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«Il caso . Dopo la sospensione per violazione della sicurezza, il via libera . così il pollaio abusivo diventa villa». la Repubblica,12 agosto 2017 (c.m.c.)

I lavori della villa-mausoleo che domina, dalla provinciale per Itri, il panorama di Sperlonga, dopo il sequestro del cantiere di un mese fa, sono ricominciati come in un drammatico déjà vu che ormai, per gli abitanti del borgo magico, si ripete da anni. Dieci giorni fa, la serie di inchieste di Repubblica sull’Italia degli abusi, iniziò proprio da quella cittadina incantevole il cui territorio è stato sfregiato da manufatti illegali costruiti in barba a ogni vincolo e regolamento. A cominciare dal sindaco di centrodestra, Armando Cusani, arrestato a gennaio scorso, ai domiciliari da marzo ma ancora in carica. Il suo hotel, Grotte di Tiberio, sulla statale Flacca, malgrado l’ordine perentorio di demolizione, a spese del primo cittadino e del suocero socio al 50%, entro 90 giorni dal ricevimento dell’atto, è ancora lì. Il 6 agosto era il termine ultimo per buttare giù tutto.

Alle sue spalle, sulla montagna, i lavori dell’arrogante villa costruita da un idraulico di Sperlonga diventato milionario grazie a una giocata al superenalotto, sono ripresi dopo il dissequestro dell’area, cinque giorni fa. I sigilli, spiegano dagli uffici comunali, erano stati messi per violazione di norme sulla sicurezza sul lavoro, non per abuso edilizio. Il ricorso al tar ha dato ragione all’idraulico e operai e ruspe sono tornati a metter mattoni a pieno ritmo per recuperare il tempo perduto. Che l’idraulico porti lo stesso cognome del vicesindaco, Francesco Faiola, indagato per l’abuso edilizio di un intero quartiere – sulla carta area popolare, di fatto trasformato in polo turistico – su cui lui e Cusani hanno costruito illegalmente l’hotel Ganimede, è solo una coincidenza.

Leone Faiola però una parentela nelle alte sfere della politica locale la ha. La moglie, Anna De Simone, proprietaria della villa, è la zia dell’ormai ex assessore all’Urbanistica di Sperlonga, in carica quando, nell’agosto del 2014 cominciarono i lavori di costruzione di quel mausoleo. Malgrado sull’area gravi un vincolo paesaggistico, le carte sono perfettamente in regola. In sintesi: cinque anni fa Faiola vinse insieme ad altri 25 giocatori, 62milioni di euro, rilevò la concessione di quel terreno su cui fino al 2012 insisteva un pollaio abusivo, dai figli dell’originario proprietario, il chirurgo Valdoni per 500mila euro, quindi iniziò la rapida trafila burocratica per ottenere tutte le scartoffie. Un piccolo stop di facciata ci fu nel febbraio 2014 quando i consiglieri di minoranza del Pd tirarono fuori un vecchio verbale firmato da un vigile urbano, diventato nel frattempo capo dell’ufficio tecnico e firmatario del placet per la nuova costruzione di Faiola, in cui ordinava lo sgombero del pollaio in quanto fuorilegge per via dei vincoli di quel luogo. Nell’agosto dello stesso anno però tutto risolto.

I lavori cominciarono ma con un nuovo permesso: una variante in corso d’opera che concedeva ancora più metri quadri di cemento, anche se l’opera in realtà iniziava solo da quella data. Un abuso legalizzato e sanato da carte. «È il vecchio trucchetto – sorride di un riso amaro Nicola Reale, ex consigliere d’opposizione, il primo a denunciare gli affari illegali del sindaco – si continuano a sbandierare i permessi previsti dalla legge per dimostrare che il manufatto realizzato ha tutti i crismi della legalità.

Un santuario di illegalità, ecco cos’è Sperlonga, un territorio governato da una cupola di potere che decide e controlla ogni cosa: dalle nomine nei posti di rilievo ai singoli cittadini che vengono lusingati con promesse o intimoriti con minacce». «Cusani è un bravo uomo e ha sempre mantenuto le sue promesse, a me ha sistemato tutti i figli in posti buonissimi, lasciatelo in pace», dice la signora Carmela che di figli ne ha sette.

Quanto sono bravi Delrio, Gentiloni e tutti gli altri renziani a combattere l'abusivismo, seguendo da prodi l'esempio del sindaco (defenestrato) di Licata. Solo Alfano fa un po' il monello. la Repubblica, 12 agosto 2017, con postilla

IL proposito manifestato da Graziano Delrio di impugnare tutte le maleodoranti leggine regionali che nascondono condoni edilizi più o meno mascherati è senza dubbio alcuno coraggioso. Ma in un’Italia nella quale lo sport nazionale praticato dai politici, sia pure con qualche lodevole eccezione, è quello di ammiccare all’abusivismo, il rischio che questo proposito enunciato dal ministro delle Infrastrutture possa incontrare ostacoli insormontabili è davvero consistente.

Va riconosciuto che un segnale positivo è comunque arrivato dal governo di Paolo Gentiloni con la decisione di bloccare la legge della Campania che di fatto avrebbe ostacolato le demolizioni: e riusciamo appena a immaginare i mal di pancia nella maggioranza, soltanto ricordando che quella Regione è oggi governata da un renziano a quattro ruote motrici qual è Vincenzo De Luca. L’inchiesta di Repubblica sul Paese degli abusi ha svelato il nuovo volto del condono made in Italy, sparito dai radar nazionali per riparare comodamente, sotto molteplici forme in qualche caso ben più subdole perché mascherate, nelle pieghe delle leggi regionali. Sanatorie spuntate con la motivazione tanto encomiabile quanto velenosa di “evitare il consumo del suolo”.

Mentre si afferma con provvedimenti votati dagli eletti nei consigli regionali il folle principio dell’abuso “per necessità”, come se fosse necessario per risolvere un personale problema di alloggio tirare su una palazzina alla faccia di qualunque regola e del rispetto dell’ambiente.

La nostra inchiesta ha pure documentato come il rapporto fra la politica e certa burocrazia ottusa o corrotta da una parte, e l’illegalità ambientale dall’altra, sia più solido che nel passato. E chi non si adegua paga a caro prezzo. Non è servita la lezione delle sanatorie che hanno legalizzato il massacro del nostro territorio e dei nostri conti pubblici, considerando la vergognosa sproporzione fra i magri incassi dei condoni e la valanga di denari pubblici spesi per dare servizi agli abusivi. Né è servito, ciò che appare decisamente più grave, il sacrificio di chi come il sindaco di Pollica Angelo Vassallo ha perso la vita per contrastare uno scempio che spesso porta il marchio della criminalità organizzata.

Dice tutto, a proposito del ruolo di certa politica in questo sporco affare, la sconcertante vicenda del sindaco di Licata, sfiduciato dal consiglio comunale per aver deciso di abbattere le costruzioni abusive. Angelo Cambiano ha raccontato allanostra Alessandra Ziniti di aver ricevuto la visita del ministro degli EsteriAngelino Alfano, siciliano, che gli ha pubblicamente manifestato tutta lapropria solidarietà, incitandolo a proseguire nell’azione di recupero dellalegalità. Ma quando si è poi passati dalle parole ai fatti, i consiglieri delpartito Alternativa popolare del quale Alfano è il leader, sono stati in primalinea nel chiedere la sua testa e farlo così cadere. Dettaglio non irrilevanterivelato da Cambiano, ben sette esponenti di quella parte di assemblea comunaleche lo ha sfiduciato si trovavano in conclamato conflitto d’interessi: essendoabusivi loro medesimi. Adesso che il sindaco è stato tolto di mezzo, e con luile ruspe, di certo dormiranno sonni più tranquilli.

