i visitatori a far girare gli affari in città, quanto meno nelle aree più suggestive; sono solo i turisti a finanziare lo scenario in cui i residenti vanno e vengono quotidianamente. In The Tourist City, il politologo americano Dennis Judd e l'urbanista Susan Feinstein osservano che le attrazioni turistiche hanno in comune un aspetto curioso con le produzioni teatrali: il turismo, come il teatro, trasforma quello che attira il turista in un oggetto. «Coloro che occupano lo spazio riservato al turismo, che ci lavorino o che ci abitino, come disse Disney, "fanno parte del cast", fanno ambiente e colore locale. [...].Poichè l'esperienza del turista è artefatta, la messa in scena dell'autenticità sostituisce quanto è genuino».
Sulla cresta dell'onda della prosperità, della città come marchio di fabbrica e della ricerca spasmodica di divertimento e nuove esperienze, Amsterdam si sta trasformando in una città per bighelloni. E’ facile individuare i residenti - sono quelli che camminano a zig zag sul marciapiede nel tentativo di superare i bighelloni, o suonano i campanelli delle loro biciclette per avvertire il turista straniero dell'esistenza di quel fenomeno tipicamente olandese che è la pista ciclabile.
Questo processo di esteticizzazione, di museificazione dello spazio pubblico urbano, genera un ambiente che è progettato per piacere. Così facendo, si minaccia l'autenticità che è esattamente quello che distingue una città da un parco a tema. La vita quotidiana è trasformata in una merce volta a soddisfare il desiderio dei visitatori di godere dell'esperienza più autentica possibile e di poterla raccontare una volta rientrati a rasa. II sociologo spagnolo Manuel Castells scrive: «Sempre più gente risiede nei villaggi urbani che circondano la città, mentre il centro si trasforma in un'attrazione per turisti e consumatori. Quell'unica rosa che distingue una città da un'altra. per esempio le Ramblas a Barcellona e i canali ad Amsterdam, diventa oggetto di emulazione reciproca. Come risultato, i centri città acquisiscono gradualmente le caratteristiche di parchi a tema. I residenti cercano nuovi posti di incontro perchè il tradizionale spazio pubblico nel centro città è il più delle volte eroso dal turismo di massa».
L'esempio principe in Europa è ovviamente Venezia. Si paria di introdurre un biglietto d'ingresso giornaliero per visitare questo storico parco a tema, la Venice Card, e di creare strade a senso unico per il traffico pedonale. E’ sempre più difficile trovare lavoro in un settore che non sia il settore turistico. Negli anni ottanta, Firenze aveva persino preso in considerazione l'idea di trasferire tutte quelle noiose funzioni quotidiane, uffici e amministrazioni, in periferia, e di abbandonare il centro ai turisti. Una scelta, ovviamente, che sarebbe stata pessima per il turismo, poichè sono proprio le faccende quotidiane che danno un tocco di autenticità alIa città. Come trattare un'area urbana che è utilizzata come un parco a tema, ma che è ancora, innegabilmente, uno spazio pubblico?
In quanto regni del divertimento i centri storici delle città sono fisicamente sempre più separati dalle loro periferie. Molte città olandesi, da Groningen a nord fino a Maastricht a sud, utilizzano speciali materiali di pregio per pavimentare le strade, per l'arredo urbano, per l'illuminazione e persino per decorare i segnali stradali. E ovviamente la monocultura del "divertimento" porta spesso al teppismo, così non appena si "entra" in una certa zona vi sono cartelli che avvertono della presenza di telecamere a circuito chiuso. II divertimento ha il suo prezzo, sia in termini di perdita di innocenza che in termini di perdita della privacy.
