Il condono dell’abusivismo è:
Ingiusto. Perché premia i furbi a scapito degli onesti. Perché vanifica gli sforzi delle amministrazioni più coraggiose, impegnate nella difesa del territorio e nel rispetto delle regole comuni.
Inutile. Perché, a fronte di un guadagno per lo Stato, Comuni e Regioni devono sostenere spese di entità superiore ai ricavi dell’amministrazione centrale.
Dannoso. Per l’ambiente. Per il paesaggio. Per il turismo. Perché favorisce la crescita di città e paesi privi di qualità e senza servizi.
Pericoloso. Perché avvantaggia le imprese disoneste e le mafie, grandi e piccole.
Effimero. Che cosa saremo costretti a fare, nel 2004, per risanare i conti dello Stato, dopo aver svenduto i beni dello Stato e condonato tutto quel che era possibile?
Il condono è deciso dallo Stato centrale senza consultare le Regioni e Comuni, amministratori del territorio, con buona pace del federalismo e della cooperazione fra gli enti. La devolution dei poteri, per ora, è solo un trasferimento dei costi dal centro, alla periferia, senza alcun vantaggio per i cittadini.
Attraverso il condono non si promuove alcuna forma di sviluppo. Nessun beneficio può essere ricavato per l’industria, per il commercio, per l’agricoltura, per il turismo. Nessuna forma di economia stabile può essere promossa o sostenuta attraverso l’edilizia illegale. Al contrario, l’ambiente e il paesaggio, le principali risorse del paese, sono nuovamente saccheggiate.
Il condono farà incassare allo Stato una cifra inferiore a quella che occorre per finanziare il ponte sullo Stretto di Messina. Possiamo rinunciare a entrambi e immaginare un’Italia diversa. Senza ponte, ma onesta.
Un’altra Italia, diversa da quella che ha in mente il Presidente del Consiglio on. Silvio Berlusconi, è possibile.
Per aderire, inviare una e-mail a
scanolu@tin.it
"La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione"
(articolo 9 della Costituzione repubblicana del 1948)
Il nostro paesaggio è la nostra storia, la nostra identità, la nostra anima profonda. Ogni ferita al nostro territorio e alle nostre città è una ferita inferta a noi stessi, alla nostra memoria collettiva, a qualcosa di inestimabile che abbiamo creato nel tempo e con cui abbiamo convissuto di generazione in generazione, attraverso i secoli. Ferire a morte quest’eredità delicata e preziosa non è solo un “cruccio” culturale, ma anche un calcolo economico miope e dissennato. Il ritorno ciclico del condono edilizio non rappresenta solamente un eccellente viatico per ogni illecito ed abuso, non solo favorisce il ritorno della legge della giungla a scapito dello stato di diritto, non solo punisce i cittadini onesti e premia chi costruisce in spregio ai vincoli urbanistici, alle norme ambientali, alle regole antisismiche, ma dimostra soprattutto l’incapacità dei nostri governanti d’imparare dagli errori del passato, di comprendere fino in fondo che preservare il nostro paesaggio è di straordinario significato e valore anche per l’economia del paese.
Questo treno in corsa può ancora essere fermato. I danni creati dal nefasto “effetto annuncio”, protrattosi per più di un anno, sono già stati in parte quantificati. Se lo Stato intende veramente incamerare delle risorse allora la strada maestra non è quella del condono – per ogni euro incassato la collettività ne spenderà tre per l’urbanizzazione del manufatto sanato – ma è piuttosto quella di sanzionare i furbi e i disonesti dell’ultima ora con le multe già previste dalla legge. In attesa di tempi migliori, quando l’ipotesi di una legge ad hoc contro l’abusivismo sarà di nuovo presa seriamente in considerazione, noi esortiamo le autorità ad attivare tutti gli strumenti disponibili per via ordinaria: i Sindaci denuncino senza indugi gli abusi di ogni tipo e grandezza alle autorità giudiziarie (anche nelle more di un condono: i casi già oggetto di procedura giudiziaria non dovrebbero rientrarvi) e procedano con le demolizioni, non limitandosi a quelle simboliche e mediatiche; le Regioni e le Province escano dall’inerzia nella quale si trovano e diano un segnale che, per loro, la lotta all’abusivismo rappresenta una priorità assoluta; il ministero delle Infrastrutture utilizzi i provveditorati alle opere pubbliche per mettere al lavoro imprese esenti dal rischio d’intimidazione da parte del crimine organizzato; lo stesso ministero riprenda l’attività di monitoraggio, da tempo abbandonato, sul fenomeno dell’abusivismo e trasmetta al Parlamento dati e rilevazioni periodiche; il ministero degli Interni dia disposizioni a Prefetti e Forze dell’ordine per intervenire tempestivamente al fine d’impedire nuovi scempi; la magistratura acceleri le pratiche sui ricorsi che si sono accumulate sui loro tavoli; il ministro dell’Economia, con la previsione delle entrate provenienti dagli abusi edilizi di ultima generazione, accantoni sin dalla prossima Legge finanziaria, le risorse necessarie per dotare la lotta all’abusivismo di mezzi e strumenti per intervenire efficacemente.
Ricorrere ai condoni, soprattutto quello edilizio per le sue implicazioni fisiche irrimediabili oltre che morali, non è una “buona politica”. Non è neppure un’azione amministrativa improntata a criteri di efficienza e di efficacia, mentre perseguire obiettivi di bellezza non è in contrasto con il rigore, la funzionalità, il senso di responsabilità individuale. Le ragioni dell’economia non sono opposte a quelle della cultura e della tutela ambientale: per impedire che in Italia queste ragioni rimangano un sogno occorre intervenire con appassionata fermezza.
Il Consiglio di presidenza e il Comitato dei garanti
Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici.
(GU n. 229 del 2-10-2003- Suppl. Ordinario n.157)
Stralcio: Condono edilizio
testo in vigore dal: 2-10-2003
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;
Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni per favorire lo sviluppo economico e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 29 settembre 2003;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, delle infrastrutture e dei trasporti, dell'interno, delle politiche agricole e forestali, del lavoro e delle politiche sociali, delle attivita' produttive, per i beni e le attivita' culturali, dell'ambiente e della tutela del territorio, della salute e per gli affari regionali;
Emana
il seguente decreto-legge:
Artt. 1- 31
(omessi)
Art. 32
Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attività di repressione dell'abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali.
1. Al fine di pervenire alla regolarizzazione del settore è consentito, in conseguenza del condono, il rilascio del titolo abilitativi edilizio in sanatoria delle opere esistenti non conformi ala disciplina vigente.
2. La normativa è disposta nelle more dell'adeguamento della disciplina regionale al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in conformità al titolo V della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e comunque fatte salve le competenze delle autonomie locali sul governo del territorio.
3. Le condizioni, i limiti e le modalità del rilascio del predetto titolo abilitativo sono stabilite dal presente articolo e dalle normative regionali.
4. Sono in ogni caso fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano.
5. Il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti fornisce, d'intesa con le regioni interessate, il supporto alle amministrazioni comunali ai fini dell'applicazione della presente normativa e per il coordinamento con le leggi 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modifiche e integrazioni.
6. Al fine di concorrere alla partecipazione alla realizzazione delle politiche di riqualificazione urbanistica dei nuclei interessati dall'abusivismo edilizio, attivate dalle regioni ai sensi del comma 33 è destinata una somma di 10 milioni di euro per l'anno 2004 e di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006. Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del D. Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati gli interventi da ammettere a finanziamento.
7. Al comma 1 dell'articolo 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:
"c-bis) nelle ipotesi in cui gli enti territoriali al di sopra dei mille abitanti siano provvisti dei relativi strumenti urbanistici generali e non adottino tali strumenti entro diciotto mesi dalla data di elezione degli organi. In questo caso, il decreto di scioglimento del consiglio è adottato di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Le disposizioni di cui alla presente lettera si applicano anche nei confronti degli altri organi tenuti all'adozione di strumenti urbanistici."
8. All'articolo 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è aggiunto il seguente comma:
" 2-bis. Nell'ipotesi di cui alla lettera c-bis) del comma 1, trascorso il termine entro il quale gli strumenti urbanistici devono essere adottati, la regione assegna agli enti che non vi abbiano provveduto un ulteriore termine di tre mesi, alla scadenza del quale, con lettera notificata al Sindaco, diffida il consiglio ad adempiere nei successivi trenta giorni. Trascorso infruttuosamente quest'ultimo termine, a regione ne dà comunicazione al Prefetto. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche nei confronti degli altri organi tenuti all'adozione di strumenti urbanistici.".
9. Per attivare un programma nazionale di interventi, anche con la partecipazione di risorse private, rivolto alla riqualificazione di ambiti territoriali caratterizzati da consistente degrado economico e sociale, con riguardo ai fenomeni di abusivismo edilizio, da attuare anche attraverso il recupero delle risorse ambientali e culturali, è destinata una somma di 20 milioni di euro per l'anno 2004 e di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006. Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati gli ambiti di rilevanza e interesse nazionale oggetto di riqualificazione urbanistica, ambientale e culturale. Su tali aree, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con i soggetti pubblici interessati, predispone un programma di interventi, anche in riferimento a quanto previsto dall'articolo 29, comma 4, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, come sostituito dal comma 42.
10. Per la realizzazione di un programma di interventi di messa in sicurezza del territorio nazionale dal dissesto idrogeologico è destinata una somma di 20 milioni di euro per l'anno 2004 e di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, sono individuate le aree comprese nel programma. Su tali aree, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con i soggetti pubblici interessati, predispone un programma operativo di interventi e le relative modalità di attuazione.
11. Allo scopo di attuare un programma di interventi per il ripristino e la riqualificazione delle aree e dei beni soggetti alle disposizioni del titolo II del d.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, è destinata una somma di 10 milioni di euro per l'anno 2004 e di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006. Con decreto del Ministro per i bei culturali e le attività culturali, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, tale somma è assegnata alle regioni per l'esecuzione di interventi di ripristino e di riqualificazione paesaggistica delle aree tutelate, dopo aver individuato le aree comprese nel programma.
12. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto la Cassa depositi e prestiti è autorizzata a mettere a disposizione l'importo massimo si 50 milioni di euro per la costituzione, presso la Cassa stessa, di un Fondo di rotazione per la concessione ai comuni e ai soggetti titolari dei poteri di cui all'articolo 27, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, anche avvalendosi delle modalità di cui ai commi 55 e 56 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, di anticipazioni, senza interessi, sui costi relativi agli interventi di demolizione delle opere abusive anche disposti dall'autorità giudiziaria e per la spese giudiziarie, tecniche e amministrative connesse. Le anticipazioni, comprensive della corrispondente quota delle spese di gestione del Fondo, sono restituite al Fondo stesso in un periodo massimo di cinque anni, secondo modalità e condizioni stabilite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, utilizzando le somme riscosse a carico degli esecutori degli abusi. In caso di mancato pagamento spontaneo del credito, l'amministrazione comunale provvede alla riscossione mediante ruolo ai sensi del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46. Qualora le somme anticipate non siano rimborsate nei tempi e nelle modalità stabilite, il Ministro dell'interno provvede al reintegro alla Cassa depositi e prestiti, trattenendone le relative somme dai fondi del bilancio da trasferire a qualsiasi titolo ai comuni.
13. Le attività di monitoraggio e di raccolta delle informazioni relative al fenomeno dell'abusivismo edilizio di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, fanno capo all'Osservatorio nazionale dell'abusivismo edilizio. Il Ministero collabora con le regioni al fine di costituire un sistema informativo nazionale necessario anche per la redazione della relazione al Parlamento di cui alla legge 21 giugno 1985, n. 289. Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il Ministro dell'Interno, sono aggiornate le modalità di redazione, trasmissione, archiviazione e restituzione delle informazioni contenute nei rapporti di cui all'articolo 31, comma 7, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Per le suddette attività è destinata una somma di 0,2 milioni di euro per l'anno 2004 e di 0,4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006.
14. Per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria da parte dell'ente locale competente è subordinato il rilascio della disponibilità da parte dello Stato proprietario per il tramite dell'Agenzia del demanio, rispettivamente, a cedere a titolo oneroso la proprietà dell'are appartenente al patrimonio disponibile dello Stato su cui insiste l'opera ovvero a garantire onerosamente il diritto al mantenimento dell'opera sul suolo appartenente al demanio e al patrimonio indisponibile dello Stato.
15. La domanda del soggetto legittimato volta ad ottenere la disponibilità dello Stato alla cessione dell'area appartenente al patrimonio disponibile ovvero il riconoscimento al diritto al mantenimento dell'opera sul suolo appartenente al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato deve essere presentata, entro il 31 marzo 2004, alla filiale dell'Agenzia del demanio territorialmente competente, corredata dall'attestazione del pagamento all'erario della somma dovuta a titolo di indennità per l'occupazione pregressa delle aree, determinata applicando i parametri di cui alla allegata Tabella A, per anno di occupazione, per un periodo comunque non superiore alla prescrizione quinquennale. A tale domanda deve essere allegata, in copia, la documentazione relativa all'illecito edilizio di cui ai commi 32 e 35. Entro il 30 settembre 2004, inoltre, deve essere allegata copia della denuncia in catasto dell'immobile e del relativo frazionamento.
16. La disponibilità alla cessione dell'area appartenente al patrimonio disponibile ovvero a riconoscere il diritto a mantenere l'opera sul suolo appartenente al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato viene espressa dalla filiale dell'Agenzia del demanio territorialmente competente entro il 31 dicembre 2004.
17. Nel caso di aree soggette ai vincoli di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, la disponibilità alla cessione dell'area appartenente al patrimonio disponibile ovvero a riconoscere il diritto a mantenere l'opera sul suolo appartenente al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato è subordinata al parere favorevole da parte dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo.
18. Le procedure di vendita delle aree appartenenti al patrimonio disponibile dello Stato devono essere perfezionate entro il 31 dicembre 2006, a cura della filiale dell'Agenzia del demanio territorialmente competente previa presentazione da parte dell'interessato del titolo abilitativo edilizio in sanatoria rilasciato dall'ente locale competente, ovvero della documentazione attestante la presentazione della domanda, volta ad ottenere il rilascio del titolo edilizio in sanatoria sulla quale è intervenuto il silenzio assenso con l'attestazione dell'avvenuto pagamento della connessa oblazione, alle condizioni previste dal presente articolo.
19. Il prezzo di acquisto delle aree appartenenti al patrimonio disponibile è determinato applicando i parametri di cui alla Tabella B ed è corrisposto in due rate di pari importo scadenti, rispettivamente, il 30 giugno 2005 e il 31 dicembre 2005.
20. Il provvedimento formale di riconoscimento del diritto al mantenimento dell'opera sulle aree del demanio dello Stato e del patrimonio indisponibile è rilasciato a cura della filiale dell'Agenzia del demanio territorialmente competente entro il 31 dicembre 2006, previa presentazione della documentazione di cui al comma 18. Il diritto è riconosciuto per una durata massima di anni venti, a fronte di un canone commisurato ai valori di mercato.
21. Con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economi e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono rideterminati i canoni annui di cui all'articolo 03 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494.
22. Dal 1° gennaio 2004, i canoni per la concessione d'uso sono rideterminati nella misura prevista dalle tabelle allegate al decreto del Ministero dei trasporti e della navigazione 5 agosto 1998, n. 342, rivalutate del trecento per cento.
23. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 6 del citato decreto del Ministro di cui al comma 22, relativo alla classificazione delle aree da parte delle regioni, in base alla valenza turistica delle stesse.
24. Ai fini del miglioramento, della tutela e della valorizzazione delle aree demaniali è autorizzata una spesa fino ad un importo massimo di 20 milioni di euro per l'anno 2004 e di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006. L'Agenzia del demanio, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti predispone un programma di interventi volti alla riqualificazione delle aree demaniali. Il programma è approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
25. Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, nonché dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 mc. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per singola richiesta di titolo abilitativi edilizio in sanatoria.
26. Sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all'allegato 1:
a) numeri da 1 a 3, nell'ambito dell'intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27, nonché 4, 5 e 6 nell'ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47;
b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con la quale è determinata la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio.
27. Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:
a) siano state eseguite dal proprietario o avente causa condannato con sentenza definitiva, per i delitti di cui all'art. 416 bis, 468 bis e 648 ter del codice penale o da terzi per suo conto;
b) non sia possibile effettuare interventi per l'adeguamento antisismico, rispetto alle categorie previste per i comuni secondo quanto indicato dalla ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 marzo 2003, n. 3274, pubblicata nel supplemento ordinario alla G.U. n. 105 dell'8 maggio 2003;
c) non sia data la disponibilità di concessione onerosa dell'area di proprietà dello Stato o degli enti pubblici territoriali, con le modalità e condizioni di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ed al presente decreto;
d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativi e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;
e) siano state realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente rilevante ai sensi degli articoli 6 e 7 del d. Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490;
f) fermo restando quanto previsto dalla legge 21 novembre 2000, n. 353, e indipendentemente dall'approvazione del piano regionale di cui al comma 1 dell'articolo 3 della citata legge n. 353 del 2000, il comune subordina il rilascio del titolo abilitativi edilizio in sanatoria alla verifica che le opere non insistano su aree boscate o su pascolo i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco. Agli effetti dell'esclusione della sanatoria è sufficiente l'acquisizione di elementi di prova, desumibili anche dagli atti e dai registri del Ministero dell'interno, che le aree interessate dall'abuso edilizio siano state, nell'ultimo decennio, percorse da uno o più incendi boschivi;
g) siano state realizzate nei porti e nelle aree appartenenti al demanio marittimo, di preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato ed alle esigenze della navigazione marittima, quali identificate ai sensi del secondo comma dell'articolo 59 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
28. I termini previsti dalle disposizioni sopra richiamate e decorrenti dalla data di entrata in vigore dell'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, ove non disposto diversamente, sono da intendersi come riferiti alla data di entrata in vigore del presente decreto. Per quanto non previsto dal presente decreto si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, e al predetto articolo 39.
29. Il procedimento di sanatoria degli abusi edilizi posti in essere dalla persona imputata di uno dei delitti di cui agli articoli 416-bis, 648-bis e 648 ter del codice penale, o da terzi per suo conto, è sospeso fino alla sentenza definitiva di non luogo a procedere o di proscioglimento o di assoluzione. Non può essere conseguito il titolo abilitativi edilizio in sanatoria degli abusi edilizi se interviene la sentenza definitiva di condanna per i delitti sopra indicati. Fatti salvi gli accertamenti di ufficio in ordine alle condanne riportate nel certificato generale del casellario giudiziale ad opera del comune, il richiedente deve attestare, con dichiarazione sottoscritta nelle forme di cui all'articolo 2 della legge 4 gennaio 1968, n. 15 e successive modificazioni e integrazioni, di non avere carichi pendenti in relazione ai delitti di cui agli articoli 416-bis, 648-bis e 648-ter del codice penale.
30. Qualora l'amministratore di beni immobili oggetto di sequestro o di confisca ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, autorizzato dal giudice competente ad alienare taluno di detti beni, può essere autorizzato, altresì, dal medesimo giudice, sentito il pubblico ministero, a riattivare il procedimento di sanatoria sospeso. In tal caso non opera nei confronti dell'amministratore o del terzo acquirente il divieto di rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui al comma 28.
31. Il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria non comporta limitazione ai diritti dei terzi.
32. La domanda relativa alla definizione dell'illecito edilizio, con l'attestazione del pagamento dell'oblazione e dell'anticipazione degli oneri concessori, è presentata al comune competente, a pena di decadenza, entro il 31 marzo 2004, unitamente alla dichiarazione di cui al modello allegato e alla documentazione di cui al comma35.
33. Le regioni, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, emanano norme per la definizione del procedimento amministrativo relativo al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria e possono: prevedere, tra l'altro, un incremento dell'oblazione fino al massimo del 10 per cento della misura determinata nella tabella C allegata, ai fini dell'attivazione di politiche di repressione degli abusi edilizi e per la promozione di interventi di riqualificazione dei nuclei interessati da fenomeni di abusivismo edilizio, nonché per l'attuazione di quanto previsto dall'articolo 23 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.
34. Ai fini dell'applicazione del presente articolo non si applica quanto previsto dall'articolo 37, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Con legge regionale gli oneri di concessione relativi alle opere abusive oggetto di sanatoria possono essere incrementati fino al massimo del 100 per cento. Le amministrazioni comunali perimetrano gli insediamenti abusivi entro i quali gli oneri concessori sono determinati nella misura dei costi per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria necessarie, nonché per gli interventi di riqualificazione igienico-saitaria e ambientale attuati dagli enti locali. Coloro che in proprio o in forme consortili, nell'ambito delle zone perimetrate, intendano eseguire in tutto o in parte le opere id urbanizzazione primaria, nel rispetto dell'articolo 2, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni e integrazioni, secondo le disposizioni tecniche dettate dagli uffici comunali, possono detrarre dall'importo complessivo quanto già versato, a titolo di anticipazione degli oneri concessori, di cui alla tabella D allegata. Con legge regionale, ai sensi dell'art. 29 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, come modificato dal presente articolo, sono disciplinate le relative modalità di attuazione.