Ma l’ipocrisia chetrasuda da tale inqualificabile storia è insopportabile. Per questo unsimile sfregio alla legalità e all’onestà tira in ballo anche la responsabilitàoggettiva del capo di quel partito. E c’è solo un modo per riparare. Se le cosestanno come ha denunciato Cambiano, sarebbe ora doverosa da parte di Alfano nonsoltanto una pubblica presa di distanza pubblica da quei consiglieri, ma anchel’applicazione nei loro confronti della sanzione politica estrema.
postilla

È davvero difficilecomprendere se chi loda Delrio per le sue dichiarazioni contro l’abusivismourbanistico sia del tutto smemorato o in malafede. Delrio non è stato forseossequente ministro di quel Matteo Renzi che, con il suo Sblocca Italia, ha condonatoa priori ogni abuso, ogni deroga, ogni infrazionealle regole della pianificazione del territorio? Che ha svuotato di potere le “burocrazie”ordinate al suo buongoverno? (Chi ha pazienza i rilegga il pamphlet, curato da Tomaso Montanariper i testi e Sergio Staino per leillustrazioni, edito da Altraeconomia, che denunciò gli effettidevastatori delle “politiche territoriali” della banda Renzi, e che intitolammo
Rottama Italia)
Ed è altrettantodifficile comprendere se chi se la prende con Angelino Alfano invece che con Marco Minniti ha compreso davverocome stanno le cose: chi ha il potere e chi no.
Ma veniamo all’oggi,al “miracolo di Licata” che ha riaperto il dibattito sull’abusivismo. Questoevento ha due facce, una buona e una cattiva. La buona è l’iniziativa di unsindaco onesto, Angelo Cambiano che, fedele al suo ruolo, ha osato combattereper davvero l’abusivismo. La faccia cattiva è il consiglio comunale che,insorto a difesa degli abusivisti, ha tolto la fiducia al sindaco condannandoloall’impotenza.
Che cosa farebbe ungoverno non servile nei confronti degli abusivisti: il ministro degli interniscioglierebbe il consiglio comunale, nominerebbe un commissario ad acta eproseguirebbe in questo modo l’opera del sindaco. Che fa il governo di cuiDelrio fa parte? Nulla, parole al vento; di cui quelle scritte da Sergio Rizzosono un buon esempio.

Aspettando che Marco Minniti, implacabile custode del rispetto della legge da parte dei poveri e dei diversi, la applichi anche quando, in quanto ministro dell'Interno, deve colpire i suoi affini: i componenti del consiglio comunale di Licata. Articoli di Alfredo Marsala,Gian Antonio Stella, Alessandra Ziniti, da il manifesto, Corriere della Sera, la Repubblica, Il FattoQuotidiano, 11 agosto 2017

il manifesto
LICATA, ABBATTUTO IL SINDACO ANTI-ABUSI.
ALFANIANI DECISIVI.
di Alfredo Marsala

«Il consiglio comunale della città agrigentina sfiducia Cambiano. Scontro con il candidato governatore M5S favorevole alle sanatorie»

Quando ha visto che anche i consiglieri di Ap gli avevano votato la sfiducia ha capito che lo Stato aveva speso solo belle parole. Appena un anno fa, dopo il secondo grave attentato subito, Angelino Alfano, allora capo del Viminale, si era recato a Licata per incontrarlo. Angelo Cambiano, eletto sindaco nel 2015, lo aveva ricevuto nel suo ufficio del palazzo di città. «E’ finito il tempo della politica che coccola gli abusivi», assicurò il ministro, mentre gli operai cercavano di ripulire le mura annerite della casa della famiglia del sindaco data a fuoco la sera precedente.

Cambiano ci aveva provato in tutti i modi a uscire dall’isolamento in cui sentiva di trovarsi, sotto pressione costante da parte degli abusivi e malvisto da una parte della città che non sopportava la sua sovraesposizione. Minacciato e intimidito più volte, il sindaco, che aveva pure ricevuto proiettili e ormai andava in giro con la scorta assegnatagli dalla Prefettura, era diventato per tutti «il demolitore»; nonostante andasse ripetendo che stava solo facendo applicare i provvedimenti della magistratura di Agrigento che gli aveva consegnato l’elenco degli immobili da abbattere perché fuorilegge e che se non l’avesse fatto sarebbe stato accusato di favoreggiamento. In qualche modo Cambiano era riuscito a fare accendere i riflettori mediatici su Licata, mentre le ruspe abbattevano una alla volta ruderi e casette costruite illegalmente entro i 150 metri dalla costa, in totale una settantina.

Cambiano ha resistito alle minacce convincendosi di potere resistere ai blocchi e ai sit-in degli abusivi contro le demolizioni, anche se altri amministratori facevano scelte diverse. Dove non ci sono riuscite le minacce c’è però riuscita la politica. Due sere fa, il consiglio comunale, dove aveva la maggioranza, gli ha voltato le spalle. A sorpresa, è passata la mozione di sfiducia che era stata presentata da 16 consiglieri; bastavano 4 voti in più per mandare il sindaco a casa, alla fine i voti favorevoli sono stati 21, uno in più del quorum. E proprio i voti di Ap sono stati determinanti. Sulla carta nella mozione gli vengono contestate scelte sbagliate che avrebbero fatto arrivare meno fondi nelle casse comunali. «Il vero motivo lo sanno tutti qual è, ma non hanno il coraggio di dirlo», dice Cambiano, che impugnerà l’atto perché «le motivazioni riportate nella mozione sono solo bugie». Intanto è pronto a tornare al suo mestiere di insegnante di matematica dopo essere diventato il simbolo della lotta contro l’abusivismo.

«Sono deluso e amareggiato. Se questa è la fine che fanno gli amministratori che fanno solo il proprio dovere: ho avuto minacce di morte, proiettili, due case incendiate», aggiunge. «Vuol dire che è una classe politica inadeguata, alla ricerca solo del consenso elettorale e non accetto chiamate e solidarietà a posteriori – sbotta – Sono amareggiato dalla politica e dalla sua falsità alla ricerca solo del consenso. Quella di demolire immobili non è stata una scelta politica. Ci sono delle sentenze della magistratura che lo hanno decretato e le sentenze vanno rispettate». Difende comunque la sua città: «Licata non è una città di delinquenti». «Ho 36 anni, sono padre da 9 mesi, vorrei riappropriarmi solo della mia vita», continua.

Puntuali le solidarietà. Ma anche la polemica. C’è chi collega la sfiducia a Cambiano con le dichiarazioni fatte appena il giorno prima da Giancarlo Cancelleri; il candidato a governatore in Sicilia per i 5stelle aveva parlato di «abusivismo di necessità», richiamandosi al «modello Bagheria» del sindaco pentastellato Patrizio Cinque che ha concesso un condono edilizio, accettando 4.500 pratiche. «Mentre viene sfiduciato un bravo e onesto sindaco – dice l’ex presidente dell’Antimafia Francesco Forgione – Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Cancelleri difendono l’abusivismo ma dicono quello di necessità. Esattamente come diceva Totò Cuffaro quando gli abusivi da lui sostenuti facevano i cortei dietro lo striscione ‘Forgione uguale demolizione’. Ecco la differenza tra la legalità praticata e la parola onestà urlata come slogan a casaccio».

Critica anche Legambiente: «Sicuramente se altri sindaci, invece di nascondersi dietro cavilli e rinvii, si fossero comportati con serietà e rigore e avessero anche loro applicato la legge e avessero abbattuto gli abusi edilizi, come fa il sindaco di Carini, Angelo Cambiano non sarebbe rimasto isolato. E c’è chi adesso, con una encomiabile faccia di bronzo, parla di ‘abusivismo di necessità’ solo per raccattare qualche voto cavalcando il populismo. Ma quante case abusive sono state abbattute a Bagheria da quando è stato eletto tre anni fa il sindaco 5 stelle? Altre nuove pagine di politica vergognosa».