La relazione che abbiamo con lo spazio pubblico è cambiata; è diventata più fluttuante e più distante. Più ci troviamo in ambienti controllati, meno confortevole troviamo lo spazio pubblico. Questa tendenza è da tempo evidente negli Stati Uniti, dove l'atteggiamento di molta gente nei confronti dello spazio pubblico è di paura e di incondizionata diffidenza. Ciò accade là dove proliferano gli spazi artificiali di divertimento, non solo i parchi d'attrazione ma anche le strade artificiali. Jon Jerde. il gyru dei mall. per esempio. è il padre del progetto City Walk agli Universal Studios di Los Angeles: negozi, teatro di strada, panchine, ristoranti, il tutto in una strada quasi-autentica dotata di sistemi di sorveglianza. Un parco d'attrazione ispirato al tema «La strada».
Per i suoi amministratori, Amsterdam può imparare ancora molto da Disney e dall'Efteling. E’ così che la pensa Hans van Driem, direttore di Turismo e attivita ricreative in Olanda, l'ente di promozione turistica dell'Olanda. Amsterdam è fuori controllo proprio a causa del successo di cui gode. La città sta cambiando, ma chi la dirige resta indietro, e la municipalità non ama ricevere consigli. Qualunque parco dei divertimenti farebbe un lavoro migliore di quello che sta facendo chi amministra la città. «Se intendete usare un centro storico del xv o xvi secolo come un parco di divertimenti, è necessario farlo correttamente come un concetto tematico in cui la gente lavora, vive e trascorre il proprio tempo libero. In pratica un centro storico e un parco come Disneyland Parigi o come l'Efteling, il più grande parco a tema olandese - con la differenza che non è altrettanto pulito! Come prodotto turistico Amsterdam sta perdendo piede. Disney ha inventato il parco a tema perchè gli Stati Uniti non avevano nessun centro storico. Noi. in Olanda, li abbiamo, ma non li sfruttiamo correttamente».
E’ questo quello che vogliamo? Una città progettata e gestita come una versione tematica e caricaturale di se stessa? In cui il prodotto finale è un'autenticità confezionata addirittura più intelligentemente del reale, e senza alcun inconveniente scomodo. II rovescio della medaglia del nostro desiderio di autenticità è che esso crea la sua propria artificialità.
Trovo allarmante l'idea che tutto ciò che mi circonda sia stato esaminato e valutato per il suo valore commerciale, e venga quindi presentato in una formula vendibile. Non voglio che ogni cosa che vivo sia un'esperienza preconfezionata - se non altro perchè non voglio stare continuamente in guardia e dovermi chiedere senza sosta come, quando e da chi sono manipolata in quanto consumatore potenziale. Non voglio sapere che sono pedinata da un astuto imprenditore o da un'impresa pubblica locale sempre alla ricerca di vendermi qualcosa, anche se l'intenzione non è esplicita; nel suo affascinante libro L'era dell'accesso l'economista americano Jeremy Rifkin esprime la paura che in quest'era di ipercapitalismo e di mercificazione degli stili di vita, l'esperienza umana sopravviverà solo come merce di scambio. «Le vecchie istituzioni che si fondavano sulle relazioni di proprietà, sugli scambi commerciali e sulI'accumulazione materiale sono state lentamente sradicate per far posto ad un'era in cui la cultura diventa la risorsa commerciale più importante, il tempo e l'attenzione diventano il bene più ambito, e la vita privata di ciascuno il mercato finale».
E’ soprattutto grazie al divertimento e all'economia del tempo libero, che molte città sono state salvate dai sentimenti antiurbani degli anni sessanta e settanta. Non ci si meravigli che le città si siano servite del divertimento come di uno strumento di marketing per attirare visitatori e residenti e per far affari. Ma adesso questa tendenza ha raggiunto un livello insostenibile e rappresenta una minaccia, la minaccia, cioè, che ogni luogo finisca per offrire le stesse case e per assomigliare sempre di più agli altri. Possiamo già prevedere la reazione: ci sono stato, ho fatto questo e quello, ho comprato la t-shirt.
