I democratici: "Approvato per creare lo scontro" - Confindustria e Legambiente chiedono all´Ars di votare contro il provvedimento - Cracolici: "Faremo di tutto per non farlo passare"
Aspra, asprissima [sic], praticamente una bocciatura con tanto di sondaggio. L´ennesima sanatoria edilizia sarebbe «una vergogna per il 70 per cento degli italiani secondo i dati Ipsos». È il giudizio di Confindustria Sicilia e di Legambiente Sicilia sull´approvazione della commissione Territorio e Ambiente all´Ars [Assemblea regionale siciliana] del disegno di legge salva-coste del deputato regionale Paolo Ruggirello (Mpa), lui stesso proprietario di una casa abusiva che verrebbe sanata dalla norma. Una vicenda che sembrava caduta nel dimenticatoio, dopo le polemiche degli ambientalisti e della stessa Sala d´Ercole, ma tornata alla ribalta dopo il voto della commissione. A tenere alto lo scontro è sempre Confindustria, che ieri sera ha diffuso con Legambiente un appello ai deputati siciliani: «L´unico effetto concreto delle tre sanatorie edilizie nazionali - scrivono - è stata una violenta recrudescenza dell´abusivismo senza tenere conto che la gran parte degli abusivi che hanno usufruito dei precedenti condoni, non ha completato il pagamento dell´oblazione. Per questo chiediamo a tutti i deputati di votare contro questo ddl».
Richiesta che fa sua il capogruppo del Pd all´Ars, Antonello Cracolici, che si dice pronto insieme al suo partito a fare di tutto per bloccare il ddl. E Cracolici si spinge oltre: «Qualcuno - dice - sta tentando di fare giochetti politici». Per il capogruppo Pd dietro all´approvazione del ddl ci sarebbe una questione politica. Il dito è puntato verso i deputati del Pdl, ma soprattutto del Terzo Polo, che avrebbero sostituito i loro colleghi in commissione, tra questi Pippo Limoli (Pdl), Nino Dina (Udc), Pippo Currenti (Fli). «Il Pdl ha sostituito dei deputati per raggiungere il numero legale - dice Cracolici - e il Terzo Polo si è presentato per garantire la sua presenza in commissione. Era tutto funzionale per aprire un conflitto con il Pd, anche da parte del Terzo Polo».
Per quanto riguarda il ddl (che potrebbe arrivare in aula anche a dicembre, se la conferenza dei capigruppo del 22 novembre deciderà di aprire una finestra nel Bilancio) sempre secondo Cracolici, è improbabile un´approvazione in aula: «Ha evidenti profili d´incostituzionalità». Una norma per cui Ruggirello aveva preconizzato un appoggio bipartisan («Vedrete quanti la voteranno» aveva detto), e che, tiene a precisare, «non è una sanatoria».
In commissione, Currenti del Fli ha votato a favore, anche se per Livio Marrocco, suo capogruppo, si tratta di scelta personale: «Parlerò al più presto con lui. Noi siamo contrari a questa sanatoria e non la voteremo». Nell´Udc, Nino Dina si schermisce, lui che si è astenuto «per insufficienza di elementi», anche se auspica in aula un confronto. Così come Francesco Musotto, capogruppo dell´Mpa (colui che aveva ritirato la firma dal ddl) che illustra la posizione del suo partito «senza ipocrisie»: «Noi dell´Mpa lasceremo libertà assoluta ai colleghi, tra di noi sono molti coloro che non sono d´accordo. Eppure c´è un atteggiamento da struzzi. Non mi sembra che ci siano ruspe in giro a distruggere ecomostri. Voi ne vedete? Toccherà all´Assemblea trovare la soluzione migliore».
Si dice contro Fabio Mancuso (Pdl), e rigetta le accuse di aver favorito l´approvazione in commissione con la sua presenza: «Non la voteremo, ci vuole un riordino globale e non occuparsene soltanto con un articolo». E non vuole passare per una a favore dell´abusivismo, Marianna Caronia del Pid: «Ho votato con la speranza che in aula si possa discutere di queste case ridotte in un limbo».
Sei milioni di italiani vivono in 1,7 milioni di alloggi tirati su abusivamente. “Case della domenica”? Nel dopoguerra, negli anni ’50 e ’60. Poi soprattutto case, ville, villone, lottizzazioni, interi quartieri, per esempio a Casalnuovo di Napoli, denunciati dalla trasmissione Rai “Ambiente Italia”. Finanziati sovente con soldi “sporchi”. “Il trionfo del ‘Paese fai da te’ ha portato alla cancellazione di fatto dello Stato in Italia”. Lo sostiene Paolo Berdini autore della recente, documentata “Breve storia dell’abuso edilizio in Italia” (Donzelli).
Eppure Silvio Berlusconi riparla di condoni e quindi anche di condono edilizio.“Per i piccoli abusi”, minimizza lui. In realtà per venire incontro alle attese elettorali del popolo inesausto degli abusivi, degli evasori di ogni regola e legge (“Così rivinceremo le elezioni”). E solo parlandone ridà fiato ai fuorilegge del mattone, alla speranza che quei loro nuovi cantieri rientreranno in una prossima sanatoria. Il centrodestra sembra diviso fra il sì e il no. Lo è pure il governo: contrario il leghista Calderoli, favorevole La Russa che, senza arrossire, definisce il condono “un antibiotico forte” per l’Italia malata. E chi si oppone invocando l’etica pubblica? Per Cicchitto e Boniver è “un Savonarola”. Del condono fiscale si è già detto tutto il male possibile. Quello edilizio è, chiariamolo, un regalo sciagurato alla illegalità criminale e un delitto contro ambiente-paesaggio- difesa del suolo. Quando si costruisce una villa abusiva, tutto è “in nero”: niente oneri di urbanizzazione; nessun rispetto dei vincoli idrogeologici e altro; illegali le imprese di trasporto e costruzione; niente contratti, né contributi per i lavoratori, e così via.
Quindi, sono, già in partenza, una raffica i danni assicurati al bene primario e collettivo “paesaggio”. Ma, almeno, il condono edilizio frutta incassi immediati? Di voti sì, di denari no. Secondo la Corte dei conti, nel 2008 restavano da incassare ancora 5,2 miliardi di euro previsti col condono del 2003-2004, quattro o cinque anni prima, cioè il 20 % del gettito previsto. Ma vi sono ancora aperte pratiche del primo condono, quello voluto, con l’intento in parte sincero, di “chiudere per sempre la partita dell’abusivismo edilizio” dal governo Craxi nel 1984. Una pia illusione, nel migliore dei casi. E sì che il condono berlusconiano del 2003 (il secondo del Cavaliere, dopo quello del 1994) era stato edilizio e ambientale e sanava pure guasti avvenuti in aree protette. Addirittura in aree in parte demaniali. Come del resto è successo per decenni in Sicilia dove la colata di cemento si è riversata a filo di arenile, cioè in buona parte su aree demaniali. Abusi di per sé insanabili. Che da decenni non hanno più nulla a che fare con l’edilizia illegale “di necessità”.
Dunque, il condono edilizio non fa incassare denari a breve. Anzi, ne fa spendere allo Stato: 500 euro ogni 100 incassati, sostiene l’urbanista Berdini. Per portare servizi pubblici essenziali. Oggi esso unisce in un solo fronte contrario i costruttori veri che si oppongono e chiedono (Paolo Buzzetti, presidente dell’ANCE) norme per riqualificare il patrimonio edilizio degradato, i Comuni (“una istigazione a delinquere”, tuona il sindaco di Piacenza, Roberto Reggi), associazioni come FAI e Wwf. Rianima l’edilizia? No, deprime slealmente quella che c’è. E allora, perché inserirlo in questa manovra? Per ragioni sfacciatamente pre-elettorali che riguardano soprattutto il Mezzogiorno dove si concentrano da sempre (record in Sicilia e Campania) i due terzi dell’edilizia fuorilegge. Sono ricorrenti le istanze per una sanatoria speciale dedicata alla Campania, sempre più imbruttita e sfregiata, dove l’abusivismo (inquinato dalla camorra) ha devastato costa, interno e splendide isole come Ischia ormai in costante pericolo di sfacelo. All’inizio della sua “discesa in campo” Berlusconi proclamò: “Ciascuno è padrone a casa sua”. Era l’invito al “fai-da-te” più totale e sfrenato dei padroncini. E alla parallela distruzione di ogni nozione di interesse generale o collettivo, di controllo dello Stato. Peggio del fascismo? Alla fine, probabilmente sì.
I calcoli più prudenti dicono che nell'ultimo decennio sono stati realizzati almeno 30 mila alloggi abusivi ogni anno. Nove milioni di metri cubi di cemento che distruggono l'ambiente, le città e i territori. Che sfuggono alla legalità, non pagano un euro di imposte, maestranze impiegate al nero, cantieri senza sicurezza.
Quei nove milioni sono lo specchio amaro del declino italiano. Sono la denuncia della distanza che ci separa dal mondo civile. In nessun altro paese occidentale si conosce l'abusivismo. Esiste lo Stato che fa rispettare le regole e tutela gli interessi dei cittadini onesti. Da noi ha trionfato l'Italia fai da te. In queste ore, tutte le giustificazioni con cui tentano di approvare il quarto condono edilizio sono state demolite una dopo l'altra dai migliori osservatori della realtà italiana. Eppure vanno avanti lo stesso.
«Con il condono edilizio si incassano preziose risorse». Ieri sul Corriere della Sera, Gian Antonio Stella dimostrava il carattere truffaldino di questa affermazione. I condoni servono spesso per ottenere una legittimazione formale. Si paga la prima rata e poi si rientra nell'illegalità. Di legalità avremmo invece un bisogno estremo. Enrico Fontana nei preziosi volumi Ecomafia di Legambiente ha dimostrato che gran parte degli abusi edilizi commessi negli ultimi decenni servono alla criminalità organizzata per riciclare denaro. Possibile che non lo sappiano ministri e dirigenti del Pdl? No, non è possibile, lo sanno eccome. La questione non è evidentemente giudicata importante.
«Con il condono almeno si incassa qualche risorsa, tanto nessuno demolirebbe nulla». E chi l'ha detto? Se è vero che la filiera dell'abusivismo è in mano alle organizzazioni criminali è giunto il momento di far vedere che esiste un paese che vuole la legalità. Approvi dunque il Parlamento non il quarto condono, ma un provvedimento che affida ai Prefetti e alla Magistratura il compito di eseguire le demolizioni. E se la maggioranza ha già dimostrato come la pensa, sospendendo le demolizioni che dovevano essere eseguite in Campania, perché l'opposizione non delinea con chiarezza che c'è un'alternativa al baratro che ci sta inghiottendo?
Perché la posta in gioco è proprio il futuro dell'Italia. Dopo tre condoni edilizi, se arrivasse anche il quarto nessuno potrebbe più parlare di regole, di legalità, di sviluppo ordinato del territorio, di rispetto dell'ambiente. Saremmo un paese che dichiara fallimento e ciascuno si sentirà in diritto di fare ciò che vuole: costruire dovunque, inquinare le acque, cancellare il paesaggio.
Battere i malfattori del cemento e i loro protettori politici è dunque l'ultima occasione per tentare di rilanciare il paese. La Comunità europea afferma che nel 2020 l'80 per cento della popolazione dei paesi membri vivrà in ambiente urbano. La sfida per la ripresa economica e per il futuro delle nuove generazioni passa nel saper adeguare le città alle sfide di un futuro di innovazione tecnologica, di risparmio energetico, di qualità dell'aria.
Gli altri paesi europei stanno investendo sistematicamente in questo orizzonte. Le loro città vengono dotate di reti tecnologiche; demoliscono autostrade urbane per costruire reti di trasporto su ferro; avviano processi di riconversione ecologica. In Italia, di fronte alle periferie più brutte e disordinate d'Europa, vogliono approvare il quarto condono edilizio! Non saremo più competitivi e perderemo investimenti preziosi.
Se il governo venisse sconfitto da una battaglia limpida su una questione così importante, l'opposizione dimostrerebbe di saper interpretare le diffuse energie che in questi giorni si esprimono contro il condono. Sarà difficile: Sesto San Giovanni è infatti l'altra faccia dell'abusivismo: Anche lì attraverso l'urbanistica contrattata si cambiavano regole e si aumentavano a piacere le volumetrie da realizzare. Molti hanno fatto credere in questi anni che cancellando regole ne avremmo giovato tutti. La crisi in atto dimostra il contrario. E' ora di prendere atto dell'errore. E' ora di chiudere la fase dell'illegalità: basta con i condoni e con la truffa dell'urbanistica contrattata. Solo le regole potranno salvarci dal declino.
Sul promontorio di Capo Vaticano, che Giuseppe Berto definì «uno dei luoghi più belli della Terra», svettano due ville «transgeniche». I proprietari hanno scavato due enormi buche, ci hanno costruito dentro il pavimento e le pareti e chiesto il condono: vasche di irrigazione. Poi, tolta l'acqua, rimossa la terra intorno, aperte le finestre, ci hanno piazzato sopra un tetto et voilà: due ville.
Uno Stato serio le butterebbe giù con la dinamite: non prendi per il naso lo Stato, nei Paesi seri. Da noi, no. Anzi, nonostante sia sotto attacco da anni l'unica ricchezza che abbiamo, cioè la bellezza, il paesaggio, il patrimonio artistico, c'è chi torna a proporre un nuovo condono edilizio. L'ha ribadito Fabrizio Cicchitto: «Se serve si può mettere mano anche al condono edilizio e fiscale. L'etica non si misura su questo ma sulla capacità di trovar risorse per la crescita». Ricordare che lui e gli altri avevano giurato ogni volta che sarebbe stata l'«ultimissimissima» sanatoria è inutile. Non arrossiscono. Ma poiché sono trascorse solo sei settimane dalle solenni dichiarazioni berlusconiane di guerra all'evasione (con tanto di spot) vale almeno la pena di ricordare pochi punti.
Il primo è che la rivista «Fisco oggi.it» dell'Agenzia delle Entrate, al di sopra di ogni sospetto, ha calcolato che dal 1973 al 2003 lo Stato ha incassato coi condoni edilizi, tributari e così via 26 miliardi di euro. Cioè 15 euro a testa l'anno per italiano: una pizza e una birra. In cambio, è stato annientato quel po' che c'era di rispetto delle regole. Secondo, il Comune di Roma, per fare un esempio, dai due condoni edilizi del 1985 e del 1994 ricavò complessivamente, in moneta attuale, 480 milioni di euro: 1.543 per ognuna delle 311 mila abitazioni sanate. In compenso, fu costretto per ciascuna a spenderne in opere di urbanizzazione oltre 30 mila. Somma finale: un «rosso» di 28.500 euro ogni casa condonata. Bell'affare…
Terzo: la sola voce di un possibile condono, in un Paese come il nostro, dove secondo gli studi dell'urbanista Paolo Berdini esistono 4.400.000 abitazioni abusive (il che significa che una famiglia italiana su cinque vive o va in ferie in una casa fuorilegge) scatena febbrili corse al mattone sporco. Ricordate le rassicurazioni dopo l'ultima sanatoria? Disse l'allora ministro Giuliano Urbani che il condono era limitato a «piccolissimi abusi, finestre aperte o chiuse, che riguardano la gente perbene». Come sia finita è presto detto: dal 2003 a oggi sono state costruite, accusa Legambiente, almeno altre 240.500 case abusive. Compreso un intero rione, vicino a Napoli, di 73 palazzine per un totale di 450 appartamenti.