Corriere della Sera
A LICATA CACCIANO IL SINDACO
NEMICO DELLE VILLETTE ABUSIVE
di Gian Antonio Stella

L’ «eroe per caso» della guerra agli abusivi, il giovane sindaco di Licata, ha tenuto duro per mesi. A dispetto degli insulti, delle minacce, degli attentati, del peso di doversi muovere con la scorta. Lo sapeva, però, che il suo destino era segnato. E la mozione di sfiducia è stata solo il passaggio formale. Poche settimane e la Sicilia va alle elezioni regionali. E chi ce l’ha il fegato di sfidare il Pau, cioè il Partito abusivi uniti?

È una sconfitta pesante, per l’immagine e l’onore di tutta l’isola, la demolizione politica e clientelare, in consiglio comunale, di Angelo Cambiano, il simbolo stesso del rispetto della legge sulle demolizioni dei villini costruiti all’interno della fascia vietatissima dei 150 metri dal mare. Una sconfitta per Angelino Alfano che, tirato in ballo dalle suppliche a «far sentire l’appoggio del governo», aveva sventolato il suo appoggio al primo cittadino in difficoltà davanti alla rivolta dei fuorilegge: anche gli alfaniani hanno votato per la decapitazione della giunta comunale. E una sconfitta più ancora per lo Stato, che si era illuso di riuscire finalmente a imporre, in quell’angolo di Sicilia, il rispetto della legge. Trent’anni di condoni

Per capire la dimensione della batosta, però, va fatto un passo indietro. Ricordando come dal primo condono craxiano del 1985, seguito dai due berlusconiani del 1994 e 2003, centinaia di migliaia di abusivi siciliani, protagonisti di un furioso saccheggio delle coste (si pensi a Triscina: cinquemila villette illegali tirate su a due passi da Selinunte) scelsero di versare un piccolo acconto avviando le procedure del condono, necessarie per bloccare le inchieste e le demolizioni, per poi non occuparsene mai più. Certi che la burocrazia isolana, tra le peggiori del pianeta, avrebbe ingoiato tutto.

Cosa puntualmente avvenuta. Basti dire che la «sanatoria delle sanatorie» offerta da Totò Cuffaro ai 400 mila isolani che da anni lasciavano marcire le pratiche dei vecchi condoni, fu accolta con l’1,1% di adesioni a Palermo, lo 0,37% a Messina, lo 0,037% a Catania, lo 0,025% ad Agrigento. E l’incasso fu di 1 milione e 85 mila euro: un settecentesimo del previsto.

L’ambiente era tale che nel 2001 lo stesso vescovo agrigentino Carmelo Ferrara, alla minaccia dello Stato di buttar giù almeno le più oscene delle 607 costruzioni illegali costruite dentro il parco archeologico, rispose attaccando le «ruspe immorali», denunciando «una campagna di mistificazione contro la città» e incitando alla ribellione «contro lo stato-padrone». I villini da abbattere

Fu questo, «il contesto» di sciasciana memoria nel quale Angelo Cambiano diventò un «eroe per caso». Era un giovane docente di matematica, non aveva fama di fanatico ambientalista e la lista civica che l’aveva eletto non era fatta di rivoluzionari. Anzi. Ma il commissario di governo uscente, con le chiavi della città, gli consegnò anche un tesoretto di 300 mila euro accantonati per cominciare a buttar giù, finalmente, almeno i villini colpiti da ordinanze inappellabili di demolizione. Cioè 216 su centinaia e centinaia. Come già i lettori sanno: tutte seconde case, quasi tutte sul mare, tutte tirate su a dispetto della legge.

In altre situazioni, forse, lo stesso Angelo Cambiano avrebbe preferito poter dire, come tanti altri sindaci, «spiacente, le ruspe costano e non abbiamo soldi». Meno grane. Meno odio. Meno rischi. I soldi in cassa, però, lui li aveva. I magistrati Renato Di Natale e Ignazio Fonzo, che già avevano dato una scossa imponendo ai comuni di prendere di petto il tema, glielo ricordarono. E lui ne prese atto. Facendo il suo dovere, cosa rara in certe realtà, nonostante la rivolta di tanti amici e amici degli amici: «Picchì giustu a ‘nattre?» Perché solo a noi? Perché le ruspe qui e non in altri comuni e contro altri abusi?

Confronto duro. Tanto che l’associazione «Periscopio, Osservatorio permanente sui rispetto della legalità» (sic) arrivò a firmare un «esposto querelatorio» contro il prefetto, il sindaco, i dirigenti dell’urbanistica e così via accusandoli di aver «prevaricato nelle loro funzioni istituzionali nella nota e triste vicenda…» Per non dire degli appelli («Perché proprio adesso, dopo anni? Perché proprio noi se in Sicilia ci sono un milione di case abusive?») e infine delle minacce.

Ci voleva coraggio a tener duro in nome dello Stato. Angelo Cambiano lo ha avuto. Ma come reggere un «contesto» in cui decine di deputati e senatori e consiglieri regionali si vantano di essere contro le ruspe e lo stesso governatore Rosario Crocetta nega le voci di una sanatoria ma pensa alla «possibilità dell’utilizzo sociale di alcuni immobili costruiti abusivamente che potrebbero, dopo la loro acquisizione al patrimonio pubblico, essere inseriti in piani di recupero...»? Come interpretare certi messaggi quali l’ultima apertura del candidato grillino alla Regione Giancarlo Cancelleri verso gli «abusivi per necessità», storica formuletta che le vecchie volpi partitiche d’ogni colore usano da sempre per stoppare le ruspe? L’altra «rivolta»

Non bastasse, il sindaco di Licata non è il primo a esser buttato fuori. A gennaio era già stato costretto ad andarsene Pasquale Amato, primo cittadino di Palma di Montechiaro: mezzo paese (a partire dai delinquenti che lo tempestavano di lettere minatorie) non gli perdonava di aver appoggiato una serie di demolizioni obbligate da sentenze definitive. Al posto suo, oggi, c’è Stefano Castellino che, come hanno scritto i giornali locali, si è presentato «con le idee chiare». Primo punto: basta ruspe. I soldi, dice, possono essere spesi meglio. Il tutto, si capisce, nella convinzione «che la legalità, la trasparenza e la chiarezza siano essenziali». Ma che statista...

la Repubblica
LICATA SFIDUCIA IL SINDACO DELLE RUSPE "PER NOI ITALIANI L'ONESTÀ È UN LUSSO"
di Alessandra Ziniti
«Tra i consiglieri comunali che hanno votato contro Angelo Cambiano sette proprietari di immobili nella “lista nera”»

La nota riservata è sul tavolo del procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio da un paio di settimane. Angelo Cambiano gliel’ha inoltrata dopo aver ricevuto la segnalazione dal dirigente dell’ufficio tecnico che, come lui, vive da mesi sotto scorta. Sette dei ventuno consiglieri comunali che mercoledì sera hanno deciso di mandare a casa il giovane sindaco che si era messo in testa di far abbattere le case abusive, risultano proprietari di immobili nella lista nera.

«Ora mi piacerebbe sapere se è legittimo che tra coloro che mi hanno votato la sfiducia ci sono persone coinvolte direttamente in questa vicenda», dice Angelo Cambiano il giorno dopo aver perso la sua battaglia, mandato a casa non dal popolo degli abusivi che lo ha minacciato, aggredito, bruciato due case, ma dalla politica che gli ha girato le spalle. Tranne il Pd e parte della sua maggioranza centrista, tutti gli altri, a cominciare dagli uomini del ministro Angelino Alfano, gli hanno votato contro.

«Sono amareggiato dall’ipocrisia e dalla falsità della politica. I messaggi di solidarietà postumi li ho respinti tutti al mittente. Un’attenzione prima di questo atto, che non è solo nei miei confronti ma della buona politica, forse avrebbe cambiato il corso di questa paradossale vicenda».