Le agenzie di marketing stanno facendo ottimi affari nel produrre loghi e slogan che mettano in evidenza le differenze. Più quanto ci circonda diventa uno scenario teatrale manipolato e confezionato, più esso ci risulta indifferente. Più si moltiplicano le attrazioni, minore è il nostro coinvolgimento. Per Amsterdam, come avviene in
molti centri turistici popolari, il successo è anche una minaccia. Temo che verrà presto il momento in cui i residenti del centro storico saranno felici di vedere una cacca di cane, o un' automobile in sosta vietata. La città è sulla buona strada per perdere quella sua qualità di quotidianità, di ovvietà, di inconsapevolezza - quella "naturalezza" speciale che mi ha indotto a diventare cittadina olandese onoraria. Amsterdam per me non è una merce, ma prima di tutto, e soprattutto, una vibrante città.
Care/i compagne/i, quando abbiamo annunciato il tema del nostro ormai tradizionale seminario di settembre alcuni compagni mi hanno fraternamente espresso qualche perplessità.
Da un lato la preoccupazione che la materia fosse troppo specialistica e non si prestasse quindi ad essere trattata dai non addetti ai lavori. Dall'altro l'idea che il tema, pur essendo di sicuro interesse culturale, sia però abbastanza estraneo al campo d'azione della Cgil. Affido a Eddy Salzano il compito di fugare la prima preoccupazione. Per quanto riguarda la seconda consentitemi invece qualche rapida considerazione.
Il documento conclusivo del nostro Congresso provinciale affermava autocriticamente che la nostra Camera del Lavoro ha una “scarsa dimestichezza” con il tema della città e dell'uso del territorio. L’ impegno congressuale di lavorare per colmare questa lacuna ha avuto prime risposte nel documento sulla città che abbiamo presentato nel gennaio 2003 e che ha ispirato varie iniziative provinciali e di zona.
Ora ci proponiamo di fare un altro passo avanti cercando di cogliere il nesso tra le politiche per lo sviluppo e il lavoro e il tema della città e dell'uso del territorio.
Nel seminario dello scorso anno con Bruno Trentin e Vittorio Rieser abbiamo analizzato le trasformazioni del lavoro ovvero il passaggio al “nuovo modo di produzione” che definiamo postfordista. Ne abbiamo esaminato le conseguenze dal punto di vista della precarizzazione del lavoro, dell'indebolimento dei diritti e delle tutele, della compressione del costo del lavoro. Oggi ci proponiamo di esaminare l'altra conseguenza di questo “nuovo modo di produzione”, lo sviluppo disordinato generato dalla fabbrica postfordista che esternalizza costi con ricadute pesanti sull'ambiente in termini di:
a) spreco di territorio, squilibrio idraulico, inquinamento dei corsi d'acqua;
b) difficoltà crescenti nello smaltimento dei rifiuti;
c) peggioramento della qualità dell'aria che respiriamo;
d) congestione del traffico;
e) omologazione e spersonalizzazione dei nostri paesi città;
Cosa c'entra tutto ciò con il postfordismo? Nella vecchia fabbrica fordista tutto si faceva in casa. La grande fabbrica segnava anche simbolicamente il territorio: Torino era la Fiat, Olivetti era Ivrea, Marzotto si identificava con Valdagno, la Lanerossi era Schio e così la Pellizzari per Arzignano e le Smalterie per Bassano.
Il postfordismo è il rovesciamento di questa impostazione. Conviene esportare fuori dalla fabbrica una serie di funzioni, si risparmia. È una corsa alla riduzione delle dimensioni produttive, la fabbrica snella tende a procurarsi all'esterno ciò che prima produceva all'interno. Nasce così l'impresa a rete, il lavoro si disperde nel territorio e così nascono come funghi i capannoni che si mangiano il territorio.
Prima le reti sono corte, distrettuali, oggi le reti diventano sempre più lunghe, tendono a stendersi ed articolarsi su scala planetaria, connettendo segmenti di produzione, saperi tecnologici e reti commerciali dislocate magari in continenti diversi. La fabbrica just in time elimina il magazzino, il magazzino viaggia sulle nostre strade congestionate. Il cambiamento reso possibile dalla rivoluzione delle nuove tecnologie dell’ I.C.T. che velocizzano le comunicazioni e dalla ricerca del capitale di luoghi di produzione a minor costo del lavoro (Samorin/Cina).