Non bastasse, tre condoni hanno dimostrato definitivamente un fatto incontestabile: tutti pagano l'obolo iniziale per bloccare le inchieste e le ruspe, poi la stragrande maggioranza se ne infischia di portare a termine la pratica nella certezza che la burocrazia si dimenticherà di loro. Solo a Roma i fascicoli inevasi delle tre sanatorie sono 597 mila. Di questi 417 mila giacciono lì da 25 anni.
E vogliamo insistere con i condoni? Piaccia o no a chi disprezza i «moralisti», salvare ciò che resta del paesaggio d'Italia non è solo una questione estetica ma etica. E visti i danni già causati dagli abusivi al patrimonio e al turismo, anche economica.
Ieri sera Berlusconi è calato a Roma. Di solito dalla Sardegna, dove trascorre i weekend fino a quando regge il clima, si dirige su Milano per sbrigare certe sue faccende private. Se d’improvviso il Cavaliere ha cambiato programma, dev’esserci per forza una ragione di speciale importanza. Qualcuno dello staff la collega alle due telefonate di ieri, la prima a Cuneo e la seconda a Bisceglie, in cui Berlusconi ha sparso la sensazione di volersi tuffare nelle misure per lo sviluppo e per la crescita che «esamineremo» in settimana, ha detto. Pare abbia già incontrato Gianni Letta, suo braccio destro. E si prepara una mattina di fuoco, riunioni con i fedelissimi prima di tornare ad Arcore, perché c’è da decidere il «chi», il «come», ma soprattutto il «che fare».
Domanda numero uno: che fare con Tremonti? Berlusconi non ha deciso se licenziarlo o invece no. Se dar retta a chi (la lista è lunghissima, ma sicuramente la guidano Galan e Crosetto) gli suggerisce di «cacciare Giulio addebitandogli la colpa delle decisioni sbagliate» e chi (vedi Fitto, ma pure anti-tremontiani come Cicchitto, per non dire di personaggi prudenti tipo Letta e di Bonaiuti) invitano il premier a considerare il momento, sarebbe da pazzi scatenare una guerra col titolare dell’Economia proprio adesso che lo «spread» con i bund tedeschi viaggia intorno ai 400 punti. Tra l’altro il Professore, che ieri è tornato a Pavia direttamente da Washington, non ha la minima intenzione di dimettersi. E casomai vi fosse costretto dalle circostanze, vale l’immagine colorita di un ministro economico: «Sarebbe come avere nel governo un kamikaze con il giubbotto pieno di esplosivo: Giulio salterebbe in aria, ma tutti noi con lui...».
Meglio evitare. Non per caso a sera Bossi, che nonostante la salute vede più lontano di molti, annotava: «Tremonti non è in pericolo». E dovendolo «sopportare» al Tesoro, meglio ottenere la sua collaborazione per fare in fretta questo decreto sullo sviluppo, di cui ancora nulla è nero su bianco, solo poche idee (avrebbe detto Flaiano) ma confuse. Il libro dei sogni berlusconiano punta a «quota 90», il rapporto tra debito pubblico e Pil che quasi per incanto crolla di 30 punti dall’attuale 120 per cento, riportandoci tra i paesi semi-virtuosi. La bacchetta magica si chiama «dismissioni», in pratica la vendita di asset pubblici, immobiliari e non. Guai però a toccare Eni ed Enel, avverte Osvaldo Napoli, in quanto fruttano soldi freschi all’Erario, venderli sarebbe un autogol. Ci sarebbe l’immenso patrimonio immobiliare. Verdini ha consegnato a Berlusconi un dossier ricco di numeri e di proposte. Lo stesso Tremonti ha convocato per giovedì un incontro sull’argomento, si chiamerà «seminario» in modo che nessuno immagini decisioni rapide, né tantomeno svendite dei gioielli di Stato. Se ne potrebbero ricavare centinaia di miliardi, però il demanio è passato agli enti territoriali, ci va di mezzo il federalismo, il groviglio legislativo è pressoché inestricabile.
Ma il vero pozzo di denari cui tutti pensano, perlomeno nel Pdl, si chiama condono. Fiscale o edilizio, parziale o tombale, non ha importanza, purché vi si attinga senza falsi pudori... L’armistizio con Tremonti dovrebbe consistere, secondo quanto va maturando in queste ore, in una sorta di compromesso: il partito cessa di attaccarlo, mette la sordina a Brunetta e agli altri critici del Professore; in cambio lui finge di dare ascolto ai colleghi di governo, e consente qualche operazione di finanza straordinaria fin qui negata. Per dirla con un personaggio ruvido ma sincero come Cicchitto, «per andare avanti servono grandi decisioni, bisogna prendere di petto il debito pubblico». Altrimenti, tutti a casa.
Centosedici milioni di euro: è l’astronomico risarcimento chiesto dai proprietari dell’hotel Baia delle ginestre al Comune di Teulada e alla Regione Sardegna, colpevoli a loro dire di un misfatto. Quale? Fecero abbattere una caterva di opere abusive riconosciute tali da varie sentenze comprese due della Cassazione. La storia, definita dagli ambientalisti del Gruppo d’intervento giuridico come un incredibile esempio di faccia tosta, è illuminante per capire come mai l’Italia sia il Paese europeo marcato dall’abusivismo più devastante. Tutto inizia nei primi anni 90, quando i fratelli Guido, Emilio, Fernando e Renato Antonioli tirano su a Portu Malu, sulla costa di Teulada, un albergone che la stessa pubblicità attuale su Internet declama con parole esaustive: «Il Resort Hotel Baia delle ginestre sorge direttamente sul mare in posizione panoramica» .
Hanno una licenza per un tot di metri cubi. Già che ci sono, diranno i verdetti della magistratura, si fanno prendere un po’ la mano. Aggiungendo illegalmente, denunciano gli ambientalisti, «un parcheggio coperto, un fabbricato-alloggio del personale, un campo da tennis, un ampliamento del ristorante, un vascone, una cabina Enel, locali-servizio, la reception del complesso alberghiero, un comparto alberghiero da 100 camere, una piscina con locale-filtri, una piattaforma-pizzeria, tre baracche di legno, una pista di accesso alla spiaggia, tre pontili galleggianti, una barriera frangiflutti per complessivi metri cubi 15.600» . Prima se ne occupa il pretore: demolizione e ripristino ambientale. Poi la Corte d’appello di Cagliari: demolizione e ripristino ambientale. Poi la Cassazione: demolizione e ripristino ambientale.
A quel punto, ricorda il Gruppo d’intervento giuridico, «le strutture abusive vennero dissequestrate per consentire la demolizione da parte dei condannati. Risultato: come se niente fosse, il complesso venne riaperto e la società di gestione lucrò per anni miliardi di vecchie lire su un patrimonio ormai divenuto pubblico» . Cinque anni di battaglie legali, politiche, ambientaliste e finalmente nel giugno del 2001, dopo una seconda sentenza della Cassazione che spazzava via gli ultimi ricorsi contro le demolizioni, ecco in azione le ruspe e l’abbattimento delle opere abusive. I padroni dell’albergone, però, sapevano bene che in Italia, paese del cavillo, non è definitiva neppure una sentenza definitiva della Cassazione. Ed ecco che l’anno dopo un altro verdetto della stessa Cassazione aggiungeva un’altra puntata tormentone, rinviando nuovamente gli atti alla Corte d’appello di Cagliari. E si apriva una nuova battaglia legale su chi doveva pagare il ripristino dell’ambiente stravolto dal calcestruzzo.
Morale: 15 anni dopo la prima ordinanza di demolizione, 13 dopo il fallimento della società «Baia delle ginestre s. p. a.» (rilevata nel 2006 nella gara fallimentare dalla Regina Pacis s. r. l. appartenente per pura coincidenza allo stesso gruppo Antonioli), 10 dopo gli abbattimenti, 9 dopo la terza sentenza della Cassazione, la faccenda è ancora aperta. E lancia agli abusivi e agli speculatori il seguente messaggio: costruite, costruite, costruite. E poi fate ricorsi su ricorsi su ricorsi. Tanto la giustizia italiana è un colabrodo... E di chi sarebbe la colpa: delle solite toghe rosse? Ma per favore!
ROMA - Alla luce del sole, ma all´ombra delle tasse. Nascondere agli occhi dell’uomo case, fabbricati, immobili dovrebbe essere un impresa impossibile. Ma se gli occhi sono quelli del fisco, sono in tanti provarci. Si costruisce, ma non si dichiara: niente iscrizione ai registri del catasto, nessuna rendita sulla quale versare le tasse. Omertà fiscale e abusivismo.
Oggi però, grazie alle tecnologie satellitari e digitali, farla franca è davvero difficile e le casse vuote dello Stato hanno contribuito ad aguzzare l’ingegno dei tecnici incaricati di recuperare il gettito. Così nel 2007 l’Agenzia del Territorio ha lanciato su tutto il territorio nazionale una mappatura destinata a far riemergere l’evasione immobiliare, a stanare le case nascoste, regolarizzarle e recuperare i fondi. La tecnica usata è molto complessa: le «anomalie» sono state individuate e portate alla luce sovrapponendo una serie di immagini e rilevamenti, utilizzando le fotografie satellitari fornite dell’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) e le mappe informatiche della Sogei. In una prima fase si è puntato alla denuncia spontanea da parte dell’evasore immobiliare, nella seconda si procederà all’emersione coatta.
Ora, al termine della prima fase (conclusa il 31 aprile), sono arrivati i risultati: gli immobili fantasma (o più precisamente le particelle catastali sulle quali sono stati costruiti edifici coinvolti nell’abusivismo o nell’omertà fiscale) sono 2.228.143. Un mare di cemento composto da case, casette, interi condomini, fabbrichette, magazzini o semplici depositi. Anche parti di aeroporti, stazioni e uffici pubblici ampliati, ma non messi in regola. Edifici di varia natura, non necessariamente abusivi, ma sicuramente inadempienti agli obblighi fiscali.
Su poco meno della metà di questa colata di mattoni (1.065.484 particelle) gli accertamenti sono già stati conclusi: gli immobili spontaneamente emersi sono 560.837 mila e «valgono» 415,5 milioni di euro rendita catastale (l’1,2 per cento di quella nazionale). Il 35 per cento è costituito da case (oltre 196mila), il 29 da magazzini, il 21 per cento sono autorimesse. Il restante 12 per cento è composto da negozi, ma anche parti di alberghi, scuole, stazioni.
C’è una graduatoria del «nero»: Salerno, Roma, Palermo, Cosenza e Napoli risultano le province con più immobili «fantasma», anche se, il direttore generale dell’Agenzia, Gabriella Alemanno, vorrebbe evitare la pagella dei buoni e dei cattivi «perché ci sono tante variabili in gioco, dall’estensione del territorio, al tipo degli immobili».
Altre 572mila costruzioni analizzate sono invece risultate «irrecuperabili» ai fini fiscali: o perché gli uomini dell’Agenzia del Territorio si sono trovati di fronte ruderi, tettoie e serre sfondate, immobili ancora in costruzione e quindi non ancora produttori di una rendita. Oppure perché i proprietari, piuttosto che pagare, hanno preferito abbatterli, temendo che l’esborso chiesto fosse superiore al valore dell’immobile.
Ora l’Agenzia del Territorio passerà alla fase due, controllando gli immobili non dichiarati al catasto costruiti sulle restanti 1.162.659 particelle. I tecnici, con la collaborazione dei comuni e della Guardia di Finanza, effettueranno i loro sopralluoghi e attribuiranno rendite presuntive (salvo rettifiche). L’operazione sarà conclusa entro la fine dell’anno o entro i primi mesi del 2012. La rendita catastale presunta si può immaginare sia di pari entità di quella finora rilevata. Chiaramente, precisa l’Agenzia, in caso di costruzioni abusive, le regolarizzazioni fin qui effettuate regolarizzano la posizione fiscale, ma «non rappresentano una sanatoria urbanistico-edilizia».
Prove generali per il condono universale 2012
di Vezio De Lucia
Potrebbe essere solo sordida propaganda elettorale. È contraria la Lega (ma non ci si può fidare, nei mesi scorsi era stata d'accordo) e Il Sole 24 Ore ha scritto che non va bene, che si deve dire no all'abusivismo edilizio sempre e comunque. Potrebbe essere solo un'iniziativa, da abbinare alle dichiarazioni con le quali Berlusconi ha condiviso il triviale attacco di Letizia Moratti a Giuliano Pisapia, dettata dalla necessità di sollecitare i peggiori istinti giocando il tutto per tutto in una sfida elettorale all'ultimo sangue. Temo però che non sia così, e che l'intervento legislativo annunciato a Napoli per sospendere fino a dicembre le demolizioni degli abusi edilizi in Campania sia un promessa che il governo intende davvero rispettare. E non è tutto, se va in questo modo è inevitabile un provvedimento di condono universale. Che non sorprende chi ricorda le tre precedenti leggi degli anni 1985 (governo Craxi), 1994 e 2003 (governi Berlusconi): una ogni nove anni. La data del condono prossimo ventura sarebbe perciò il 2012. E quello promesso a Napoli per fermare le ruspe è solo un preavviso.
Certo è che il nostro Paese si allontana sempre di più dal mondo civile. In quale altro luogo d'Europa c'è tanta tolleranza per l'illegalità, la furbizia, l'esasperazione dell'egoismo proprietario? Il condono edilizio appartiene a quella filosofia - mirabilmente espressa dallo slogan «padroni in casa propria» - che ispira tutte le iniziative del governo in materia edilizia, dagli abominevoli piani casa, all'abolizione dell'Ici, alla liquidazione dei beni pubblici. Quella filosofia che consente di raccogliere sotto la stessa bandiera gli stati maggiori della proprietà immobiliare insieme alle fanterie che posseggono solo miserevoli manufatti abusivi. Queste cose le scrisse Valentino Parlato in uno dei primi fascicoli del manifesto mensile per far capire l'ampiezza dello schieramento sociale che si opponeva allora alla riforma urbanistica. Adesso è l'Italia di Silvio Berlusconi.
Alla quale non interessa che si mortificano le persone perbene, gli amministratori, i funzionari, i magistrati che fanno il proprio dovere contrastando l'illegalità. Che l'abusivismo di necessità non esiste da decenni e che ormai è solo un'attività criminale nelle mani di mafia, camorra e 'ndrangheta. Che gli insediamenti abusivi non rispettano neanche le norme a difesa delle frane e dei terremoti. Che le spese a carico dei comuni per il risanamento degli insediamenti abusivi superano di oltre tre volte l'ammontare delle oblazioni. Che il condono edilizio è peggio di quello fiscale e simili.
Potrei continuare. Ma è vero anche che esiste un'altra Italia, che si riconosce in principi diversi da quelli dell'egoismo proprietario. Un'Italia però sparpagliata e avvilita che finora non siamo stati capaci di mobilitare.
Usi e abusi, si sanano le case non le persone
di Marco Rovelli
E saniamole queste case abusive, dice il Caro Leader. L'abuso eretto a norma, morale prima che giuridica, pare ormai uno dei segni più marcati di questa età di Fine Impero. L'abuso è generalizzato, ci dice il Caro Leader strizzandoci l'occhiolino, siamo tutti complici di un'illegalità diffusa: ovviamente non quell'illegalità diffusa invocata anni fa in nome di una trasformazione rivoluzionaria collettiva, ma un'illegalità individualistica finalizzata al «si salvi chi può» - dove poi, a salvarsi e prosperare sulle spalle di un massacro sociale generalizzato, sono sempre quelli che partono da posizioni di vantaggi acquisiti. Che in questo paese, dove la forbice tra i più ricchi e i più poveri è larghissima, assume contorni devastanti.