Oggi tutti indignati. Chi si è fatto sentire?
«Mi ha chiamato il presidente dell’Assemblea regionale Ardizzone, il governatore Crocetta mi ha assicurato che non manderà un commissario “morbido”. Sa che le dico? Tutte parole al vento ».
E Alfano che era venuto a Licata a garantirle vicinanza dopo il primo attentato?
«Non pervenuto. Meglio così. Mi rimbombano ancora le sue parole il 9 maggio nell’aula consiliare di Licata: “Basta con la politica che coccola gli abusivi. Ho dato indicazione ai miei di starle vicino”. E invece tra i promotori della mozione di sfiducia ci sono proprio i suoi fedelissimi. Ma la politica in Sicilia non è ricerca di soluzioni, ma del consenso. E ora a novembre si vota per le Regionali ».

E l’abusivismo è un grande aggregatore di consenso. Anche il candidato del M5S ha assunto una posizione precisa.
«Avevo incontrato Cancelleri mesi fa e mi aveva incoraggiato ad andare avanti con le demolizioni. Ora gli sento dire che agli “abusivi per necessità” non verrà demolita la casa. Ma chi sono gli abusivi per necessità? Sono solo slogan per avere i voti di questa gente».

Si sente sconfitto?
«Sono stato sconfitto da una classe politica inadeguata che ha devastato i territori, che ha perso un’occasione di riscatto che poteva essere anche di rilancio per la nostra terra. E soprattutto che ha perso il treno per affermare una cosa che dovrebbe essere scontata, e cioè che la legge si rispetta. Lo ribadisco: non è stata una scelta politica abbattere le case, c’erano sentenze della magistratura che andavano rispettate senza se e senza ma».

E adesso? Intende veramente tornare a fare l’insegnante?
«Fino a ieri pensavo che non volevo rassegnarmi, oggi penso che ho 36 anni, un figlio di nove mesi e vorrei riappropriarmi della mia vita magari credendo ancora nella buona politica, anche se è difficile pronunciare queste parole in questo momento».

“E ora andiamo a riprenderci quello che è nostro”, direbbe Gaetano Patanè, il sempiterno sindaco della Pietrammare di Ficarra e Picone dopo aver costretto alle dimissioni il suo rivale che aveva provato a far scattare “l’ora legale” in quel paesino della Sicilia. Come ha reagito ieri la sua Licata?
«La solidarietà che mi è stata espressa già nei giorni scorsi da Ficarra e Picone è stata una delle poche che ho gradito. Forse, come dicono loro, con questa crisi l’Italia non si può permettere l’onestà. Licata è una città difficile. Oggi forse molti si stanno rendendo conto che in fondo avevano un buon sindaco, molti altri sono venuti a chiedermi di ricandidarmi per non lasciare la città nelle mani dei ladroni. Vedremo, è ancora presto».

il Fatto Quotidiano
LICATA,CACCIATO SINDACO CHE VOLEVA DEMOLIRE L'ABUSIVISMO.
NEI GIORNI SCORSI LA SOLIDARIETÀ DI FICARRA&PICONE

«Il consiglio del comune siciliano sfiducia il primo cittadino con 21 voti. Angelo Cambiano che da mesi vive sotto scorta paga così la sua lotta alle case abusive che da decenni occupano la fascia entro i 150 metri del litorale: "Torno a insegnare matematica, ma tutti sanno perché sono stato messo alla porta". Pioggia di reazioni. Randisi (Antimafia): "Sconfitta per un'intera comunità"».

Sfiduciato il sindaco antiabusivi di Licata (Agrigento). Il consiglio comunale del comune siciliano ieri notte ha votato la mozione per mandare a casa Angelo Cambiano, da mesi sotto scorta che paga così la sua lotta alle case abusive che da decenni occupano la fascia entro i 150 metri del litorale di Licata. «Mi accusano di non aver fatto arrivare al Comune risorse e finanziamenti, ma non è vero perché ho portato oltre 52 milioni di euro. Il vero motivo lo sanno tutti, qual è ma non hanno il coraggio di dirlo. Io me ne torno al mio mestiere di insegnante di matematica, ma la politica qui dovrà assumersi le sue responsabilità: quella di dire alla gente che un sindaco che fa niente di più che il suo dovere viene cacciato meno di due anni dopo l’inizio del suo mandato».

La sfiducia passa al termine di una seduta tesissima di tre ore e mezza in consiglio con 21 voti, uno in più dei 20 che servivano. Sedici i consiglieri che avevano sottoscritto la mozione di sfiducia nei confronti del sindaco espressione di una lista civica di sinistra, venti i voti necessari per far passare la sfiducia, ventuno quelli che hanno defenestrato il sindaco che, dopo gli incendi di due case di famiglia, minacce e intimidazioni, vive sotto scorta. Cambiano ha già fatto sapere che impugnerà l’atto perché «le motivazioni riportate nella mozione sono solo bugie». Nei giorni scorsi anche Ficarra e Picone erano intervenuti a favore del sindaco, con un tweet, in cui lo hanno paragonato al sindaco protagonista del loro ultimo film, L’Ora Legale.

Sui social, dalla notte scorsa, sono tanti i post di cittadini dispiaciuti per la sfiducia. «Per me – scrive un sostenitore – Angelo Cambiano è stato il miglior sindaco di Licata degli ultimi 20 anni. Io non devo rendere conto a nessuno delle mie affermazioni o azioni, non so se chi ha votato la sfiducia può affermare di essere parimenti libero». Un altro utente è lapidario: «Paese di ignoranti e raccomandati. Siamo abusivi e resteremo abusivi. E devo sentir parlare persone che non sanno nemmeno cosa significhi. Grazie di tutto». Il caso è già diventato politico.

A Cambiano arriva la solidarietà di Legambiente che parla di “pagina triste”, ma anche da Alessandro Pagano, di Noi con Salvini, che lancia l’hashtag #iostoconCambiano. «La comunità licatese – afferma il presidente dell’Associazione antimafia, Nino Randisi – adesso è ferita da questa scelta improvvida di una classe politica miope e sempre un passo indietro rispetto ai valori di legalità reclamati dagli stessi cittadini che avevano eletto Cambiano. Un segnale grave questo che ancora una volta sottolinea come i politici abbiano ritenuto che il problema a Licata fosse il sindaco e non invece le costruzioni abusive edificate in barba alle leggi urbanistiche».

«Sfruttano i cavilli e i tempi lentissimi della giustizia. Così il condono è diventato una specializzazione per gli avvocati più intraprendenti». la Repubblica, 10 agosto 2017 (c.m.c.)