Ma le merci non viaggiano via satellite e neppure attraverso le fibre ottiche. Ecco che allora il nuovo modo di produzione genera una mobilità esasperata e multidirezionale delle merci e delle persone, generalmente su gamma e quasi sempre su mezzi privati da un punto all'altro di un sistema insediativo disperso nel territorio.
Il traffico è sempre più congestionato. Di qui la richiesta di nuove autostrade che si mangiano un'altra fetta di territorio. Capannoni e strade impermeabilizzano il territorio, rallentano la ricerca delle falde acquifere, provocano esondazioni dei corsi d'acqua.
Si affermano nuovi modi di costruire. Prendiamo ad esempio la Statale 11 verso Montecchio Maggiore ed oltre. Essa è diventata una strada-mercato, una successione lineare di fabbriche ed edifici mostra. Più in generale, quello che un tempo era campagna è diventato un paesaggio reticolare della piccola impresa disseminato di case laboratorio. Nuovi monumenti suburbani crescono come funghi, sono i centri commerciali che sostituiscono le vecchie piazze cittadine.
Insomma, per farla breve, il paesaggio urbano che avanza prepotentemente e sembra quasi un fiume inarrestabile, è il paesaggio reticolare della città diffusa, insieme rurale e urbana, ma credo che a Eddy non piaccia questa definizione, credo anch'io sia più corretto parlare di città dispersa.
In sostanza un ambiente urbano a marmellata sempre più privo di forma e memoria dei luoghi. Un ambiente vissuto in modo sempre più alienante soprattutto da parte delle nuove generazioni. Noi siamo abituati ad affrontare questi problemi in modo settoriale, ovvero non sistemico. Se c'è un problema di traffico la soluzione è semplice: facciamo una nuova strada, meglio se autostrada.
Scrive un grande urbanista: " l'errore più grave è quello di pensare di risolvere un problema così grave come quello del traffico isolandolo dal più generale contesto della pianificazione urbanistica territoriale”. Appunto, la pianificazione urbanistica è mancata nel Veneto e i risultati sono sotto i nostri occhi.
Il territorio è stato trasformato dagli spiriti animali del capitale. Oggi anche la parte più avvertita della classe dirigente vicentina si rende conto che occorre mettere un freno a questo sviluppo disordinato, ma le soluzioni proposte sono solo delle toppe.
Occorre invece pensare ad una riorganizzazione complessiva e organica del territorio, che riduca la dispersione delle attività produttive, commerciali e residenziali; che punti al trasporto collettivo delle persone e a soluzioni logistiche adeguate. E’ il tema che ci illustrerà Marco Guerzoni domani mattina.
Tutto ciò è necessario ma non basta. Occorre connetterlo con l’idea di uno sviluppo più qualificato capace di competere nella fascia alta ed innovativa delle produzioni e, di conseguenza, in grado di generare lavoro qualificato, di sostenere più elevati livelli salariali e migliori condizioni di lavoro. Questo tipo di economia è anche più rispettosa dell’ambiente, meno “energivora”. Per questa via passa anche il tema della riconversione ecologica dell’economia di cui ci parlerà Salzano.
Proviamo invece a vedere cosa succede a Vicenza, Vicenza città capoluogo. A Vicenza manca il PRG. Nessuno sa che fine ha fatto il piano Crocioni, costato un paio di miliardi di vecchie lire. Nel contempo apprendiamo, senza che ciò provochi particolare scandalo in città, che il Sindaco e i vari amministratori adattano gli strumenti urbanistici alle pretese di vari operatori privati interessati ad edificare migliaia di metri cubi. E tutto ciò indipendentemente dalle reali esigenze della città.
E così nascono astruse sigle, il Piruea ( ex Cotorossi) per 218.000 mq, lo giustificano con l’esigenza del nuovo tribunale, ma esso riguarderebbe poco più di un quarto della superficie. Il resto è suddiviso tra direzionale, commerciale, residenziale. La stessa logica vale per il nuovo stadio Menti, per l’ex Lanerossi, per la Cittadella dello Sport e via dicendo.