Tutto questo appare in una luce particolare, dalla prospettiva del Duomo di Massa, dove da due settimane stiamo conducendo una lotta a sostegno degli immigrati in presidio permanente che chiedono di essere regolarizzati avendo subito truffe in occasione del decreto flussi colf-badanti del 2009. È una lotta difficile, con margini ristretti per conseguire gli obiettivi prefissi. Da una parte, una legislazione schiavista che non lascia spazi per poter dare giustizia a coloro che hanno consegnato migliaia di euro a qualche falso datore di lavoro, e sono stati lasciati nella clandestinità da cui volevano emanciparsi, senza i propri risparmi frutto di una fatica immane. Dall'altra, un percorso che in questi giorni si riapre in conseguenza della sentenza del consiglio di Stato che ha annullato la circolare Manganelli che escludeva dalla regolarizzazione coloro che avevano subito la doppia espulsione: un percorso però arduo, visto che la possibilità di accedere alla regolarizzazione non riguarda tutti coloro - e sono tanti - che non hanno fatto ricorso dopo la loro esclusione.
Ecco, da questa prospettiva irta di difficoltà, in cui tocchi con mano passo dopo passo che cosa significhi essere persone «non-persone», la ventilata sanatoria degli abusi edilizi appare come scandalo. Da una parte un territorio che può venir devastato impunemente, e ogni suo abuso può essere sanato. Dall'altra, invece, non si sana per nulla al mondo la condizione giuridica di persone che lavorano e che non devono venire riconosciute nei propri diritti di lavoratori, e prima ancora di esseri umani.
Sotto questa apparente contraddizione, però, si legge una logica unitaria, e fondativa della nostra epoca: il consumo di oggetti elevato a principio supremo. Territorio e persone sono usati e abusati, ciascuno a suo modo: da ciascuno ciò che può dare. Anzi: da ciascuno e da ogni cosa ciò che si può estrarre. (E, come corrispettivo: a ciascuno ciò che egli si può prendere). Così uso e abuso di persone e di territorio sono legittimati. Uso e abuso, indifferentemente, perché nella prospettiva del consumo totale scompare la soglia tra i due concetti, che si confondono: ogni uso è sempre cattivo (ab-uso), in quanto smisurato. È questo, insomma, il tempo della hybris (e Luciano Gallino ci ha detto, di fatto, come sia questa la marcatura "etica" di questa nostra età del finanzcapitalismo). E non possiamo continuare a rimandare la questione di fondo: come salvarsi da questa tracotanza del genere in-umano.
«Quando vado all’estero non riesco nemmeno a raccontare quello che succede in Italia. Mancano le parole perché i concetti non sono traducibili. Un governo che sistematicamente massacra il proprio territorio, che apre la strada alle infiltrazioni del malaffare, che peggiora i propri bilanci costringendosi a fornire infrastrutture agli abusivi, che mette a rischio la vita dei cittadini incentivando la violazione delle norme sismiche e di sicurezza idrogeologica. Come si fa a spiegare? Non ci credono». Vezio De Lucia, uno dei nomi storici dell’urbanistica, è indignato ma non sorpreso. In 26 anni ha visto tre condoni e ha sviluppato una sua teoria interpretativa.
«I terremoti non si possono prevedere, i condoni sì», spiega De Lucia. «Il primo, il Craxi-Nicolazzi, è del 1985. Il secondo, il Berlusconi-Radice, del 1994. Il terzo, il Berlusconi-Lunardi, del 2003. Uno ogni 9 anni. Il prossimo dovrebbe scattare nel 2012 e quello che sta succedendo in Campania suona come la premessa per estendere all’intero paese la sanatoria edilizia. Che, come tutte le altre, naturalmente sarà l’ultima della serie, parola di premier».
Questa volta però un nuovo condono sembrava impossibile. Le frane che in Calabria e in Sicilia hanno spazzato via le case abusive seminando lutti, la magistratura che aveva cominciato a far muovere le ruspe…
«Appunto. Aveva iniziato il sindaco di Eboli, Gerardo Rosania, che qualche anno fa aveva coraggiosamente fatto abbattere le case comprate dalla camorra. Poi è intervenuto Aldo De Chiara, il procuratore che ha colpito l’abusivismo a Ischia. Si è capito che l’Italia poteva diventare un paese europeo, un paese in cui le regole vengono rispettate e il merito premiato. Un problema per chi percepisce la legalità come una minaccia».
Nel caso degli altri condoni la motivazione era stata legata a esigenze di cassa: c’era bisogno di entrate fiscali e si era calcolato che con la sanatoria si poteva ottenere un incasso rapido.
«Un calcolo clamorosamente sbagliato o una bugia. E’ successo esattamente il contrario. Per ogni euro che lo Stato ha incassato dal condono ne ha dovuti spendere tre per costruire le infrastrutture necessarie. Senza calcolare le vittime dei disastri idrogeologici prodotti dal malgoverno del territorio».
Pensa che arriverà il quarto condono?
«Ho detto che me lo aspetto ma parlavo dal punto di vista statistico. In realtà non ho ancora perso la speranza: penso che una reazione sia possibile. I condoni precedenti hanno creato un disastro amministrativo, perché al danno economico si è associata la paralisi dei servizi visto che sono ancora aperte le pratiche della prima sanatoria, e un disastro legale, perché è stata alimentata la crescita della malavita organizzata che controlla buona parte del circuito illegale del cemento. Questa coazione a ripetere il danno non è compatibile con la rinascita di un’economia sana e quindi capace di durare nel tempo. Il condono edilizio è il più devastante dei condoni perché i suoi effetti negativi durano per secoli».
In passato le sanatorie hanno sempre incentivato una forte accelerazione degli abusi.
«E’ quello che sta già succedendo proprio ora: mentre siamo qui a parlare di sicuro c’è già chi sta aprendo centinaia di cantieri abusivi in tutto il paese. Del resto i vari piani casa berlusconiani avevano gettato le premesse di questo affondo illegale. Abbiamo il record di abusivismo in Europa».
Oggi dunque Berlusconi annuncerà ai napoletani che è «Pronto il provvedimento che sospenderà gli abbattimenti delle case in vista di una soluzione». L'anticipazione del proclama è andata in onda ieri ai microfoni di radio Kiss Kiss, emittente legata a Mondadori che per conto del network napoletano gestisce in esclusiva la vendita dello spazio pubblicitario.
La sospensione degli abbattimenti è il cavallo di battaglia numero due delle ultime campagne elettorali: dopo il flop del miracolo dei rifiuti, via libera all'abusivismo edilizio, come alle scorse regionali. Una promessa che da due anni il Pdl prova a onorare tra decreti e leggine da far approvare in sordina al Parlamento, ma per ora nessuno stop agli abbattimenti della procura. Oggi pomeriggio alla Mostra d'Oltremare, per la chiusura della campagna elettorale di Gianni Lettieri, Berlusconi incasserà la ola di quelli che ruotano intorno al ciclo del cemento. «In Campania - osserva Michele Buonomo, presidente regionale di Legambiente - dove un terzo delle case degli ultimi dieci anni è abusivo, con decine di morti, e il business del cemento illegale è nelle mani della camorra, tale provvedimento può avere solo un effetto devastante». Un effetto soprattutto nei quartieri periferici, ad alta densità di abitanti e molti voti in palio, dove palazzoni e villette spuntano dalla sera alla mattina. Come si leghino mattone e successo elettorale, lo spiegano gli eletti. Se due anni fa a Ischia - dove gli abbattimenti aizzano la popolazione - il pieno di voti lo fece Mara Carfagna cavalcando la richiesta di fermare le ruspe, a Pianura, ultimo quartiere dormitorio prima dei Campi flegrei, tra i più votati c'è Pietro Diodato, ex An, poi Pdl, adesso Fli, quello che capeggiava la rivolta contro i migranti per liberare spazi, mentre il cognato, ex cutoliano, si accaparrava le proprietà dei suoli. Suo concorrente Marco Nonno, rimasto nel Pdl, ugualmente interessato agli sviluppi urbanistici del quartiere, su cui entrambi fondano il loro radicamento elettorale.
Lo chiamano l'Untore. "È un omino, piccolo, tarchiatello, stempiato, che passa quasi tutte le mattine all'Ufficio Condono Edilizio del Comune di Roma. Accede senza problemi alle stanze off limits, gli basta fare il nome del dirigente P. ed entra. Posa la sua ventiquattrore sulla scrivania del tecnico o del funzionario di cui ha bisogno, la apre, lascia sul tavolo la mazzetta e un foglietto con scritto il numero della pratica da "ungere", poi se ne va. L'ho visto io, con i miei occhi, decine e decine di volte".
Scene di straordinaria quotidianeità, al comune di Roma. A raccontarle è il testimone V., un tecnico che per undici anni ha lavorato in uno dei punti chiave del "sistema condono edilizio" della Capitale. In questi giorni viene ascoltato dalla Guardia di Finanza, nell'ambito di un'indagine su alcuni accessi abusivi al sistema informatico dell'Ufficio Condono. Dopo un fiume di denunce ed email al sindaco Alemanno, V. ha deciso di raccontare tutto a Repubblica. Un racconto sconvolgente che parte da un'affermazione netta: "Il condono edilizio è la più grande tangente che sia mai stata pagata nel Lazio".
La cupola e il tariffario
"All'interno dell'Ufficio Condono Edilizio - dice - esiste un clan, una cupola composta da alcuni inamovibili funzionari comunali e da almeno sette dipendenti di Gemma". Gemma è la società pubblico/privata che ha gestito per conto del Campidoglio le pratiche del condono fino al giugno del 2010. "Il potere di dare o rifiutare una concessione è tutto nelle mani del clan che quindi gestisce la tangente". Una tangente anomala, che pur provenendo da mille diversi rivoli finisce per riempire sempre la stessa mano. Quella del clan. Il meccanismo è molto semplice. Il cittadino deve essere spremuto ad ogni passaggio, da quando presenta la sua pratica, "i dipendenti chiedono soldi anche solo per dare il numeretto dell'eliminacode, 50 euro l'uno", a quando porta a casa la benedetta concessione.
Il problema con i condoni è sempre lo stesso: la gente pretende di mettere a posto opere che non si possono mettere a posto. Allora entra in ballo la cupola, che provvede a tutto. Basta pagare. Come in tutti i mercati organizzati, anche in questo racket esiste un tariffario. "La cifra varia a seconda dell'importanza dell'abuso e della "delicatezza" del luogo dove è stato costruito. Si va dai 5.000 ai 30.000 euro a condono, ma anche di più. Hanno offerto tangenti anche a me. Ho sempre rifiutato". Se invece la pratica è "buona", cioè sanabile, allora la si fa rimbalzare da un ufficio all'altro di Gemma finché qualcuno del Comune si avvicina al cittadino esasperato e gli dice chiaro e tondo: "La sua è una pratica difficile, si rivolga a uno studio tecnico privato", e gli passa l'indirizzo giusto. Quello di una delle solite cinque o sei "Società di sviluppo immobiliare", insomma geometri e architetti. Queste società nella migliore delle ipotesi sono "amiche" della cupola. Nella peggiore ne sono direttamente partecipate. L'Untore, per capirsi, lavora per una di queste.
I sistemi
Il pagamento della tangente è solo metà dell'opera. Perché poi bisogna saper aggiustare la pratica. E qui si entra nel campo dell'arte. In generale il sistema migliore è quello delle pratiche in bianco, buono per tutti gli abusi. "Negli ultimi giorni utili per presentare le domande, il dirigente G. si era inventato di "protocollare" alcune pratiche in bianco". Cioè dei fogli bianchi col timbro certificato del Comune ai quali aggiungere successivamente i dettagli dell'abuso. In teoria si potrebbe costruire una villa in un parco domani mattina e farla apparire condonata nel 2004. "Ancora oggi esiste un mercato di queste pratiche "pre datate". Costano 50mila euro l'una. Una notte, sotto i miei occhi ne vennero fabbricate 500".
Ma i sistemi sono anche più brutali. "Ho trovato pratiche con modelli "sbianchettati", nei quali erano state diminuite le metrature reali dell'abuso per rientrare nella sanatoria. Così si condona un appartamento di 200 metri quadrati facendolo passare per una verandina. Si possono sanare - con l'inganno - anche i "palazzi fantasma": si presenta una domanda di un abuso mai fatto corredata da una foto ad un palazzo qualunque, modificato con Photoshop, la si inoltra prima dello scadere del condono, e poi si costruisce dopo. Altre volte vengono aggiunti dei documenti nei fascicoli e, siccome non sono protocollati, gli impiegati se li passano al bar o dalle finestre".
I documenti e le prove
Il racconto di V. si fa forte di molte prove documentali. C'è la mail di un dipendente comunale che suggerisce al cittadino il solito studio tecnico privato "vista la situazione un po' burrascosa dell'ufficio". C'è la visura camerale dello Studio Tecnico S. che "incastra" un funzionario dell'Ufficio Condono: ne è il diretto proprietario. Uno di quelli col doppio lavoro. La sera in qualità di tecnici privati prendono i soldi della tangente, il giorno dopo come dipendenti comunali portano avanti la pratica. Ci sono alcuni esemplari dei suddetti modelli in bianco protocollati. Ci sono certificati di pagamento effettuati all'apparenza senza motivo, come quei 2.160.000 lire segnati su una pratica del 1986, una sorta di Gronchi rosa delle tangenti. E poi ci sono i bollettini di pagamento contraffatti, campi sportivi che cambiano dal nulla la destinazione d'uso e diventano parcheggi. Ci sono i documenti che testimoniano la pressione della direzione dell'Ufficio Condono per modificare la domanda per uno stabile di 3000 mq di una grossa società, scavalcando tutte le procedure.
"La corruzione in quegli uffici c'è dal 1995 ma ultimamente è diventata sempre più diffusa. E quanto al sindaco Alemanno, beh, è a conoscenza che ci siano pratiche manomesse e irregolari. Gemma gliel'ha scritto in più di una lettera".
Postilla
Mentre il governo si appresta a varare l’ennesima sanatoria – il decreto blocca ruspe – per i così detti abusi di necessità in Campania, comincia ad emergere nella sua devastante ampiezza il fenomeno della corruzione che alligna accanto a quello altrettanto devastante dell’abusivismo, degradando il nostro paese a livelli da quarto mondo quanto a civiltà amministrativa e capacità di governo del territorio. Il quadro che ne deriva è quello di una società ormai completamente indifferente ad ogni sistema di regole. Dal suo osservatorio privilegiato eddyburg denuncia da sempre il fenomeno dell’abusivismo che per quanto riguarda la capitale si tinge di un ulteriore gravissimo aspetto negativo, che è quello di devastare territori preziosissimi anche sotto il profilo culturale. Primo fra tutti l’Appia antica, area nominalmente a tutela integrale , soprattutto grazie alle battaglie di Antonio Cederna, dove, al contrario, le costruzioni abusive non sono mai cessate. Piscine, gazebo, capannoni, ville ampliate a dismisura anche in tempi recentissimi: esattamente sui resti archeologici di monumenti antichi secondo l’ormai intoccabile principio del “ciascuno padrone a casa propria” che ha di fatto obliterato l’art. 9 della Costituzione.