La colpa è del proprietario dell’immobile. Anzi, no: lo studio legale specializzato in abusi edilizi promette sul suo sito che «ci sono casi in cui si può impostare una strategia tendente ad alleggerire la responsabilità chiamando in causa il titolare del cantiere edile». Se poi anche il titolare del cantiere ha un buon legale, saranno altri ad andare a giudizio. O forse nessuno, perché alla fine si paga una multa, oppure il reato è prescritto.
Il titolare dello studio legale di Ariccia che promette «strategie di alleggerimento» preferisce non rispondere, ma c’è invece chi ha voglia di raccontare quanto sia difficile occuparsi di diritto urbanistico in Italia. «Quando, anni fa, ho scritto la mia tesi sull’argomento — racconta Michela Scafetta, avvocata a Roma e a Napoli — ero convinta che il nostro sistema di leggi fosse perfetto. Ho svolto il praticantato a Pomigliano d’Arco e lì mi sono scontrata con un mondo che non credevo potesse esistere: la legalizzazione dell’abuso edilizio». L’avvocata riferisce di clienti che si rivolgono in maniera preventiva ai legali, e nei casi di piccoli abusi in appartamenti affermano: «Ma se io faccio fare tutto in una notte, chi se ne accorge? Trovo un tecnico che regolarizza il tutto e il gioco è fatto».
Oppure c’è chi vuole convincere l’architetto ad abbattere un muro portante, dicendosi pronti ad assumersi piena responsabilità della cosa: «Se il tecnico è incorruttibile — osserva l’avvocata — il problema non si pone, ma se invece si fa convincere, allora può capiretare che i palazzi crollino...». Spesso i clienti girano più studi legali finché trovano chi li asseconda. «Giorni fa a Napoli — racconta ancora Scafetta — ho ricevuto un cliente che dopo aver girato molti studi pugliesi che gli avevano spianato la strada di fronte a un abuso edilizio per un villaggio vacanze nel Gargano, in una zona vincolata e considerata non edificabile, mi esponeva il suo piano d’attacco per verificare anche con me se avrebbe potuto farla franca. Al mio parere fermo che l’opera è abusiva, che non può essere sanabile e implica un reato penale, il cliente per niente preoccupato mi ha detto: “Avvocato, l’importante è che riesco a patteggiare!”».
Per alcuni costruttori, perciò, la «strategia di alleggerimento », le spese per l’avvocato e per pagare la sanzione vengono previste tra i costi di realizzazione dell’opera. «La normativa è farraginosa — conferma l’avvocato Bergaglio, che esercita invece a Milano — da noi arrivano persone che hanno compiuto abusi per ignoranza o perché mal consigliati, ma anche, è vero, perché sanno di poter sfruttare ogni appiglio e cavillo». Secondo il penalista milanese però le cose stanno cambiando: «Un tempo mettere in conto l’abuso era conveniente, adesso, vista la stretta sui condoni, nella grande lottizzazione il rischio è troppo alto. Da me arrivano soprattutto persone che si ritrovano nei guai: per deontologia mai assisterei qualcuno per dargli indicazioni su come aggirare le norme, non insegno a delinquere ».
Ma come in ogni ambito, c’è chi di fronte al guadagno chiude un occhio: «Dal punto di vista economico — osserva Bergagli — la parcella per casi di abuso edilizio non è alta, direi tra i 4 mila e i 15 mila euro, a fronte di parecchio lavoro. Diverso è se si tratta di grandi lottizzazioni».
L’avvocata Lory Furlanetto, dei Centri di azione giuridica di Legambiente, allarga il discorso: «In Italia il problema è una cultura incapace di considerare l’abuso un costo enorme che paga tutta la collettività, e non soltanto per i danni all’ambiente, ma per le casse dei comuni. Non colpevolizzerei gli avvocati, a facilitare l’abusivismo ci sono anche studi notarili e tecnici pronti a istituire pratiche di condoni finti su opere inesistenti, se all’orizzonte c’è una sanatoria».

Parla l’avvocato generale della Corte d’Appello di Napoli Gialanella: “I Comuni non collaborano”». la Repubblica, 9 agosto 2017 (c.m.c.)

«I segnali che arrivano dalla politica in tema di abusi edilizi non mi sembrano esattamente improntati al principio della tolleranza zero», dice l’avvocato generale della Corte d’Appello di Napoli Antonio Gialanella. Dalla sua scrivania, passano tutte le procedure di demolizione di competenza della Procura generale con a capo il pg Luigi Riello.

I due magistrati, d’intesa con le Procure del distretto, hanno dato un forte impulso alla lotta contro il cemento illegale. Ma è una partita che spesso l’autorità giudiziaria non gioca ad armi pari. E non solo per i numeri: a fronte di più di mille procedimenti pendenti, gli abbattimenti eseguiti dalla Procura generale nel 2016 non superano la settantina. «Abbiamo casi, come quello di un centro sportivo, dove l’ingiunzione a demolire è arrivata nel 2008 e solo otto anni più tardi, a novembre 2016, è iniziata la demolizione».

Perché è così difficile mandare giù un manufatto abusivo?
«Innanzitutto serve una sentenza definitiva e i tempi del processo penale non sono brevi. Anche perché parliamo di reati contravvenzionali che vengono giudicati, spesso, in territori dove i tribunali devono confrontarsi con omicidi e delitti di mafia. Dopo la condanna, comincia un altro iter a sua volta molto complesso ».

In cosa consiste?
«Il proprietario dell’immobile può opporsi sul piano giudiziario e avviare procedure strumentali su quello amministrativo. Questo può portare via anche degli anni. E non bisogna dimenticare che senza soldi non si può demolire ».

Chi finanzia l’abbattimento?

«Ci sono casi in cui il destinatario, quando non ha più alternative, procede all’autodemolizione per risparmiare sui costi. Altrimenti, si attiva il finanziamento della Cassa depositi e prestiti. Ma può farlo solo il Comune. È un vero e proprio mutuo concesso all’ente che, dopo la demolizione, si rivale sul proprietario».

Anche il finanziamento richiede tempi lunghi?
«La pratica va istruita. I problemi però ci sono anche a monte ».

In che senso?
«Debbo registrare lentezze dei Comuni nel ricorso al finanziamento della Cassa depositi e prestiti. Come Procura generale, abbiamo dovuto segnalare gli atteggiamenti, per così dire, poco collaborativi di alcune amministrazioni ».

A questo si riferiva quando parlava della politica che non sembra orientata verso la tolleranza zero?
«Questo è un aspetto. Ma arrivano segnali che suscitano perplessità anche dalla Regione Campania, con la legge, ora impugnata dal governo Gentiloni, sulle “misure alternative agli abbattimenti”. Al di là del merito, si rischia di lanciare un messaggio che non scoraggia gli abusi. Come del resto suscita perplessità anche il disegno di legge Falanga ».

Perché un giudizio così severo?
«Se, da un lato, il disegno di legge attribuisce maggiori poteri al prefetto, e questo potrebbe velocizzare le procedure di finanziamento, dall’altro fissa dei tetti di spesa per gli abbattimenti assolutamente inadeguati: 5 milioni per le procedure del 2016 e 10 per quelle tra il 2017 e il 2020 per tutto il territorio nazionale».

Non bastano?
«Le faccio solo un esempio: il Parco nazionale del Vesuvio, che sta svolgendo un’opera meritoria in questa battaglia, ha stanziato nell’ultimo bilancio 659 mila euro».

Sono tanti soldi.
«Sulla carta sì. Però sono già pronti due progetti di demolizione di competenza della Procura generale dell’importo di 300 mila euro, altri due della Procura di Nola per i quali occorrono 860 mila euro e sette della Procura di Torre Annunziata che richiedono 300 mila euro. Una demolizione di media entità non costa mai meno di 50 mila euro. Per abbattere il centro sportivo di cui le parlavo prima, è stato impegnato un milione e mezzo».

Le cautele della politica, almeno in alcuni casi, non possono essere dettate anche dalla volontà di non colpire chi ha realizzato un abuso per necessità?
«È sbagliato presentare la demolizione come uno strumento che penalizza solo gli ultimi. I fatti dimostrano che spesso in gioco ci sono interessi criminali, speculazioni, paesaggi devastati».

«La lottizzazione di Borgo Berga, a Vicenza Palazzi a ridosso di due fiumi e a pochi metri da una zona patrimonio dell’Unesco». la Repubblica, 5 agosto 2017 (c.m.c.)

Non chiamatelo “ecomostro”, anzi non azzardatevi neppure a chiamarlo abuso edilizio. È una cosa che fa imbestialire la “Cotorossi Spa”. Potreste trovarvi nelle stesse condizioni di alcuni ambientalisti trascinati in tribunale con richieste di risarcimento milionarie. Da vittime a carnefici in un batter d’occhio per aver denunciato una speculazione che ha pochi eguali in Italia. E con una procura che, in buona sostanza, sta indagando su se stessa o meglio sull’edificio che la ospita.

È una storia lunga 15 anni quella dell’operazione Borgo Berga, a poche centinaia di metri da Villa Rotonda del Palladio, patrimonio dell’Unesco. Una vicenda che porta in sé più di un paradosso, di cui si trova traccia già nei primi anni del 2000 degli atti dell’amministrazione di centrodestra guidata da Enrico Hullweck. A suo tempo l’area era occupata dallo stabilimento ormai dismesso della famiglia Rossi. Una fabbrica storica poi acquisita da una delle società della galassia berlusconiana e successivamente ceduta a una cordata guidata dalla Maltauro (società di costruzioni nota ai pm di Milano per alcune vicende legate all’Expo).