35. La domanda di cui al comma 32 deve essere corredata dalla seguente documentazione:
a) dichiarazione del richiedente resa ai sensi dell'art. 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, e successive modificazioni e integrazioni, con allegata documentazione fotografica, dalla quale risulti la descrizione delle opere per le quali si chiede il titolo abilititavo edilizio in sanatoria e lo stato dei lavori relativo;
b) qualora l'opera abusiva superi i 450 metri cubi, da una perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere e una certificazione redatta da un tecnico abilitato all'esercizio della professione attestante l'idoneità statica delle opere eseguite;
c) ulteriore documentazione eventualmente prescritta con norma regionale.
36. La presentazione nei termini della domanda di definizione dell'illecito edilizio,l'oblazione interamente corrisposta nonché il decorso di trentasei mesi dalla data da cui risulta il suddetto pagamento, produce gli effetti di cui all'articolo 38, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Trascorso il suddetto periodo di trentasei mesi si prescrive il diritto al conguaglio o al rimborso spettante.
37. Il pagamento degli oneri di concessione, la presentazione della documentazione di cui al coma 35, della denuncia in catasto, della denuncia ai fini dell'imposta comunale degli immobili di cui al D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, nonché, ove dovute, delle denuncie ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l'occupazione del suolo pubblico, entro il 30 settembre 2004, nonché il decorso del termine di ventiquattro mesi da tale data senza l'adozione di un provvedimento negativo del comune, equivale a titolo abilitativo edilizio in sanatoria. Se nei termini previsti l'oblazione dovuta non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta, le costruzioni realizzate senza titolo abilitativo edilizio sono assoggettate alle sanzioni richiamate all'articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e all'articolo 48 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
38. La misura dell'oblazione e dell'anticipazione degli oneri concessori, nonché le relative modalità di versamento, sono disciplinate nell'allegato 1.
39. Ai fini della determinazione dell'oblazione non si applica quanto previsto dai commi 13, 14 , 15 e 16 dell'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724.
40. Ala istruttoria della domanda di sanatoria si applicano i medesimi diritti e oneri previsti per il rilascio dei titoli abilitativi edilizi, come disciplinati dalle Amministrazioni comunali per le medesime fattispecie di opere edilizie. Ai fini della istruttoria delle domande di sanatoria edilizia può essere determinato dall'Amministrazione comunale un incremento dei predetti diritti e oneri fino ad un massimo del 10 per cento da utilizzare con le modalità di cui all'articolo 2, comma 46, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
41. Ai fini di incentivare la definizione delle domande di sanatoria presentate ai sensi del presente articolo, nonché ai sensi del capo IV della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni, e dell'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni, il trenta per cento delle somme riscosse a titolo di conguaglio dell'oblazione, ai sensi dell'articolo 35, comma 14, della citata legge n. 47 del 1985, e successive modificazioni, è devoluto al comune interessato. Con decreto interdipartimentale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità di applicazione del presente comma.
42. All'articolo 29 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, il comma 4 è sostituito dal seguente: "4. Le proposte di varianti di recupero urbanistico possono essere presentate da parte di soggetti pubblici e privati, con allegato un piano di fattibilità tecnico, economico, giuridico e amministrativo, finalizzato al finanziamento, alla realizzazione e alla gestione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria e per il recupero urbanistico ed edilizio, volto al raggiungimento della sostenibilità ambientale, economica e sociale, alla coesione degli abitanti ei nuclei edilizi inseriti nelle varianti e alla rivitalizzazione delle aree interessate dall'abusivismo edilizio."
43. L'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, è sostituito dal seguente: "32. Opere costruite su aree sottoposte a vincolo.
1. Fatte salve le fattispecie previste dall'articolo 33, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo e subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto. Il rilascio del titolo abilitativo edilizio estingue anche il reato per la violazione del vincolo. Il parere non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte.
2. Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino:
a) in difformità alla legge 2 febbraio 1974, n. 64, e successive modificazioni, e dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, quando possano essere collaudate secondo il disposto del quarto comma dell'articolo 35;
b) in contrasto con le norme urbanistiche che prevedono la destinazione ad edifici pubblici od a spazi pubblici, purchè non in contrasto con le previsioni delle varianti di recupero di cui al capo III;
c) in contrasto con le norme del D.M. 1° aprile 1968, n. 1404, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13 aprile 1968, e con gli articoli 16, 17 e 18 della legge 13 giugno 1991, n. 190, e successive modificazioni, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico.
3. Qualora non si verifichino le condizioni di cui al comma 2, si applicano le disposizioni dell'articolo 33.
4. Ai fini dell'acquisizione del parere di cui al comma 1 si applica quanto previsto dall'articolo 20, comma 6 , del d. P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, ivi inclusa la soprintendenza competente, alla tutela del patrimonio storico artistico o alla tutela della salute preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria.
5. Per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o di enti pubblici territoriali, in assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della concessione o dell'autorizzazione in sanatoria è subordinato anche alla disponibilità dell'ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l'uso del suolo su cui insiste la costruzione. La disponibilità all'uso del suolo, anche se gravato di usi civici, viene espressa dallo Stato o dagli enti pubblici territoriali proprietari entro il termine di centottanta giorni dalla richiesta. La richiesta di disponibilità all'uso del suolo deve essere limitata alla superficie occupata dalle costruzioni oggetto della sanatoria e alle pertinenze strettamente necessarie, con un massimo di tre volte rispetto all'area coperta dal fabbricato. Salve le condizioni previste da leggi regionali, il valore è stabilito dalla filiale dell'Agenzia del demanio competente per territorio per gli immobili oggetto di sanatoria ai sensi della presente legge e dell'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, con riguardo al valore del terreno come risultava all'epoca della costruzione aumentato dell'importo corrispondente alla variazione del costo della vita, così come definito dall'ISTAT, al momento della determinazione di detto valore. L'atto di disponibilità, regolato con convenzione di cessione del diritto di superficie per una durata massima di anni sessanta, è stabilito dall'ente proprietario non oltre sei mesi dal versamento dell'importo come sopra determinato.
6. Per le costruzioni che ricadono in aree comprese fra quelle di cui all'art. 21 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, il rilascio della concessione o della autorizzazione in sanatoria è subordinato alla acquisizione della proprietà dell'area stessa previo versamento del prezzo, che è determinato dall'Agenzia del territorio in rapporto al vantaggio derivante dall'incorporamento dell'area.
7. Per le opere non suscettibili di sanatoria ai sensi del presente articolo si applicano le sanzioni previste dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380".
44. All'articolo 27 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, comma 2, dopo le parole: "l'inizio" sono inserite le seguenti: "o l'esecuzione".
45. All'articolo 27 del del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, comma 2, dopo le parole: "18 aprile 1962, n. 167 e successive modificazioni e integrazioni" sono inserite le seguenti: ", nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici".
46. All'articolo 27 del del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, comma 2, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Per le opere abusivamente realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi degli articoli 6 e 7 del d. Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, o su beni di interesse archeologico, nonché per le opere abusivamente realizzate su immobili soggetti a vincolo di inedificabilità assoluta in applicazione delle disposizioni del titolo II del d.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, il Soprintendente, su richiesta della Regione, del comune o delle altre autorità preposte alla tutela, ovvero decorso il termine di 180 giorni dall'accertamento dell'illecito, procede alla demolizione, anche avvalendosi delle modalità operative di cui ai commi 55 e 56 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662".
47. Le sanzioni pecuniarie di cui all'articolo 44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sono incrementate del cento per cento.
48. All'articolo 45 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, comma 2, le parole: "terzo mese" sono sostituite dalle seguenti: "trenta giorni".
49. All'articolo 46 del d. P.R. 6 giugno 2001, n. 380, comma 1, dopo le parole: "atti tra vivi" sono inserite le seguenti: ", nonché mortis causa".
50. Agli oneri indicati ai commi 6, 9, 10, 11, 13 e 24, si provvede con quota parte delle entrate recate dal presente decreto. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Artt. 33-52
(omessi)
Art. 53
(Entrata in vigore)
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sara' presentato alle Camere per la conversione in legge.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Bruxelles, Ambasciata d'Italia, addi' 30 settembre 2003
CIAMPI
1. Il condono edilizio premia i disonesti ed è un insulto per le persone perbene. Mortifica gli amministratori più coraggiosi, quelli che si sono impegnati nel contrastare gli abusi e nel praticare un'urbanistica rigorosa. Favorisce gli amministratori collusi con gli interessi illegali e insensibili al disordinato sviluppo del territorio. Italia nostra, riprendendo una definizione di Antonio Cederna, propone una lista nera degli "energumeni del cemento armato" che comincia con Bettino Craxi, Franco Nicolazzi, Silvia Berlusconi, Roberto Radice, Giulio Tremonti: i principali responsabili di vecchi e nuovi condoni.
2. L'abusivismo di necessità è finito da un quarto di secolo. L'abusivismo recente è un'attività criminale gestita da imprese collegate alla malavita organizzata. Al mancato rispetto della disciplina edilizia si accompagna sempre l'evasione della normativa sulla sicurezza, sul fisco, sulla previdenza.
3. II condono edilizio è peggio del condono fiscale. Di quest'ultimo, fra vent'anni, con uno sperabile e progressivo recupero della legalità, potrebbe essersi persa la memoria. Non è così per la sanatoria edilizia perché le ferite inferte dagli abusi al territorio e alle città sfidano i secoli. Nel manifestoappello contro il condono dell'associazione Libertà e Giustizia si ricorda che il paesaggio è la nostra storia, la nostra identità, la nostra anima profonda.
4. Non esiste l'ipotesi di un cosiddetto condono leggero. Soprattutto perché l'esclusione degli abusi maggiori non consentirebbe il reperimento delle ingenti risorse sulle quali conta il governo.
5. Il condono edilizio è comunque un disastro per le pubbliche finanze. E' stato calcolato che, fatto 100 l'ammontare delle oblazioni, è pari almeno a 300 la spesa che i poteri locali devono sostenere per urbanizzare adeguatamente i territori infestati in ogni direzione dagli insediamenti abusivi. Come ha scritto l'associazione Polis, il condono farà incassare allo stato una cifra inferiore a quella che occorre per finanziare il ponte sullo stretto di Messina. Possiamo rinunciare a entrambi e immaginare un'Italia diversa. Senza ponte e senza premi per i disonesti.
6. Gli uffici tecnici di molti comuni, di quasi tutti i comuni meridionali, sono ancora ingolfati dalla pratiche inevase dei precedenti condoni del 1985 e del 1994. Norme volutamente contorte favoriscono comportamenti arbitrari e pasticciati, in una spirale di illegalità che il nuovo condono renderà irriducibile.
7. Negli ultimi diciotto anni si sono succeduti tre condoni, uno ogni nove anni. Una frequenza così ravvicinata, unita, è bene ricordarlo, alla inconsistenza dell'azione repressiva, induce a credere che i condoni siano una componente inevitabile del nostro sistema legislativo, e che l'abusivismo sia un'attività fisiologica.
8. Un aspetto inedito e mostruoso del nuovo condono è la sua estensione alle opere abusive su aree demaniali. E' la stessa logica che comanda i provvedimenti relativi alla vendita del patrimonio immobiliare pubblico. Con l'aggravante che, in questo caso, la decisione sui beni da liquidare è affidata al mondo dell'illegalità.
9. Non è vero che l'abusivismo è favorito dal rigore della pianificazione territoriale. E' vero il contrario. L'abusivismo si sviluppa vertiginosamente proprio in quelle regioni dove è più alto il numero dei comuni sforniti di piani regolatori (Campania, Lazio, Sicilia) e dov'è più fragile la tenuta dei poteri locali, mentre è un fenomeno trascurabile in quelle regioni del centronord dove tutti i comuni sono dotati di una strumentazione urbanistica aggiornata e dov'è più efficace il controllo sulle trasformazioni territoriali. Perciò il condono perpetua e accentua il divario fra nord e sud.
10. Il condono edilizio, fenomeno sconosciuto nel resto d'Europa, è organico alla cultura della nostra destra di governo, quella dei "padroni in casa propria", degli interessi privati che prevalgono sistematicamente sugli interessi pubblici. Gli operatori dell'edilizia abusiva e le famiglie che utilizzano i manufatti abusivi appartengono a quegli stati sociali privi di coscienza civile che formano in prevalenza l'elettorato di Berlusconi e soci.
Illegal Buildings Get Reprieve in Italy
Culture of Impunity Is Back in Force as Government Grants Scofflaws Immunity
By Daniel Williams
Washington Post Foreign Service
Sunday, September 28, 2003; Page A31 ERCOLANO, Italy -- Just a few hundred yards from the lip of Vesuvius, the sleeping yet menacing volcano that overlooks Naples, there's a new tourist attraction that looks wildly out of place on the green-black mountain slope. Called Ercolandia, it is a small amusement park that features a carousel, a fright ride, a swimming pool and an ersatz Eiffel Tower. Ercolandia is also illegal. Not only does it stand inside a zone that is supposed to be off-limits to construction because Vesuvius is likely to spew oceans of lava over the area one day, it is also technically in a national park, local officials say.
No matter. Ercolandia and thousands of what are known as abusive structures across Italy will soon benefit from an amnesty granted by Prime Minister Silvio Berlusconi's government. Luxurious villas as well as modest homes and additions, newly created windows and staircases to rooftops, big and small hotels and offices buildings -- all built without permits in defiance of construction laws -- will suddenly, for a fee, be legalized.
It is the latest episode in contemporary Italy's public culture of impunity, in which bribe taking, tax evasion and all manner of scofflaws go unpunished or are forgiven. The culture was supposed to have evaporated in the early 1990s, when massive corruption investigations known as the Clean Hands campaign upended Italy's dominant Christian Democratic party and brought an end to the First Republic. An outraged public demanded reform and an end to governmental bribery, favor-seeking and officially condoned lawlessness.
More than a decade later, elements of First Republic impunity have returned in force, many Italians say. Berlusconi has moved to protect himself against old charges of corruption by passing legislation that decriminalizes falsified bookkeeping and restricts the use of evidence gathered abroad. Parliament has also granted him immunity from prosecution while in office. Now, some of the benefits of impunity are being passed to the larger public with a proposed amnesty on illegal construction.
Government officials offer two rationales. By taking in money to regularize the illicit structures, the government predicts it can close a budget gap of $2 billion to $4 billion next year. Moreover, legalization would reflect reality: Such structures have been going up for years, and no one has been able or willing to stop them.
The view, however, is rather different at the harried local-official level here in Ercolano, a shabby mixture of tenements and decayed 18th-century palaces on the Mediterranean coast south of Naples. Functionaries in charge of enforcing building codes regard the amnesty as encouragement for Italians to break the law.
"The amnesty makes our work impossible," said Franco Leone, who works in the city's office of abusive construction, which tries to identify and prevent illegal building. "Lawbreakers know that if they can tangle up a case in court long enough, the government will come through and grant an amnesty. Italians are clever. They can see that the odds are in their favor."
"This amnesty may be convenient for the government," added Salvatore Catalado, Leone's colleague. "But it is certainly an insult to people who stick by the rules. They must think, 'What an idiot I am to follow the law.' "
The proposed amnesty would be the third in 20 years. Berlusconi granted the most recent one, in 1994, when he headed a short-lived right-wing government. The one before that was granted in 1985 by Prime Minister Bettino Craxi, a friend and mentor of Berlusconi's who later fled into exile ahead of corruption charges. Craxi died in 2000.
Dossiers on illegal construction fill a pair of cabinets in Leone's and Catalado's office. Over the years, only a handful of buildings and annexes have been demolished. Leone said his office lacks the financial resources to tear down many structures and in any case, appeals to government offices and courts take so long that far more illegal buildings go up than are brought down.
"We have to give what we call necessary time to tear down a building," he said. "It can be years, if ever. Sometimes owners put old people to live inside the illegal place. In Italy, it's hard to evict old people."
Word of Berlusconi's amnesty, which has been circulating for more than a year, spurred an increase in illicit activity, Leone added. His office has identified more than 200 structures, mostly additions to houses, built without permits in 2002, more than twice as many as the year before. Some, like Ercolandia, intrude on the national park, "green preserves" and agricultural areas, while others are potentially dangerous top-floor additions to existing houses.
Last year, 28 percent of 5,000 houses built in Campania, the region that includes Ercolano, were illegal, according to government statistics. The government has counted more than 300,000 abusivi constructed nationwide since the 1994 amnesty.
Recently, Rome's city government expressed shock when it discovered that a prefabricated house had sprung up overnight on land adjacent to the Appian Way, the famed Roman Empire road that is now an archaeological zone where building is meant to be restricted. The owner had planned to apply for an amnesty, city officials said. Thus sanitized, the prefab house would have been worth hundreds of thousands of dollars because the shell could have formed the basis of a legal, permanent villa.
Last Saturday, the city government, which is controlled by opposition political parties, sent bulldozers to raze the building. The owner pleaded unsuccessfully that the construction was an act of altruism: He intended to turn it over to Romanian refugees.
Many pre-amnesty abuses in Rome are subtler, but equally lucrative, forms of speculation. A rooftop terrace adds tens of thousands of dollars to the value of a residence, but it is difficult to get a terrace approved unless there was a preexisting entrance from the floor below. A cursory glance at central Rome's skyline reveals numerous new holes in the roof, railings around the edges and new shacks built as entrances to staircases.
A downtown resident explained how some people planned to cash in. "They will go to city hall and ask for an amnesty for some abuse that has not been committed. Then they can build later, at their leisure," he said.
Sicily has produced some of the most imaginative pre-amnesty building schemes. In Agrigento, builders have taken out dozens of permits for cisterns, in theory to capture scarce rainfall to irrigate crops. Over the past year, the cisterns have gradually grown higher, and began to include rooms and plumbing.
Then they were turned into houses. In order to hide the work from the prying eyes of environmental activists, the builders covered what are known as cistern villas with dirt and debris.
Up at Vesuvius, a mangy, friendly dog silently greets visitors to Ercolandia. The owner has been absent for several days, neighbors say, and the front gate is locked. Leone and Catalado survey the remains of other old buildings -- without permits -- and ponder whether they, too, will fall under the coming amnesty. A few hundred yards away is the skeleton of a large house, whose construction the government succeeded in stopping a few years ago. Above, near a bend in the road, there's a failed restaurant, also illegal in Leone's view.
"All these will probably be condoned," Leone said. "Only Vesuvius can sweep them away."
Puntuale e capriccioso come le grandi calamità naturali (uragani, alluvioni, trombe d´aria) incombe sul Bel Paese un nuovo, devastante condono edilizio. Cifre da capogiro occupano i titoli dei giornali: il Fisco ne ricaverà due miliardi e mezzo di euro, o addirittura quattro miliardi e mezzo? Si insinua così la tentazione (che diventa in alcuni sbandierata e spensierata certezza) di credere che, in tempi di vacche magre, tanto più s´incassa tanto meglio è per lo Stato e per i cittadini.
Rischiamo così di dimenticare che condono edilizio vuol dire legittimare l´abuso col sigillo della legge, premiare chi ha violato le regole a scapito di chi le ha rispettate. Vengono in tal modo sanciti e anzi incoraggiati e promossi, innescando una reazione a catena senza fine, gli scempi che deturpano, e (se questa è l´aria che tira) sempre più deturperanno le nostre città, i nostri paesaggi. Interesse primario dei cittadini e dello Stato è, al contrario, la rigorosa difesa della legge e delle regole, la tutela dei valori architettonici, urbanistici, paesaggistici che possono valere anche poco se presi uno per uno, ma hanno valore inestimabile nel loro insieme e nel loro contesto. Fanno dell´Italia quello che è, il Paese al mondo con la più alta intensità di conservazione del patrimonio (pubblico e privato), con la più ricca tradizione di tutela. Ciò a cui abusi edilizi e norme colpevolmente permissive infliggono sanguinose ferite non è un corpo estraneo, non è la vecchia carcassa impagliata di una bestia esotica: siamo noi stessi, qualcosa che noi italiani abbiamo creato nel tempo e con cui abbiamo convissuto per generazioni, per secoli. E´ la nostra memoria, la nostra identità, la nostra anima.
Dai tempi del condono di Craxi (1985) a quello del primo governo Berlusconi (1994) a questo che ora ci minaccia si ripete invece l´identico teatrino: le regole restano, anzi vengono riaffermate, ma stante la situazione di emergenza, le necessità del Paese eccetera, in deroga (e in barba) a tutto e a tutti, per una volta e una sola si condonano gli abusi per incrementare il gettito fiscale. Questa favoletta non convince nemmeno i più ingenui: la vera ratio del condono edilizio non è la sua conclamata eccezionalità, ma al contrario il suo prevedibilissimo ritorno ciclico, che può dare a chiunque la certezza di perpetrare qualsiasi nefandezza, tanto fra uno, due, tre anni verrà immancabilmente condonata. In tal modo le regole non solo vengono violate (da alcuni cittadini), ma spregiate, vilipese e distrutte (dal governo). All´universo della legge e del pubblico interesse si sostituisce la giungla delle prevaricazioni.