Le denunce che la Soprintendenza Archeologica ha condotto in assoluta solitudine, ma instancabilmente, in tutti questi anni, nell’indifferenza dell’Ente Parco, affaccendato su primule e poiane, non hanno mai trovato il benchè minimo riscontro presso gli uffici comunali. Cominciamo a capire perchè. (m.p.g.)
ROMA - Preti, costruttori, calciatori, avvocati. E poi circoli canottieri, associazioni culturali, malavitosi vari, e persino ristoranti e discoteche. Due cd insabbiati in un ufficio del Campidoglio per mesi, con dentro tutta "la Roma che conta". Eccolo il libro nero dell´abusivismo edilizio, l´indice dei "furbetti del terrazzino", e della verandina, del garage, della villetta, dell´appartamento extra lusso, dell´intero condominio. Una colata di cemento frazionata in 12.315 abusi che Repubblica è in grado di documentare.
LA CASTA DEL CEMENTO
Nomi, cognomi, indirizzi, inequivocabili foto aeree da quattro prospettive diverse, scattate prima e dopo l´abuso. Costruzioni fuorilegge in centro, a due passi dal Colosseo, in periferia, nei parchi protetti, in zone con vincoli paesaggistici così stretti che anche tirare su una cuccia per cani è un crimine. Strutture illegali tenute in piedi dalla pretesa di ottenere prima o poi l´assoluzione definitiva, che in edilizia si chiama appunto condono. L´hanno chiesto tutti. Anche di fronte a situazioni palesemente non sanabili. Come l´appartamento con terrazza e tendoni sbocciato all´improvviso su un tetto a ridosso di Piazza Navona, o la villa in marmo con piscina stile "Scarface" eretta di nascosto spianando trecento metri quadrati di bosco nel parco di Veio.
Il bello è che il comune di Roma sa tutto. Ha sempre saputo tutto. Perché sono stati gli stessi proprietari, certi dell´impunità, ad "autodenunciarsi". Hanno inoltrato la domanda di condono e così si sono iscritti nella lista degli abusivi, sulla base della quale l´amministrazione avrebbe dovuto "ripulire" la città dagli scempi, o quanto meno trarne qualche vantaggio economico, acquisendoli.
E invece il più immobile di tutti è stato ed è tutt´oggi il sindaco Alemanno. La lista fa la muffa da marzo dello scorso anno. Nemmeno un atto è stato notificato. Ruspe in deposito, vigili urbani ai semafori, abbattimenti zero. L´elenco contenuto in quei due cd si riferisce al terzo condono edilizio concesso dallo stato italiano, quello del 2003 (governo Berlusconi), intervenuto dopo le sanatorie del 1985 e 1994. Al comune di Roma arrivarono in tutto 85 mila richieste. Gemma Spa è la società privata che ha avuto l´incarico di valutarle, con l´ausilio di un sistema a fotografia aerea che ha mappato dall´alto, metro per metro, tutto il territorio romano tra il 2003 e il 2005. Un lasso di tempo non casuale: la normativa sul condono (L. 326/2003) concedeva la possibilità di sanare soltanto gli abusi ultimati tassativamente prima del 31 marzo del 2003.
Nel giugno scorso, poco prima che le venisse ritirato il mandato apparentemente perché incapace di smaltire il monte dei fascicoli ai ritmi concordati, Gemma consegna ad Alemanno il frutto del proprio lavoro, la lista dettagliata delle "reiezioni", le domande da respingere perché - a vario titolo - violano i termini della legge 326. 12mila manufatti (e Gemma non era arrivata a lavorare nemmeno la metà delle 85 mila domande). Perché così tanti romani hanno chiesto il condono per abusi evidentemente insanabili? Da chi avevano avuto la garanzia dell´impunità?
i protagonisti
Alemanno scorre con gli occhi l´elenco e suda freddo. Sa bene quello che prevede la legge, abbattere o acquisire. E sa altrettanto bene cosa ciò può comportare in termini politici: l´addio a migliaia di voti, alla simpatia dei grandi elettori, alle sintonia con gli ambienti che contano. Tra chi ha provato a fare il furbo chiedendo il condono per una struttura costruita ampiamente dopo il 31 marzo 2003 - i cosiddetti "fuori termine", circa 3.712 pratiche - spunta il nome di Luigi Cremonini, l´imprenditore modenese leader nel commercio della carne e proprietario di tre catene di ristoranti, che dal giorno alla notte si è costruito una terrazza modello villaggio vacanze in uno dei punti più pregiati di Roma, di fronte alla fontana di Trevi. O come Federica Bonifaci, figlia del costruttore Bonifaci (anche editore del Tempo) che ha dato un´"aggiustatina" alla sua casa ai Parioli.
Di vip o anche solo di personaggi e istituzioni in vista nell´elenco ce ne sono a volontà. Si va da Maria Carmela d´Urso, alias Barbara d´Urso al calciatore nerazzurro ed ex laziale Dejan Stankovic, da Luciana Rita Angeletti, moglie del rettore della Sapienza Luigi Frati, all´Istituto figlie del Sacro Cuore di Gesù. Le congregazioni religiose hanno una certa dimestichezza col cemento. Nella lista nera figurano le Suore Ospedaliere della Misericordia, la Procura Generalizia delle Suore del Sacro Cuore, quella delle missionarie di Madre Teresa di Calcutta e la Famiglia dei Discepoli della diocesi romana. Non mancano i templi dove la Roma bene ama riunirsi per celebrare i suoi riti di socialità. Il Parco de´ Medici sporting club, il country club Gianicolo, il Tennis Club Castel di Decima, la discoteca Chalet Europa nel parco di Monte Mario. E nemmeno le ville mono e bifamiliari con piscina dell´alta borghesia, cresciute come gramigna nel parco di Veio, ai lati di via della Giustiniana, la strada più abusata di Roma. Ancora, scorrendo la lista balzano agli occhi decine di società immobiliari, alcuni distributori di carburante della Esso e la sede centrale della "Fonte Capannelle Acque Minerali" nel parco dell´Appia Antica. L´aspetto più buffo o forse drammatico è che nell´elenco dei più furbi tra i furbi compaiono anche molte aziende comunali di servizio, come l´Ama, l´Acea e addirittura Risorse per Roma, la municipalizzata che da gennaio ha il compito di occuparsi proprio delle pratiche di condono.
l´abuso del comune
Ma il top lo si raggiunge con la pratica numero 577264 contenuta nel faldone riservato alle richieste di sanatoria nei parchi. Bene, a guardare sotto la voce "proprietario" dell´abuso si scorge l´incredibile dizione "Comune di Roma" (ovviamente residente in "via del Campidoglio 1"). In sostanza: il Comune è contravvenuto alle proprie regole e poi si è chiesto da solo il condono sapendo benissimo di non poterselo dare. La manovra serviva a "legalizzare" un´opera abusiva in via del Fontanile di Mezzaluna, in pieno parco del Litorale romano dove i limiti all´edificazione sono strettissimi. Come del resto negli altri undici parchi di Roma. Che, ciononostante, sono probabilmente l´obbiettivo preferito dagli speculatori. E forse proprio per questo la Regione Lazio, con la legge 12 del 2004 aveva messo dei paletti all´ultimo condono: «Gli abusi realizzati nei parchi e nelle aree naturali protette - dice la norma - non sono sanabili».
Parole vane. Il comune oggi si ritrova, nero su bianco, 2099 domande (compresa la sua e quelle delle sue aziende) di condono per porzioni di villette, garage, interi fabbricati. Veio, Decima Malafede, Marcigliana, Appia Antica, Bracciano Martignano, Tenuta di Acquafredda. Non uno dei parchi di Roma è rimasto immacolato.
Chi c´è dietro? Ancora una volta l´occhio scorre sugli elenchi e individua i nomi grossi della città. Come Tosinvest spa, la finanziaria della potentissima famiglia Angelucci, i signori delle cliniche private nonché editori di Libero e il Riformista. A nome di Tosinvest spa ci sono tre domande di condono per una struttura aziendale nel parco dell´Appia Antica. In quello di Veio c´è un abuso a nome di Acea Spa, il colosso dell´energia e dell´acqua per metà pubblico (proprietà appunto del comune di Roma), in parte nelle mani del costruttore Francesco Caltagirone. Siccome il giochino era molto semplice, in molti hanno esagerato. Fanno impressione ad esempio le 28 domande di condono chieste per lo stesso indirizzo, via Cristoforo Sabbatino 126: un intero complesso di case in pieno Litorale Romano, a nome di Abitare Srl.
il business del condono
La procura di Roma si è accorta che qualcosa non va. Pochi giorni fa ha sequestrato, negli archivi di Gemma, 5000 pratiche fuori termine. Vuole capire perché non sono state notificate ai proprietari. La verità è che impostate così, con le domande presentate e automaticamente insabbiate dal comune, senza ruspe né multe, senza procedimenti né scandali, le sanatorie edilizie sono uno dei business più redditizi e politicamente più convenienti. Fanno girare soldi, ingrassano le casse delle amministrazioni quel tanto che basta e non scontentano nessuno. Dal 1994 al 2000 (giunta Rutelli) il comune di Roma ha incamerato 383 milioni di euro grazie alle 251 mila concessioni rilasciate per i precedenti condoni. Il successore di Rutelli, Veltroni, è stato anche più fortunato: dal 2001 al 2005 le concessioni, circa 84 mila, hanno fruttato mezzo miliardo di euro. Una montagna di soldi, spalmata in oneri di urbanizzazione e costi di costruzione, sborsata dai proprietari per "perdonare" il mattone nato illegale. Il segreto è non arrivare mai alle demolizioni. Che spezzerebbero la catena di interessi che tiene in piedi tutto. Ma cosa muove la macchina del mattone selvaggio nella capitale? Chi ha voluto che prosperasse indisturbata per anni? Dove si inceppava il sistema dei controlli?
il porto delle nebbie
Prima partecipata dal Comune, poi vincitrice dell´appalto esclusivo per il condono nel 2006 come società privata, Gemma a fine anni Novanta viaggia a una media di 24 mila pratiche, o meglio concessioni, all´anno. Nell´ultimo decennio la media scende a 12 mila, fino alle misere 1103 del 2007. Risultati al di sotto degli standard del contratto di servizio, per i quali comune e Gemma si accusano reciprocamente. «Fino all´agosto del 2009 (quando viene stipulato un nuovo contratto di servizio, ndr) non abbiamo mai avuto accesso libero alle pratiche - sostiene Renzo Rubeo, presidente di Gemma - quelle da lavorare le sceglieva l´Ufficio Condono». Fatto sta che, nonostante la lentezza, Gemma negli anni viene regolarmente pagata fior di milioni, e questo insospettisce i pm romani che mettono sotto indagine tutti i vertici dell´azienda, a cominciare da Rubeo, e gli ultimi due assessori romani all´Urbanistica, Roberto Morassut del Partito Democratico e Marco Corsini, della giunta Alemanno. Il sospetto/certezza degli investigatori è che Gemma fosse un carrozzone, una sorta di Bancomat della politica. E che tutti sapessero delle concessioni troppo facili. Sospetti pesanti, messi nero su bianco da uno degli ultimi direttori dell´Ufficio Condono nominato da Veltroni, l´avvocato Roberto Murra, in un documento confidenziale a uso interno. «Dietro tali procedure - scrive Murra al sindaco nel 2007 - spesso si è nascosta la tentazione di poter agire al limite della norma se non, addirittura, in esse si è annidato il malaffare».
Pure il sistema informatico "Sices" della Unisys, utilizzato per la lavorazione dei fascicoli, è sotto accusa: la Guardia di Finanza ha dimostrato che i dipendenti dell´Ufficio Condono avevano la possibilità di accedervi e modificare i fascicoli senza lasciare traccia. Un porto delle nebbie, appunto, dove ancora giacciono 250 mila pratiche. Secondo Gemma almeno la metà sono da rigettare. Per ora però non si muove una ruspa. E i furbetti dormono sogni tranquilli. Sotto un tetto abusivo.
ROMA - Lotta all´abusivismo: per difendere, oltre al territorio e all´ambiente, anche l´industria del turismo. Alla vigilia del Convegno nazionale in cui il Fai (Fondo per l´ambiente italiano) riunirà dal 25 al 27 febbraio alla Città della Scienza di Napoli i propri delegati e volontari, la presidente onoraria Giulia Maria Crespi lancia insieme al Wwf una campagna di mobilitazione contro la norma governativa - contenuta nel cosiddetto "decreto Milleproroghe" - che annulla di fatto le demolizioni delle costruzioni abusive in Campania. «Non posso credere che il governatore Stefano Caldoro porti avanti un´operazione destinata fatalmente a danneggiare la regione e i suoi cittadini».
Per voi, si tratta di un altro condono mascherato?
«Peggio ancora. Avallare un condono, dopo tre gradi di giudizio che hanno prodotto sentenze penali definitive, significa dare uno schiaffo alla magistratura e a tutta la giustizia italiana».
Perché lo giudicate tanto grave?
«Non grave, gravissimo. Per il fatto che non si annullano le demolizioni soltanto per gli abusi - diciamo così - normali, ma anche per gli edifici costruiti in aree vincolate. E allora mi chiedo: quanti saranno i disastri idro-geologici provocati dal mancato rispetto di questi vincoli? Quante sono le fabbriche o i capannoni realizzati negli alvei dei fiumi? Quante strade sono a rischio di frane o smottamenti? È una situazione che mette in pericolo anche tante vite umane».
Un condono, poi, è sempre diseducativo…
«Certamente. È un precedente, costituisce un cattivo esempio per il futuro. Così si alimenta la convinzione che, prima o poi, arriva una sanatoria. E alla fine, è sempre il cittadino onesto che paga».
In polemica con il governo, gli ambientalisti l´hanno definito un provvedimento "ad regionem".
«Sì, ma - come si sa - la mela marcia guasta anche quelle buone. Molte altre regioni si sentiranno autorizzate a fare altrettanto. In Lombardia, per esempio, il governatore Formigoni ha già puntato il dito contro i Parchi».
Ma il provvedimento per la Campania non è limitato alle "prime abitazioni" e a coloro che le "occupano stabilmente"?
«Guardi, io ho cinque figli. Se assegno a ciascuno una "prima casa", il problema è presto risolto. Fatta la legge, insomma, trovato l´inganno».
Al di là dei danni ambientali, voi temete anche un contraccolpo economico?
«Alla lunga, non credo che le grande aziende rimarranno in Italia. Sono i flussi della storia. Di immobile, invece, noi abbiamo il paesaggio e la bellezza. I Faraglioni non si possono trasferire da Capri in Cina né il Colosseo a New York. Ecco perché dobbiamo tutelare e valorizzare il patrimonio che abbiamo: è la principale attrattiva turistica del nostro Paese».
Purtroppo, in questo momento l´Italia non gode di una grande reputazione…
«Quando torna dall´America, dove insegna all´università, il mio amico Francesco Giavazzi mi racconta spesso che lì si parla più o meno male della nostra situazione politica ed economica, ma sempre bene della bellezza italiana. È vero, quando leggo i giornali stranieri e vedo il nostro Paese così bistrattato, ne provo vergogna. Ma per i turisti di tutto il mondo il viaggio in Italia continua ad avere un forte richiamo. Se continuiamo però a rovinare il paesaggio, l´Italia perderà sempre più fascino a livello internazionale».