In quell’area il Comune di Vicenza decide di realizzare il nuovo Tribunale e in cambio i privati ottengono le autorizzazioni ad edificare su oltre centomila metri quadrati di terreno, con volumi e altezze imponenti, la cessione di aree pubbliche per una superficie doppia di quella ricevuta dal comune e un bel finanziamento per le opere di urbanizzazione. Nel 2006 i lavori partono con la demolizione del vecchio stabilimento, nonostante le prescrizioni della Soprintendenza. Arrivano le prime denunce da parte di Legambiente, Italia Nostra e del Comitato contro gli abusi edilizi. E arriva la prima inchiesta archiviata in tempi record. Strano, visto che gli edifici di Tribunale, attività commerciali e palazzoni di appartamenti vengono tirati su a ridosso di due fiumi, Retrone e Bacchiglione (nell’area storicamente sorgeva il porto fluviale).

Nel 2008 cambia l’amministrazione, e nonostante da consigliere regionale avesse tuonato contro il Tribunale (definendolo «un mostro»), il nuovo sindaco Achille Variati del Pd fa approvare una variante urbanistica che di fatto conferma il vecchio piano. Nel 2013 arrivano nuove denunce degli ambientalisti e la magistratura è costretta a indagare nuovamente su casa propria. Fino al 2014 tutto tace e l’inchiesta resta a carico di ignoti, l’anno dopo viene indagato solo l’ex dirigente all’urbanista del Comune. Pochi mesi e si registra un sequestro preventivo chiesto dal pm Antonio Cappelleri e accolto dal Gip Massimo Gerace.

Viene contestato il reato di lottizzazione abusiva dell’intera area, ma il sequestro riguarda soltanto uno dei lotti. Il giudice scrive nero su bianco che «sussiste l’illegittimità del piano di lottizzazione e dunque dei permessi a costruire rilasciati e da rilasciare». Mancano «gli elaborati sulle zone sismiche, manca il rispetto delle prescrizioni della sovrintendenza, mancano valutazioni ambientali » e altro ancora. Qualcosa sembra muoversi. Sembra, perché in realtà non vengono sequestrati gli edifici realizzati o in via di realizzazione, ma solo un lotto completamente libero. Dunque si continua a costruire, a completare, a vendere o affittare unità immobiliari. Il tutto perché il giudice ritiene «i volumi in essere costitutivi di fatti compiuti non più modificabili». Insomma, ormai l’abuso è fatto.

La procura indaga, e si va avanti. Gli ambientalisti scrivono che i permessi a costruire sono scaduti, e si va comunque avanti. Arriva anche l’Anticorruzione di Raffaele Cantone e un’indagine della Corte dei Conti, e si continua a lavorare. Anzi di più. I mezzi di cantiere, che operano nelle aree libere, vengono autorizzati dalla magistratura ad attraversare il lotto sequestrato.

L’Enac mette in discussione gli accordi tra Comune e privati che conterrebbero uno squilibrio nei profitti del privato a danno dell’amministrazione, quantificato in una decina di milioni di euro. Inoltre, le opere di urbanizzazione si sarebbero dovute effettuare con una gara pubblica e non, com’è accaduto senza bando. La Corte dei Conti apre un fascicolo per danno erariale, ma nulla sembra fermare l’operazione. Intanto la Procura chiede il sequestro dell’intera area, ma questa volta il gip dice di no. Al Riesame il pm si concentra sui danni economici, molto meno sulle relazioni dei consulenti e degli investigatori relative al danno ambientale, e il ricorso viene respinto.

Ora si attende la decisione della Cassazione. Intanto gli ambientalisti si rivolgono alla Corte d’Appello chiedendo la revoca dell’indagine e al Csm con un esposto per chiedere conto del lavoro di Cappellieri. Nessuna risposta. Tutto tace e i lavori vanno avanti. O meglio quasi tutto tace. Perché se dell’indagine non si ha più notizia, sono già arrivate le citazioni in giudizio per i denuncianti da parte della “Cotorossi” che chiede in sede civile 3 milioni per danni e diffamazione. In questo caso l’udienza è fissata per dicembre. Da vittime a carnefici per averlo chiamato “abuso”.

«I 79 bungalow con piscine di Punta Scifo a Crotone avallati dal funzionario Che ora rischia il processo». la Repubblica, 4 agosto 2017 (c.m.c.)

A Crotone non hanno dubbi. «Altro che Caraibi, andate a Punta Scifo». Per arrivare ci vogliono gambe e pazienza, ma la meta vale la fatica. Alla fine del sentiero c’è una cala di sabbia dorata e mare turchese, incorniciata da rocce arrotondate dal vento, a pochi passi dal tempio di Hera Lacinia, il simbolo di Crotone nel mondo. Un paradiso. Sotto assedio.

A sporcare la spiaggia, proprio sotto una torre cinquecentesca, ci sono 79 piattaforme di cemento. E lo scavo, incompleto, di una grande piscina. È quel che resta della mega lottizzazione abusiva mirata a far sorgere un villaggio turistico mascherato da agriturismo. «Un irreversibile stupro» per il giudice che ha sequestrato il cantiere. È toccato ai magistrati mettere fine a una storia paradossale. Il pm Gaetano Bono ha chiesto il processo per il soprintendente di Crotone, Catanzaro e Cosenza, Mario Pagano, gli imprenditori Salvatore ed Armando Scalise, il loro direttore dei lavori, Gioacchino Buonaccorsi, l’ex dirigente del Comune di Crotone, Elisabetta Dominijanni, e il funzionario Gaetano Stabile, accusati di essere a vario titolo i responsabili dello scempio di Punta Scifo.

Il peccato originale risale al 2003, quando l’ex sindaco Pasquale Senatore ha stravolto il piano regolatore, dando via libera agli agriturismi come «attività collaterale e ausiliaria» alle coltivazioni. Anche a Punta Scifo, zona sottoposta a vincolo paesaggistico dal ’68. Al riguardo, però, nessuno ha avuto da ridire e qualcuno ci ha visto un affare. Si tratta di Armando e Salvatore Scalise, reucci dell’abbigliamento sportivo con interessi nel turismo invernale, ma nel 2006 determinati ad accreditarsi come «imprenditori agricoli professionali », contadini con tanto di patentino, senza però un campo su cui zappare.

Se lo procurano solo nel 2008, grazie a una scrittura privata strappata al legittimo proprietario, Giuseppe Zurlo, all’epoca già defunto, e diversi mesi dopo aver chiesto i permessi necessari per costruire su quel terreno un agriturismo.

In Comune, nessuno trova nulla da eccepire, le richieste degli imprenditori vengono approvate in tempi record e il Marine Park Village inizia a prendere forma, quanto meno sulle carte dei progetti. Nei pressi dell’area archeologica di Capo Colonna, sono previsti 79 bungalow, una grande struttura bar-ristorante, piscine e servizi necessari per soddisfare le esigenze di massimo 237 ospiti. Eppure, il depuratore previsto nel progetto può sopportarne 500. Un mistero che nessuno nota alla Provincia, che in otto giorni concede agli imprenditori l’autorizzazione paesaggistica.

E nemmeno alla Soprintendenza dei beni architettonici. Ma lì i funzionari “dimenticano” di valutare in tempi utili l’incartamento e il loro silenzio diventa assenso. Solo a termini abbondantemente scaduti segnalano alcune pecche veniali – un elaborato fotografico mancante – ma i loro rilievi ormai non hanno più peso. Più puntuali i colleghi della Soprintendenza archeologica, ma ugualmente magnanimi. Si limitano a raccomandare di far seguire i lavori di scavo da personale tecnico- scientifico, mentre il Comune non fa altro che prendere atto dei vari pareri e concede il permesso a costruire. È il 20 dicembre 2011.