L´impellente necessità di far cassa viene invocata come unica e sola ragione del condono: quasi che non fosse, il nostro, il Paese col più alto tasso di evasione fiscale in Europa; un Paese in cui, come ha scritto Il Sole-24 ore, almeno il 18.7% del Pil sfugge completamente al fisco e l´evasione supera i 200 miliardi di euro, una cifra di fronte a cui ciò che si può ricavare dal condono impallidisce in un istante. Eppure, si continua a pianger miseria senza nulla fare per ridurre l´evasione fiscale; si esalta e vagheggia il modello americano in tutto e per tutto, salvo che per il rigore e la funzionalità del sistema fiscale; anzi, si incoraggia il falso in bilancio proprio mentre negli Stati Uniti, in conseguenza del caso Enron, le regole del gioco si fanno, per legge federale, più garantite e severe. Come è chiaro, condono edilizio e condono fiscale rispondono a una sola e unica logica: proteggere l´evasione fiscale sotto l´ombrello delle misure eccezionali per rastrellare nuove entrate, premiare chi viola la legge e non chi la rispetta, chi attenta alla società civile e non chi mostra senso civico. Anziché fare il suo mestiere (far pagare le tasse ai cittadini) il ministro dell´Economia invade il campo degli altri ministeri (Infrastrutture, Beni Culturali, Ambiente), svende il demanio e condona abusi.
La dimenticanza (interessata) del problema di questa gigantesca evasione fiscale non è, ahimé, monopolio del centrodestra: i voti degli evasori fiscali, a quel che pare, premono anche al centrosinistra. Ma dimenticare l´evasione e puntare sui condoni edilizi ha un´altra conseguenza deleteria: finisce per accreditare la menzogna che le ragioni dell´economia siano opposte a quelle della cultura. Che da un lato ci siano i polverosi laudatores temporis acti affezionati ai valori architettonici e ambientali, dall´altro i dinamici sacerdoti dell´economia che sanno quel che vogliono (qualche miliardo val bene qualche scempio). È vero il contrario: il nostro bene più prezioso non sono i singoli monumenti (nemmeno il Colosseo, nemmeno San Pietro), ma il contesto urbano e paesaggistico, il tessuto connettivo che lega monumenti e case, strade e città in un inestimabile continuum non solo sul fronte dell´immagine, ma su quello della valorizzazione del Paese. Preservare questa eredità delicata e preziosa non è solo cultura, ha anche per l´economia del Paese uno straordinario significato e valore che è colpevole ignorare.
L´imminente condono sarà tanto più grave in quanto verrà a incidere su un tessuto già compromesso dal passaggio di molte competenze a Regioni e Comuni, con la prevedibile conseguenza di una visione dei vincoli marcatamente localistica e strutturalmente incapace di resistere a pressioni interessate, incline dunque a un drammatico allentarsi dei controlli. Basti ricordare quello che M.C. Giambruno (sulla rivista di architettura Ananke) ha chiamato «il proliferare dei sottotetti in Lombardia», sopraelevazioni e aumenti di volumetrie perpetrati sulla base di leggi regionali degli ultimi anni: la skyline di Milano e delle altre città ne esce già ora (e più ancora nei prossimi anni) falsificata e offesa. Alle sopraelevazioni approvate dalla Regione si aggiungeranno ora, a valanga, quelle «da condono»: perché dopo ogni condono la certezza del successivo genera nuovo abusivismo.
A questi e simili scempi intendeva porre riparo, avviando finalmente un processo virtuoso, la proposta di legge Urbani sulla qualità architettonica.
Può di per sé essere una buona legge, a meno che non faccia la fine ingloriosa del disegno di legge sulle città storiche (ddl 4015/1997), proposto dal ministro Veltroni per poi metterlo a dormire sino alla fine della legislatura.
Ma che senso ha legiferare sulla qualità architettonica, e pochi mesi dopo legittimare e incoraggiare gli abusi edilizi mediante il perverso meccanismo del condono? Quale è la politica del governo, promuovere la qualità architettonica o danneggiarla con abusi irrimediabili? Domanda che merita di essere estesa al futuro destino del nuovo Codice per i Beni Culturali, ormai in dirittura d´arrivo. Le correzioni e gli sviluppi degli ultimi mesi (in genere migliorativi) ne stanno facendo un testo in buona misura accettabile.
Ma a che cosa mai servirà, se altre leggi (tutte, si capisce, sotto la pressione di pretese necessità di cassa, di urgenze incontrollabili) dovessero, in deroga anzi in spregio alle regole fissate dallo stesso Codice, insistere nella dissennata politica di dismissioni del patrimonio culturale, nell´attacco alla qualità urbana, nella continua mortificazione dell´amministrazione dei Beni Culturali per mancanza di risorse e di progetto? Verrà mai il giorno in cui anche un ministro dell´Economia e un presidente del Consiglio riusciranno a capire che il rispetto del patrimonio culturale e della qualità urbana (e anzi l´investimento produttivo su questi fronti) può e deve essere una carta vincente per questo Paese? Bagarre su condono edilizio
di Enzo CirilloROMA - «Contro il condono fino alla Consulta». A lanciare la parola d´ordine della mobilitazione contro l´ipotesi di sanatoria edilizia che il governo intende blindare nella Finanziara 2004, è stato il presidente della Regione Campania Antonio Bassolino. «Qualora passasse in Parlamento un simile provvedimento di legge - spiega l´ex ministro del Lavoro in un´intervista all´Unità - faremo ricorso alla Corte Costituzionale». A sostegno della strada del ricorso, il parere di giuristi, come ad esempio Alessandro Pace, che ipotizzano una «illegittimità costituzionale con possibilità di impugnazione in via principale» da parte delle Regioni. Secondo i costituzionalisti il governo starebbe correndo il rischio di scatenare un pericoloso conflitto tra poteri dello Stato, in quanto con la riforma del Titolo V tutte le competenze in materia urbanistica sarebbero ormai passate alle Regioni. Intanto l´opposizione fa quadrato insieme a Confindustria, ambientalisti e sindacati che ieri con il segretario generale della Cisl Savino Pezzotta ed il vice segretario generale della Uil Adriano Musi si sono dichiarati «decisamente contrari» al provvedimento. Sulla «sanatoria dei furbi» come è stata giudicata dall´ex ministro dell´economia Vincenzo Visco, e contro quello che il presidente dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio ha definito «uno scempio istituzionale», l´ex ministro dei Beni culturali Giovanna Melandri si appella a Lunardi e Matteoli affinchè «nell´ambito delle proprie competenze evitino l´irreparabile».
Intanto Bassolino, governatore di una delle regioni più penalizzate dall´abusivismo è pronto a guidare la rivolta. «Faremo un´opposizione strenua al condono edilizio, è un incentivo alla illegalità, un modo concreto per invitare i furbi a continuare su questa strada, a fare altri abusi, per prepararsi poi nei prossimi anni a fare altri condoni...».
Il coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi, replica che «il condono edilizio non finirà per premiare i furbi. Non si tratta di una sanatoria - sostiene - che ha come obiettivo e come conseguenza quella di giustificare e di coprire e di rendere possibili scempi edilizi, ambientali e urbanistici. E´ uno strumento, una misura volta piuttosto a chiudere contenziosi che riguardano piccole infrazioni che per lo più nascono dalla complessità e dall´astruseria di molte leggi». Una sanatoria che a giudizio di Armani (An) , presidente della Commissione Lavori Pubblici della Camera, «consentirà entrate per 1-3 miliardi di euro». Una necessità di cassa che il coordinatore di FI Bondi spiega così: «I condoni non piacciono a nessuno, tanto meno piacciono quelli edilizi, ma in questa situazione credo che sia un provvedimento necessario ed indispensabile».
In meno di venti anni arriverà nei prossimi giorni il terzo condono edilizio. Dopo i governi Craxi e Berlusconi I anche il governoBerlusconi II lega il suo nome alla cultura dell’illegalità e allo scempio dell’ambiente.
Si parla di oltre 360 mila edifici illegali realizzati a partire dal 1994, senza contare gli abusi più piccoli o quelli che il solo annuncio del condono ha già messo in moto. Ricordiamo che oltre agli "ecomostri" tristemente famosi (ad esempio: Fuenti e Punta Perotti) sono soprattutto i piccoli cambiamenti a modificare senza ritorno il paesaggio e ad incidere sul rischio idrogeologico del nostro Paese. Si parla di piccoli abusi ma resta da domandarsi, dopo l’approvazione della superDia, se esiste ancora nel nostro Paese il piccolo abuso, che a rigore di logica dovrebbe riguardare solo le opere interne ed è quindi già “legale” con la superDia. Rimane il fatto che "piccolo" o "grande", l’abuso rimane sempre un abuso ed il condono edilizio è ormai una prassi consolidata nel nostro Paese, mentre è sconosciuto nel resto d’Europa: mediamente possiamo contare in Italia su un condono ogni nove anni.
Purtroppo anche negli abusi edilizi il nostro Paese non è tutto uguale: è, infatti, il Mezzogiorno che sarà devastato da questo insensato provvedimento (mentre ad esempio la Valle d’Aosta non sarà neanche sfiorata), che ancora una volta non sarà accompagnato da misure che garantiscano dal ripetersi del fenomeno abusivo. Il condono non è solo la negazione della pianificazione, della moralità e della legalità, ma è anche l'ennesimo segnale del deterioramento della cultura del territorio che avanza con i provvedimenti contro l’ambiente che hanno caratterizzato gli ultimi anni (dalla superDia, alla modifica della Via, alle gradni opere). Questo deterioramento ha fatto dire Sindaco di Eboli: oggi non potrebbe più abbattere i 400 edifici abusivi come feci solo tre anni fa.
Il ripetersi del condono comporta tre quesiti:
1. Chi ha fatto i conti? Oggi i comuni e il catasto sono ancora impegnati nello svolgimento delle pratiche dei condono precedenti (si parla di oltre 400.000 pratiche arretrate). Quale è il senso di fare cassa nell’immediato a livello nazionale per scaricare gli oneri e i costi a breve termine sugli enti locali (urbanizzazioni e servizi oltre che lo smaltimento delle pratiche) e a lungo termine sullo stesso Stato centrale per porre rimedio alle devastazioni del territorio?
2. Ma l’urbanistica e il territorio non sono già di competenza regionale? Quali poteri si vogliono dare con le riforme della Costituzione ai poteri locali e regionali se oggi gli si toglie perfino la possibilità di governare e pianificare quello che è già di loro competenza: il proprio territorio.
3. Dove è l’urgenza? Il decreto d’urgenza è incostituzionale perché dovrebbe essere utilizzato solo in casi particolari e imprevisti, mentre di condono il governo Berlusconi parla da tre anni, in occasione di ogni finanziaria.
Il gioco delle parti tra ministri caldi, tiepidi e freddi davanti al condono non riesce a nascondere le responsabilità di tutto il governo e in particolare del ministro Tremonti che si iscrive di diritto tra quelli che Antonio Cederna chiamava "energumeni del cemento armato" in compagnia di Craxi, Nicolazzi, Radice, Lunardi e Berlusconi.
Come per altre prassi introdotte dal nostro Paese nell’ambito della finanza creativa, ricordiamo la vendita degli immobili pubblici e dei beni di pregio artistico, anche sul territorio si mira a fare cassa dimenticando tutto il resto: in questo caso le tante frane, alluvioni e terremoti che interessano il nostro territorio con preoccupante frequenza. Tra qualche giorno cade l’anniversario del crollo di San Giuliano che commosse tutto il Paese e fece gridare a tutti i giornali, gli intellettuali, i sindaci e i ministri: mai più condoni nel Paese del dissesto idrogeologico e dei terremoti. Acqua passata?
1. Lo stato del territorio in cui si inserisce il condono
1.1. La fine della città
Requiem e fine della città italiana: è questa la conclusione cui perviene chiunque analizzi le vicende dei tredici comuni maggiori in relazione ai dati del Censimento 2001.
Le ragioni di questa affermazione risiedono anzitutto nel dato complessivo: Torino, Milano, Venezia, Verona, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Messina e Catania hanno perso complessivamente dal 1991 al 2001 un quasi 700 mila persone. Per intenderci è come se, a titolo di esempio, da Torino (dove la popolazione è scesa del 10.1%) si fosse staccata una città della dimensione di Terni o di Alessandria; da Milano (-8.3%) una città come Bergamo; da Genova (-10.1%), Napoli (-5.9%) e Firenze (-11.7%) una città come Foligno; e da Roma (-6.8%) una città come Verona o una volta e mezzo la Valle D’Aosta.
La grande città italiana del dopoguerra, di cui parliamo, è la città, come l’abbiamo conosciuta sino ad oggi: dopo la città antica, quella medievale, rinascimentale e ottocentesca anche la città industriale, che taluni nelle sue ultime espressioni hanno chiamato post-industriale, è giunta al suo termine. Applicando lo stesso tasso di riduzione del decennio 1991-2001, è possibile supporre che Venezia, Milano, alla metà di questo nuovo secolo avranno diminuito della metà la loro popolazione del 1991. Già oggi Verona, Bari e Roma hanno meno popolazione del 1971; Torino, Bologna, Messina e Catania del 1961; Milano, Venezia, Genova, Napoli e Firenze del 1951. I grandi numeri sono dovuti al saldo naturale negativo, che si manifesta in misura maggiore nelle grandi città, ma cresce in modo sostanziale anche il saldo migratorio di segno negativo.
In queste constatazioni non vi è alcuna nostalgia per l’espansione senza regole che ha caratterizzato questo modello urbano. E’ bene ricordare quanto affermato da Vezio De Lucia:
(…), sono gli anni-dice riferendosi a questo secondo Dopoguerra - nei quali si è scatenata una devastazione senza confronti con il passato ... Fino al fascismo città e paesi erano ancora separati dalla campagna, il paesaggio rappresentato dalle foto aeree della Raf del 1943 non era tanto diverso da quello attraversato da Guidoriccio da Fogliano. Fino al 1951, era stato costruito circa un decimo del volume edilizio esistente ai nostri giorni … Negli ultimi cinquant’anni, lo spazio urbanizzato è aumentato almeno di dieci volte, cioè del 1.000 per cento, mentre a Roma, che fra le grandi città è quella cresciuta di più, l’incremento di popolazione non ha superato il 60 per cento.
Le grandi città italiane hanno assunto un modello metropolitano “maturo” che si andrà sempre più consolidando, un fenomeno iniziato dagli anni Settanta e divenuto consistente negli anni Ottanta e Novanta, in linea con quanto già avvenuto in USA e nelle grandi metropoli europee. La novità, per quanto riguarda l’Italia di questo ultimo decennio (1991-2001), è nell’arresto dell’incremento di popolazione nella provincia dei tredici grandi comuni, che non riescono più, in numerosi casi, ad attrarre dei nuovi abitanti in numero maggiore di quelli che perdono. Il fenomeno noto in altri Paesi europei e americani, anticipato dal caso Milano in Italia, è ormai giunto anche da noi: la contro-urbanizzazione. Un’analisi più attenta dimostra, come è evidente dall'esperienza quotidiana di ognuno di noi sull’aumento del caos urbano, che le popolazioni che usufruiscono della città sono aumentate. Le popolazioni residenti "espulse" dalla città continuano a riversarsi nella città per svolgere le attività o “consumare” il tempo libero. Le città in cui si va attestando la popolazione italiana sono quelle tra 65.000 e 80.000 abitanti che, con una tendenza in rallentamento, hanno acquistato circa il 70 % di abitanti negli ultimi 20 anni e le città sotto i 50.000 e sopra i 10.000 abitanti che nello stesso periodo hanno acquistato circa 2,5 milioni di persone.
La trasformazione della città ha prodotto, come è noto, due reazioni: il tentativo di avviare politiche di governo alla scala metropolitana e una nuova stagione di politiche per la città avviate dagli anni Novanta. In quegli anni si iniziò a parlare, anche in Italia, di trasformazione metropolitana e di politiche per il rilancio della città. La legge 142 del 1990 sulle aree metropolitane aveva previsto l'istituzione della città metropolitana individuando nove aree del territorio nazionale interessate: le province di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari. La legge doveva entrare in fase attuativa nel 1992, ma successive proroghe ne hanno ritardato sino ad oggi l’attuazione. Le politiche urbane sono state avviate attraverso strumenti definiti da una babele imponente di sigle i cui risultati, oltre quello indiretto di aver scardinato la pianificazione urbanistica, stentano a vedersi.
1.2. Un bilancio fallimentare
Queste prime sommarie considerazioni hanno un corollario: il giudizio fallimentare delle politiche urbane attuate in Italia in questo decennio. Di quelle operate dallo Stato; di quelle operate dai grandi comuni; di quelle teorizzate e sostenute dall’Istituto nazionale di urbanistica: il fallimento di queste politiche ha prodotto un peggioramento della qualità della vita nelle città italiane e una scarsa incidenza sulla qualità urbana.
La qualità della vita è una definizione assai labile, ma alcuni indicatori ne sono un esempio. L’inquinamento, il rumore e le aree verdi:
· per quanto riguarda il primo indicatore, l’inquinamento, nell’inverno 2002 in Lombardia ha bloccato le auto nell’attesa di vento e pioggia il 13 gennaio in 96 comuni e poi il 20 gennaio in 88 comuni; L’Istat ci ricorda che le giornate nel 1999 di stop alle auto sono state 90 tra le tredici maggiori città italiane, ma è bene ricordare che le armi per controllare l’inquinamento sono spuntate: Roma e Napoli avevano nel 1999 una centralina per 200.000 abitanti, Torino una per 100.000 abitanti, Firenze una per 50.000 abitanti.
· per quanto riguarda il secondo indicatore, il rumore, a Napoli è ritenuto rilevante dal 93% delle famiglie. Mediamente il 90% è attribuito dagli intervistati al traffico, l’Istat afferma che nel 1998 nei tredici grandi comuni sono presenti complessivamente solo 20 centraline fisse di rilevamento. Questi risultati sono conseguenti a politiche della mobilità il cui risultato è che muoversi attraversando una città comporta dei tempi di spostamento in macchina o con i mezzi pubblici simile a quelli di accesso alla città da nuclei e abitati esterni ad essa anche assai distanti. Sul gran numero di macchine e bene intendersi: a Roma abbiamo un’autovettura ogni 1,2 persone e le macchine immatricolate hanno superato i bimbi nati.
· infine, il verde urbano, che stando al Dm 1444 del 1968 dovrebbe dotare le nostre città nella misura di 9 mq per “spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e per lo sport” e di 15 mq per “parchi pubblici urbani e territoriali”, vede solo Bologna in regola con 28,9 mq ad abitante, mentre tre città (Napoli, Bari e Catania) non raggiungono i 9 mq. Alla carenza in termini di quantità si deve aggiungere nel bilancio dei grandi comuni anche il deficit di qualità che rileva sempre l’Istat. A Palermo un unico parco rappresenta l’86% del verde urbano, mentre a Genova due parchi coprono l’84 % del verde comunale. Le aree verdi coprono mediamente il 3% dei territori comunali.
Non ci stupisca quindi che, sempre secondo l’Istat (2000), la percezione di problemi ambientali su 100 famiglie vede al primo posto il traffico (47), la difficoltà di parcheggio (39), il rumore (38), la sporcizia delle strade (32) e solo per 30 italiani il rischio di criminalità. D’altra parte è forse inevitabile in un Paese in cui il 64% del trasporto merci avviene su gomma e 92.1% del traffico interno di passeggeri avviene su strada (di cui l’82 % in automobile) e contestualmente il già basso uso di trasporto pubblico ha visto un calo percentuale del 4,6 tra il 1990 e il 1998 (Ministero dell’Ambiente, Rapporto sull’Ambiente 2001), mentre il solo autobus è calato del 16%. Accanto a questi dati di natura ambientale è bene ricordare il costo della casa e il fallimento delle politiche residenziali pubbliche, mentre il 20% del patrimonio edilizio in Italia è inutilizzato. Infatti i dati del Censimento del 2001 indicano un calo di abitazioni, rispetto ai dati del 1991 in tutte le grandi realtà italiane, particolarmente significativo nel caso di Milano (-47.371 abitazioni) e di Roma (-56.703) che può trovare una spiegazione con la trasformazione di questi alloggi in strutture per il terziario e per il commercio (Fonte: Istat, 14 Censimento della popolazione del 2001. Dati provvisori dell’aprile 2002).
D’altro canto l’assenza di efficaci politiche per la casa negli ultimi anni, come si accennava sopra, ha determinato, complici anche gli eventi dell’11 settembre, uno sviluppo incontrollato del settore immobiliare, il quale vive una stagione irrazionale simile a quella degli anni Ottanta e degli inizi degli anni Novanta. I prezzi degli immobili residenziali sono ormai tornati ai valori del 1995, quasi al picco storico del 1990. Nel 2001, secondo Il sole 24 ore, sono state scambiate 800.000 abitazioni con un progresso rispetto l’anno precedente del 10 %. In un anno l’1,5% delle famiglie italiane ha acquistato un immobile ed i prezzi sono saliti del 10% a Milano e del 9% a Roma. Nel 2000 circa 2,5 milioni di famiglie avevano difficoltà, secondo Il sole 24 ore, ad affrontare le scadenze dell’affitto.