Il suo tono sembra particolarmente accorato.
«Ho trascorso recentemente qualche giorno di riposo a Sirmione, dove andavo in vacanza da ragazza e avevo imparato a memoria i versi di Catullo in latino. Ora c´è cemento ovunque, si parcheggiano le automobili ai bordi del lago e non si può più neppure passeggiare. Per merito della Sovrintendenza che ha fatto un lavoro encomiabile, s´è salvato soltanto il piccolo promontorio con la casa di Catullo».
E al governo, intanto, che cosa manda a dire il Fai?
«Non dobbiamo più parlare soltanto di escort. Dobbiamo preoccuparci del patrimonio comune. Bisogna salvaguardare l´integrità dell´Italia: l´unità nazionale si difende anche attraverso il paesaggio e il turismo».
La decisione è contenuta del decreto Mille Proroghe. Lo stop alle ruspe sarebbe valido anche nelle aree vincolate, in una regione attraversata da strumenti di tutela ambientale e piani paesaggistici che interessano il 60% del territorio
Ci riprovano. Stavolta con un emendamento al “mille proroghe”, che ha ottenuto l’ok in commissione parlamentare. L’obiettivo della maggioranza di governo è lo stesso contenuto nel decreto legge della primavera dell’anno scorso, miseramente naufragato in sede di conversione: fermare sino alla fine dell’anno, al 31 dicembre 2011, gli abbattimenti degli immobili abusivi in Campania. E nella sola Campania. Molte le analogie tra oggi ed allora. A cominciare dal primo firmatario del provvedimento, il senatore Pdl Carlo Sarro, avvocato amministrativista che non disdegna la difesa di persone e imprese colpiti da procedimenti di demolizione. Questa volta però lo stop alle ruspe sarebbe valido anche nelle aree vincolate, in una regione attraversata da strumenti di tutela ambientale e piani paesaggistici che interessano il 60% del proprio territorio: le isole, le aree costiere, le colline, le aree di naturale espansione urbanistica per effetto delle nuove esigenze abitative e della crescita demografica. Ma c’è anche un 10% dei comuni campani sprovvisto di piani urbanistici, dunque in ritardo di 68 anni rispetto alle leggi. Cento comuni dispongono solo dei vecchi piani di fabbricazione, cancellati nel 1982. Norme e prassi preistoriche che hanno favorito il proliferare dell’illegalità.
L’emendamento Sarro funzionerebbe da “salvacondotto” per tutti i casi di mattone selvaggio, a prescindere dalla data di realizzazione dell’abuso. Purché si tratti di prima casa, in uso a persona o famiglia che non dispone di altre risorse abitative, che non rappresenti un pericolo per l’incolumità di chi la occupa. Altrimenti le ruspe potrebbero intervenire comunque. L’emendamento però non riapre i termini del condono, ma secondo il senatore Sarro “consentirà alla Regione di avere il tempo necessario per riscrivere i piani paesaggistici”. E quindi di allentare i vincoli. Comunque si guadagna tempo per sperare in un condono vero e proprio.
Nel decennio 1994 – 2003, quello che riguarda l’ultimo condono, sono state registrate nella sola Campania 76.836 opere abusive. E’ un record nazionale. Qui si concentra circa il 20% delle illegalità edilizie tricolori. In pratica, più di un abuso ogni cento abitanti. In Campania sono circa 65.000 i manufatti interessati da una sentenza penale di condanna passata in giudicato, con la sanzione accessoria dell’abbattimento e del ripristino dello stato dei luoghi. Per iniziare ad eseguire le decisioni della magistratura dopo anni di inerzia, dal 2008 la Procura generale di Napoli ha istituito un pool, coordinato da Ugo Riccardi. Il team di toghe si avvale del lavoro prezioso della sezione Ambiente della Procura di Napoli, guidato da Aldo De Chiara. Poche settimane fa scritte minacciose all’indirizzo di De Chiara e del governatore della Campania Stefano Caldoro sono state ritrovate su un auto parcheggiata a pochi metri di distanza dalla casa del papà di Caldoro, sull’isola d’Ischia. Un’isola interessata da 774 sentenze di demolizione, diverse delle quali già eseguite, tra proteste, tafferugli, e migliaia di persone a chiedere un nuovo condono e ‘la salvezza’ delle case abusive.
Secondo il rapporto Ecomafie 2009 di Legambiente, è la provincia di Salerno a collezionare il maggior numero di casi di abusivismo. Sarebbero 93.000 le aree che risultano libere al catasto, e che in realtà sono occupate da case senza licenze e autorizzazioni. La frenesia edilizia contagia principalmente le due costiere, quella amalfitana e quella cilentana. Ma non si scherza nemmeno nell’agro-nocerino-sarnese, dove negli ultimi vent’anni 27.000 persone sono state denunciate per abusi edilizi, praticamente il 10% della popolazione residente.
Giugliano (Na). La città-sversatoio della Campania, soffocata da tonnellate di ecoballe e da rifiuti depositati ovunque, vanta anche altri tipi di statistiche poco tranquillizzanti: 500 immobili sequestrati, tra case e locali commerciali, e 900 ordinanze di demolizione. Nei primi mesi del 2010 qui sono stati eseguiti otto abbattimenti sul litorale.
Castelvolturno (Ce). E’ interessata da 15mila pratiche di condono (dati del 1985) su circa 50mila unità immobiliari lungo la parte centrale del litorale domizio. Nel 1994 se ne sono aggiunte altre 3000. A Villa Literno il piano messo a punto dalla Procura generale prevederebbe 37 abbattimenti, i primi per circa 500 case abusive censite. E nella vicina Casal di Principe, la capitale di Gomorra, il luogo della cattura del boss latitante Antonio Iovine, le case abusive sarebbero circa 1000.
Costiera sorrentina (Na). Nel 2004 gli uffici tecnici dei paesi leader del turismo campano sono stati travolti da circa 3000 istanze di condono, di cui 600 nella sola Massa Lubrense, dove è nato un agguerrito comitato antiruspe, che l’anno scorso organizzò un convegno col senatore Sarro e il sindaco Leone Gargiulo. Per i condoni 1985 e 1994 le pratiche di condono furono in tutto 4260. Nel 2004 a Sorrento sono state presentate 650 istanze (2750 nei due precedenti condoni), 450 a Vico Equense (3600 in precedenza). Sant’Agnello è stata interessata 388 domande (ma ne pendevano già 1500 circa). A Piano di Sorrento i dati sono i seguenti: 630 pratiche nel 2004, 2000 negli anni precedenti. A Meta, infine, 250 nel 2004 e 2500 le istanze precedenti. Nella vicina area stabiese sarebbero circa 300 le demolizioni da eseguire, circa 150 nella sola Castellammare di Stabia. A Gragnano tra gli edifici a rischio abbattimento c’è pure la sopraelevazione di una villa appartenente a un boss di camorra.
Michele Buonomo. Il presidente campano di Legambiente va giù durissimo. “Questo emendamento è indecente, è uno schiaffo alla lotta contro l’abusivismo che, come testimoniano i morti di Sarno e Ischia, mina la sicurezza del territorio e mette a rischio la vita delle persone. E’ la vittoria dei faccendieri alla Cetto Laqualunque”.
GELA - In quanto tempo si può costruire secondo voi una casa di tre piani? In un anno? In due? In Sicilia, c´è qualcuno che l´ha fatto in ventuno giorni e in ventuno notti. E fra pilastri e muri portanti ogni particolare è stato ben curato e rifinito, nelle stanze di sotto e anche in quelle di sopra, in cantina, in terrazza. Per il momento il signor N. F. nella sua casa non ci potrà abitare - è stato denunciato sette volte per abusivismo e per sette volte i carabinieri hanno messo i sigilli all´immobile - ma lui sa già che prima o poi lì dentro farà entrare la sua numerosa famiglia.
Siamo tornati a Gela dopo un lungo distacco e quaggiù, estremità aspra che si affaccia sul Mediterraneo, è ancora difficile capire se il vero miracolo sia quello riuscito al signor N. F. che in meno di tre settimane ha visto nascere il suo palazzo oppure quell´altro inseguito dal 1968 e finalmente apparso alla città intera in questa fine d´estate. Si materializzerà a tutti il prossimo 24 settembre con tanto di timbro e pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale: dopo quarantadue anni di attesa anche Gela avrà il suo piano regolatore generale, dopo quarantadue anni di scorribande edilizie anche a Gela si dovrà costruire secondo legge come nel resto d´Italia.
Il problema del signor N. F. forse era proprio questo: fare in fretta, avere pronto il suo nuovo alloggio prima del 24 settembre 2010. Prima del piano regolatore.
La guerra delle case in Sicilia non è mai finita e se volete scoprirne di più seguiteci in questo viaggio che s´inoltra in una casba, una delle tante sull´isola, Gela come metafora dell´abusivismo più primitivo, un marchio di capitale del male che si porta dietro per una faida mafiosa ormai lontana e un oggi scivoloso ma non più disperato, appeso al desiderio di non morire di cemento.
E allora eccoci ancora nella Gela delle sue incoerenze più violente, dove fra le mura di Caposoprano cercano la tomba di Eschilo e dove intorno a una casa color rosso pompeiano in via dell´Ara Pacis il paesaggio urbano è un gigantesco blocco di tufo giallo, cubi, scheletri, porte e finestre murate che si inseguono fino a quando la casa a tre piani di N. F. svetta in un cielo blù dove non si spingono nemmeno i fumi del Petrolchimico.
La prima volta hanno sequestrato il cantiere a gennaio, quando le ruspe scavavano ancora per le fondamenta. Il giorno dopo qualcuno ha violato i sigilli e qualcun altro ha continuato a spostare terra. Sono arrivati altri sigilli e sono stati chiamati altri operai, nuove denunce e tre imprese che si sono alternate per i lavori anche con il buio. Al diciottesimo giorno a N. F. è stato notificato l´obbligo di firma, ogni mattina e ogni sera costretto a passare in caserma. Ma alla fine la sua casa adesso è la, come lui la voleva.
Quello di via dell´Ara Pacis è uno dei 174 edifici sequestrati dall´inizio dell´anno a Gela (nel 2009 erano stati 192), quando la frenesia costruttiva è divampata un´altra volta. In vista del Piano regolatore la giostra del mattone ha ricominciato a girare.
Dalla via dell´Ara Pacis scendiamo verso il lungomare e fra la collina e le dune di sabbia, all´angolo di via Federico II°, i gelesi hanno assistito a un altro miracolo: una villetta di cento metri quadri con i tetti spioventi come uno chalet di montagna, tirata su fra le palme. «Il proprietario del terreno non sapeva niente fino a quando non gli è stato notificato l´ordine di demolizione, un altro è andato lì e ha costruito», racconta Giampiero Occhipinti, il comandante della sezione di polizia giudiziaria dei vigili urbani che indaga sui crimini urbanistici. Spiega Occhipinti: «Rispetto al passato gli abusi sono cambiati: prima costruivano solo nuove case, adesso la metà degli abusi riguardano sopraelevazioni, secondi e terzi piani». Come la palazzina di fronte all´assessorato urbanistico, in via Chopin. Piloni, travi e un altro tetto «spuntato» prima di Ferragosto.
Ma se una volta, 30 o 40 anni fa - quando Enrico Mattei ha portato gli stabilimenti dell´Eni e Gela ha cominciato a vivere il suo sogno texano, dilatandosi esagerata e fino a contare 100 mila abitanti - tutti dicevano che era abusivismo «di necessità», in questi mesi si fanno case fuorilegge per figli e nipoti, ville e villoni. E tra almeno 20 mila immobili costruiti senza uno straccio di autorizzazione e almeno 16 mila richieste di condono insabbiate, non è mai stato demolito neanche un muretto. E´ un altro dei miracoli di questa città in bilico fra lo sprofondare nel passato e la voglia di cambiare. «Adesso però si volta pagina», giura Angelo Fasulo, avvocato che è sindaco da tre mesi, «adesso c´è uno strumento urbanistico di programmazione generale vero. Sappiamo cosa dobbiamo fare e dove dobbiamo farlo». Avverte il sindaco: «Non è più il tempo delle incertezze né il tempo di pensare che per costruire una casa bisogna trovare l´amico giusto. Ora c´è solo la legge da rispettare, ci saranno delle demolizioni, Gela deve tornare quello che era prima: una bella città della Sicilia».
Purificare il territorio, eliminare gli orrori. Ma come? Il nostro viaggio ci trasporta a Scavone, sfioriamo le palazzine pericolanti dell´Istituto Autonome Case Popolari - da una dozzina di anni disabitate, abbandonate, carcasse che pencolano minacciose davanti ai lidi dove montagne di sabbia scendono a picco su un mare verdastro - e poi a Settefarine, che è il tracciato più antico del labirinto gelese. Via Boccanegra, via Ghirlandaio, via Juvara, via Indovina. Non c´è un albero, solo il tufo giallo che acceca e che soffoca. E poi le strade dei santi: via Santa Rita, via San Cristoforo, via San Giuseppe, via San Camillo. Case una attaccata all´altra, una dentro l´altra. «Tutta colpa di chi ci ha amministrato: non hanno dato regole, nessuno si è mai preso una responsabilità, l´assessorato all´Urbanistica non ha mai funzionato, lì dentro ognuno fa quello che gli pare», denuncia Giovanni Peretti, un imprenditore che per vedere approvato il progetto del suo albergo ha dovuto aspettare otto anni. Su e giù ogni giorno fra l´assessorato all´Urbanistica e il niente, una terra di nessuno che ha favorito i furbi e i ladri. E i soliti funzionari dell´Urbanistica. Sempre gli stessi. Sfregiata più dalla burocrazia che dalla mafia, Gela si contorce nelle sue deformità.
Lunedì 13 settembre - il giorno della cerimonia di presentazione del piano regolatore - alla procura e alle redazioni dei quotidiani locali è arrivato un anonimo. La lettera di un abusivo: «Sono proprietario di un terreno con destinazione d´uso agricolo... per 25 anni ho fatto istanza per variare la destinazione ma mi hanno rigettato la domanda perché non c´era il Piano regolatore». L´anonimo racconta che ha provato ad acquistare una casa - in cooperativa, edilizia popolare - ma gli sarebbe venuta a costare più di 220 mila euro. Concludeva: «Così per avere un tetto nella stessa periferia nord, visto che il Prg non arrivava mai, sono diventato un abusivo».
Abusivi non si nasce ma si diventa, anche a Gela che ha sempre avuto una mala fama. Ma da questo settembre tutto cambierà, vero? «L´abusivismo non è una calamità naturale e non è necessariamente frutto di una mentalità, qui ha avuto inizio in un periodo ben determinato e ha avuto delle ragioni ben determinate, questo ha sedimentato abitudini», risponde il procuratore capo della repubblica Lucia Lotti che ha dichiarato una guerra senza tregua a piccoli e grandi scempi. E soprattutto a chi favorisce o protegge il business di mattone selvaggio.
Da qualche mese a Gela sequestrano anche gli impianti che forniscono calcestruzzo agli abusivi. A qualcuno viene dato il divieto di dimora in città. Ad altri, come al signor N. F., l´obbligo di presentarsi due volte al giorno in caserma. Ma tra una firma e l´altra sul librone dei «sorvegliati», come abbiamo visto, ha trovato il modo di farsi - e di corsa - la sua nuova casa.