Dalla semplice somma di questa ed altre iniziative dalla scarsa trasparenza emerge la ragguardevole cifra di 1 milione di mq di nuova edificazione da realizzarsi con la deprecabile modalità dell’urbanistica contrattata. Una follia per una città di poco più di 100.000 abitanti. Il nostro obiettivo è invece recuperare qualità urbana e sociale.
Cosa è accaduto in questi anni a Vicenza?
La prima dinamica. La città si allarga perché tanti vicentini vanno a vivere nei comuni della provincia. I motivi di questa fuoriuscita vanno ricercati in primo luogo nell’elevato costo degli affitti e delle case e nella ricerca di una qualità della vita urbana migliore che si trova nei comuni della cintura. La fuga dalla città ha effetti sul sistema territoriale che si misurano in una esponenziale crescita della mobilità privata e sul sistema cittadino con un allentamento dei legami sociale e dell’identità dei luoghi con una tendenza all’isolamento che riduce la socialità.
La seconda dinamica. Vicenza e la sua provincia in questi anni sono diventate più ricche grazie all’eccezionale crescita dell’economia e, in particolare del settore industriale. Gli insediamenti produttivi e terziari hanno consumato il territorio. L’assenza di un adeguato governo del territorio e delle sue trasformazioni, lasciate alle spontaneità degli spiriti animali, ha però determinato quell’ambiente urbano a marmellata, sempre più privo di identità e memoria dei luoghi, di cui abbiamo già parlato.
La terza dinamica. I trend demografici mostrano che nel prossimo decennio avremo una diversa composizione anagrafica con un aumento delle fasce di popolazione costituite da bambini e anziani e di “ immigrati extracomunitari”.Il futuro richiede quindi più Welfare e quindi maggiore impegno da parte dell’amministrazione pubblica. Se tale impegno non dovesse esserci lo scenario futuro potrebbe riservarci situazioni di emarginazione sociale e la creazione di quartieri monoculturali ed etnici. La risposta della giunta Hullweck di tenere fuori dalla città i migranti e i ceti poveri è pericolosa perché è l’antitesi dell’integrazione necessaria al nostro sistema produttivo. Quando i luoghi di lavoro sono lontani dai i luoghi dell’abitare e a loro volta sono lontani dai luoghi dei sevizi e della socialità si perde gradualmente l’identità sociale di una comunità e la sua coesione sociale.
Dunque, qualità urbana e qualità dello sviluppo devono connettersi alla qualità sociale, ciò significa affrontare il tema dei servizi collettivi, del Welfare locale sempre più minacciato dai tagli del governo e della Regione.
Il nostro obiettivo è recuperare qualità urbana e sociale. Quanto della qualità sociale dipende anche dalla qualità urbana? Lo chiedo al Compagno e al Prof. Edoardo Salzano.
Noi ci riconosciamo in quello che egli ha scritto con grande efficacia. “Ricostruire una città umana significa eliminare la congestione, restituire alle piazze la loro funzione originaria di luogo d’incontro, di scambio di esperienze, significa rendere accessibile per i deboli, come per i forti, i luoghi della vita collettiva ed i luoghi della vita privata, significa fare della città il luogo nel quale i differenti ceti, i differenti mestieri, funzioni sociali, differenti etnie, abitudini, culture si mescolano e si scambiano reciproci insegnamenti.
La visione è un invito alla socialità, se possibile alla socievolezza, la città come luogo della libertà e della crescita personale.
E’ una visione che tradotta nel nostro linguaggio più consueto si propone di affermare il diritto all’ambiente, alla mobilità, alla casa, al lavoro, alla salute, all’istruzione e poi anche opportunità formative e culturali.
Per questo abbiamo promosso questo seminario e chiesto ad Edoardo Salzano, a cui tra un attimo cedo la parola, di alfabetizzarci su una materia della quale abbiamo “scarsa dimestichezza” ma al contempo anche la consapevolezza che essa è essenziale per la nostra azione politica e sindacale.