Altrettanto poco definita è la qualità urbana. Centocelle vecchia o l’Alessandrino a Roma, il panorama dalla tangenziale verso Napoli orientale, le periferie di Sarno o quelle di Crotone sono pezzi del terzo mondo in Italia. In questi “inferni” urbani gli interventi sono stati scarsi o inefficaci. Guardando all’esperienza dei programmi di riqualificazione urbana è possibile affermare che essi costituiscono un episodio di una politica urbana che stenta a raggiungere gli obiettivi e ad incidere nelle città italiane in calo di popolazione e in trasformazione terziaria. Il rischio più grande, infatti, è rappresentato dal fatto che questi programmi, in quanto strumentazione straordinaria legata ad un finanziamento pubblico, permettendo l’attuazione in variante “automatica” del piano generale, non siano inseriti in un quadro di insieme controllabile e che i criteri di selezione dei progetti fossero di tipo contingente e non strategico. Non è un caso che i migliori programmi siano stati quei pochi inseriti nella tradizione e stratificazione di piani che, di fatto, li prevedevano da tempo ed ai quali mancava solo “l’opportunità di renderli operativi”. Questa è l’eccezione. Nella maggior parte dei casi si è intervenuti in mancanza di regole e procedure certe di trasformazione della città attuate solo attraverso i Priu, Pru, Pii, Pic Urban, i Contratti di quartiere, Prusst, l’Intesa istituzionale di programma, l’Accordo di programma quadro, il Contratto di programma, il Contratto d’area e, infine, il Patto territoriale, che a sua volata si divide in Pto e Pit, in deroga agli strumenti urbanistici generali. In alcuni casi questi strumenti si sono trasformati in lavatrici nella cui centrifuga si sono riciclati progetti di ogni genere, di vaste aree geografiche, senza logica, con il risultato di essere una “sommatoria” di progetti più che progetti “integrati” con una moltiplicazione di effetti. Come nel caso del Prusst degli etruschi (Civitavecchia) che interessa la Maremma, l’Umbria, l’alto Lazio e Olbia.
I cosiddetti istituti derogatori utilizzano l’Accordo di programma come procedura di variante agli strumenti di pianificazione: sono questi i “programmi complessi”, dettagliatamente illustrati in una recente pubblicazione del ministero dei Lavori pubblici (Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio, Roma, 2001), che consentono agevolmente di derogare (talvolta con finanziamento pubblico) alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Con l’aggravante che, molto spesso, gli istituti della deregulation sono approvati al riparo dalle osservazioni dei cittadini (garanzia prevista fin dalla legge del 1942) e spesso non sono nemmeno discussi nei consigli comunali, cui spetta solo la ratifica della firma del sindaco. Ha scritto Edoardo Salzano
“Ciò che accomuna la quasi totalità di questi piani anomali è che enfatizzano il circoscritto e trascurano il complessivo, celebrano il contingente e sacrificano il permanente, assumono come motore l’interesse particolare e subordinano ad esso l’interesse generale, scelgono il salotto discreto della contrattazione e disertano la piazza della valutazione corale. Abbandonando le metafore, caratteristica comune di (quasi) tutti gli strumenti di pianificazione anomali è quella di consentire a qualunque intervento promosso da attori privati di derogare alle regole comuni della pianificazione ordinaria. Di derogare cioè dalle regole della coerenza (ossia della subordinazione del progetto al quadro complessivo determinato dal piano) e della trasparenza (ossia della pubblicità delle decisioni prima che divengano efficaci e della possibilità del contraddittorio con i cittadini)”.
Il rapporto tra urbanistica e questi strumenti è quasi sempre conflittuale, mentre l’assenza di regole sulle procedure comporta l’assenza di rappresentanza delle istanze delle associazioni e dei cittadini. E’ il caso di chiarire che la critica si appunta sull’Accordo di programma inteso come strumento ordinario di governo del territorio. Guardando al passato, alla ricerca delle motivazioni che portarono alla nascita di questi strumenti legate principalmente alla riduzione dei tempi di decisione e realizzazione, e al presente, con riferimento sullo stato di attuazione di questi programmi e sui risultati, non può che sorgere un dubbio sull’efficacia dell’utilizzo della deroga come regola e una profonda amarezza per la disarticolazione, e non per la riforma, delle norme per il governo del territorio.
Questi strumenti sono figli degli anni Novanta ed una delle tappe della “controriforma” urbanistica con il silenzio-assenso e le leggi sul condono. Le politiche per la città degli anni Novanta hanno mirato più a costruire delle città competitive verso l’esterno, riuscendovi solo in parte, che città solidali al loro interno. Si è cercato di semplificare riuscendo solo a banalizzare.
Forse la risposta alla trasformazione della città non era nella ricerca di meno regole, ma in una maggiore pianificazione.
E’ bene ricordare la mancata redazione delle Linee fondamentali di assetto del territorio previste dalla L. 394/91 e smi, quale strumento per la previsione dei parchi ed estesa dal d.lgs. n. 112/97 alle previsioni inerenti anche la difesa del suolo, l'articolazione delle reti infrastrutturali, il sistema delle città e delle aree metropolitane. E’ da sottolineare anche la mancata piena attuazione della legislazione di tutela dell’ambiente fisico e culturale. I Piani paesistici (L. 431/85) a 17 anni dall’entra in vigore tutelano in 4 regioni solo specifiche aree (Molise, Campania, Basilicata, Sardegna) (AA.VV. , Un Paese spaesato: Rapporto sullo stato del paesaggio italiano, Roma 2001). Per quanto riguarda la difesa del suolo (L. 183/1989) le Autorità di bacino nazionale sono sei ognuna ha adempiuto ed è stato approvato il Piano straordinario per le aree a rischio idrogeologico molto elevato, per quanto riguarda i Piani stralcio per l’assetto idrogeologico (PAI) sono in corso di elaborazione e approvazione. Per quanto riguarda le Autorità di bacino interregionali il Piano straordinario per le aree a rischio idrogeologico molto elevato risultano tutti approvati, mentre alla fine del 2000 risultavano adottati solo 2 PAI su 13. La pianificazione provinciale introdotta con la L. n. 142 del 1990, e dettagliata dalle legislazioni regionali caso per caso, è il grande assente nel quadro normativo italiano. L’area vasta dovrebbe essere il luogo in cui si salvaguarda il territorio sotto gli aspetti ambientali e dove si governano le aree urbane e le dinamiche della popolazione. E’ epoca di bilanci per questi strumenti che per una stagione hanno infiammato il dibattito scientifico e lo scontro istituzionali. Al 2001, ad 11 anni dall’entrata in vigore della legge, solo 19 piani provinciali sono stati approvati e 21 adottati nelle 103 province che compongono l’Italia. Anche in questo caso si devono fare i necessari distinguo: nell’Italia meridionale solo il 14% delle province ha un piano approvato o adottato (escludendo l’Abruzzo solo il 4%). Al Centro-Nord l’Umbria, il Trentino e le Marche hanno il 100% di piani approvati. La Lombardia e il Friuli, in questo panorama, si distinguono per percentuali “meridionali” (0%), come la Campania, il Molise, la Basilicata, la Calabria, la Puglia e la Sardegna.
I Prg a 60 anni dall’emanazione della Legge quadro ancora non coprono tutto il territorio nazionale. Solo otto regioni hanno una copertura del 100% della pianificazione urbanistica comunale sul territorio, mentre il Lazio con solo il 78% dei comuni in regola è il fanalino di coda. Nel complesso circa 290 comuni sono senza Prg (Ministero dei Lavori Pubblici, INU - Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000). Il dato negativo dello stato d’attuazione sull’attuazione dei Prg in Italia non è solo quantitativo ma anche qualitativo. E’ il caso di soffermarsi su alcuni esempi: Roma e Milano, anche se la note de doleance è lunga e non può essere esaurita in queste poche righe. A Roma con lo slogan planning by doing, si è deciso di avviare contemporaneamente l’attuazione degli interventi sulla città e il Prg, circa sessanta milioni di mc sono stati localizzati e in alcuni casi avviati con l’alibi del piano. I nove anni di elaborazione del Prg della giunta Rutelli e della giunta Veltroni, sono serviti a coprire una continua trattativa per lo spostamento dei pesi e dei mattoni. Il fronte del confronto è oggi sul riconoscimento del diritto edificatorio per le previsioni edilizie del 1965. Per fortuna la battaglia di Italia Nostra con il parere pro veritate del prof Vincenzo Cerulli Irelli e il convegno L’urbanistica della leggerezza, a cui oltre a Cerulli Irelli a preso parte anche il prof. Edoardo Salzano, hanno convinto parte della maggioranza capitolina a rifiutare questa “bruttura” giuridica. Altro discorso è Milano, dove si è deciso di rinunciare al Prg. Infatti se pur con delle critiche e dubbi su alcune scelte fatte deve essere riconosciuto che a Roma è stato fatto un Prg. Di questo deve essere dato atto al Sindaco Veltroni e all’assessore Morassut, di aver optato una scelta non scontata. A Milano con l’adozione del documento Ricostruire la grande Milano. Documento di inquadramento delle politiche urbanistiche comunali che di fatto sostituisce i progetti al piano, il quale diventa il notaio di quanto si è deciso altrove. Parlando di piani si devono ricordare altri casi come il piano strutturale dell’Argentario, dove per l’azione di Italia Nostra: sono stati fermati sia 735.000 mc (ridotti di un terzo), sia lo sviluppo delle aree urbane in una situazione in cui non è certo l’approvvigionamento idrico per i nuovi insediamenti e i criteri per il recupero degli insediamenti abusivi; Salerno dove il piano è composto da progetti piegati alle logiche economiche e finanziarie che dimenticano il rispetto dei contesti locali; Verona dove il piano in vigore, vecchio di trenta anni, è stato piegato da oltre 400 varianti e la nuova variante generale in continuo e costante procinto di essere attuata prevede di estendere il consumo di suolo alle colline, mentre le aree dismesse abbandonate a loro stesse e 9.000 alloggi sono inutilizzati.
1.3. I rischi d’oggi
Questi ragionamenti già fatti nel passato sono oggi confortati dalla statistica, ma non sono stati forieri della necessaria riflessione. Dopo gli anni Novanta anche in questo scorcio del nuovo secolo, l’azione del governo è indirizzata a incidere profondamente in senso negativo sulle politiche urbane e del territorio. Negli anni Novanta sono stati messi a rischio i principi generali della disciplina urbanistica e quelli della tutela dei beni paesistici e storico culturali, oggi quei rischi sono diventati realtà e ad essi si aggiungono anche i pericoli per la sicurezza del nostro territorio e la vita delle persone che vi abitano.
Dopo i dolorosi fatti del Maggio 1998 a Sarno, fu emanato DL n. 180/1998 per il finanziamento dei Piani di bacino stralcio delle zone a rischio idrogeologico. Le risorse previste con questa legge per il 2002 non sono stati confermati nelle ultime due legge finanziarie, ma diminuite. Altrettanto pericoloso sempre da un punto di vista idrogeologico è la vendita dei corsi d’acqua ai privati previsto con l’art. 34 del collegato alla finanziaria 2002. Davanti alla tutela della vita delle persone la sanatoria degli abusi edilizi in Sicilia, sembra un fatto meno importante, così come la modifica della Conferenza dei servizi (L. 444/01, D.L. 166/02), quella della Valutazione di impatto ambientale (L. 443/01, D.Lgs 190/02), e sulla sanatoria per chi in “buona fede” ha costruito sulla proprietà pubblica e potrà con il decreto 102/03 riscattare il suolo pubblico a 10 euro al metro quadro.
Il territorio e le valenze storico culturali delle nostre città sono beni non riproducibili una volta depauperati. Certo, come è detto, la città e il paesaggio sono “esseri viventi” che si modificano, ma queste trasformazioni devono essere il prodotto delle trasformazioni della società e del confronto tra tutti i portatori di interessi. In questo senso la Conferenza di Servizio, nata come strumento per far dialogare le amministrazioni diventa una valanga che travolge ogni cosa. E’ previsto infatti che in essa: la presenza dei privati sia a pari dignità con il pubblico, non sia possibile modificare la localizzazione, la natura e le caratteristiche essenziali delle opere, ma solo "apportare varianti migliorative". Ora un nuovo disegno di legge (n. 1281) lascia alla amministrazione procedente l’ultima parola: non disturbate il “manovratore”. Al tempo stesso le grandi opere della legge obiettivo non saranno più sottoposte al vaglio del Ministero dell’Ambiente per le considerazioni in merito alle Valutazioni di impatto ambientale, che darà solo un parere, ma a quelle del Comitato interministeriale programmazione economica (CIPE). La legislazione “creativa” in questo ambito ha determinato che non si ha nessuna certezza sulle procedure da seguire (basta vedere i casi della Torino Lione, del Ponte sullo Stretto e del Mose) e che una commissione di 20 “professionisti” può esprimere parere su 150 centrali elettriche e oltre 100 opere della legge obiettivo.
Inoltre con la parola d’ordine “padroni a casa nostra” questo governo nella L. n. 443/01 ha anticipato e reso maggiormente “liberale” quanto previsto dal precedente governo, con il testo unico sull’edilizia, e da alcune legislazione regionali come ad esempio la Lombardia, la Toscana e la Campania. Di fatto si prevede che si possa realizzare, in base a semplice denuncia di inizio di attività (DIA), oltre agli interventi edilizi cosiddetti “minori” anche le ristrutturazioni edilizie, le demolizioni e ricostruzioni che non modifichino l’ingombro volumetrico dell’esistente edificio e la nuova edificazione. Non sono previste particolari accortezze per i manufatti di rilevante interesse pubblico, e quindi vincolati, per i centri storici dove le amministrazioni si sono “dimenticate” di apporre vincoli o per la stabilità dei manufatti edilizi. Il silenzio assenso travolgerà ogni cosa. Ricordo anche che all’emergenza non c’è limite. L. n. 401 del 2001 consente deroghe alle leggi vigenti in caso di eventi catastrofici di straordinaria intensità e consente di estendere lo “stato di emergenza” anche ai “grandi eventi” (ad es. un summit di politica internazionale o la presidenza italiana del semestre UE) equiparati a calamità naturali per giustificare i poteri speciali.
Tra i temi all’ordine del giorno della discussione c’è una conferma della grande insensibilità che di questi tempi si ha del territorio e all’ambiente nel nostro Paese. La legge delega in campo ambientale fa parte di questa ampia famiglia di leggi che stravolgono il nostro territorio. Sulla base di una delega troppo vaga e ampia, c’è l'affidamento a una Commissione esterna al Parlamento di 24 membri, della riscrittura di tutto il diritto ambientale: tutela dell’acqua, dell’aria, difesa suolo, gestione dei rifiuti, parchi, danno ambientale e valutazione di impatto ambientale. Oltre a questo sono previste anche norme immediatamente attuative (rottami ferrosi, concessioni in sanatoria in area vincolate, compensazione edilizia per sopraggiunti vincoli ambientali).
A preoccupare le associazioni ambientaliste, ma dovrebbe preoccupare tutti, è il grande disegno complessivo. Il territorio come nei primi anni Cinquanta è visto come un bene da depredare e usare, una proprietà pubblica e quindi di nessuno, da sacrificare allo sviluppo economico di oggi senza avere l’orizzonte di domani: negli anni Cinquanta si scelse come motore per lo sviluppo economico, l’edilizia, oggi lo sono le infrastrutture e il condono edilizio.
EBOLI (Salerno) - Una pugnalata alle spalle: ecco cos'è il condono per me e quelli che hanno dato l’anima per far passare il principio che la legge legge. Una pugnalata. C’era quasi riuscito, Gerardo Rosania, a portare lo Stato a Eboli. Ce l’aveva quasi fatta stringendo lui, sindaco di Rifondazione, un patto di ferro con il prefetto, i magistrati, i vigili, i carabinieri, i pompieri, i forestali e tanta altra gente perbene compatta nella volontà di mostrare che l’amministrazione pubblica anche qui può essere seria.. Hanno buttato gi 437 case abusive, per affermare questa idea di uno Stato serio. La pi radicale operazione di bonifica mai fatta in Italia. Condotta tra insulti, ricorsi, lamenti, tentati suicidi, minacce, svenimenti, eccezioni legali e lacrime di prefiche...
Adesso Rosania ha il morale a pezzi: Da quando emersa la certezza del condono sono spuntati cantieri abusivi dappertutto. Sono sommerso da decine di rapporti. I vigili vanno, sequestrano, mettono i sigilli. Quelli li rompono e riprendono. I vigili tornano e rimettono i sigilli.. Quelli li rompono e riprendono. I vigili li rimettono e si sentono dire: "Perché scassate? Tanto c’è ‘o condono!”. Per non parlare degli abusivi ai quali abbiamo demolito la casa: "Ecco! Tutta l’Italia la fa franca! Tutta l’Italia! Pure quelli che hanno costruito sul demanio! Bastava che ci lasciaste in pace ancora un poco...".
Non era stato facile, portare lo Stato a Eboli. Paese simbolo, anche grazie al libro di Carlo Levi, del Mezzogiorno povero, sgarrupato, passivo. Via via pi rassegnato alla convivenza con le mille illegalità diffuse. Cuore di quella Campania che ospita il 19% degli edifici abusivi costruiti ogni anno in Italia. Teatro di quella farsa offensiva e tragica in cui le autorità fingono di avere la faccia feroce e firmano, per evitare l’imputazione di omissione di atti d’ufficio, ordini di demolizione per le case illegali non sanabili che poi applicano soltanto nello 0,97% dei casi. La camorra era sicura che, nonostante qualche strepito, nessuno avrebbe mai avuto il fegato di mandare le ruspe. E lungo otto chilometri del litorale ebolitano, a ridosso del mare e della bellissima pineta, le famiglie cutoliane degli Scarponi e dei Garibaldi si erano spartite la terra demaniale dividendola in centinaia di lotti come fosse terra loro. E per tutti gli anni Settanta e gli Ottanta, mentre i sindaci e i vigili e i pretori guardavano altrove, avevano tirato su villini su villini fino a occupare tutta la fascia tra la strada litoranea e il bosco.
Tutto tra complicità indecenti. Chiedevano la corrente elettrica dicendo di dovere azionare un pozzo artesiano e l’Enel gliela dava fingendo di non sapere a cosa serviva davvero, chiedevano il telefono e la Sip glielo portava, compravano e vendevano come fosse roba legale, freme di rabbia Donato Santinone, il segretario dei comunisti italiani che come assessore all’Urbanistica coordina le ruspe. Trovammo contratti stipulati dal notaio che parlavano di "trasferimento di possesso". Notai che, chiamati a far da garanti davanti alla legge, se ne infischiavano. E che non ci risulta siano mai stati espulsi.
Uno schifo. Aggravato dai problemi di ordine pubblico causati dalla presenza di alcuni spacciatori. E dalla scelta di qualche proprietario di arrotondare le entrate affittando d’inverno la propria casa al mare a gruppi di prostitute. Tutta la strada, dall’autunno alla primavera, era piena per otto chilometri di ragazze che facevano la vita. Perlopiù straniere. Erano cos tante che certe sere fummo costretti a organizzare pattugliamenti coi vigili, ricorda il sindaco. A casa d’una nigeriana, il giorno in cui la buttammo giù, fotografai un mucchio di preservativi buttati sul pavimento. Un metro quadro di preservativi. Forse più.
Per anni, in Comune avevano teorizzato la necessità d’abbattere Camorropoli. Ma pareva non ci fosse niente da fare. Firmavi gli ordini di demolizione e quelli se ne fregavano. Gli ordinavi di andarsene e ridevano. Facevi le gare per affidare gli appalti degli abbattimenti e andavano deserte. Una sola vide un vincitore: una ditta che in realtà voleva solo farsi bella sperando d’incassare altri lavori. O contando sul fatto che non avremmo avuto le palle per demolire davvero. Cosa che le avrebbe permesso di farci causa. Appena capì che facevamo sul serio, sparì.
Alla fine ci fu chiaro che avevamo una sola carta da giocare: andare ad abbattere con il genio militare.
Fu l che, miracolo, apparve lo Stato. L che si sald l’alleanza ebolitana tra la sinistra perbene e la destra perbene, tra la giunta rossa e un giovane magistrato di nome Angelo Frattini e il prefetto salernitano Natale D’Agostino, che si tir dietro la polizia e i carabinieri e la Forestale e la Finanza... Un uomo straordinario, ricorda Rosania. Quando arrivammo al punto di svolta disse: "Allora: ci stiamo tutti’ Tutti convinti? Attenzione, perch da questo momento nessuno può pi tirarsi indietro". Non me lo scordo, quel giorno. Chi non del Sud non può capire fino in fondo: lo Stato! A Eboli c’era lo Stato!.
Cinque anni esatti sono passati, dal primo abbattimento. Era il 29 settembre 1998 (Grazie Tremonti: bel regalo di compleanno...) quando la pala meccanica attaccò la villetta di Anna Pagano. Lei e gli altri abusivi delle prime 72 case abbattute non ci credevano, che finisse davvero cos. E investivano i cronisti con il loro stupore: Non ci hanno dato manco il tempo di svuotare gli armadi! . Avevano avuto anni, per svuotarli. Ma chi l’immaginava che quel giorno le ruspe militari sarebbero arrivate? Là, nel cuore di un mondo tutto illegale. Là, col sindaco confinante di Battipaglia, Fernando Zara, che si batteva al contrario per sdemanializzare il litorale suo e giurava di non avere nel suo comune neanche una casa abusiva e sbruffoneggiava: Vediamo se Rosania ce la fa, ad abbatterle tutte! Vediamo!. E gli abusivi che assalivano i vigili: Perché noi sì e quelli di Battipaglia no? Chi lo d il diritto al comune di Eboli di fare quello che Battipaglia non fa, ah?