Silenzio-assenso per chi vuole costruire
Azzerate le autorizzazioni ambientali
di Valentina Conte
Case, alberghi, ipermercati e infrastrutture: passa la norma fai-da-te - Pd e Legambiente: "Effetti devastanti per il territorio, via al banditismo urbanistico" - I Verdi: "Favoriti i grandi speculatori già beneficiati dal federalismo demaniale"
ROMA - Costruire, mai stato così facile. Da oggi non occorre più alcun permesso. Basta una banale segnalazione di inizio attività, certificata da un "tecnico abilitato", la Scia, e il gioco è fatto. Unico requisito: essere un´impresa. D´un colpo, spariscono dunque tutte le altre "carte": autorizzazioni, licenze, concessioni, nulla osta. E con loro anche le procedure e i controlli essenziali per la tutela del territorio e la lotta all´abusivismo. Sparisce così la Dia, applicata finora a ristrutturazioni e manutenzioni, sostituita e ampliata dalla Scia. Con il rischio che tirare su case, alberghi, ipermercati, persino infrastrutture alla fine diventi un´attività fai-da-te, facile e insicura.
Le nuove norme sono frutto dell´ultima opera di ritocco all´articolo 49 della manovra di Tremonti, martedì all´esordio in aula. Tema generale: la semplificazione. In base al principio "un´impresa in un giorno", si potranno inaugurare ristoranti, internet point, ma anche armerie e depositi di carburante con una semplice autocertificazione, senza controlli preventivi, senza chiedere permessi, neanche alla questura. In campo edilizio, la procedura è ancora più veloce. Si apre un cantiere, dove si vuole, segnalando l´intenzione a costruire e facendola certificare da un tecnico. Trascorsi trenta giorni senza che l´amministrazione abbia contestato quell´intenzione per carenza dei requisiti, il gioco è fatto, in attesa di eventuali controlli ex post.
Non solo. Le autorizzazioni paesaggistiche (rilasciate ora da sovrintendenze o regioni) vengono fatte rientrare nell´ambito della conferenza dei servizi e sottoposte dunque al principio del silenzio-assenso: se il parere non arriva entro i termini, è considerato positivo. Infine, anche ottenere la Via (valutazione di impatto ambientale) sarà più facile, perché rilasciata non più solo da ministero dell´Ambiente e Regione, ma "appaltata" a università ed enti pubblici.
«Così salta tutta la normativa di tutela ambientale e il regime delle autorizzazioni in vigore da sempre in Italia, cancellando con un colpo di spugna l´articolo 9 della Costituzione e il Codice dei beni culturali, varato proprio dal governo Berlusconi», sbotta Salvatore Settis, archeologo e direttore della Normale di Pisa. «E poi come può l´università rilasciare la Via, se non ha alcun compito di tutela?», prosegue. «Eliminare la burocrazia e garantire tempi certi non può tradursi in un "tana libera tutti"», aggiunge Ermete Realacci, deputato Pd e presidente onorario di Legambiente. «Si introduce il far west urbanistico e si dà il via al banditismo edilizio», attacca il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli. «Questa norma continuerà ad arricchire i grandi speculatori edilizi a cui il governo ha già incartato un regalo enorme con il federalismo demaniale che svende beni e terreni dei cittadini italiani per dare il via alla più grande speculazione edilizia della storia della Repubblica» prosegue Bonelli. «A fare le spese di questa politica sciagurata saranno ovviamente i cittadini onesti che hanno seguito le regole per costruirsi una casa, ma anche l´ambiente e il territorio italiano su cui insistono quasi 500 mila frane e che è letteralmente a pezzi, come dimostrano i disastri degli ultimi anni».
Si dice preoccupato anche Roberto Della Seta, capogruppo Pd in commissione ambiente del Senato: «Con questa norma, in pratica viene abolito il permesso a costruire e si introduce una sorta di condono preventivo. E non solo per le imprese. Anche i privati interessati possono fare una società e tirare su un villino. Così si rischia una nuova Punta Perotti». «E di vanificare anche le norme antisismiche, rafforzate dopo il terremoto dell´Aquila», gli fa eco Francesco Ferrante, senatore Pd, che insiste: «L´errore è pensare di risolvere la burocrazia con l´abolizione dei controlli».
Mille foto sugli scempi edilizi gli italiani rispondono all´appello
di Maurizio Bologni
SUVERETO - Il palazzo rosa che devasta lo sky line della Torre di Pisa e i silos che deturpano tanta campagna italiana, il campanile che Oliviero Toscani chiama rampa di lancio per missili e una pala eolica tra le vigne, tetre villette ed ecomostri, squallidi capannoni e mesti condomini "adornati" di antenne satellitari e bandiere dell´Italia. Dalla Toscana a Napoli, dalla Sicilia alla Brianza, tutto il brutto del paesaggio in mille foto scattate dagli italiani. E inviate a Oliviero Toscani e Salvatore Settis, animatori del progetto Nuovo Paesaggio Italiano. "Fate delazione, denunciate lo scempio" è l´appello. Primo step dell´iniziativa, ieri sera a Suvereto nella campagna toscana della Val di Cornia, dove Toscani, Settis e i loro tanti amici hanno srotolato davanti alla cantina Petra una striscia in vetroresina e legno, lunga cento metri e larga quasi due, che in double-face riproduce 500 immagini dello scempio italiano. Il rotolo è adesso un tunnel che rimarrà in mostra fino al 30 ottobre, completato da altre immagini e testimonianze di intellettuali all´ingresso dell´avveniristica cantina. «Quello che fu il Bel Paese - spiega Settis - è invaso dalle armate nemiche: ecomostri grandi e piccoli si insediano in valli, colline, dune, scenari naturali di grande bellezza, e li devastano irreparabilmente. Di fronte a questa peste, istituzioni, politici d´ogni colore, quasi sempre tacciono, complici del brutto che avanza». Il direttore della scuola normale di Pisa ha denunciato il caos e il vuoto normativo: «Ieri in Commissione Bilancio al Senato è stato votato un emendamento che cancella tutte le norme». E ha puntato il dito sul caso Sardegna: «Ci sono decine di villaggi abbandonati a pochi metri dal mare e intanto ne costruiscono di nuovi sulla spiaggia. Recuperino piuttosto quelli già esistenti».
Il brutto del paesaggio è dunque adesso una esposizione ma anche un cantiere aperto: arriveranno altre foto, si faranno altre mostre in tutta Italia dopo questa ospitata qui a Petra dall´imprenditore Vittorio Moretti.
Piccola storia nordista di abusi privati e pubbliche lentezze. Protagonista: Reitano Antonino, costruttore abusivo con vocazione d’assessore. Luogo: Desio, città della Brianza. Tempo: il nostro, con i politici, gli affaristi, gli avventurieri. Questa piccola storia comincia nel 1999, quando una pattuglia di vigili urbani – ma ora si chiamano polizia locale – vede un piccolo cantiere su un’area agricola. Qualcuno sta per costruire una villetta. Abusiva. Un cubo di cemento, da far invidia alle ville pastrufaziane tanto odiate da Carlo Emilio Gadda. Identificano il proprietario del manufatto in costruzione: Reitano Antonino, appunto, nato a Rosarno (Reggio Calabria) ma residente a Cusano Milanino, ridente paesone a ridosso di Milano. Comincia quel giorno una complessa procedura per fermare l’abuso. Al signor Reitano viene intimato di abbattere il manufatto. Lui non abbatte, anzi procede nella costruzione, fino a terminare la villetta. Nel 2004 i vigili tornano. Intimano ancora. Ma ci sono i ricorsi, le carte bollate, il Tar, l’ufficiale giudiziario, le perizie, le carte catastali, le delibere di giunta. E gli amici, e gli amici degli amici. Nel 2008 sembra cosa fatta. Anche se Reitano Antonino resta tranquillo nella sua casetta: “Ma cosa volete da me”, dice ai vigili, “il geometra mi ha detto di costruire, tanto poi arriva il condono”. Quale geometra, gli chiedono i vigili-poliziotti locali. “Il geometra Perri”, risponde serafico Antonino. Attenzione. Questo è un nome che pesa, in Brianza. Rosario Perri, detto “il cardinale nero”, per 40 anni è stato il ricercatissimo dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di Desio. Potente più d’un sindaco, più d’un assessore. Molto amico dell’ex assessore regionale Massimo Ponzoni (oggi plurindagato) e punto di riferimento della composita comunità calabrese della Brianza. Ora Perri ha fatto il salto ed è diventato anche lui assessore, nella giunta Pdl della Provincia di Monza e Brianza. Pure i cardinali, però, a volte sbagliano le previsioni: il condono non è arrivato. E così la villetta abusiva resta abusiva. Nel 2009, però, questa storia ha un colpo di scena: Reitano Antonino, 63 anni, geometra, ex imprenditore, rimette in fila il suo nome e cognome, si presenta alle elezioni, fa la sua campagna elettorale e viene eletto in consiglio comunale nel paese dove ha la residenza, Cusano Milanino (a Desio non la può spostare, la residenza, perché la villetta a cubo resta abusiva). Sceglie il partito giusto, il Pdl. Vince le elezioni e lo fanno assessore. Quale assessorato, vi chiederete? Al Verde, naturalmente. Per competenza acquisita sul campo. Con delega “a parchi e riqualificazione aree verdi”. Commenta Giuseppe Civati, consigliere regionale del Pd: “L’abusivismo è, purtroppo per il territorio lombardo, un vizio di alcuni esponenti del Pdl, soprattutto di quelli che dalle loro cariche istituzionali dovrebbero occuparsi di tutelare l’ambiente. Adesso capiamo perché per tanti anni si sono chiamati Casa della libertà, e anche cosa s’intendeva per libertà”. La villetta abusiva dell’assessore al Verde, intanto, undici anni dopo, è ancora in piedi. È stata invece abbattuta una costruzione edificata senza permessi, lì vicino. Ma era una baracca di rom.
Ieri sul Corriere della Sera, Gian Antonio Stella denunciava il nuovo tentativo (il terzo in cinque mesi) di parlamentari del Pdl per portare a casa il quarto condono edilizio. Il manifesto è stato in questi mesi in prima fila nel denunciare l’ennesimo regalo all’illegalità con numerosi articoli di Edoardo Salzano e di chi scrive. Finora le denuncie non sono servite ad interrompere la staffetta degli eletti del popolo amici degli abusivi. Primi in ordine di tempo (gennaio 2010) Nespoli e Sarro entrambi deputati eletti in Campania. Il primo sindaco di Afragola con una richiesta di arresti domiciliari. Dopo le elezioni regionali il testimone è passato a tre senatori, due dei quali padani e dunque senza interessi in materia, visto che la vicenda riguarda quasi esclusivamente il sud d’Italia. Terzo turno: il testimone torna alla Camera dei deputati altri tre campani, Cesaro, Petregna e Stasi, probabilmente alfabetizzati, avendo svolto ruoli negli organi della tutela statale.
La staffetta non si può fermare per due buoni motivi. Il primo è che il Pdl ha condotto la campagna elettorale per le regionali in Campania, in Calabria e a Fondi, nel sud del Lazio promettendo il condono. Hanno vinto grazie a queste promesse: è ovvio che cerchino di non perdere la faccia.
Ma oltre a questa, esiste stavolta una motivazione molto più seria. La manovra finanziaria di Tremonti è stata approvata con decreto legge ed è in vigore. Le lacrime e sangue che contiene sono state addolcite con il contentino del “Contrasto dell’evasione fiscale e contributiva” contenuto nel Titolo II. Tagliamo tutti i settori culturali e di ricerca, la scuola e i giornali indipendenti, ma finalmente facciamo sul serio conto l’evasione.
Nell’articolo 19 (Aggiornamento del catasto) si parla della questione emersa qualche tempo fa, e cioè del fatto che attraverso il confronto tra le mappe catastali e le recenti foto satellitari, i tecnici degli uffici del Catasto avevano scoperto che mancavano all’appello oltre due milioni di edifici sull’intero territorio nazionale.
Se togliamo i possibili errori, almeno un milione di case non sono state mai accatastate perché l’ultimo condono non permetteva la sanatoria degli abusi ricadenti nei parchi e nelle aree vincolate dalla legge Galasso. Esiste ancora la Costituzione che all’articolo 9 afferma che “La Repubblica tutela il paesaggio” e non è possibile condonare quegli abusi.
Finora la vicenda era rimasta sospesa. Anche le numerose ordinanze di demolizione emesse dalla magistratura non sono state eseguite sia per le proteste degli abusivi (ad Ischia e Lamezia Terme, ad esempio) sia perchè il Consiglio dei ministri ha da poche settimane sospeso le demolizioni in Campania fino alla fine del 2011. Ma adesso, al comma 8 del citato articolo c’è scritto che entro il 31 dicembre 2010 i titolari degli immobili non accatastati devono farlo obbligatoriamente. Se non lo fanno, il successivo comma 11 permette all’Agenzia del territorio di procedere d’ufficio.
Il catasto deve poi trasmettere le coordinate del nuovo edificio al comune “per i controlli di conformità urbanistico-edilizia”. E qui, come si comprende, sono dolori. Perché i comuni accerteranno che gli abusi ricadono in zona vincolata e non possono essere condonati. Devono dunque essere demoliti per legge. E’ questo articolo che non fa dormire sonni tranquilli ai parlamentari della destra. Ecco perché continua l’estenuante staffetta dei deputati e senatori Pdl. Devono uscire dal vicolo cieco in cui li ha cacciati la bulimia di consensi a tutti i costi e le strizzate d’occhio all’Italia illegale.
L’articolo di Stella può forse cambiare il corso delle cose. Se l’opposizione interpretasse finalmente la nausea che viene dalla popolazione onesta stanca degli scempi e delle sanatorie si potrebbe sconfiggere (per la prima volta nella storia repubblicana!) il partito dei condoni e riportare la legalità nel territorio. Del resto sarebbe ora: tutti i Dipartimenti investigativi antimafia affermano all’unisono che i capitali illegali vengono riciclati attraverso investimenti immobiliari e nell’abusivismo. Non è forse ora di interrompere questo male oscuro italiano?i
Il testo: sistemare entro sei mesi gli arretrati delle sanatorie del 1985, ’94 e 2003
L’altra volta, davanti alla strafottenza della proposta che voleva non solo riaprire fino al 30 marzo 2010 i termini della sanatoria 2003 ma estendere il colpo di spugna agli abusi nelle aree protette, il sottosegretario Paolo Bonaiuti si era precipitato a negare tutto: «Di nuovi condoni non se ne parla assolutamente: né fiscali, né edilizi». Anzi, aveva strillato, l’allarmata denuncia di quell’emendamento non era che «una trovata propagandistica creata ad arte dall’opposizione!». Una tesi ribadita dal ministero dell’Economia: nessun condono. E accompagnata dalle stupefacenti parole di Paolo Tancredi, che aveva giurato al nostro Mario Sensini che lui non sapeva nulla. Che manco aveva letto l’emendamento. L’aveva firmato così, perché gliel’avevano messo davanti: «Io sono un ambientalista... Mai e poi mai mi sarei sognato di proporre un condono edilizio. Dentro ai Parchi e alle aree protette, poi...». E tutti a giurare: ma no, è stato solo un equivoco, ci mancherebbe altro...