Lo scorso 21 gennaio il Consiglio comunale di Palermo, tramite una procedura irrituale e non prevista dalla normativa urbanistica di riferimento, ha votato la «presa d’atto» che recepisce i due decreti regionali di approvazione della variante generale al Prg di Palermo. Con quest’atto amministrativo del tutto anomalo giunge a conclusione, con una perdita complessiva di qualità del piano, (e a un punto di pericolosa involuzione) quel processo di pianificazione elaborato negli anni 1988-2000 sotto le giunte guidate da Leoluca Orlando, con il conferimento di incarichi prima a Leonardo Benevolo, poi a Pierluigi Cervellati.
La variante generale che ora entra in vigore sostituisce il precedente piano regolatore del 1962 e la successiva variante di adeguamento del 1992, ma il recepimento dei due decreti della Regione stravolge profondamente il documento e solleva dubbi tanto di procedura che di contenuto. I due decreti di approvazione della Regione Sicilia, il primo del marzo 2002 (pochi giorni prima della scadenza delle norme di salvaguardia), il secondo del luglio successivo, contengono infatti modifiche al piano di tale entità da tradursi in una vera e propria variante urbanistica generale.
Un intervento confutabile, dal momento che la Regione (ai sensi della l.r. 71/78 e della l. 765/67) ha facoltà di apportare solo modifiche che non comportino sostanziali innovazioni, tali da mutare le caratteristiche del piano stesso, oltre a quelle necessarie per assicurare l’osservanza delle vigenti disposizioni statali e regionali. La stessa «presa d’atto» ora votata dal Consiglio comunale si configura come una procedura fortemente atipica, imposta non dalla legge urbanistica regionale, ma dal primo dei due decreti regionali sopra ricordati, secondo il quale il Comune deve «curare che in breve tempo vengano apportate dall’ufficio redattore del progetto di piano le modifiche e le correzioni agli elaborati di piano che discendono dal presente decreto, affinché per gli uffici e per l’utenza risulti un testo definitivo e completo. Con successiva delibera il consiglio comunale dovrà prendere atto degli elaborati di piano come modificati in conseguenza del presente decreto» (decreto del 13 marzo 2002, Gurs 22/3/2002, n. 13, art. 4).
Le «modifiche e correzioni» contenute nei decreti sono davvero sostanziali (come più avanti specificato) e di fatto tendono a scavalcare ed esautorare il Comune quale unica figura preposta all’elaborazione dello strumento di pianificazione comunale, nonché a eludere quelle forme di partecipazione istituzionalizzata secondo cui le previsioni di piano devono essere sottoposte a regolare verifica culturale e sociale e a pubblicazione. L’operazione, molto grave, si fonda su una convergenza tra gli orientamenti politici della Regione e della maggioranza di centro-destra del Consiglio comunale (sindaco di Palermo è dal 2001 Diego Cammarata, di Forza Italia): solo i gruppi consiliari dei Ds, Margherita, Rifondazione Comunista, Primavera Siciliana, hanno votato contro. Contro le «modifiche e correzioni» è stato presentato ricorso da associazioni e movimenti come l’Inu, Wwf, Salvare Palermo, Primavera Siciliana.
Ciò che è accaduto è l’esito di una strettoia procedurale inconsueta. Essa da un lato anticipa e prefigura una forma di pianificazione «surrettizia» che favorisce processi di consumo di territorio, sostenuti da un generale disinteresse per la questione paesaggistica e ambientale. Dall’altro consente di sanare l’arbitrarietà della Regione: l’entità delle «modifiche e correzioni» contenute nei decreti è tale che il Consiglio comunale, nonostante pareri fortemente critici della stessa Avvocatura comunale (luglio 2002), è stato in un certo senso costretto alla «presa d’atto», anche per evitare di gestire le migliaia di contenziosi che sarebbero stati sollevati da quei soggetti a cui i decreti stessi hanno attribuito nuovi e insperati diritti edificatori.