Quattrocentotrentasette villini, han tirato giù. Una cosa costosa, lunga, complicata: prima devi far sequestrare la casa, poi devi acquisirla e votare un progetto di demolizione e svuotarla di tutti i mobili e far staccare tutti i servizi dai vigili del fuoco e dai tecnici del gas e dell’Enel e mille altri impicci. La ruspa arriva solo alla fine. Un lavoro duro. Senza un lira da Roma.
Tra minacce, inquilini che si davano fuoco, mamme che si asserragliavano coi figlioletti, lettere stizzite di incazzatissimi avvocaticchi... Eppure, anche grazie al nuovo prefetto Efisio Orrù succeduto a D’Agostino mettendoci la stessa passione e la stessa severità, ce l’avevano fatta. Là dove c’era l’orrendo caos di Camorropoli oggi tornata l’erba, sono tornate le piante, tornato il panorama della pineta cos come lo videro Johann Wolfgang Goethe o Percy B. Shelley in viaggio verso Paestum. Gerardo Rosania guarda e sospira. Ce l’aveva quasi fatta, a portare lo Stato a Eboli. Quasi.
Hanno dato ragione a lui, a Enzo Poli. Sono anni che se ne fotte delle regole e tira su palazzi e piscine e gazebo e tutto ciò che gli garba accanto al suo albergo sull' Appia Antica proprio sopra le catacombe di San Callisto, anni che gli sequestrano i cantieri e che lui va avanti rompendo i sigilli, anni che gli buttano giù i manufatti con le ruspe e che lui riparte facendo spallucce: uffa, la legge! Lo sapeva, che una volta o l' altra glielo mollavano, un nuovo condono edilizio. E cento, mille, diecimila altri come lui sparsi per tutta la penisola, da Vipiteno a Lampedusa, si davano di gomito da mesi: lo fanno, lo fanno... Ti pare che dopo aver fatto sanatorie a raffica, non ne fanno una edilizia? Adesso il timbro, quello inventato dal Cavaliere per segnare i trionfi del primo governo, c' è: "fatto!" Cosa significhi, per il nostro "Bel Paese", ormai defunto in molti dei suoi paesaggi più struggenti, ce lo dicono gli ultimi dati del Cresme.
Dal 1994 al 2002, con una robusta accelerazione negli ultimi tempi via via che si delineava la magnanimità governativa nei confronti di ogni tipo di figliol prodigo (l' evasore, l' esportatore di capitali, il falsificatore di bilanci...) sarebbero stati costruiti almeno 362.676 edifici abusivi dalla superficie media di 138 metri quadrati per un totale di 50 milioni e 185 mila metri quadri. Tanto per capirci: come un condominio largo venti metri, alto quindici e lungo 502 chilometri. Valore stimato: 23,470 miliardi di euro, pari ad almeno 45.444 miliardi di vecchie lire.
Una somma enorme, fatta ruotare tutta o quasi tutta dentro l'illegalità: niente Iva (solo qui un risparmio medio dell' 8%), niente imposte varie, niente contributi sulle paghe dei lavoratori in nero... Quanto basta per ipotizzare un' evasione complessiva, per non parlare del prezzo pagato in termini di morti e infortuni dentro questa cornice totalmente fuorilegge, pari al valore dell' intero complesso abusivo. Vogliamo stare bassi? Teniamoci per difetto (difetto) sui 15 miliardi di euro, cioè sui 30 mila miliardi di evasione. Bene: se dal condono dovessero essere recuperati come auspica il governo 3.000 miliardi delle vecchie lire, accusano gli ambientalisti e quanti si oppongono alla sanatoria per una questione di decenza, si tratterebbe comunque di un obolo: 4.272 euro per ogni edificio abusivo stimata dal Cresme. Un obolo che, tappato un buco oggi, spalancherebbe una voragine nei conti di domani. Basti ricordare, come scriveva ieri il "Corriere", che il comune di Roma spende in media 22 mila euro (ma la somma può sfondare i 30 mila nel caso debbano essere risanate certe borgate nate nel caos) per ogni abitazione sanata e fornita di tutti i servizi di base, a partire dalle fognature. Fate voi i conti.
Quanto all' aspetto morale, lasciamo il commento al professor Giulio Tremonti, l' antico rigorista rimpiazzato dal ministro attuale, che aveva idee chiarissime sulla necessità che uno stato serio faccia rispettare le leggi. E bacchettava ogni genere di condono ("in Sudamerica si fanno dopo il golpe") spiegando: "Non è neppure il caso di avviare una discussione sulla morale fiscale di un governo che fa ora ciò che appena ieri ha fermamente escluso perché immorale. E' piuttosto il caso di passare oltre, per vedere se un condono fatto in questo modo e in questo momento sia soltanto una scelta di cinismo fiscale per tirare a campare o qualcosa di più e di peggio: una scelta di suicidio fiscale". Insomma, avanti così non c' è più "certezza di tassazione con saltuari condoni ma certezza di condoni con saltuaria tassazione". Parole d' oro. Sottoscritte poco più di un anno fa dal ministro degli esteri Franco Frattini, allora alla funzione pubblica: "Va estirpata ogni forma di illegalità perché la questione morale è alla base di qualsiasi programma di governo". Ribadite dal suo collega alle Attività produttive Antonio Marzano: "L' ipotesi di un condono edilizio in finanziaria non mi piace molto perché amo l' Italia e non mi piace vederla guastata".
Rilanciate dal responsabile dell' Ambiente Altero Matteoli: "Dal rapporto ' Ecomafia' di Legambiente emerge una preoccupante crescita dell' abusivismo edilizio. Io sono nettamente contrario al condono edilizio non tanto per non voler perdonare chi costruisce una casa illegale, ma per non ridicolizzare il cittadino onesto che ha costruito secondo le regole. Del resto io avevo detto no anche all' ipotesi di un condono minimale, perché se apriamo alla sanatoria dei mini-abusi, si sa dove si inizia, ma non dove si finisce".
"Fiscooggi.it", la rivista on line dell' Agenzia delle Entrate, ha calcolato che dal 1973 ad oggi è stata offerta una quindicina di condoni tributari, previdenziali, assicurativi, valutari ed edilizi che hanno portato a un incasso complessivo di 26 miliardi di euro, cioè 50 mila miliardi di vecchie lire. Una somma che spalmata sui tre decenni ha portato molto meno di un miliardo di euro l' anno e spalmata sugli abitanti rappresenta un esborso di 15 euro l' anno per ogni italiano. Onestamente, se sono buoni questi dati ufficiali delle Finanze, valeva la pena di sgretolare per 15 euro pro capite l' anno la dignità impositiva dello Stato, il sentimento comune della legalità, la certezza della pena, l' immagine di una macchina pubblica che sa garantire le persone oneste e perbene e colpire i furbi, i ladri, gli evasori? Ne valeva la pena? La risposta, più di ogni altro, avrebbero oggi il diritto di darla quei sindaci di sinistra come il rifondarolo Gerardo Rosania o di destra come l' aennino Orazio Longo che ad Eboli e a Rossano di Calabria hanno sfidato le ire, gli insulti e forse qualcosa di più dei loro concittadini indifferenti alle regole abbattendo centinaia e centinaia di case abusive per applicare la legge.
Una legge che la stessa amministrazione pubblica, come dimostrano le condanne confermate in Cassazione per il gigantesco acquedotto costruito dentro il parco dei Nebrodi senza neppure una delle licenze necessarie, non si cura troppo spesso di applicare. Chi glielo spiega adesso, agli abusivi che hanno già visto la "loro" casa abbattuta, che le ruspe agirono perché così voleva la legge?
Condono edilizio,
la Toscana lo disinnesca in due mosse
Una nota dell’Ufficio stampa della Giumta regionale spiega come la Regione combatte il decreto per la promozione dell’abusivismo. Da Prima pagina del 17 ottobre 2003
06/10/2003 - Una legge toscana sul condono edilizio. L'ha approvata oggi la giunta per dare una risposta che non sia solo "in negativo" alla questione della sanatoria sollevata dal decreto del governo. Un decreto che la Regione Toscana si appresta ora ad impugnare davanti alla Corte Costituzionale. Sono questi gli elementi chiave della strategia in due mosse decisa dalla giunta nella sua seduta di oggi, con l'obiettivo di disinnescare l'articolo 32 del decreto di accompagnamento alla Finanziaria 2004 che, a dispetto del titolo che parla di "Misure per la riqualificazione urbanistica (…)" e di "repressione dell'abusivismo edilizio", contiene disposizioni ritenute così pesanti per il territorio da consentire, tanto per fare un esempio, il condono di una costruzione abusiva fino a 250 metri di superficie.
Nel ricorso alla Corte costituzionale, basato sul fatto che la norma governativa interferisce con il potere legislativo concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio, la Regione Toscana chiederà anche la sospensiva del provvedimento governativo, così come faranno altre Regioni di centro sinistra.
In attesa del pronunciamento del massimo organo giurisdizionale, si completerà intanto l'iter legislativo della proposta di legge regionale. Una proposta che trova una sua legittimità nello stesso testo governativo. Nel secondo comma dell'articolo 32 del decreto di accompagnamento alla Finanziaria, infatti, si afferma che lo Stato interviene con il condono edilizio "nelle more" dell'adeguamento della disciplina regionale al testo unico in materia edilizia, approvato nel giugno 2001. In altre parole, lo Stato afferma di dover intervenire perché le Regioni non hanno adottato proprie leggi di adeguamento a quel testo. Ma tutto questo non vale per la Toscana che, unica regione, si è già adeguata dall'estate scorsa, approvando una sua legge edilizia: la numero 43 dell'agosto 2003. E' per questo che, secondo la Regione, le norme sul condono contenute nel decreto governativo sono, in Toscana, inapplicabili. E' questo il principio cardine della proposta di legge approvata oggi dalla giunta e che si compone di due soli articoli. Il primo ribadisce che il rilascio dell'attestazione di conformità in sanatoria (il cosiddetto condono) in Toscana è disciplinato esclusivamente dalla legge toscana in materia di edilizia, la 43 del 2003, appunto. Del testo governativo a poter essere applicate in toscana saranno soltanto le norme che riguardano i profili penali del condono. La legge pone inoltre termini precisi per la sua entrata in vigore, fissandoli fin dal giorno dopo la pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione Toscana.
Quanto al ricorso, la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi entro sessanta giorni sulla sospensiva della normativa del governo.
Non è la prima volta che l'Italia fa ricorso allo strumento del condono edilizio, strumento peraltro del tutto sconosciuto nella legislazione degli altri paesi europei. Possiamo ricordare il decreto emanato dal governo Craxi nel 1985 e quello del governo Berlusconi nel 1994. In entrambi i casi i provvedimenti furono impugnati davanti alla Corte costituzionale che, pur non dichiarandoli incostituzionali, pose una serie di freni all'utilizzo indiscriminato della sanatoria.
Barbara Cremoncini
1 Premessa
E così, dopo smentite, annunci di emendamenti, polemiche interne e cifre di mirabolanti entità, si è arrivati al triste e ciclico provvedimento volgarmente detto “condono edilizio”.
Prima di sintetizzare i contenuti del provvedimento corre però l’obbligo di articolare qualche semplice riflessione.
Come premessa va detto che il condono edilizio, tra tutti, è il più violento: nei confronti del presente e del futuro. Esso ha, dal punto di vista “morale”, la medesima portata di tutti gli altri provvedimenti in sanatoria, ovvero di atti che premiano i furbi e i disonesti, in favore di chi cerca – nonostante tutto – di svolgere civilmente il proprio “mestiere” di cittadino. Ma, oltre a tale denominatore comune, il condono edilizio lascia un segno indelebile sul territorio, sul suo avvenire e sull’equilibrio dello sviluppo urbano. Tra vent’anni, quando magari anche in Italia ci si vergognerà di frodare le leggi, il condono fiscale sarà ricordato nei testi come una cattiva prassi di quadratura dei conti; quello edilizio, purtroppo, sarà ben presente nella vita di ciascuno, poiché gli scempi non riguardano i bilanci, ma hanno a che fare con i luoghi dove tutti i giorni viviamo. L’aggravante etica è poi quella connessa con il dato – ormai riconosciuto da tutti (o quasi tutti) – che il territorio è una risorsa scarsa e non riproducibile: valorizzarlo è un obbligo, svenderlo un crimine.
Vale poi la pena soffermarsi sul dato numerico, ossia sul fatto che il condono edilizio anche in termini meramente economico-fiscali, non è un vantaggio (e se lo è, ha carattere di brevissima durata) ma un costo per il futuro. È stato annunciato dal governo che l’introito che si vorrebbe garantire all’erario con questa misura dovrebbe aggirarsi attorno ai 2,5/3 miliardi di euro. Ma, un urbanista e amministratore come Vezio De Lucia ha stimato che:
“il condono edilizio è comunque un disastro per le pubbliche finanze. E' stato calcolato che, fatto 100 l'ammontare delle oblazioni, è pari almeno a 300 la spesa che i poteri locali devono sostenere per urbanizzare adeguatamente i territori infestati in ogni direzione dagli insediamenti abusivi”.
La dimostrazione di tale dato è resa palese dalle stime fatte dalle associazioni ambientaliste, su dati ufficiali, relativamente ai costi dell’analogo provvedimento del 1994 per il Comune di Roma, dove “a fronte di introiti dei condoni 1985 e 1994, pari a 477 milioni di euro, c’è stata una spesa del Comune in opere di urbanizzazione pari a 2.992 milioni di euro, cioè sei volte tanto.”. Dunque, anche razionalmente e non solo eticamente, si tratta di una misura incomprensibile.
Per concludere, ai soli fini della fredda cronaca storiografica, vale la pena ricordare la successione ciclica dei condoni negli ultimi 18 anni, con la relativa paternità politica:
1985, Governo Craxi, Ministro Nicolazzi;
1994, Governo Berlusconi, Ministro Radice;
2003, Governo Berlusconi, Ministri Tremonti e Lunardi.
La prima cosa che colpisce il lettore è il titolo. Infatti, con grande astuzia, l’art. 32 della finanziaria 2003, è intitolato:
“Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attività di repressione dell'abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali.”
Già da qui si comprende la volontà mistificatoria degli estensori del provvedimento e il timore di chiamare le cose con il loro nome. Sembra, infatti, che a differenza di qualche anno fa, la percezione dell’opinione pubblica rispetto a questo tipo di condono sia mutata, grazie anche alla mutata percezione del valore fondamentale della sostenibilità ambientale. Il legislatore pare abbia timore a chiamare, come nel 94, il condono con il nome di “misure di razionalizzazione della finanza pubblica”.
Tale atteggiamento - che non è avventato definire ipocrita – è sotteso a tutta la prima parte del provvedimento che, per chiarezza, possiamo dividere in tre corpi principali.
Una prima parte, dall’art 1 sino all’art. 13 è la parte delle “misure di salvaguardia” o, come mi permetto di definirla, del “bambino monello” (spiegherò poi la metafora).
Una parte centrale, dall’art. 14 all’art. 24, relativa ai “saldi territoriali”, ossia concernente la vera e propria svendita di lembi di territorio oggi in capo al Demanio dello Stato.
L’ultima parte, dall’art. 25 sino alla fine, relativa al condono in senso proprio del termine.
Nella prima parte dell’articolato si coglie il rimorso (o l’ipocrisia) del legislatore che, conscio di perpetrare un grave danno al territorio, si sente obbligato ad introdurre norme e danari – probabilmente fittizi – per sentirsi meno corrivo con un vero e proprio scempio. L’immagine più prossima che mi è sovvenuta alla mente è quella del discolo che, dopo aver rotto un vaso prezioso in una scorribanda casalinga, sente il dovere di lucidare tutti gli altri soprammobili e di rassettare la casa per coprire il danno fatto. Si tratta, in entrambe i casi, di un atteggiamento pavido e infantile; tollerabile forse da un bambino, sconcertante se tenuto da un Governo.
Perché questo paragone? Perché scorrendo i primi tredici articoli emerge un profluvio di ottime intenzioni e di parche elargizioni di danaro pubblico: 100 milioni di euro per la riqualificazione di ambiti territoriali, altrettanti per la realizzazione di un programma di interventi di messa in sicurezza del territorio nazionale dal dissesto idrogeologico, 50 milioni di euro per attuare il programma di ripristino e riqualificazione di aree soggette a vincolo paesistico/ambientale, 50 milioni di euro come facoltà alla Cassa Depositi e Prestiti di istituire un fondo di rotazione per la demolizione degli abusi.
In sostanza si stanziano (sempre in maniera fittizia, poiché non ci sono i riferimenti di finanziamento) soldi per mitigare gli effetti dirompenti della medesima legge: si ferisce e si ricuce la ferita per un quarto.
Va poi detto che non c’è un articolo, nella norma, che attui le annunciate misure per velocizzare la demolizione degli abusi. Infatti, le tranquillizzanti dichiarazioni di alcuni ministri avevano teso a rassicurare che il condono era sì brutto ma, d’altro canto, inevitabile: mancano i soldi; assieme a questo, avevano detto che, contestualmente all’amaro calice della sanatoria, si sarebbero semplificate le norme per la certificazione e distruzione degli abusi.
Qualcuno aveva visto, almeno in ciò, qualche flebile speranza “compensativa”: in effetti, oggi, per arrivare a demolire un abuso sono necessari molteplici e onerosi passaggi giuridici, burocratici e amministrativi. Purtroppo, in questo caso, così è e così sarà: nessuna delle procedure attuali cambia.
La parte compresa tra gli articoli 14 e 24 è, forse, la più inquietante. Infatti, tali parti sanciscono la possibilità di godere del condono anche per gli immobili costruiti abusivamente su aree demaniali, ossia pubbliche, a patto che vi sia “la disponibilità da parte dello Stato proprietario, per il tramite dell’Agenzia del demanio, rispettivamente, a cedere a titolo oneroso la proprietà dell’area appartenente al patrimonio disponibile dello Stato su cui insiste l’opera ovvero a garantire onerosamente al mantenimento dell’opera sul suolo appartenente al demanio e al patrimonio indisponibile dello Stato” (art. 14). In sostanza, sulle aree pubbliche, di proprietà dello Stato, patrimonio della collettività, si potrà - secondo i pareri dell’Agenzia del Demanio - o sanare l’abuso lasciando il bene condonato in “diritto di superficie” ventennale o, cosa ancor più grave, ad acquistare – tramite licitazione privata – un bene pubblico (che dovrebbe essere alienato tramite bando).
Dunque, non ci si limita a sanare un illecito ma – contemporaneamente - si vende ex post una parte di territorio, solo perché qualche furbo (o criminale, perché di questo si tratta) con la prepotenza ne ha occupato il sedime. Si tratta di un atteggiamento arrendevole, cinico e limitato che rende improbo il “mestiere” di essere italiani.
Appare ancora propagandistico quanto previsto nell’art. 24, in cui si stanziano altri 20 milioni di euro nel 2004, 40 milioni per il 2005 e altrettanti per il 2006 “ai fini del miglioramento, della tutela e della valorizzazione delle aree demaniali”. Viene da dire a chi ha scritto la norma: ma ci si rende conto che la migliore e più economica tutela e valorizzazione delle aree demaniali, sarebbe stata la ferma punizione e demolizione degli abusi, e che invece si alimenta l’esatto opposto per poi stanziare altri soldi per renderlo (forse) più digeribile?
L‘ultima parte, come detto, riguarda il condono vero e proprio.
L’articolo 25 stabilisce che la sanatoria si applica alle “opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30% della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento di 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria”.
In sintesi, come si evince anche da una recente interpretazione riportata dal “Sole 24 ore”, sono sanabili le opere abusive “ultimate”, cioè complete nel loro sviluppo tridimensionale, anche se non corredate di impianti e immediatamente utilizzabili. Restano fuori dalla sanatoria i pilastri che al 31 marzo 2003 erano privi di solaio, oltre ai volumi non delimitati.
L’articolato prevede poi limitazione al diritto di ricorrere al condono a chi sia stato condannato per i crimini di cui agli art. 416 bis (associazione mafiosa), 648 bis e ter (riciclaggio e finanziamento illecito).
Le Regioni, che dovrebbero essere le titolari della potestà legislativa in termini di territorio, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, dovranno emanare solo norme per la definizione del procedimento amministrativo.
Infine, va detto che nemmeno la presenza di vincoli di inedificabilità ostacola la sanatoria, poiché la procedura resta solo subordinata a specifici, ulteriori pareri da parte delle autorità competenti a gestire il vincolo (ANAS, Soprintendenze, ecc.).
Dunque, non si tratta di un condono leggero.
Il giudizio su questo provvedimento è naturalmente da riferire all’opinione di ciascuno. È però certo che si tratta di una misura inefficace per l’erario, per il territorio e per il senso civico complessivo, aprendo nuovamente il fuoco per attacchi agli equilibri già compromessi dell’ecosistema.
Resta aperta la possibilità, innescata da un ricorso presentato dalla regione Toscana, che il condono edilizio possa essere ritenuto incostituzionale, poiché in contrasto con i disposti del modificato articolo V della Costituzione. Le tematiche urbanistiche e territoriali sono, infatti, materia “concorrente”, a prevalente competenza regionale. Dunque, se così fosse, lo Stato avrebbe compiuto una mossa falsa.
Al di là di ciò vi è comunque il dato relativo al fatto che questo provvedimento si inserisce in altri simili atti di questo governo, ispirati dal medesimo, pericoloso, disegno: pensare solo ed esclusivamente all’oggi, anche a costo di ferire principi sino ad oggi condivisi, compromettendo gli esiti futuri.