Nel 2012 le ruspe iniziano a devastare Punta Scifo. Ma non per molto. I cittadini guardano, gli ambientalisti protestano, gli archeologi insorgono e i carabinieri iniziano a indagare. Così l’amministrazione non può far finta di ignorare le macroscopiche difformità fra i lavori in corso e il progetto, né una serie di «errori» nell’iter autorizzativo. Il cantiere viene bloccato e la battaglia si trasferisce nei tribunali, dove a rappresentare gli Scalise c’è l’avvocato Domenico Grande Aracri, fratello del boss di Cutro, Nicolino. È lui a strappare più volte il dissequestro dell’area Solo dopo anni il Mibact si accorge che qualcosa nei sopralluoghi dei suoi sovrintendenti non ha funzionato.

Nuovi scavi rivelano «fitte concentrazioni di materiali ceramici» di epoca romana, ma ci vogliono quattro interrogazioni parlamentari per convincere il ministro Dario Franceschini a chiedere lumi sul cantiere al “suo” sovrintendente dei beni architettonici Mario Pagano. Che afferma che nulla si può fare perché «ormai i bungalow sono stati realizzati», ma non è così. Da qui parte l’indagine che nel giro di un paio di mesi porta a un nuovo sequestro dell’area e a una raffica di avvisi di garanzia, che per sei persone - incluso il sovrintendente Pagano - si sono trasformate in una richiesta di rinvio a giudizio.

Quel processo potrebbe non essere l’unico. Perché di un villaggio turistico a Capo Colonna sono stati sorpresi a parlare anche Gaetano Blasco, l’uomo che rideva dei crolli a Mirandola oggi in carcere per i legami con il clan Grande Aracri, e il “suo” costruttore di fiducia, Antonio Valerio. «Stanno facendo certi progetti a Capo Colonna – gli confida Blasco - devono fare cinquecento case di legno». Parlavano di punta Scifo? A dirlo potrebbe essere Valerio, che da mesi collabora con i magistrati. E pare che - almeno una volta - abbia incontrato il direttore dei lavori degli Scalise.

«La zona è sottoposta a vincoli archeologici, ambientali e sismici. Ma le costruzioni abusive non si sono fermate. Ci sono cantieri che sono stati denunciati anche 20 volte». la Repubblica, 3 agosto 2017 (c.m.c.)

Una casa affacciata su Villa dei Misteri. Un manufatto destinato, forse, a diventare un Bed and Breakfast a meno di duecento metri dagli Scavi più famosi del mondo. Un bar che si allarga dove non potrebbe. A Pompei il cemento ha sfregiato il Mito. La zona è sottoposta a vincoli di tutti i tipi: archeologico, ambientale, sismico. Ma questo non ha fermato le costruzioni abusive. L’ultimo sequestro risale a una decina di giorni fa: la polizia municipale ha apposto i sigilli a un cantiere dove si stava ampliando di circa 120 metri quadri un vecchio fabbricato rurale non troppo distante da Porta Vesuvio, uno degli ingressi degli Scavi archeologici.

Gli investigatori non escludono che i proprietari, già impegnati con altre attività nel settore turistico, volessero realizzare un B&B per ospitare i visitatori. Progetto che per adesso dovrà essere accantonato, almeno fino a quando non si sarà definito il procedimento giudiziario. Ma la storia degli abusi edilizi a Pompei parte da lontano. Dal 1986 ad oggi sono stati eseguiti almeno 4500 sequestri. Ci sono cantieri che sono stati denunciati venti volte. Negli scaffali della sezione anti-abusivismo dei vigili giacciono poco meno di tremila pratiche di condono. Risale a una ventina di anni fa l’ampliamento di un vecchio casolare proprio a ridosso della Villa dei Misteri, una delle residenze di epoca romana più affascinanti di tutti gli scavi.

Oggi, chi alza gli occhi dal percorso riservato ai turisti, vede un’abitazione in piena regola. Gli ampliamenti che si sono susseguiti nel corso degli anni sono al centro di un braccio di ferro che potrebbe portare all’abbattimento delle parti aggiunte al nucleo originario dell’immobile. «I nostri uomini sono impegnati continuamente nei controlli anti-abusivismo», spiega il capitano Ferdinando Fontanella, vicecomandante della polizia locale diretta dal colonnello Gaetano Petrocelli.

Un protocollo firmato nel 2005 fra le amministrazioni locali e la Procura di Torre Annunziata prevede che tutti i manufatti superiori ai 50 metri quadri debbano essere sorvegliati. «Oggi abbiamo circa 100 cantieri sotto vigilanza — sottolinea Fontanella — Ogni settimana, per tutto l’anno. A questi si aggiungono quelli vigilati per ordine dell’autorità giudiziaria. Il nostro impegno non si discute, ma vorremmo poterci dedicare di più a migliorare la città nell’interesse dei cittadini e dei turisti».

Il sindaco di Pompei, Pietro Amitrano, del Pd, si è insediato da poco più di un mese e sa che, tra i dossier ai quali dovrà dedicarsi, c’è anche quello sull’abusivismo. «Il problema esiste ed è serio. Come amministrazione siamo pronti ad affrontarlo, ma con serietà e professionalità evitando di fare di tutta un’erba un fascio ». A settembre scatteranno nuovi abbattimenti disposti dalla Procura di Torre Annunziata guidata dal procuratore Sandro Pennasilico con il suo vice, Pierpaolo Filippelli. Altre 70 pratiche di demolizione sono all’esame della Procura generale di Napoli, che con il pg Luigi Riello e l’avvocato generale Antonio Gialanella dedica da sempre grande attenzione al settore degli immobili abusivi. «È nostra intenzione andare avanti su questa strada, applicando la legge», commenta il pg Riello.

Quello degli abbattimenti è un nodo che riguarda tutta la provincia di Napoli. Basti pensare che nell’area del Parco nazionale del Vesuvio, secondo i dati di Legambiente, dal 1997 al 2012 sono state emesse 1778 ordinanze di demolizione di fabbricati illegali, ma per ragioni diverse, legate di volta in volta ad intoppi negli ingranaggi della burocrazia e della macchina giudiziaria, sono andate giù non più di una quarantina di costruzioni. In ogni comune della “zona rossa” del Vesuvio ci sono, in media, circa 5mila pratiche di condono sospese. I numeri fanno riflettere, ma negli occhi restano le immagini: quanto cemento, ai piedi del Vulcano

«Lo studio presentato dai Verdi:sotto attacco seimila chilometri di costa sequestrati 110 stabilimenti alle organizzazioni criminali». la Repubblica, 2 agosto 2017 (c.m.c.)

Su ottomila chilometri di spiagge, ben seimila sono cementificati: di questo passo nel 2060 tutta la costa italiana sarà un’unica barriera di cemento e mattoni.

La denuncia arriva da un dossier dei Verdi,2017 Odissea nella spiaggia, sui litorali italiani. Una morsa di cemento spesso nata nell’illegalità: dalla Romagna alla Sicilia, passando per la Capitale, sono oltre 110, secondo il rapporto, gli stabilimenti balneari sequestrati alla mafia negli ultimi cinque anni, ottenuti con attività intimidatorie e infiltrazioni mafiose nei Comuni e nelle Regioni.

Troppi, infatti, gli interessi che fanno gola alla criminalità organizzata: dal costo irrisorio della concessione demaniale — incide meno dell’1% sul fatturato dello stabilimento — alla facilità con cui è possibile riciclarne i proventi. Secondo il dossier, il fatturato degli stabilimenti balneari si aggira intorno ai 10 miliardi di euro l’anno — dato peraltro sottostimato rispetto ad altre rilevazioni — un business redditizio reso possibile dall’affitto irrisorio dello Stato.

Il rapporto dei Verdi spiega come le tariffe di affitto sulle aree demaniali dipendono dal regolamento che individua tre tipi di area nelle coste italiane: fascia A, alta valenza turistica, fascia B, normale valenza, e fascia C, bassa valenza. Però in tutta Italia, secondo il dossier, i canoni applicati nelle concessioni sono di fascia B. Così, denuncia il rapporto, lo Stato svende un bene pubblico e tollera una colata di cemento che fa dell’Italia uno dei paesi più cementificati nell’Unione europea. Sulla costa Tirrenica, “respirano” infatti, liberi dal cemento, appena 144 chilometri, 200 sulla costa adriatica.