Roma Danni al paesaggio per gli abusi edilizi nel cuore della Capitale
Dieci giorni dopo, replay. All’ottava commissione della Camera si discute oggi una nuova proposta di legge: «Disposizioni per accelerare la definizione delle pratiche di condono edilizio al fine di contribuire alla ripresa economica». Vi si legge che entro sei mesi occorre sistemare tutti gli arretrati delle sanatorie del 1985, 1994 e 2003: «È noto che presso i comuni pendono, complessivamente, milioni di istanze di condono edilizio, che non vengono esaminate (ormai da oltre venti anni) per taluni ostacoli "burocratici"». Quali? «In particolare, la difficoltà dovuta a un’interpretazione eccessivamente rigida delle norme di tutela delle aree sottoposte al vincolo paesaggistico». Testuale. L’attesa, tuonano i deputati berlusconiani, è «estremamente pressante». Senza la concessione di quei benedetti condoni, gli abusivi infatti «non possono neppure procedere alla realizzazione di opere manutentive di restauro, di risanamento conservativo e di ristrutturazione di completamento». Cioè non possono far le rifiniture agli abusi. Ora, poiché i tre condoni si collegano in un «continuum» lungo «l’arco temporale che va dal 1983 al 2003» (proprio ciò che da anni dicono gli ambientalisti e che i promotori delle sanatorie, per ribattere alla Corte Costituzionale ostile ai «condoni permanenti» hanno sempre negato) è necessaria una «definizione». La quale «consentirebbe ingenti introiti per la finanza degli enti locali, a seguito del versamento dei contributi per costo di costruzione e oneri di urbanizzazione, nonché dei versamenti a titolo di sanzione per ritardato pagamento».
La Corte dei Conti ha già smentito questa tesi ricordando nel 2004 che gli oneri di urbanizzazione «da più parti sono stati quantificati in misura ben superiore a quella prevista»? Spallucce. Uno studio di Legambiente ha già dimostrato che dai condoni i comuni hanno incassato dal ’95 al 2003 4.429.436.000 euro spendendone per portare i servizi 9.664.224.000 e cioè oltre 5 miliardi di più? I tre tirano dritto: «A ciò si aggiungano gli introiti per gli enti locali e per lo Stato conseguenti alla regolarizzazione di tali immobili sotto il profilo fiscale e tributario...». Non solo: «Il vero "volano"» all’economia sarebbe «la possibilità di intervenire su milioni di immobili, che ormai abbisognano di rilevanti interventi edilizi manutentivi e strutturali, risalendo la loro costruzione ormai a decenni addietro». Sono abusivi? E vabbè... Sono stati tirati su in zone proibite? E vabbè... Sono da abbattere? E vabbè... Ecco quindi la leggina. Articolo 1: i comuni e le soprintendenze devono definire le pendenze «entro il termine di sei mesi». Articolo 2: «Il rigetto dell’istanza di condono presentata ai sensi del comma 1 deve essere motivato in relazione all’assoluta e insuperabile incompatibilità con il contesto paesistico-ambientale vincolato». Articolo 3: «Decorso inutilmente il termine di cui al comma 1 senza che il soprintendente per i beni architettonici e per il paesaggio abbia espresso il prescritto parere, l’amministrazione competente procede comunque all’adozione del provvedimento». Articolo 4: «La mancata adozione del provvedimento motivato di definizione delle pratiche di condono edilizio di cui al presente articolo è valutata ai fini della responsabilità dirigenziale o disciplinare e amministrativa, nonché ai fini dell’attribuzione della retribuzione di risultato dell’amministrazione competente». Traduzione: la mancata risposta va fatta pagare in busta paga a impiegati e dirigenti. Di più: «Resta salvo il diritto del privato di dimostrare il danno derivante dal ritardo della pronuncia dell’amministrazione indipendentemente dalla spettanza o meno del diritto al condono». Rileggiamo: «indipendentemente» dal fatto che l’abusivo abbia o no diritto al condono. Una sottolineatura significativa. «Di fatto è una riapertura perfino del condono del 1983. La maggioranza continua a mandare pericolosi segnali di tana libera tutti al Paese, che alimentano gli appetiti illegali e rischiano di regalare al nostro fragile territorio altre colate di cemento illegale», sbotta Ermete Realacci.
Difficile dargli torto. Basti ricordare come sia finita la «sanatoria delle sanatorie» tentata dalla regione Sicilia per rastrellare soldi dato che a larghissima maggioranza gli abusivi avevano solo avviato la pratica per il condono, pagando l’acconto del 10% necessario a sospendere inchieste e abbattimenti per poi infischiarsene del resto nella convinzione che il loro fascicolo sarebbe ammuffito nella polvere. L’autocertificazione offerta ai 400.000 «fuorilegge» era convenientissima. Il risultato fu questo: 1,1% di adesioni a Palermo, 0, 37% a Messina, 0,037% a Catania. Per non dire di Agrigento, dove i cittadini che scelsero di chiudere il vetusto contenzioso furono 3 ( tre!) su 12.000.
Ma davvero gli autori della proposta di oggi pensano che gli uffici pubblici che per anni hanno spesso tenuto bloccate apposta le pratiche per chiudere un occhio, evitare alla gente di dover pagare davvero tutto e non dare il via alle ruspe, possano oggi sistemare tutto in sei mesi? Che le sovrintendenze decimate negli organici e nei mezzi tecnici possano fornire risposte scritte per ogni singolo abuso? Assurdo. Sanno perfettamente che, se passasse la loro leggina, sarebbe sanato l’insanabile. Tanto più che tutti e tre vengono da un’area, quella tra Napoli e Caserta, che è una mostruosa metastasi cementizia cresciuta senza legge. La prima firmataria (lei pure «a sua insaputa»?) è Maria Elena Stasi, già prefetto di Caserta al centro di dure polemiche su un «buco» di ore nello scrutinio alle politiche 2006. Il secondo è Luigi Cesaro, proprietario immobiliare, deputato e (nonostante l’incompatibilità) presidente della provincia di Caserta. La terza è Giovanna Petrenga, già direttrice della Reggia di Caserta. Il messaggio che lanciano farà piacere a Nicola Cosentino, al quale sono vicini, ma anche alla buonanima di Totò. Che in una spettacolare scenetta declama: «Abusivi di tutto il mondo unitevi! Ci vogliono abolire! È un abuso! Abusivi: diciamo no all’abuso!».
La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Recita così l'art. 9 della Costituzione. Se venisse accettato l'emendamento proposto dai senatori Tancredi (Abruzzo), Latronico (Basilicata) e Richetto Fratin (Piemonte) questa solenne prerogativa verrebbe di fatto cancellata. La precedente legge del 2003 (presidente Berlusconi e ministro delle infrastrutture Lunardi) escludeva dalla possibilità di ottenere il condono per gli immobili che ricadevano in aree vincolate paesaggisticamente proprio perché la tutela è un principio costituzionale e non può essere una legge ordinaria a violare quel principio. Ma, come noto, la Costituzione sta stretta al presidente del Consiglio e a molti esponenti del Pdl: ecco il motivo di tanto accanimento.
Ci sono poi anche meno nobili motivazioni. Dal 2003, nel più totale disinteresse della politica, sono stati i poteri dello Stato a contrastare l'illegalità dilagante nel campo dell'urbanistica. La magistratura ha ordinato molte demolizioni previste dalle leggi. Le Soprintendenze archeologiche - si pensi all'azione coraggiosa di quella dell'Appia antica a Roma - hanno negato i condoni agli scempi perpetrati contro il bene comune. Contro questa volontà di far rispettare le leggi ci sono state manifestazioni in tutta la Campania.
È anche questo il motivo dell'iniziativa del Pdl: mettere la parola fine alla legalità e alle azioni promosse dallo Stato che resiste. Sembra che l'onorevole Bonaiuti abbia negato con sdegno qualsiasi ipotesi di condono. Un mese fa il consiglio dei ministri aveva approvato un decreto che sospendeva l'esecuzione delle demolizioni in Campania fino al prossimo anno. Era con tutta evidenza il primo passo per il condono. Non vale dunque la pena di scandalizzarsi, basterebbe che la presidenza del Consiglio abrogasse la sospensiva e sostenesse l'esecuzione delle demolizioni in Campania, in Sicilia e in Calabria, tanto per cominciare. In questo modo non solo contribuirebbe all'affermazione della legalità ma darebbe il segnale che si vuole mettere in sicurezza il territorio. L'abusivismo provoca tragedie. Nel 2009 a Giampilieri una frana cancella una parte dell'abitato e semina vittime. C'erano da fare 200 demolizioni di case abusive e non furono eseguite. Sempre nel 2009 ad Ischia frana la collina sopra Casamicciola uccidendo una persona: erano pronte decine di demolizioni e anche lì non furono eseguite.
Non sappiamo se il Parlamento "sovrano" approverà o meno l'emendamento dei tre senatori. Comunque vada, il segnale al paese avrà prodotto comunque i suoi effetti: ciascuno è "padrone a casa propria" e può continuare a fare scempi. Tanto paga la collettività. Il condono edilizio viene giustificato dall'esigenza di fare cassa. Un falso vergognoso: per ogni euro di introito alle casse pubbliche i comuni sono costretti a spendere cinque volte tanto per portare strade, acquedotti e gli altri servizi. E visto che questi soldi i comuni non ce l'hanno perché il governo taglia i bilanci, non c'è altro modo che ricorrere all'urbanistica contrattata, che in cambio di quattro soldi consente di costruire dappertutto, al di fuori di ogni regola. L'abusivismo e la speculazione edilizia si danno una mano. E soffocano il paese.
I kamikaze del Pdl a caccia di condono
di Vittorio Emiliani
Secondo Giuliano Ferrara, Berlusconi è “un gigante inetto” che “sbaglia con volutta”. Sarà. L’impressione è che, come governante, sia un inetto e basta. Prendete i condoni edilizi. Ne ha prodotti, in un quindicennio, due, disastrosi per i Comuni e per il paesaggio, capaci soltanto di premiare l’illegalità e di riaccendere il motore dell’abusivismo foraggiato dalle varie mafie. Più un raccapricciante condono ambientale. La tecnica: si manda avanti lo stesso ministro Tremonti, con l’accatastamento delle cosiddette case-fantasma (con sanatoria mascherata incorporata), oppure la più o meno solita pattuglia di guastatori i quali buttano là un emendamento col nuovo condono edilizio, pronti ad essere poi sconfessati se monta la protesta. Della case-fantasma accertate dall’Agenzia del Territorio, circa 2 milioni fra abitazioni, capannoni, garage, ecc., non si sa più molto: registrarle al catasto, vorrebbe dire mettersi in regola sul piano fiscale, ma se poi il Comune chiede al titolare la concessione edilizia e non ce l’ha, viene in chiaro che sono case abusive e vanno demolite. Ameno di un provvidenziale condono…
E’ un caso se la legge per una maggiore libertà alle imprese dovrebbe sospendere per 2-3 anni le autorizzazioni urbanistiche, comunali e regionali? Gli interessi privati prevalgono su quello generale. Nell’inverno un gruppo di deputati campani – seguendole promesse elettorali del ministro Mara Carfagna – avevano appiccicato al decreto “mille proroghe” un caratteristico condono edilizio “regionale”. Adatto a sanare, che diamine, gli abusi di una regione ricca di case illegali e però “punita”, dicono loro, danorme troppo severe. È stato bocciato in commissione e per ora è morto lì. Ieri però un altro kamikaze Pdl, il sen. Paolo Tancredi, teramano, ha presentato un emendamento alla manovra, uno dei 1200 del suo partito. Oggetto? Uncondono edilizio un po’ sfacciato esteso pure alle zone sottoposte a vincolo paesaggistico – le più belle, le meno sfregiate - in modo da riaprire la sanatoria e incoraggiare altri abusi. L’ha stoppato il sottosegretario Bonaiuti: “Sinistra bugiarda, non c’è nessun condono al Senato. Il capogruppo Gasparri non lo sosterrà mai”. Già, è lo stesso capogruppo che spergiurava che Pierino Gelmini, l’ex don Gelmini, non sarebbe stato mai rinviato a giudizio per molestie sessuali, e invece…
E il senatore-kamikaze Paolo Tancredi? Ora sostiene che ha firmato senza leggere. “Nessuno che io conosca aveva in mente di proporre un condono così ampio”. Così ampio magari no, esteso alle zone protette da vincolo forse nemmeno,ma un condono “qualunque” sì. Sa bene che i condoni fanno rima con Berlusconi. Lui ci si tuffa volentieri. Da “inetto” che sbaglia. Sempre “con voluttà” però.
La lobby del cemento in azione
Torna lo spettro della sanatoria
di Iolanda Bufalini
Sarebbe il quarto condono edilizio dopo quelli del 1985,1994, 2003. E intaccherebbe anche le aree protette. Dopo la bagarre emendamento ritirato ma resta in piedi quello sulla sanatoria fiscale.
Dice che è «un appassionato conoscitore del Gran Sasso, un cosciente ambientalista, per il rispetto dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile », eppure è lui il senatore Pdl teramano Paolo Tancredi, primo firmatario dell’emendamento tombale per il paesaggio italiano, che riapre il condono ampliandolo agli abusi nelle zone protette e pure in quelle a rischio, e pure a quei manufatti che hanno avuto il diniego delle amministrazioni locali. Chissà come pensa di difenderlo l’amato Gran Sasso. Ma d’altra parte in quella terra martoriata dal terremoto, terra di parchi naturali, l’assalto è cominciato, anche in nome dell’emergenza. Sembra che questi «non abbiano la capacità di vedere cosa sta succedendoin Italia dove, a differenza che nel resto d’Europa, si è persa ogni distanza fra città e campagna», commenta l’urbanista Vezio De Lucia.
Quando si tratta di condoni il Pdl unisce l’Italia, daNord a Sud. Einfatti all’emendamento edilizio si aggiungono le firme di Cosimo Latronico, consulente aziendale, lucano e di Gilberto Pichetto Fratin, commercialista, da Biella: il combinato disposto di condono, piano case e modifiche costituzionali sulla libera impresa (compreso un ristringimento dei tempi sul silenzio-assenso da rasentare l’impossibilità per gli uffici oberati dalle carte di aprire bocca).
Unificazione verso il peggio perché «tre condoni in 18 anni hanno fatto danni gravi nel sud, dove ancora si devono espletare le pratiche del 1985, ma anche al nord, ormai, non c’è più attenzione al territorio», chiosa De Lucia.
«Non avevo letto bene - si giustifica - ho firmatoun centinaio di emendamenti », quando scoppia il vespaio e l’alzata di scudiaccomuna l’opposizione a esponenti di maggioranza comeFabio Granata, a Emma Marcegaglia, ancora basita di una recente tentata investitura ministeriale. Fresco pure il ricordo della brutta figura fatta alla Camera, quando la maggioranza è andata sotto sul blocco delle demolizioni degli abusi in Campania, «è stato un buon segnale, spero in unanalogo scatto di dignità», aveva detto Vezio De Lucia prima dell’«indietro tutta» della presidenza del gruppo Pdl. «Iniziative personali che saranno passate (oggi, ndr) al filtro della commissione di presidenza. Il grup- poinuna materia così importante come la manovra si coordina con il governo». Del filtro fa parte anche il senatore Tancredi (insieme al capogruppo Gasparri e al presidente della commissione bilancio Azzollini, alla sentarice Bonfrisco) distratto nella lettura degli emendamenti ma tenace per quanto riguarda i condoni. Sua la firma, insieme agli altri due, il Latronico e il Pichetto, anche sul condono tombale fiscale con cui si riaprono i termini di quello del 2002 fino al 2008.