Per dirla con Edoardo Salzano, “… lo sciagurato condono edilizio, è solo uno degli episodi di dissipazione della ricchezza comune. Ricordiamo gli altri: ricordiamo la svendita del patrimonio immobiliare pubblico, ricco di beni culturali di grande pregio, di luoghi di straordinaria bellezza, che avrebbero potuto diventare produttivi anche conservando la proprietà nelle mani della collettività. Ricordiamo la smania di privatizzare tutto quello che può diventare lucroso per i privati anche a danno dell’efficacia del servizio pubblico: dall’energia elettrica ai trasporti collettivi, dalla sanità alle pensioni, dalla scuola alla ricerca. E ricordiamo anche le iniziative che impoveriscono la ricchezza morale del paese: come i condoni fiscali, che premiano i furbi e gli evasori e riducono la credibilità della legge, che dovrebbe essere uguale per tutti”.
Milano, ottobre 2003
Perdoni & codicilli - Condono edilizio ancora nel mirino. Con un blitz alle prime luci dell?alba di ieri è infatti passato un emendamento della maggioranza che abolisce il divieto di costruire per 10 anni nei terreni colpiti da incendi dolosi. Verdi e opposizioni insorgono gridando allo scandalo. Il senatore Luigi Grillo di Forza Italia, firmatario dell?emendamento insieme ad An, Lega e Udc recependo le preoccupazioni del suo collegio elettorale dopo gli incendi di settembre in Liguria, precisa il senso della modifica convinto di «aver fatto la cosa giusta». Dice: «Si potrà costruire solo laddove il piano regolatore lo consente». Una spiegazione che non convince il senatore verde Sauro Turroni con il quale Grillo nel pomeriggio ha avuto un acceso scontro verbale in sala stampa. Dopo la bocciatura del governo che ha visto cadere il limite di abuso di 750 metri cubi per singolo appartamento (lo sarà per l?intero edificio-condominio) quella di ieri è la seconda importante modifica all?impianto originario della sanatoria edilizia da 3,6 miliardi di euro. Tanto che il governo sta pensando a una riscrittura. Per il capogruppo di Forza Italia al Senato Renato Schifani «andrebbe elaborato un testo più organico» perché bisogna «evitare di condonare interi edifici». E avanzano nuovi emendamenti della Lega che propongono di effettuare i pagamenti delle sanzioni in una unica rata e di triplicare (da 15 a 45 euro al metro quadro) le vendite nelle aree demaniali. Maurizio Eufemi (Udc) proporrà, invece, «un aumento del 50% per gli abusi di necessità oltre la soglia dei 500 metri cubi».
A una ipotesi di revisione, visto che secondo i calcoli del ministero dell?Economia l?emendamento dei 750 metri cubi fa perdere 1 miliardo di euro di incassi, ha ammesso di pensarci anche il sottosegretario al Tesoro Maria Teresa Armosino. «E? opportuno riflettere - precisa Schifani - e non è escluso che tutte le modifiche al decretone finiscano in un maxiemendamento». Manovre che, in ogni caso, non piacciono agli ambientalisti. «Sugli incendi siamo contro qualsiasi modifica su un testo che per noi era un baluardo - ha affermato Maurizio Santoloci, vicepresidente del Wwf - così si rischia di demolire tutta la normativa, se ci sono casi specifici andranno affrontati di volta in volta».
Non si erano accorti, forse, che c'era una postilla: «I predetti limiti di cubatura non trovano applicazione nel caso di annullamento della concessione edilizia». Come sia andata si sa: dal '94 in qua, dice il Cresme, sono nate 362.676 case abusive. E il cavillo birbantello consentì a vari palazzinari di mettere in salvo interi complessi abusivi. Ad esempio, denunciano gli ambientalisti, le quattro palazzine di undici piani per un totale di 350 mila metri cubi costruite da Salvatore Ligresti ad Acilia grazie a un'autorizzazione ottenuta dalla Regione Lazio scavalcando il Comune di Roma che aveva negato la licenza. Procedura bocciata prima dal Tar, poi dal Consiglio di Stato.
Anche stavolta ci avevano provato, a scardinare il tetto massimo dei 750 metri cubi. Ma certo, ormai bruciato quel codicillo, dovevano inventare qualcosa di nuovo. Pensa e ripensa, una ignota testolina aveva dunque elaborato la seguente frase da inserire: «Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per singola richiesta di titolo abitativo edilizio in sanatoria». Lì era il trucco: per ogni singola richiesta . Vale a dire che un palazzinaro, dopo aver costruito un villaggio turistico o un condominio abusivo, avrebbe potuto fare ottenere il condono, casa per casa, a ogni inquilino: uno a Giovanni, uno ad Alfredo, uno a Giuseppe...
Eppure, per tutta la primavera e tutto l'autunno, nel solco di quanto aveva detto un uomo vicino al premier come Franco Frattini («Va estirpata ogni forma di illegalità perché la questione morale è alla base di qualsiasi programma di governo») non si erano sentite che parole contrarie. «Si tratta di sanare solo i piccoli abusi, tutto quello che è già dentro la volumetria. Mica gli abusi edilizi, le costruzioni abusive», giurava l'aennino Alberto Giorgetti. «Il condono? Permetterà di risolvere una infinità di piccoli abusi che creano una situazione di assoluta incertezza sul territorio», confermavano i leghisti Francesco Moro e Paolo Franco. Macché rischi: sarebbe stato un «condono light , poco più ampio di quello per i piccoli abusi all'interno degli appartamenti», ribadiva il sottosegretario all'Economia dell'Udc, Gianluigi Magri. «Si potranno condonare solo piccoli abusi come le costruzioni delle case nelle periferie metropolitane», rassicurava il ministro Gianni Alemanno. «Il governo sta lavorando ad una ipotesi di condono che riguarda i piccoli abusi e non certamente la sanatoria degli ecomostri», garantiva il sottosegretario Antonio Martusciello.
Finché era arrivata, definitiva, la parola del portavoce di Forza Italia, Sandro Bondi, che un anno prima aveva bollato la sanatoria ipotizzata come «un provvedimento profondamente immorale, destinato a premiare i comportamenti illegali e scoraggiare quelli virtuosi». Contrordine: «Il condono è una misura volta a chiudere contenziosi che riguardano semplicemente delle piccole infrazioni che per lo più nascono dalla complessità e dall'astruseria di molte leggi che abbiamo nel nostro Paese». Ugo Martinat, viceministro infrastrutture, era andato più in là bacchettando le solite opposizioni sfasciste: «Non è vero quanto afferma la sinistra che si vogliono sanare i grandi abusi. Nessuno di noi intende farlo. Il condono per noi rappresenta un atto di giustizia». Verso chi? Ovvio: «I piccoli abusivi».
La svolta dell'altra sera, con l'abolizione di quelle righine che permettevano di sanare anche i mostri da centinaia di migliaia di metri cubi, fa giustizia anche di queste cose. Era proprio così come l'avevano annusato i criticoni: il condono puzzava.
Certo, restano perplessità sul messaggio immorale della sanatoria, sull'ambiguità del «silenzio diniego» e mille altri punti. Ma una toppa è stato messa. Gira voce, adesso, che la solita manina potrebbe reinserire qualche codicillo imperscrutabile lungo l'iter parlamentare. Il trucchetto abolito, a quanto pare, avrebbe portato un miliardo di euro. Mica facile per il Tesoro rinunciarci. Da ieri, però, il giochino è più complicato.
I 750 metri cubi Nella notte fra mercoledì e giovedì, con il parere contrario del governo è passato un emendamento che stabilisce un tetto di 750 metri cubi al possibile condono edilizio. Il tetto ora vale per ogni singolo immobile, non per le unità abitative che lo compongono. La modifica porterebbe un ammanco di cassa di circa un miliardo di euro
Pare impossibile ma il New York Times fece le pulci a Bill Clinton perché s'era vantato di aver compiuto il percorso di golf di Martha's Vineyard in 80 colpi: «Non è vero: 83!». Guai a raccontare balle, nei Paesi seri. Immaginatevi quindi la faccia che farebbero quei custodi della buona creanza se rileggessero la storia del condono edilizio spacciata agli italiani. Perché una cosa è certa: il soprassalto di pudore che ha spinto l'altra sera An a presentare e votare un emendamento che rende più ardua (per ora) la sanatoria ai palazzinari abusivi è una conferma a quanto aveva denunciato il Corriere : c'era il trucco, là dentro. La frottola dei «piccoli abusi», ripetuta per mesi era studiata per nascondere alla gente la schifezza maxima: il tentativo di un condono tombale anche per i quartieri e i villaggi e i grattacieli abusivi. Immangiabile perfino per un Paese che, sui temi della legalità, è ormai di bocca buona. Per carità, c'erano dei precedenti. Basti ricordare quanto disse Silvio Berlusconi alla fine di maggio del '94: «In Consiglio dei ministri o altrove non ho mai pronunciato la parola "condono". Sono i giornali che vogliono farci apparire come gli altri governi».
Tesi confermata il giorno dopo ai sindaci delle grandi città: «Nessun condono edilizio». Ribadita da Giulio Tremonti: «Nessun condono». Ma presto rovesciata con la conferma dell'allora ministro dei Lavori pubblici Roberto Radice: «E' una risposta solo ai piccoli abusi. Chi dice che con questo condono il governo voglia incoraggiare l'abusivismo dice una panzana». Versione sposata da Umberto Bossi: «E' una soluzione per i piccoli abusi. La Lega ha avuto un ruolo fondamentale nell'evitare che il condono si trasformasse in un colpo di spugna generalizzato imponendo dei limiti di cubatura di 750 metri cubi al di sopra dei quali non è possibile condonare».
Non si erano accorti, forse, che c'era una postilla: «I predetti limiti di cubatura non trovano applicazione nel caso di annullamento della concessione edilizia».
Come sia andata si sa: dal '94 in qua, dice il Cresme, sono nate 362.676 case abusive. E il cavillo birbantello consentì a vari palazzinari di mettere in salvo interi complessi abusivi. Ad esempio, denunciano gli ambientalisti, le quattro palazzine di undici piani per un totale di 350 mila metri cubi costruite da Salvatore Ligresti ad Acilia grazie a un'autorizzazione ottenuta dalla Regione Lazio scavalcando il Comune di Roma che aveva negato la licenza. Procedura bocciata prima dal Tar, poi dal Consiglio di Stato.
Anche stavolta ci avevano provato, a scardinare il tetto massimo dei 750 metri cubi. Ma certo, ormai bruciato quel codicillo, dovevano inventare qualcosa di nuovo. Pensa e ripensa, una ignota testolina aveva dunque elaborato la seguente frase da inserire: «Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per singola richiesta di titolo abitativo edilizio in sanatoria». Lì era il trucco: per ogni singola richiesta . Vale a dire che un palazzinaro, dopo aver costruito un villaggio turistico o un condominio abusivo, avrebbe potuto fare ottenere il condono, casa per casa, a ogni inquilino: uno a Giovanni, uno ad Alfredo, uno a Giuseppe...
Eppure, per tutta la primavera e tutto l'autunno, nel solco di quanto aveva detto un uomo vicino al premier come Franco Frattini («Va estirpata ogni forma di illegalità perché la questione morale è alla base di qualsiasi programma di governo») non si erano sentite che parole contrarie. «Si tratta di sanare solo i piccoli abusi, tutto quello che è già dentro la volumetria. Mica gli abusi edilizi, le costruzioni abusive», giurava l'aennino Alberto Giorgetti. «Il condono? Permetterà di risolvere una infinità di piccoli abusi che creano una situazione di assoluta incertezza sul territorio», confermavano i leghisti Francesco Moro e Paolo Franco.
Macché rischi: sarebbe stato un «condono light , poco più ampio di quello per i piccoli abusi all'interno degli appartamenti», ribadiva il sottosegretario all'Economia dell'Udc, Gianluigi Magri. «Si potranno condonare solo piccoli abusi come le costruzioni delle case nelle periferie metropolitane», rassicurava il ministro Gianni Alemanno. «Il governo sta lavorando ad una ipotesi di condono che riguarda i piccoli abusi e non certamente la sanatoria degli ecomostri», garantiva il sottosegretario Antonio Martusciello.
Finché era arrivata, definitiva, la parola del portavoce di Forza Italia, Sandro Bondi, che un anno prima aveva bollato la sanatoria ipotizzata come «un provvedimento profondamente immorale, destinato a premiare i comportamenti illegali e scoraggiare quelli virtuosi». Contrordine: «Il condono è una misura volta a chiudere contenziosi che riguardano semplicemente delle piccole infrazioni che per lo più nascono dalla complessità e dall'astruseria di molte leggi che abbiamo nel nostro Paese». Ugo Martinat, viceministro infrastrutture, era andato più in là bacchettando le solite opposizioni sfasciste: «Non è vero quanto afferma la sinistra che si vogliono sanare i grandi abusi. Nessuno di noi intende farlo. Il condono per noi rappresenta un atto di giustizia». Verso chi? Ovvio: «I piccoli abusivi».
La svolta dell'altra sera, con l'abolizione di quelle righine che permettevano di sanare anche i mostri da centinaia di migliaia di metri cubi, fa giustizia anche di queste cose. Era proprio così come l'avevano annusato i criticoni: il condono puzzava.
Certo, restano perplessità sul messaggio immorale della sanatoria, sull'ambiguità del «silenzio diniego» e mille altri punti. Ma una toppa è stato messa. Gira voce, adesso, che la solita manina potrebbe reinserire qualche codicillo imperscrutabile lungo l'iter parlamentare. Il trucchetto abolito, a quanto pare, avrebbe portato un miliardo di euro. Mica facile per il Tesoro rinunciarci. Da ieri, però, il giochino è più complicato.
Secondo Gaetano Benedetto ( Condono, c’era una volta il demanio, in “l’Unità” del 30 ottobre 2003, pag.26), a norma dell’articolo 32 del decreto legge 269/2003 come modificato dal cosiddetto “maxiemendamento”, potrebbero essere sanati gli abusi edilizi anche nei parchi e nelle aree naturali protette (nonché, pare essere implicito nel ragionamento, relativamente agli altri immobili variamente vincolati a tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio italiano), ove gli abusi stessi siano stati commessi su immobili di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale, anziché di proprietà di qualsiasi altro soggetto, a condizione che lo Stato preventivamente acconsenta a vendere l’area interessata, se ricadente nel suo patrimonio disponibile, o a concedere il mantenimento dell’opera abusiva, se interessante il demanio o il patrimonio indisponibile.
La tesi mi pare del tutto infondata, sulla base di un’interpretazione sistematica della (culturalmente e politicamente infame, e orribilmente formulata) norma sopra citata, e di un’interpretazione letterale di alcune espressioni della stessa. In tale norma, i commi da 14 a 23 sono rivolti a disciplinare, in via generale, le condizioni, per l’appunto, di sanabilità degli abusi edilizi interessanti immobili facenti parte del demanio o del patrimonio (indisponibile o disponibile) dello Stato, a prescindere da ogni altra qualificazione di tali immobili. Il successivo comma 27 dispone che non sono “ comunque” suscettibili di sanatoria gli abusi edilizi commessi nei parchi e nelle aree naturali protette, oltrechè su immobili sottoposti a “vincoli” di tutela di almeno pari rilevanza (e, ancora, aventi alcune altre caratterizzazioni). Ne deriva che le condizioni di sanabilità attinenti gli immobili di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale, di cui si è sopra fatto sommarissimo riassunto, esplicano la loro efficacia nei casi diversi da quelli in cui sussistono le circostanze di assoluta insanabilità.
Non contraddice tale lettura (anche se creerà abbondanti occasioni di impegno per gli appassionati di ermeneutica giuridica, gli avvocati, i magistrati amministrativi e ordinari, come del resto tutta la normativa di cui si sta discorrendo) il comma 17 della medesima norma, per cui “nel caso di aree soggette ai vincoli di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n.47 [si tratta della legge di condono Craxi – Nicolazzi] la disponibilità alla cessione dell’area appartenente al patrimonio disponibile ovvero a riconoscere il diritto a mantenere l’opera appartenente al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato è subordinata al parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo”. Infatti, la gamma dei “vincoli” di cui all’articolo 32 della legge 47/1985 (malissimo coordinato con le nuove disposizioni) non coincide, se non in parte, con quella di cui al comma 27 della norma in esame, per cui la disposizione appena sopra integralmente riportata va riferita ai casi di “vincoli” in rapporto ai quali la nuova norma non abbia disposto la totale insanabilità degli abusi edilizi.
Alla luce di una chiara (a mio parere, quantomeno), e comunque (indubbiamente) possibile, interpretazione “restrittiva” di combinati disposti della (in ogni caso inqualificabile) nuova normativa condonista, non si vede perché sostenerne un’interpretazione (cervelloticamente) “estensiva”.
Per far convinta l’opinione pubblica che Berlusconi e la “Casa delle libertà” non sono soltanto cattivi, anzi cattivissimi, ma pessimi? Credo che, a tal fine, trovare argomenti meno rischiosi e controvertibili ponga soltanto l’imbarazzo della scelta.
Per converso, credo che si produrrebbero effetti che è eufemistico chiamare “controintuitivi” laddove decine di comuni ricadenti (che so?) nel parco della Sila piuttosto che in quello del Cilento, o in quello dell’Aspromonte piuttosto che in quello del Vesuvio, si mettessero a rilasciare titoli abilitativi in sanatoria nei rispettivi territori, e gli organi decentrati competenti dello Stato a porne le condizioni richieste (ed efficaci altrove, come ho tentato di dimostrare), facendosi forti dell’opinione del Segretario nazionale aggiunto del WWF!
Il Segretario dell’Associazione Polis
(Luigi
Più recentemente il T.A.R. Emilia Romagna - Parma, con ordinanza 20-11-2003, ha sollevato anch'esso quesito di legittimità costituzionale del medesimo articolo 32 del citato decreto legge, in relazione agli artt. 3, 9, 2° comma, 32, 1° comma, 97, 1° comma, 117, 3° comma, della Costituzione.
Da notare che la Regione Campania, nel suo ricorso, ha chiesto alla Corte costituzionale di valutare se ricorrano i presupposti per la sospensione della norma impugnata alla luce delle recenti modifiche apportate dalla legge 5 giugno 2003, n. 131 alla legge n. 87/1953, in part. artt. 35 e 40.
RICORSO
della Regione Campania, in persona del Presidente della giunta regionale pro tempore, on. Antonio Bassolino, rappresentato e difeso, giusta mandato a margine ed in virtù delle deliberazioni della Giunta regionale n. 2828 del 30 settembre 2003 e n. 2852 del 16 ottobre 2003, dal prof. avv. Vincenzo Cocozza e dall'avv. Vincenzo Baroni dell'Avvocatura regionale, insieme con i quali elett. te domiciliato in Roma, presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione Campania alla via Poli n. 29;
CONTRO
il Presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore; per la dichiarazione di illegittimità costituzionale, dell'art. 32, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 229 del 2 ottobre 2003 - suppl. ordinario n. 157/L) che prevede il «condono edilizio», in particolare i commi nn. 1, 2, 3, 5 da 14 a 23 e da 25 a 50 (in parte qua).
FATTO
1. - Il decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 recante «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici» è un decreto-legge omnibus, emanato in assenza dei presupposti costituzionali di necessità e urgenza nonchè privo del requisito di omogeneità, finalizzato a porre in essere misure di finanza pubblica per il riequilibrio dei conti pubblici.
In tale contesto si inseriscono le disposizioni impugnate, di «sanatoria» edilizia, che sono contenute nell'art. 32 e che riaprono, per la seconda volta in pochi anni, i termini concessi per l'ottenimento del condono, con un espresso rinvio, per quanto non previsto dal decreto, alla disciplina della legge n. 47/1985.
L'art. 32 reca «Misure per la qualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attività di repressione dell'abusivismo edilizio, nonchè per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni su aree demaniali».
Si tratta di una disciplina con una pluralità di contenuti che presenta un singolare e contraddittorio intarsio di norme, dove l'aspetto assolutamente caratterizzante è costituito dalla introduzione di un condono edilizio, che si vuole in qualche maniera «giustificare» con regole tese a prefigurare, in assoluta antitesi, interventi di riqualificazione.
L'impugnativa che la Regione Campania propone, riferita all'intero art. 32 in quanto contraddittorio, invasivo ed incoerente nelle sue estremamente ampie articolazioni normative, si appunta in modo specifico nei confronti di tutte quelle disposizioni che contribuiscono nel loro collegamento ad introdurre «di nuovo» il condono e a tracciarne le modalità di svolgimento.
Sono, pertanto, specificamente indicati quali oggetto di impugnativa in quanto costituenti in maniera più immediata le regole afferenti all'intervento di condono, i commi 1, 2, 3, e 5 che danno conto dell'impianto generale; i commi da 14 a 23 che contemplano ipotesi particolari; i commi da 25 a 31 che si occupano di individuare i modi di operatività della disposta sanatoria; e quelli da 32 e ss. che delineano i procedimenti funzionali alla realizzazione e attuazione del condono medesimo.
Si deve precisare che, come dimostra anche lo schema riassuntivo appena proposto che tiene conto dei contenuti essenziali funzionali alla configurazione dell'intervento di sanatoria che la regione contrasta, l'impugnativa è proposta dalla Regione Campania per contestare l'ammissibilità di una regolamentazione legislativa statale in un ambito che afferisce ad una materia di propria competenza, predeterminando condizioni per una vistosa alterazione dei margini di tutela e una vanificazione del corretto esplicarsi della competenza regionale della programmazione del territorio.