Queste alcune tra le principali modifiche introdotte dai due decreti regionali nella variante generale al Prg di Palermo:
1. Eliminazione di attrezzature. Viene ulteriormente ridotto quanto già disciplinato dalla precedente stesura del Prg, prefigurano una dotazione di servizi assai inferiore agli standard.
2. Declassamento del cosiddetto «netto storico». Con quest’espressione si intende l’insediamento storico urbano e rurale, cioè le «parti di territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti che possono considerarsi parte integrante degli agglomerati stessi». Il «netto storico» (zone A del piano, distinte in A1 e A2) era stato delimitato da Pierluigi Cervellati sulla base della cartografia «Omira» del 1939. Ora viene in alcuni casi convertito in zona B, con conseguente aumento di cubatura e modifica delle azioni di trasformazione consentite.
3. Incremento della cubatura nelle zone B. Le zone B (distinte in B0a, B0b, B1, B2, B3, B4, B5) sono le «parti di territorio totalmente o parzialmente edificate diverse dalle zone A». L’aumento di cubatura, che si riflette in un ulteriore fabbisogno di servizi residenziali e urbani, non è giustificato da alcuno studio né dall’estensione delle superfici destinate ad attrezzature. Inoltre, alcune zone B1 («parti di territorio caratterizzate da edilizia residenziale a bassa densità, comunque maggiore o uguale a 1,54 mc/mq») diventano ora zone C.
4. Aumento delle zone C. Le zone C (distinte in zone Ca, e in zone Cb che derivano dalla riclassificazione delle zone B1) sono le «parti di territorio destinate a nuova edificazione per la realizzazione di manufatti ad uso residenziale o direzionale o ricettivo o extralberghiero». Vengono così individuate ancora nuove aree per la realizzazione di residenze, prevedendo un incremento diffuso della cubatura massima ammissibile e aggravando ulteriormente la carenza di standard urbanistici.
5. Riduzione drastica delle pertinenze agricole delle ville storiche e del verde storico. Tale categoria (prima inedificabile) viene ora dai decreti equiparata alle zone agricole E1 («parti anche residuali di territorio prevalentemente pianeggianti, ancorché compromesso da insediamenti residenziali, caratterizzate da colture agricole», con indice di fabbricabilità dello 0.02). Ne deriva un’ulteriore erosione delle aree intercluse ancora non edificate, nonché di un patrimonio identitario, ambientale e culturale già fortemente compromesso dall’attuazione del piano del 1962. Viene cancellato il riconoscimento del valore del verde storico, facendo aumentare il rischio di nuove edificazioni nelle aree in pianura così come nelle zone collinari.
Alcune fasi dell’iter
1988/89. La giunta Dc-Pci guidata da Leoluca Orlando avvia la «variante di adeguamento», affida la revisione del Prg a un gruppo di esperti coordinato da Leonardo Benevolo e istituisce l’Ufficio di piano, potenziato nel 1993
1992. Adozione della «variante di adeguamento»
1993. Incarico a Pierluigi Cervellati per la revisione del Prg.
1994. Elaborazione e consegna degli elaborati finali (1:5000) della variante generale
1997. Adozione della variante generale
1999. Il Consiglio comunale accoglie circa un terzo delle 2719 osservazioni presentate contro la variante generale
2000. Dimissioni di Leoluca Orlando, che si candida alla presidenza della Regione (non eletto)
2000/2001. Gestione commissariale del Comune affidata a Guglielmo Serio, vicino al centro-destra
2001. Novembre: insediamento della giunta di centro-destra, guidata da Diego Cammarata
2002. Invio alla Regione della variante generale. Decreto di approvazione regionale del 13 marzo che prevede «modifiche e correzioni». Ulteriore decreto del 29 luglio, che prevede ulteriori modifiche e delinea la procedura della «presa d’atto»
2004. 21 gennaio: il Consiglio comunale di Palermo «prende atto» dei decreti regionali