RIMPALLO
Ma la «condonite» è un tic da dottor Stranamore che contagia commercialisti e consulenti aziendali diventati parlamentari Pdl con la velocità della Sars. Il pd Matteo Mauri si chiede se il governo «non si prepari a creare un ministero ai condoni». E, infatti, derubricato a «iniziativa personale » quello per gli abusi nei parchi naturali e archeologici, resta da vedere che fine farà il testo che ritenta il blocco delle demolizioni in Campania. E, soprattutto, cosa ne sarà del condono fiscale. In questo caso sul testo c’è anche il timbro del gruppo Pdl del Senato. Mentre Bonaiuti se la prende con la trovata propagandistica della «sinistra bugiarda», la quale a sua volta ha gioco facile nel rispondere, Antonio Misiani (Pd): «gli emendamenti li avete presentati voi». E nel mettere in chiaro: «Con i condoni in campo si chiude ogni spazio di dialogo» (Boccia), dal sottosegretario all’economia Luigi Casero arriva la sconfessione sottoscritta dal ministro Tremonti.
A questo punto al Senato la confusione è all’acme, parte il rimpallo delle responsabilità con l’altro ramo del parlamento: gli emendamenti vengono da lì, «noi per accorciare i tempi li abbiamo firmati». Anche la Lega ha il suo condono, riguarda i falsi invalidi che dovrebbero autodenunciarsi per evitare le sanzioni».
Insomma, partita la raffica di richieste di condono, qualcuna nella manovra potrebbe restare impigliata. «Dispiace e dà amarezza questa mancanza di serietà. Con i condoni la manovra diventa ancora più iniqua», è la chiosa dell’opposizione.
ROMA - La manovra economica del governo potrebbe contenere anche la riapertura del condono edilizio, esteso agli abusi compiuti nelle aree sottoposte a vincoli paesaggistici. A proporlo è un emendamento del Pdl dal titolo esplicito: "emendamento condono edilizio". Primo firmatario il senatore Paolo Tancredi e sottoscritto anche da Cosimo Latronico e Gilberto Pichetto Fratin. Nel testo di prevede che la sanatoria prevista nel decreto 269 del 2003 "si applichi anche agli abusi edilizi realizzati entro il 31 marzo 2010, in aree sottoposte alla disciplina di cui al codice dei beni culturali e del paesaggio" previsto dal decreto legislativo 42 del 2004, previa l'acquisizione dell'autorizzazione prevista dal codice stesso. La richiesta di sanatoria può essere avanzata entro il 31 dicembre 2010 anche se precedenti istanze di condono sono state respinte. Nelle more, si legge ancora nel testo, "sono sospesi tutti i procedimenti sanzionatori amministrativi e penali già avviati, anche in esecuzione di sentenze passate in giudicato".
Il condono edilizio? Si chiede prima che sia compiuto l’abuso. Eccoli gli effetti della sanatoria light nel Comune di Roma attraverso le fotografie aeree che svelano i trucchi e dimostrano che la sanatoria del 2003 potrebbe essere stata utilizzata anche per regolarizzare preventivamente immobili che non esistevano, che i proprietari hanno fatto domanda di condono prima di tirare su i muri, mettere le tegole sul tetto, scavare per la piscina. Migliaia di costruzioni illegali: c’è anche un attico accanto alla Fontana di Trevi.
ROMA— «Il condono edilizio? Sarà leggero» minimizzava il 18 settembre 2003 Gianni Alemanno, allora responsabile dell’Agricoltura in un governo che si apprestava ad approvare la terza sanatoria delle costruzioni abusive. Una battuta infelice e azzardata, come l’ex ministro ha avuto modo di sperimentare personalmente una volta diventato sindaco di Roma. Eccoli gli effetti del condono light: un assaggio è nelle fotografie aeree pubblicate in queste pagine. Sono la dimostrazione che la sanatoria voluta dal governo di Silvio Berlusconi nel 2003 potrebbe essere stata utilizzata in molti casi anche a regolarizzare preventivamente immobili che non esistevano.
Osservatele bene, e fate attenzione alle date. Perché quelle potrebbero incastrare proprietari che hanno fatto domanda di condono prima ancora di tirare su i muri, mettere le tegole sul tetto, scavare il buco per la piscina. Parliamo di tre casi da manuale. Il primo, una costruzione in cima a uno stabile di via di San Vincenzo, a Roma, accanto alla Fontana di Trevi: dove nel 2004, come dimostrano gli scatti dall’alto, non c’era nulla. Valore economico di quegli 80 metri quadrati terrazzatissimi nel cuore della Capitale? Come almeno dieci appartamenti in periferia.
Il secondo è stato scovato dall’obiettivo indiscreto fuori del Raccordo anulare, al Nord della città. Quattro costruzioni, come testimoniano le foto, apparse dal nulla nel 2005. Dal valore, pure qui, niente affatto trascurabile. Il terzo è anch’esso fuori del Raccordo, ma a Sud, in un’altra zona sulla quale sussistono vincoli di un piano territoriale paesistico: lì, su un’area che nel 2004 era libera da costruzioni, adesso c’è quella che sembra una villa con piscina.
Inutile dire che in tutte le tre circostanze è stata presentata domanda di sanatoria come se l’abuso fosse stato commesso entro il termine previsto dalla legge per ottenere il beneficio: 31 marzo 2003.
Ma chi pensa si tratti di episodi isolati, si sbaglia di grosso. Sapete quante situazioni simili hanno scoperto i tecnici di Gemma, la società privata che gestisce dietro corrispettivo le pratiche del condono edilizio del Comune di Roma? Ben 3.713. Tremilasettecentotredici su 28.072, ovvero il numero di domande di condono edilizio esaminate nei primi quattro mesi di quest’anno. È il 13,2% del totale. E non è tutto. Perché alle 3.713 costruzioni tirate su dopo che la sanatoria era stata già approvato, bisognerebbe aggiungere le 6.503 realizzate, sì, entro il 31 marzo 2003, ma in aree soggette a vincoli di qualche genere. Oltre alle 2.099 spuntate come funghi addirittura nei parchi. Per un totale di 12.315 abusi, secondo Gemma, non sanabili.
Vi chiederete: e lo scoprono adesso, dopo tutto questo tempo? Domanda più che legittima. Dall’inizio la situazione dei condoni edilizi a Roma è stata caratterizzata da storture e disfunzioni. C’è chi per esempio ha sempre criticato la scelta (fatta dalle giunte di centrosinistra) di affidare a un privato un compito così delicato: tanto più che in altre grandi città, come Milano, ci pensano gli uffici comunali. C’è chi invece l’ha sempre difesa, sottolineando l’abnorme numero di domande. Fino a un epilogo sconcertante. Alla fine di maggio il presidente e azionista di Gemma, Renzo Rubeo, ha deciso infatti di risolvere il contratto con il Campidoglio per inadempienza della controparte, rivendicando arretrati per svariati milioni di euro. Una iniziativa giunta al culmine di un rapporto che va avanti da dieci anni, fra molti attriti che l’hanno logorato. E in un contesto nel quale non sono mancati i risvolti giudiziari.
Il Fatto Quotidiano
Il pdl si distrae e le demolizioni si bloccano (sic)
di Marco Palombi
Il decreto che fa un favore agli abusivisti campani è decaduto. Forse. A meno che la capigruppo convocata per stamattina da Gianfranco Fini, che però non ha giurisdizione sul merito, o magari l’ufficio di presidenza della Camera decida di annullare la contestata votazione con cui ieri sera l’aula di Montecitorio ha affossato il cosiddetto “dl demolizioni”, quello che bloccava fino al 30 giugno 2011 la demolizione di edifici abusivi nella regione Campania (tranne per quelli costruiti in zone vincolate). Il centro-destra, infatti, incolpa della sua debacle Rosi Bindi, in quel momento presidente di turno, rea di aver chiuso troppo in fretta la votazione impedendo ad alcuni deputati di maggioranza che bivaccavano in Transatlantico o nel cortile interno di raggiungere in tempo il loro scranno. Uno psicodramma in piena regola, con tanto di richiesta di dimissioni da vicepresidente per l’onorevole democratica e “fascista”, secondo la definizione di Nunzia Di Girolamo (PdL) fuori dall’aula, seguita a stretto giro da un più prosaico “tacci sua” di Alessandra Mussolini, per la cronaca entrambe campane. Questi i fatti. Alle 18.50 si vota la cosiddetta pregiudiziale di costituzionalità presentata dall’Italia dei Valori. In 51 secondi votano 480 deputati (64 assenti del PdL e 15 della Lega) col risultato di 249 sì e 231 no. Tradotto: per la Camera quel decreto è incostituzionale.
A quel punto scoppia il casino. Alcuni deputati del PdL stavano rientrando in aula e accusano la Bindi di aver deciso deliberatamente di non farli votare. Il capogruppo Fabrizio Cicchitto accusa la vicepresidente di “prevaricare il Parlamento”, l’ex finiano Amedeo Laboccetta di “offenderlo”, il leghista Luciano Dussin, paonazzo, invoca prima la moviola per controllare quanti deputati stessero entrando in aula e poi chiede le dimissioni di Bindi: “Ne guadagnerà la Camera”.
La maggioranza pretende subito l’annullamento della votazione o, almeno, la convocazione immediata di una riunione dei capigruppo: quest’ultima le viene concessa ma, non essendo presente Gianfranco Fini, viene rinviata a stamattina.
“Dimissioni? Ma non scherziamo. E poi Dussin farebbe meglio a pensare al suo doppio incarico (è anche sindaco di Castelfranco Veneto, ndr)”, sbotta Bindi parlando col Fatto: “Ho tenuto la votazione aperta quasi un minuto, un tempo normale, il cicalino che avvisa i deputati che si sta per votare suonava da 10 minuti, ho sempre consentito a chiunque fosse seduto di votare quando c’era qualche difficoltà, che dovevo fare di più?”. La vicepresidente della Camera non sente di avere nulla di cui pentirsi: “Respingo qualunque ricostruzione malevola di quanto accaduto, sono sempre stata imparziale nel mio ruolo. E’ chiaro che esiste una discrezionalità di chi presiede l’aula per la chiusura delle votazioni, ma ricordo che il vicepresidente Lupi venne messo sotto accusa perché l’aveva tenuta aperta troppo a lungo. Che vogliamo fare?
Esiste il diritto, anzi il dovere, di votare, non quello di prendersi tempi di pausa più lunghi del necessario”. Quanto al merito, sostiene il democratico Realacci, “grazie ad una debacle e alle assenze tra i banchi della maggioranza, il Parlamento ha almeno fermato uno scempio ai danni del paese e degli italiani onesti”. Secondo i tecnici infatti, anche se manca ancora l’ufficialità, non c’è possibilità di ripetere la votazione: “Non esiste il diritto ad andarsi a fumare una sigaretta invece di stare in aula”, sintetizza pittorescamente uno. Il decreto demolizioni, insomma, è defunto. Riposi in pace.
il manifesto
Campania agli abusivi ma il governo va sotto
di Andrea Fabozzi
Seduta lunga, maggioranza stanca. E alle sette di sera il governo va sotto sul decreto che blocca gli abbattimenti delle case abusive in Campania. Con 249 sì e 231 no viene approvata la questione pregiudiziale presentata dall'Italia dei valori. Di conseguenza non si passa alla votazione della legge di conversione e il decreto decade. E non sarà riproponibile, il governo dovrà pasticciare qualche soluzione incollando la norma altrove. Ma intanto la maggioranza parte all'assalto della vice presidente di turno dell'assemblea, Rosy Bindi, accusata di aver chiuso troppo presto la votazione.
Il decreto è quello promesso in campagna elettorale per le regionali da Stefano Caldoro. Promessa mantenuta: nonostante gli allarmi e le ripetute frane che affliggono la Campania, il 23 aprile scorso il governo ha approvato un provvedimento di urgenza per sospendere fino al giugno 2011 gli abbattimenti delle costruzioni abusive. All'inizio doveva essere fino alla fine di quest'anno e solo a Napoli, ma poi si sono allargate le maglie in modo da offrire agli abusivi campani (la regione è maglia nera in Italia) una proroga dell'ultimo condono berlusconiano. Il precedente governatore Bassolino ne aveva escluso l'applicazione alla regione, ma la Consulta gli aveva dato torto. Con il decreto di aprile, passato senza problemi al senato il 26 maggio, il governo pagava il suo debito con gli elettori campani. Ma il voto di ieri sera cambia tutto.
Giusto ieri mattina, discutendo della legge sulle intercettazioni, Berlusconi aveva preteso un'accordo con tutte le componenti della maggioranza per garantire al provvedimento un percorso sicuro alla camera (lì dove sono numerosi i deputati vicini a Gianfranco Fini). «Blindato». Ma a Montecitorio le cose non vanno bene: poco più di un mese fa l'ultimo rovescio sulla legge sull'arbitrato. Con conseguente ira di Berlusconi, minacce ai deputati assenti e promessa di una maggiore attenzione. Ieri sera erano 64 i deputati del Pdl assenti e 15 quelli della Lega (molto meno appassionata al condono in Campania dei colleghi di maggioranza). Un paio di deputati del Pdl hanno fatto presente di aver votato ma di non essere stati registrati dal dispositivo elettronico. Tutti gli altri, capogruppo Cicchitto in testa, hanno scatenato una gazzarra verso la presidente di turno. Colpevole di non aver rispettato, a loro dire, la prassi di attendere che tutti i deputati presenti in aula avessero raggiunto i loro posti nei banchi. «Ho tenuto aperta la votazione 51 secondi», la replica di Rosy Bindi, tabulato elettronico alla mano.
Ma la consapevolezza di aver combinato un brutto guaio al governo e la certezza che il presidente del Consiglio la prenderà molto male hanno gonfiato la rabbia del Pdl. Sono stati numerosi gli interventi dei deputati fragorosamente polemici con Bindi, dal furioso capogruppo Cicchitto al più sorvegliato Lupi, dal rauco Laboccetta all'intimidatorio Consolo e tutti si sono conclusi con la richiesta di ripetere il voto. Impossibile secondo il Pd che ha difeso il comportamento della vice presidente Bindi. Che ha provato a portare avanti la seduta ma poi ha dovuto sospendere per interpellare il presidente titolare. Gianfranco Fini ha deciso per un gesto di attenzione alle richieste del Pdl: accolta la richiesta di convocare - stamattina alle 8.30 - la conferenza dei capigruppo. Che difficilmente però potrà concedere la ripetizione del voto, a meno che la presidente ammetta un errore, ipotesi improbabile.
Il ministro leghista Calderoli non sembrava stracciarsi le vesti ieri sera mentre spiegava che «caduto il decreto cadranno un bel po' di case» in Campania. Anche se ricordava che la sanatoria escludeva i casi di pericolo per la pubblica incolumità e le costruzioni nelle aree vincolate. Ma una promessa è una promessa, come ha subito fatto notare il capogruppo Pdl in regione Martusciello evocando «l'incubo delle ruspe». E se il decreto non potrà essere reiterato - come ha ammesso lo stesso Calderoli - toccherà imbrogliare un po' le carte per recuperare il condono in qualche altra legge. Il governo conosce il sistema.