In particolare si segnalano, perchè significative, alcune previsioni per cogliere in maniera immediata l'invasione della competenza regionale denunciata ed i vizi complessivi dell'atto.
L'art. 32 intende disciplinare la «sanatoria delle opere esistenti non conformi alla disciplina vigente» assumendo di voler, così, pervenire alla regolarizzazione del settore (comma 1) e, in particolare, l'adeguamento della «disciplina regionale ai principi contenuti nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380» (comma 2). Mentre, come si dirà, un'esigenza di tal tipo non è per nulla ipotizzabile.
Nel consentire la sanatoria di ampliamenti e realizzazioni di nuove costruzioni, si prevede un limite di volumetria «per singola richiesta di titolo abilitativo in sanatoria» (comma 25) e per le più disparate tipologie di abusi, compresi quelli commessi non solo in assenza di titolo ma anche in violazione delle norme e delle prescrizioni degli strumenti urbanistici (comma 26 e all. 1).
Inoltre, è espressamente prevista una ipotesi di silenzio-assenso sulle domande presentate nei termini di legge (comma 37).
Insomma, non è revocabile in dubbio l'ampiezza degli effetti sul territorio di una tale regolamentazione che incide sulla complessiva politica programmatoria dell'ente locale.
Notevole è, ancora, e più in generale, che nel decreto vi sia una disciplina descrittiva assai dettagliata delle procedure per, la presentazione e per l'ottenimento della sanatoria.
Una regolamentazione così puntuale da non lasciare alcun margine di intervento, con la conseguenza che quanto previsto dal comma 2, in ordine all'affermato rispetto delle competenze delle autonomie locali sul governo del territorio, si configura come una mera clausola di stile.
Un siffatto intervento del Governo, sia per lo strumento normativo adottato, sia per la portata e i contenuti della previsione, e quindi le reali finalità che persegue, lede in modo grave l'autonomia regionale concretando una serie di servizi di legittimità costituzionale che inducono alla proposizione del presente ricorso per i seguenti.
MOTIVI
1. - Violazione degli art. 114 e 117 della costituzione.
Lesione della sfera di competenza delle regioni. Violazione del principio di leale cooperazione.
In via preliminare occorre precisare che questa difesa è confortata, nella prospettazione dei vizi avverso l'atto impugnato, dalle sentenze emesse da codesta ecc.ma Corte costituzionale in relazione alle precedenti esperienze normative di condono edilizio (legge n. 47/1985 e art. 39 legge n. 724/194). Difatti, sono proprio le argomentazioni che la Corte ha posto a fondamento di dette pronunce a fornire il più valido dei supporti per sostenere che l'intervento statale impugnato è affetto da insanabili vizi di costituzionalità.
Quell'impianto argomentativo, ovviamente, va considerato tenendo conto della vigenza di un diverso quadro costituzionale che ha ridisegnato i rapporti Stato-regione rafforzando il ruolo di quest'ultima. In tal maniera risultano più chiari i vizi.
Procedendo con ordine.
Va contestato, in primo luogo, l'intervento del Governo perchè si realizza in un settore di competenza regionale attraverso disposizioni di rango legislativo che, per di più, sostanzialmente esauriscono la disciplina escludendo l'intervento della regione.
1.a - Il novellato art. 117 Cost. ancora a materie espressamente previste la potestà esclusiva dello Stato e concorrente Stato-regione.
Scomparsa l'urbanistica dagli elenchi di cui all'art. 117 Cost. e tenuto conto che il decreto impugnato è volto a sanare le condotte antigiuridiche di coloro che hanno realizzato manufatti in assenza di titoli abilitativi, occorre considerare quanto si debba desumere dalla (e quanto incide la) nuova formulazione costituzionale «governo del territorio».
Delle due l'una.
O si esaurisce la disciplina del condono nella materia urbanistica, sub specie edilizia - concernente, cioè, la disciplina della costruzione e manutenzione degli edifici - e si ritiene che la stessa non vada ricompresa in quella governo del territorio» ed allora lo Stato è intervenuto in un settore affidato alla potestà legislativa residuale della regione con la conseguente, irrimediabile illegittimità dell'intervento; ovvero l'urbanistica, come regolamentazione incidente sulla utilizzazione e trasformazione del territorio, rimane all'interno di tale nuova materia del novellato art. 117 Cost.
Vi sono argomenti per sostenere la prima tesi.
Se, infatti, si pone l'accento sulla nuova formulazione costituzionale, si deduce soprattutto che essa involge la regolamentazione incidente sulla utilizzazione e trasformazione del territorio; il mutamento della formula dell'art. 117 non può essere priva di significato e, pertanto, il riferimento a una funzione di «governo» deve comportare di porre in risalto i profili di programmazione e pianificazione.
Da tale definizione potrebbe, pertanto, escludersi l'edilizia vera e propria nell'indicato significato tradizionale di disciplina della costruzione e manutenzione degli edifici, alla quale potrebbe collegarsi il «condono».
Questo conduce a configurare una sfera di competenza residuale delle regioni, attesa l'assenza della stessa fra gli elenchi del nuovo art. 117 Cost., con la conseguente illegittima invasione da parte della disciplina statale.
1.b. - Comunque il risultato in ordine alla dedotta illegittimità non cambia collocandosi nella seconda ipotesi.
Anche in questo caso, dovendosi assegnare al mutamento della formula identificativa dell'ambito materiale d'intervento concorrente Stato-regione il significato che ponga in risalto i profili di programmazione e pianificazione regionale, se ne devono trarre le conseguenze.
In verità, prima della riforma costituzionale sul Titolo V, proprio codesta ecc.ma Corte, dovendo caratterizzare l'intervento in materia di condono, ha adoperato frequentemente l'espressione «governo del territorio». Questo per esprimere la peculiarità di una disciplina che finisce per coinvolgere in maniera ampia tutte le funzioni che attengono alla gestione, controllo, programmazione, tutela di un bene essenziale per l'ente pubblico.
In tale materia, in questa ottica, di potestà concorrente, lo Stato deve limitarsi a fissare i principi fondamentali e, come è assolutamente agevole verificare, le disposizioni del decreto-legge non possono in alcun modo proporsi come tali alla stregua di quanto, invece, imposto dal comma dell'art. 117 Cost.
Gli elementi che inducono a una conclusione nel senso indicato sono, invero, molteplici.
1.b.1. - In primo luogo è la stessa previsione di un'ipotesi di nuova sanatoria che sorbita dalla nozione di principio inteso, questo, come «modo di esercizio della potestà legislativa regionale» (cfr. Corte cost. n. 482/1995).
Vizio confermato dall'intera disciplina per la quale neanche soccorre il criterio di cedevolezza delle disposizioni statali. I tempi stabiliti, le caratteristiche delle previsioni introdotte, l'aver riguardo a condotte già realizzate, escludono del tutto la possibilità di un successivo intervento regionale, e l'intero quadro giuridico dei rapporti risulta definito.
D'altra parte, si è di fronte ad una ipotesi di «contenuto provvedimentale», che regola comportamenti già posti in essere, quindi non ipotetici e futuri, ma situazioni pregresse, storicamente verificatesi, determinate e concrete che escludono ancor di più la configurabilità di un principio fondamentale.
Come l'ecc.ma Corte ha di recente evidenziato può atteggiarsi come principio anche una disciplina più specifica purchè esprima un obiettivo quale, ad esempio, quello di una semplificazione delle procedure affinchè queste «non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e a evitare la duplicazioni di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica amministrazione» (Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 303). Ma l'imposizione di una «rinuncia» alla tutela di una corretta pianificazione, come nell'ipotesi in esame, sfugge a qualunque possibilità di inquadramento come principio.
1.b.2. - La disciplina dei procedimenti nel decreto-legge è puntuale ed esaustiva, prevedendosi tutte le fasi: sono contemplati espressamente i limiti di volumetria (comma 25), le tipologie di illecito (comma 26), le ipotesi di. esclusione (comma 27), la disciplina dei termini (comma 28), l'influenza di fattispecie penali nella sanatoria (commi 29 e 30), i rapporti con i terzi (comma 31), i termini per la proposizione dell'istanza (comma 32), la documentazione da allegare (comma 35), l'ipotesi del silenzio-assenso (comma 37), l'oblazione da corrispondere (comma 38 e all. 1). È perfino allegato il modello di domanda da presentare alle autorità competenti.
I pochi rinvii, effettuati dal decreto, alla normativa della regione e al rispetto delle competenze di quest'ultima, si riducono ad una vuota formula senza conseguenze.
In definitiva, viene attribuita alla Regione unicamente la possibilità di «attuazione della normativa per le ipotesi di minore impatto» (comma 26), ovvero di «prevedere un incremento della oblazione», ma solo nella misura del 10% (comma 33).
1.b.3. - Ancora non può non considerarsi che la fissazione di principi fondamentali, che la Costituzione attribuisce allo Stato, è evidentemente funzionale alla individuazione di orientamenti e direttive per una coordinata programmazione degli interventi delle regioni e perchè si consenta all'ente territoriale un razionale governo del territorio.
Insomma, la norma costituzionale, nel fissare il rapporto fra principi fondamentali e legislazione regionale, propone non solo un limite quantitativo e oggettivo all'esercizio della potestà, ma anche funzionale al rispetto di un obiettivo, e cioè, per l'ipotesi in esame, la razionale pianificazione.
Un intervento di condono, di per sè, si pone in evidente contrasto con un tale obiettivo ed ostacola qualunque esplicazione dell'autonomia regolativa regionale che lo Stato deve, invece, rispettare, potendo soltanto individuare quanto è necessario per garantire l'unità dell'intervento normativo.
Siffatta conclusione è, poi, avvalorata dai contenuti dell'atto avente forza di legge impugnato.
La sanatoria è ampia coinvolgendo una articolata tipologia di abusi. In particolare, si consente il rilascio del titolo non solo per manufatti realizzati in assenza o in difformità dello stesso, ma anche per opere realizzate in violazione delle norme edilizie e delle prescrizioni degli strumenti urbanistici (comma 1, 25, 26 e all. 1), imponendo alle autonomie locali di subire gli illeciti urbanistici compiuti in dispregio della programmazione territoriale già vigente e dei piani di zona, laddove questi impediscano o limitino l'edificabilità ovvero la condizionino a determinate finalità. Coerenza urbanistica e territoriale, dunque, violata, e di cui si impedisce il recupero attraverso la vanificazione di ogni intervento repressivo e, soprattutto, di ripristino.
Quanto sopra è ulteriormente aggravato dalla circostanza che il limite di volumetria viene riferito a «singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria» (comma 25) e non vi è relazione con l'area.
Per di più, in base a una documentazione (tecnica e fotografica) da presentarsi sino al 31 marzo 2004 (comma 35). Previsione inidonea a certificare l'effettiva realizzazione dell'opera al 31 marzo 2003; ciò determinerà, come d'altronde hanno insegnato le pregresse esperienze, un aumento dei fenomeni di abusivismo fino alla scadenza del termine di presentazione delle domande.
A ciò si aggiunga, ancora, la previsione di ipotesi di silenzio-assenso (comma 37), che permetterà di condonare anche quegli abusi esclusi (pochi, in verita) dalla normativa impugnata. La irragionevolezza di tale ultima disposizione è, d'altronde, confortata dallo stesso legislatore statale che, pur nel processo di semplificazione delle procedure amministrative, ha escluso la ipotesi di un silenzio-assenso nella regolamentazione di materia urbastico-edilizia e, in generale, ambientale.
1.b.4. - Ancora, va dedotta l'illegittimità di un decreto-legge che pretende di fissare principi fondamentali (laddove una tale lettura del contenuto sia possibile il che si nega nei confronti della legislazione regionale.
Se è vero, infatti, che nelle materie di competenza concorrente, i principi assolvono alla funzione di unificare il sistema delle autonomie, inidoneo si mostra, sotto l'aspetto formale, il decreto-legge a contenere gli stessi, atteso che «l'esercizio di tali competenze postula l'affidamento delle regioni nella effettività e quindi stabilità dei principi» (Corte cost. 22 luglio 1996, n. 271).
D'altronde se il fine è solo quello di individuare obiettivi e criteri direttivi da attuare, incoerente si mostra il fine rispetto all'utilizzazione di uno strumento normativo che presuppone la necessità e urgenza di provvedere.
1.b.5. - Nè un tale intervento può essere giustificato da esigenze di carattere unitario.
Anche laddove queste ricorressero nel caso di specie (il che si nega), il Governo avrebbe comunque dovuto procedere secondo i canoni costituzionali di lealtà e cooperazione che, nel caso di specie, trattandosi di un intervento statale privo dei caratteri di normativa di principio in un ambito materiale di potestà legislativa concorrente, può realizzarsi solo attraverso «una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverossia le intese che devono essere condotte in base al principio di lealta» (Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 303 cit.).
2. - Violazione dell'art. 77 Cost. anche in relazione alla legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 15 e al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, in particolare art. 2. Ulteriore violazione degli artt. 117, 127 della costituzione. Violazione del principio di ragionevolezza. Violazione del principio di leale cooperazione.
L'intervento attraverso la decretazione d'urgenza è illegittimo in quanto adottato in carenza dei presupposti costituzionali di necessità e urgenza, ed in tale direzione vale anche il raffronto fra i motivi individuati nell'epigrafe a fondamento dell'intervento ex art. 77 Cost. («favorire lo sviluppo economico e la correzione dell'andamento dei conti pubblici») e la indicata finalità della disciplina di condono («consentire l'adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti nel t.u. in materia edilizia»).
2.1 - Si deve premettere che la regione può prospettare tale vizio anche perchè l'interesse a ricorrere regionale «qualificato dalla finalità di ripristinare l'integrità della sfera di competenza violata» ha subito significative aperture.
Difatti, dalla ammissibilità di motivi fondati solo sulla violazione diretta delle norme costituzionali relative alla delimitazione delle sfere di competenza in senso stretto, alla stregua di una applicazione rigorosa dell'art. 2 legge cost. n. 1/48, si è pervenuti alla successiva precisazione che anche le censure «relative a differenti parametri costituzionali, posti al di fuori del Titolo V della Costituzione, sono ammissibili, se da quella violazione deriva, comunque, una lesione delle competenze suddette (cfr. sent. nn. 303/2003; 9-10 marzo 1988, n. 302; 2 marzo 1987, n. 64; 11 ottobre 1983, n. 307; 307/1993).
Di grande interesse ricordare che con riferimento a parametri ulteriori «in astratto simili censure da parte della regione in sede di impugnazione diretta sono ammissibili, sempre che si tratti di principi o criteri volti a salvaguardare le competenze regionali» (sent. 22 maggio 1987, n. 183), in quanto «in via di principio non può escludersi che una lesione delle attribuzioni regionali possa conseguire dalla violazione di precetti costituzionali collocati al di fuori del titolo quinto della Costituzione» (sent. n. 302/1988 cit.), laddove tale censura sia comunque finalizzata alla «tutela di una propria competenza che si assume violata» (sent. n. 302/1988 cit.) o vanifichi l'esercizio di competenze costituzionalmente garantite (sent. n. 302/1988 cit.).
Questa linea interpretativa comporta la sussistenza dell'interesse a ricorrere quando vi siano lesioni alle funzioni di competenza regionale connesse alle modalità di esercizio della potestà legislativa statale (a prescindere dalla qualificazione della materia su cui lo Stato interviene).
In sostanza si segnala un percorso nella giurisprudenza costituzionale che, già nel vigore del precedente regime, aveva ampliato la possibilità dell'impugnativa regionale sia pure nei limiti di un contesto costituzionale strutturato nel controllo preventivo della legge regionale da parte del Governo.
Tale impostazione deve ritenersi rafforzata dal nuovo assetto delineato dalla legge di revisione del Titolo V Cost., e la regione deve poter prospettare tutti quei vizi della legge statale che, pur non configurando una invasione diretta della competenza regionale (che, nel caso di specie, è palese), si risolvano tuttavia in una menomazione delle competenze stesse per illegittimità dell'atto statale.
Alla luce di un tale quadro ricostruttivo dei rapporti fra la legge statale e la legge regionale e delle possibilità di tutela offerte, vi è, ancor di più, lo spazio per la proposizione di vizi ulteriori.
2.2. - La doglianza qui avanzata sulla assenza dei presupposti costituzionali per l'emanazione del decreto-legge, oltre a proporre di per sè una illegittimità, esprime un vizio per una ulteriore compressione delle prerogative delle regioni, laddove, in una materia comunque di competenza regionale (sia essa esclusiva o concorrente), il legislatore nazionale interviene in modo da impedire ogni partecipazione degli enti territoriali sia nella fase decisionale, che in quella attuativa. Questi ultimi devono, così, subire gli effetti immediati di un provvedimento legislativo adottato in assenza di tutte le garanzie, volte a individuare con maggior ponderazione il necessario contemperamento degli opposti interessi in gioco, che non può essere recuperato nel tempo strettamente necessario alla conversione.
Si ricorda che il d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, art. 2, comma 3, ha disposto che, nelle materie di competenza regionale, sia «obbligatoriamente» sentita la Conferenza Stato-regioni e che tale obbligo possa essere derogato solo in caso di urgenza (comma 4), rinviando la consultazione in sede di esame delle leggi di conversione dei decreti-legge (comma 5). Ne consegue che, nel momento in cui il Governo ha ritenuto di agire attraverso lo strumento normativo di cui all'art. 77 Cost. in assenza dei presupposti costituzionali, ha illegittimamente leso la sfera di competenza garantita alle regioni.
In tal senso anche l'eccepita violazione del principio costituzionale di leale cooperazione.
Il decreto, inoltre, è privo dei requisiti di omogeneità, essendo la previsione inserita in un intervento molto ampio volto, non a riordinare la normativa di settore, ma a sanare i conti pubblici attraverso anche la compressione di prerogative regionali. Ed anche questo elemento è in insanabile antitesi con il ruolo da assegnare ai principi.
3. - Violazione degli articoli 3, 9, 119, 117, 118 e 127 della Costituzione. Violazione del principio di ragionevolezza. Violazione del principio di leale cooperazione. Violazione del giudicato costituzionale in pari sentenze nn. 416/1995, 427/1995, 369/1988, 302/1988 e 231/1993.
La normativa è, inoltre, viziata per irragionevolezza sotto molteplici aspetti.
Aiuta a dimostrarlo la giurisprudenza costituzionale cui all'inizio si è fatto riferimento.
3.a - Il comma 2, dell'art. 32, come detto, reca una sorta di motivazione a sostegno dell'intervento giacchè prevede che «la normativa è disposta nelle more dell'adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ...».
In realtà, però, non vi è stata alcuna innovazione normativa nel settore (il testo unico n. 380/2001, tra l'altro, non ha modificato l'impianto normativo complessivo in materia) e, in ogni caso, pur laddove vi fosse stata, sì applicherebbero comunque i nuovi principi in attesa della loro attuazione. Ma soprattutto, non sì riesce in alcun modo a comprendere in qual maniera si possa collegare questa terza sanatoria edilizia con una eventuale, già intervenuta, modifica legislativa di settore. E quale sia il rapporto fra questa disciplina e la successiva di livello regionale.
Sotto questo punto di vista si evidenzia una palese irragionevolezza della normativa che è del tutto incoerente rispetto alle finalità dichiarate.
In verità, come dimostrato anche dai contenuti e dal titolo dell'intero decreto in cui la disposizione è inserita, il previsto condono ha lo scopo, esclusivo di recuperare gettito all'erario. Persegue, cioè, una reale finalità diversa da quella dichiarata. E per ottenere tale risultato invade gli ambiti dello competenza regionale.
Sotto tale profilo, il decreto è, però, ulteriormente viziato perchè irragionevole anche rispetto agli scopi di carattere economico (che comunque non possono giustificare nè l'invasione di competenza, nè i danni arrecati al territorio), in quanto non tiene conto degli effetti ulteriori e deleteri che tali previsioni comportano anche solo in termini economici per gli enti territoriali. Questi ultimi, infatti, dovranno far fronte a spese per l'urbanizzazione e il recupero ambientale che gli oneri di urbanizzazione, a carico di coloro che si avvantaggeranno della sanatoria, non copriranno se non in maniera del tutto limitata.
Insomma, pur se non si volesse considerare come vizio la dedotta difformità tra il fine reale e quello dichiarato e volendo limitare la valutazione al solo aspetto economico, la normativa si mostra comunque viziata nel fine in quanto non in grado di raggiungerlo.
Anzi, proprio sul piano finanziario, si rinvengono ulteriori elementi di vizio per l'illegittima compressione dell'autonomia finanziaria regionale garantita dal novellato art. 119 Cost.: attraverso il meccanismo contemplato dalla normativa impugnata si toglie in termini economici alle autonomie locali (attesa la necessità da parte delle stesse di sopportare i costi prima indicati) più di quanto non intenda recuperare l'erario. In tal modo, si impone, fra l'altro, agli enti territoriali l'impegno di somme per determinate finalità piuttosto che per altre ovvero la necessità di recuperare entrate ulteriori per far fronte alle nuove spese.
3.b - Ancora, va eccepita, in uno con il costo in termini di legalità, l'ulteriore illegittimità perchè si determina la vanificazione degli interventi di programmazione e controllo locale.
Il condono edilizio, infatti, si caratterizza in quanto, come osservato da codesta ecc.ma Corte, la possibilità di tali sanatorie comporta «effetti permanenti, di modo che il semplice pagamento di oblazione non restaura mai l'ordine giuridico violato» (Corte costituzionale 21-28 luglio 1995, n. 416). incidendo su beni - il territorio e l'ambiente - che costituiscono risorse limitate, rendendo irreversibili le conseguenze del danno e compromettendo la corretta gestione e programmazione del territorio affidate alla regione.
In tal senso, come e noto, il giudice costituzionale aveva giustificato, pur nell'ambito di un diverso quadro costituzionale dei rapporti Stato-regione, meccanismi di sanatoria, solo se ancorati a rigorosi presupposti. Questi ultimi sono assenti nel caso in esame.
Come la Corte costituzionale ha chiarito, si è trattato, infatti, di «norme del tutto eccezionali» connesse a ragioni «contingenti e straordinarie» (sent. 28 luglio 1995, n. 416), che hanno attribuito al regime di sanatoria il carattere episodico e delimitato temporaneamente.
Con la sentenza del 28 luglio 1995, n. 416 la Corte ha chiaramente affermato che, laddove vi fosse stato un «ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abusivismo edilizio...., differenti sarebbero i risultati della valutazione sul piano della ragione volezza, venendo meno il carattere contingente e del tutto eccezionale della norma ("con le peculiari caratteristiche della singolarità ed ulteriore irripetibilita) in relazione ai valori in gioco, non solo sotto il profilo delle esigenze di repressione dei comportamenti che il legislatore considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilità in via amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della tutela del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo» e ha rilevato ancora che «la gestione del territorio sulla base di una necessaria programmazione sarebbe certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilità di condono sanatoria con conseguente convinzione di impunità ...» (cfr anche sentenze nn. 427/1995; 369/1988; 302/1988; 231/1993);
La legalizzazione ex post di vere e proprie azioni antigiuridiche determina (come già in passato) l'aspettativa di ulteriori provvedimenti premiali.
Sotto tale profilo, fra l'altro, le pregresse esperienze offrono elementi di giudizio anche sul piano degli effetti pratici dell'intervento.
La Corte costituzionale ha affermato in passato, per consentire sulla non illegittimità della «eccezionale» sanatoria statale, che la diffusione del fenomeno dell'abusivismo edilizio va addebitata almeno in parte alla scarsa incisività e tempestività dell'azione di controllo e repressione da parte delle amministrazioni locali e regionali preposte (Corte cost., 23 luglio 1996, n. 302; 18 luglio 1996, n. 256). Di qui una sorta di «azzeramento» delle posizioni sulla base del condono.
Ebbene, proprio sul punto, sulla scorta delle precedenti esperienze, si può rilevare che i passati interventi di condono hanno inciso sulla relazione centro-periferia, delegittimando il ruolo delle autorità locali che, con sempre maggiore determinazione, hanno dovuto impegnarsi per arginare il fenomeno e recuperare il rapporto corretto con i cittadini, rafforzando i controlli e programmando la gestione del territorio.
In tale direzione si segnala, soprattutto alla stregua della riforma costituzionale introdotta dalla legge costituzionale n. 3/2001, un notevole impegno normativo e amministrativo delle autonomie locali; in particolare, per quanto qui da vicino ci riguarda, della Regione Campania che si sta adoperando per un'efficace politica territoriale che sarebbe del tutto compromessa dalla normativa impugnata.
Questa sanatoria (basata soltanto su esigenze di incasso che, in quanto tali, sono sempre verificabili in futuro) vanificherebbe lo sforzo delle amministrazioni in tal senso, frustrando, nel contempo, i comportamenti legali dei soggetti privati.
In definitiva, la Corte costituzionale, nel respingere i ricorsi promossi avverso il condono edilizio del 1994, ha prospettato una linea interpretativa attraverso sentenze «monito», che ha creato uno sbarramento insuperabile perchè il legislatore è stato avvertito che proprio per la eccezionalità della circostanza, tale strada non sarebbe stata più percorribile e, conseguentemente, considerata legittima dalla Consulta, atteso anche il costo che ne sarebbe derivato sul piano della legalità e dell'efficace controllo del territorio.
3c. - La disciplina impugnata non sfugge ad una ulteriore censura di illegittimità costituzionale. È evidente il contrasto di un condono generale con l'art. 9 della Costituzione che pone quale compito della Repubblica, quello di tutela del paesaggio e del patrimonio artistico della Nazione e ancora dell'art. 117, terzo comma che attribuisce alla regione la competenza legislativa relativa alla valorizzazione dei beni ambientali.
Ed invero lo stesso termine adoperato dal Costituente nell'art. 9 (Repubblica) costituisce riprova di un impegno, nella direzione indicata dalla norma costituzionale, imposto all'intera organizzazione quale oggi risulta dall'art. 114 Cost. novellato, ricomprendendovi l'articolazione territoriale.
Proprio questa notazione si mostra idonea ad evidenziare ulteriormente la ricaduta del vizio di legittimità dedotto sulle competenze regionali, in quanto tale violazione si connette, fra l'altro, a precise lesioni «dell'ordine delle competenze costituzionalmente stabilito in vista dell'attuazione della predetta tutela» (sent. n. 302/1988 cit.).
Tale «illegittimo uso» del potere legislativo da parte dello Stato, comunque si voglia qualificare la materia oggetto della disciplina censurata, incide in ogni caso sul governo del territorio in quanto certamente inibisce scelte diverse di pianificazione e di uso del territorio medesimo.
Ed ancora, consolidando situazioni illegali in aree così estese, comprime la competenza della regione nella «valorizzazione dei beni ambientali», impedendo strategie complessive tese a scelte di recupero ambientale e vanificando la regolazione regionale: risulta violato così «il principio costituzionale di concorrenza e cooperazione delle competenze statali e di quelle regionali nella tutela del paesaggio» (sent. n. 302/1988 cit.).
Istanza ai sensi degli articoli 35 e 40 della legge n. 87/1953;
Si produce istanza a codesta ecc.ma Corte affinché valuti il ricorrere dei presupposti per la sospensione dell'atto impugnato alla luce delle recenti modifiche apportate dalla legge 5 giugno 2003, n. 131 alla legge n. 87/1953, in part. artt. 35 e 40.
L'esperienza di passati condoni ha insegnato che simili provvedimenti legislativi, producendo nella società una notevole aspettativa di sanatoria, inevitabilmente determinano un aumento vertiginoso, nel periodo successivo alla previsione e fino al termine per la proposizione della domanda di condono, dei fenomeni di abusivismo. In tal senso vi è, dunque, quel rischio di ulteriore irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico connesso alla salvaguardia dell'ambiente e alla ordinata programmazione e pianificazione urbanistica affidata alla regione.
L'eventuale sospensione degli effetti del decreto-legge, nel mentre non si comporterebbe alcuna conseguenza di danno, anche per l'assenza dei presupposti di necessità ed urgenza, costituirebbe un efficace baluardo per impedire ulteriori compromissioni del territorio fino alla decisione nel merito dell'ecc.ma Corte.
P. Q. M.
Si conclude affinchè l'ecc.ma Corte costituzionale voglia, in accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 32 decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, nei termini indicati, per violazione degli articoli 3, 9, 77, 114, 117, 118, 119 e 127 Cost. dei principi di ragionevolezza e di leale cooperazione fra Stato e regione e per lesione della sfera di competenza della regione.
Napoli-Roma, addì 7 ottobre 2003
Prof. Avv. Cocozza - Avv. Baroni
All’articolo 32, al comma 1, dopo le parole: "in conseguenza del condono" inserire le seguenti: "di cui al presente articolo";
sostituire le parole, ovunque ricorrano: "d.P.R.", "art.", "d.lgs", "mc", "G.U." rispettivamente con le seguenti: "decreto del Presidente della Repubblica", "articolo", "decreto legislativo", "metri cubi", "Gazzetta Ufficiale";
al comma 7, lettera c-bis), secondo periodo, dopo le parole: "è adottato" inserire le seguenti: "su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti,";
al comma 7, sopprimere nella lettera c-bis) le parole: "Le disposizioni di cui alla presente lettera si applicano anche nei confronti degli altri organi tenuti all’adozione di strumenti urbanistici";
sostituire il comma 8 con il seguente:
"8. All’articolo 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è inserito il seguente comma: "2-bis. Nell’ipotesi di cui alla lettera c-bis) del comma 1, trascorso il termine entro il quale gli strumenti urbanistici devono essere adottati, la regione segnala al Prefetto gli enti inadempienti. Il prefetto invita gli enti che non abbiano provveduto ad adempiere all’obbligo nel termine di quattro mesi. A tal fine gli enti locali possono attivare gli interventi, anche sostitutivi, previsti dallo Statuto secondo criteri di neutralità, di sussidiarietà e di adeguatezza. Decorso infruttuosamente il termine di quattro mesi, il prefetto inizia la procedura per lo scioglimento del consiglio.";
al comma 9, secondo periodo, dopo le parole: "delle infrastrutture e dei trasporti", aggiungere le seguenti: "di concerto con i Ministri dell’Ambiente e della tutela del territorio e per i beni e le attività culturali";
al comma 9, secondo periodo, sostituire le parole: "sentita la Conferenza unificata" con le seguenti: "d’intesa con la Conferenza unificata";
al comma 9 dopo la frase: "sono individuati gli ambiti di rilevanza ed interesse nazionale oggetto di riqualificazione urbanistica, ambientale e culturale" inserire le seguenti parole: "attribuendo priorità alle aree oggetto di programmi di riqualificazione già approvati di cui al decreto Ministro lavori pubblici n 195 del’8 ottobre 1998 (P.R.U.S.T.) e di cui alla legge 15 maggio 1997 n. 127 articolo 17 comma 59 connesso con l’articolo 120 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n 267 (S.T.U.).";
al comma 9, aggiungere, in fine, le seguenti parole: "del presente articolo";
al comma 10, sostituire le parole: "sentita la Conferenza unificata" con le parole: "di intesa con la Conferenza unificata";
al comma 11, secondo periodo, sostituire l’espressione: "peri" con la parola: "per";
al comma 11, dopo le parole: "attività culturali", aggiungere le seguenti: "di concerto con il Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio";
al comma 11, secondo periodo, sostituire le parole: "sentita la Conferenza unificata" con le seguenti: "di intesa con la Conferenza unificata";
al comma 11, sostituire le parole da: "è assegnata alle regioni per l’esecuzione di interventi di ripristino e di riqualificazione paesaggistica delle aree tutelate, dopo aver individuato le aree comprese nel programma." con le seguenti: "è assegnata alla Soprintendenza per i beni architettonici e ambientali, per l’esecuzione di interventi di ripristino e riqualificazione paesaggistica, dopo avere individuato, d’intesa con le Regioni, le aree vincolate da ricomprendere nel programma";
al comma 12, primo periodo, sostituire le parole: "ai commi 55 e 56 dell’articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662," con le seguenti: "all’articolo 2, comma 55, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e all’articolo 41, comma 4, del decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 380," e dopo le parole "Fondo di rotazione" inserire le seguenti: ", denominato Fondo per le demolizioni delle opere abusive";
al comma 13, sostituire le parole: "di cui alla legge 21 giugno 1985, n. 298" con le seguenti: "di cui all’articolo 9, del decreto-legge 23 aprile 1985, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1985, n. 298";
al comma 14, dopo le parole "demanio statale" inserire le seguenti: "ad esclusione del demanio marittimo, lacuale e fluviale, nonché dei terreni gravati da diritti di uso civico";
al comma 16, aggiungere, in fine, il seguente periodo: "Resta ferma la necessità di assicurare, anche mediante specifiche clausole degli atti di vendita o dei provvedimenti di riconoscimento del diritto al mantenimento dell’opera, il libero accesso al mare, con il conseguente diritto pubblico di passaggio";
al comma 19, dopo le parole: "Tabella B" inserire le seguenti: "allegata al presente decreto";
dopo il comma 19, inserire il seguente: "19-bis. Le opere eseguite da terzi su aree appartenenti al patrimonio disponibile dello Stato per le quali è stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria da parte dell’ente locale competente, sono inalienabili per un periodo di cinque anni dalla data di perfezionamento delle procedure di vendita delle aree sulle quali insistono le opere medesime".
al comma 24, dopo le parole: "e dei trasporti" inserire le seguenti: "e con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, il Ministro dei beni e delle attività culturali, sentita la Conferenza Stato-Regioni";
al comma 25 aggiungere alla fine le seguenti parole: ", a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 mc.";
al comma 26, lettera a), dopo le parole: "comma 27" inserire le seguenti: "del presente articolo";
al comma 27, lettera f), primo periodo, dopo le parole: "del piano regionale di cui" sostituire la parola: "la" con la seguente: "al";
al comma 29, ultimo periodo, sostituire le parole: "articolo 2 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, e successive modificazioni e integrazioni" con le seguenti: "articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445".
dal sito http://www.cittadinolex.kataweb.it/
PALERMO — Il Piano regolatore non le prevede, una sfilza di sentenze ne impongono l’abbattimento e la Cassazione pochi mesi fa ha offerto i picconi ( giudiziari) al Comune di Palermo per demolire le ville abusive di Pizzo Sella, la montagna che sovrasta la spiaggia di M ondello.
Un pendio offeso e sfregiato da 147 case e casermoni tirati su negli anni Ottanta per un totale di 193 mila metri cubi di cemento. A partire dalla reggia di Michele Greco, rimasta grezza, in cima, la più alta, arida ed arrogante, su quella che i palermitani chiamano la « collina del disonore » .
Conclusa una estenuante telenovela giudiziaria cominciata quando la Calcestruzzi di Raul Gardini rilevò questa maxi- speculazione dalle famiglie mafiose dei Greco e dei Buscemi, la Suprema Corte ha eliminato ogni alibi dilatorio per amministratori che dovrebbero fare piazza pulita di uno degli ecomostri più orrendi d’Italia procedendo a confisca e demolizioni. Ma la giunta di centrodestra guidata dall’azzurro Diego Cammarata sta andando in tilt. Paralizzata, incapace di procedere, dubbiosa. Pronta con gran parte delle forze politiche a cercare soluzioni alternative, ad approntare improbabili piani di recupero, a rinviare.
Come non è più disposto a fare l’unico assessore « tecnico » dell’amministrazione, l’avvocato Michele Costa, cinquantenne figlio di un procuratore della Repubblica ucciso dalla mafia, in passato vicino al Partito comunista, poi al Partito radicale.
Scelto da Cammarata come assessore alla Legalità e alla Trasparenza, Costa ripete che « La legge va rispettata. E le sentenze vanno applicate » . Ovvio. Ma allarmante per le 67 famiglie che si godono un panorama d’incanto da terrazze ricavate tra le ferite di una collina, per il resto, simile ad un cimitero con spettrali ossature di cemento piantate su solchi aridi.
Demolire o « abbellire » ? Abbattere o salvare comunque le villette abitate? Considerare tutti dei profittatori o concedere a tutti il bollo di « acquirenti in buona fede » ? Questo il dilemma segnato da minacce e proteste negli ultimi due mesi di contropiede culminati adesso in una crisi di rapporti col sindaco che oggi riceverà una brutta lettera da Costa, una sorta di ultimatum: « Sono venuti meno i patti di lealtà... » .
Le demolizioni ritardano. Ma siamo già alla minaccia di dimissioni di un assessore per caso, poco omogeneo al gruppo di comando di una città ufficiale trasformatasi per lui in un muro di gomma. Da settimane solo telefonate mute. Missive senza risposta. Relazioni senza seguito. E Costa scrive ricordando a Cammarata che Pizzo Sella « resta simbolo della prevaricazione mafiosa » , che « il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione sarà politicamente inteso come il tentativo di vanificare una troppo lunga azione giudiziaria e sarà strumentalizzato per accusarti delle più nefande intenzioni o, nella migliore delle ipotesi, di esserti lasciato intimidire... » .
Sono parole contenute in una relazione considerata con sufficienza da gran parte della giunta e da una burocrazia più in sintonia con amministratori e consiglieri pronti a trovare una soluzione in grado di tutelare « gli acquirenti in buona fede » .
E’ l’ipotesi sbandierata dal comitato delle 67 famiglie arroccate sul poggio trasformato in un devastato condominio. Guardiani notte e giorno, una sbarra all’ingresso di un viale e, poi, come oasi nel disastro, ville con piscina, gazebo fioriti, vetrate su prati pettinati. Ed è proprio questo che chiede di salvare un sindacalista dell’Enel, Mimmo Amato, anch’egli considerato ormai per sentenza « ex » proprietario: « Qual è la nostra colpa? Avevo una casa in via Libertà. Venduta. Ho fatto un mutuo e la banca mi ha agevolato. Ho chiesto al notaio e mi ha dato via libera. Ho impegnato il mio stipendio per i debiti e abbiamo vissuto con quello di mia moglie. E adesso finisce tutto? Ma fu il sindaco Orlando a rinnovare le nostre licenze... » .
La sua voce echeggia con quelle di altri inquilini in assemblea con un deputato regionale che li difende più di tutti, Alberto Acierno, « Nuova Sicilia » : « Io ho i certificati di abitabilità firmati da Orlando » . Non casuale il riferimento al predecessore di Cammarata. Fu lui a mandare una ruspa e tante telecamere in collina nel 2000, quando i tigì annunciarono l’inizio delle demolizioni. Ma dopo la prima scena e il primo scheletro tutto si fermò. Con la soddisfazione delle 67 famiglie adesso contro Costa ed aggrappate al nuovo sindaco che in Tv invoca « equilibrio e buon senso » . Applaudito da chi rivendica il bollo di « terzo in buona fede » . Come tanti però non possono fare, stando alle scoperte dell’assessore inflessibile. Perché dopo i primi tornanti c’è pure la villa della signora Manno, moglie del relatore della commissione edilizia che avallò la speculazione e che secondo i giudici non pagò nemmeno i 20 milioni pattuiti con l’impresa mafiosa. E lì a due passi abita pure quell’ingegner Bini che fece da cerniera fra Gardini e le « famiglie » locali, per questo arrestato e condannato. Piccole grandi storie di una collina, specchio di una città.
| VILLE ABUSIVE Un’immagine di Pizzo Sella a Palermo: sulla collina oggi ci sono 147 case |
| DEMOLIZIONI Il primo abbattimento di costruzioni abusive sulla collina di Pizzo Sella, nel 2000 |
Condono edilizio. Il WWF : “La legge regionale è già fin troppo permissiva. Inconcepibile allentarne ancora le maglie”.
Ferma opposizione contro i tentativi di allargare le possibilità di condono edilizio in Friuli Venezia Giulia, viene espressa dal WWF.
| WWF |
“Già la legge regionale 22 del 2003 – osserva Dario Predonzan, responsabile territorio del WWF regionale – contiene una serie di cedimenti, rispetto al conclamato rifiuto del condono edilizio. E’ stata ammessa infatti la possibilità di “recuperare” le domande di sanatoria, presentate in base alle leggi statali sul condono del 1985 e 1994, con l’obbligo altresì di rilasciare per quelle opere abusive i certificati di abitabilità ed agibilità anche in deroga alle disposizioni di legge.”
“Inoltre, è diventato possibile condonare i cosiddetti “piccoli abusi” (legnaie, garages, muretti, ecc.), se conformi o “non contrastanti” con i piani regolatori.”
“In realtà, quindi, un’ulteriore mini-sanatoria pure in Friuli Venezia Giulia è stata concessa e non va dimenticato che anche i “piccoli abusi” possono comportare effetti negativi sul territorio ed il paesaggio.”
“Ora però – continua Predonzan - alcuni consiglieri di maggioranza (Margherita) propongono un ulteriore cedimento, chiedendo di ammettere la sanatoria anche per immobili fino a 150 metri cubi di volume. Il che dimostra quanto sia pericoloso incamminarsi sulla strada del permissivismo nei confronti delle violazioni della legalità. Strada scivolosa, perchè una volta intrapresa, non si sa fin dove può condurre. Non a caso, infatti, questa proposta viene sostenuta a gran voce dai consiglieri di Forza Italia (partito che ha imposto l’approvazione dell’infame legge sul condono edilizio a livello nazionale).”
“Il colmo della sfrontatezza – conclude Predonzan – viene raggiunto dai forzisti sostenendo che l’obiettivo è quello di sanare abusi commessi “per stato di necessità”, in una Regione “dove non esiste la cultura dell’abusivismo”. E’ senz’altro vero che il Friuli Venezia Giulia, insieme ad altre Regioni del Nord Italia, ha fatto registrare un numero di abusi edilizi proporzionalmente assai minore rispetto ad altre realtà del Centro-Sud, ma non c’è dubbio che l’allargamento delle maglie ed il cedimento ai presunti “abusi di necessità”, rappresentano il modo migliore per far sì che l’abusivismo metta solide radici anche da noi.”
“La cosiddetta “cultura dell’abusivismo” non è infatti altro che abitudine diffusa all’illegalità (di cui anche in Friuli Venezia Giulia non mancano purtroppo gli esempi, specie in campo ambientale) e va contrastata con fermezza dalle istituzioni pubbliche, a difesa della maggioranza dei cittadini che rispettano le leggi.”