Venti chilometri di costruzione abusive tra le dune sul mare. Un sindaco onesto vuol fifendere la bellezza della sua terra, ma il popolo bue e la politica lo caccianovia la Repubblica, 2 agosto 2017 (c.m.c.)

In contrada Cavaddruzzu, la 67esima villetta nella lista delle costruzioni abusive da abbattere è venuta giù qualche settimana fa sotto l’aggressione delle ruspe in assoluto silenzio. I proprietari, da tempo residenti in Inghilterra, non si sono neanche presentati. In quella villetta a due piani con le pareti color ocra e una bella piscina edificata a 100 metri dal mare sulle dune della costa selvaggia della Sicilia meridionale ci venivano d’estate in vacanza. Di quella seconda casa, come la maggior parte di quelle costruite in spregio di ogni normativa negli ultimi cinquant’anni negli oltre venti chilometri di costa da Gela ad Agrigento fino a Siculiana e Sciacca, oggi restano un paio di materassi ammonticchiati su detriti di ceramica, tubature rotte, lo scavo della piscina. Qualche chilometro più in là, in territorio di Palma di Montechiaro, i proprietari di una villetta che fa bella mostra di sè alla identica distanza dal mare, gongolano: il sindaco Stefano Castellino, come suo primo atto dopo l’insediamento, ha detto: «Qui non si demolisce nulla».

A Licata, dopo mesi di altissima tensione, il “popolo degli abusivi”,che nell’ultimo anno ha alzato le barricate contro il giovane sindaco Angelo Cambiano e la sua “pretesa” di eseguire l’ordine della Procura di Agrigento di demolire le oltre 160 case dichiarate abusive con sentenza passata in giudicato, sembra essersi placato.

Dopo mesi di minacce e aggressioni, dopo due incendi ad altrettante case di familiari del sindaco che nel frattempo è stato costretto a vivere sotto scorta, a “sistemare” Cambiano ci ha pensato la politica. Prima con l’isolamento del giovane “sindaco demolitore” da parte degli stessi colleghi che, con tanto di fascia tricolore al fianco, erano andati a testimoniargli solidarietà e ad applaudirlo, ora con la mozione di sfiducia firmata dalla maggioranza dei consiglieri comunali che mercoledì prossimo dovrebbe decretare la sua deposizione.

Angelo Cambiano, 36enne primo cittadino eletto nel 2015 con il supporto di tre liste civiche di area moderata, pensa già al suo futuro di normale cittadino. «Se in due anni di attività un sindaco viene cacciato solo perché fa il suo dovere, è meglio tornare alla mia vita di insegnante di matematica, deluso dalla politica e con il desiderio di prendere moglie e figlio e andare via da questa terra così bella e ricca di risorse ma anche così poco amata dai suoi cittadini e dalla politica».

Dune di spiaggia selvaggia, chilometri di mare azzurro intenso sempre increspato dalle onde, palme sullo sfondo e una teoria ininterrotte di ville, villette, palazzine di tre piani. Da quelle lussuose con vista strepitosa di professionisti ed esponenti della politica locale (come hanno scoperto i tecnici del Comune di Licata) agli edifici, spesso non finiti e ancora senza intonaco, di emigrati che hanno investito i loro risparmi nella costruzione di case “familiari” per nonni, figli, nipoti di due o tre generazioni. Tutte comunque a prova di sanatoria, ormai con tanto di ordine di demolizione della Procura di Agrigento, edificate entro i 150 metri dal mare in anni in cui tutto, da queste parti, sembrava normale e possibile, tanto prima o poi la Regione siciliana un condono o una sanatoria li avrebbe approvati.

Ma in Sicilia è già campagna elettorale per le prossime elezioni regionali e ai licatesi che si rifiutano di capire perché «dopo quarant’anni arriva un sindaco e si mette in testa di abbattere» sono in tanti a promettere che «una soluzione si troverà, come sempre». Una soluzione che però passa dalla rimozione di un sindaco che in due anni di case abusive ne ha già demolite 67 (un record da queste parti) e ha ancora una lista con un centinaio di prossimi obiettivi per le ruspe.

L’INTERVISTA. ANGELO CAMBIANO
di Alessandra Ziniti
«Faccio il mio dovere per questo la politica vuole mandarmi via».

«Ormai sono alla mia ultima settimana. Le racconto come finisce in Sicilia un amministratore onesto».

Sindaco Cambiano, allora è sicuro della sfiducia. Getta la spugna?
«No, sarò al lavoro fino all’ultimo momento. Spero in uno scatto di orgoglio delle persone perbene, ma so di avere tutti contro. Ho provato a spiegare ma rimango il sindaco cattivo che vuole abbattere le case dei suoi concittadini. E non c’è altra strada che mandarmi a casa velocemente. Perché è ovvio che se dovessi rimanere al mio posto continuerei a fare le demolizioni».

Per questo la sfiduciano?
«Il mondo politico è falso e ipocrita. Le demolizioni delle case abusive non sono neanche citate nella mozione. Hanno trovato motivi pretestuosi, ma tutti sanno che il vero motivo sono le demolizioni e guarda caso dagli ultimi accertamenti è venuto fuori che alcuni dei consiglieri firmatari della sfiducia sono titolari di immobili da abbattere ».

Insomma, alla fine è rimasto solo. E i suoi colleghi che le avevano manifestato solidarietà dopo il primo attentato?
«Sono rimasto solo con la mia famiglia e la scorta, minacce, proiettili davanti al Comune, attacchi violentissimi sui social. E tutto solo perché ho semplicemente fatto il mio dovere di dare esecuzione a delle sentenze definitive di immobili abusivi come ordinatomi dalla Procura di Agrigento. Una cosa che dovrebbe essere ordinaria ma certo diventa pericolosissima se i colleghi dei territori confinanti, con altrettante case da abbattere, annunciano ufficialmente, come ha fatto il sindaco di Palma di Montechiaro, che non demolirà nulla e revocherà il protocollo di legalità con la prefettura. Tutto nel silenzio della politica».

Nessuno più si è fatto vivo degli esponenti delle istituzioni che erano scesi al suo fianco?
«Nessuno. Mi risuonano in testa come una beffa le parole del ministro Alfano, che venne qui l’anno scorso da ministro dell’Interno e disse: «È finito il tempo delle coccole della politica agli abusivi. Chiederò a tutti i consiglieri del mio schieramento di starle vicino». A distanza di un anno i suoi uomini sono tra i firmatari della mozione di sfiducia...»

Splendidi paesaggi deturpati dal cubature abusive e da poteri arroganti . la Repubblica, 1 agosto 2017 (c.m.c.)

«Mi dia retta, si goda il paesaggio e volti le spalle al resto ». L’uomo col volto solcato di rughe è seduto su una panchina del centro storico di Sperlonga, uno dei borghi più belli d’Italia, poco più di tremila anime a metà strada fra Roma e Napoli, proprio di fianco all’edificio comunale chiuso di lunedì, «ma il martedì lo trova aperto tutto il giorno».

Godersi il paesaggio è la regola da queste parti. Dicono che se si vuole continuare a sognare, a Sperlonga non bisogna mai dare le spalle al mare. Ma da qualche tempo la magia dello sperone di roccia che si tuffa nelle acque limpide e in una distesa di sabbia dorata, si spezza su un maleficio di cubature abusive che hanno trasformato quel luogo dalla vista mozzafiato in un paradiso abitato da diavoli.

«La natura è stata tanto generosa con questo posto e l’uomo l’ha ripagata così», sussurra Anna Dicorio, che qui è nata e cresciuta. Il dito indica un mostro di impalcature che sembra appeso alla montagna, alle spalle del mare appunto. «Un idraulico di qui ha vinto il superenalotto e ha deciso di costruirsi quella villa. Poi, come vede, si è allargato... Ora la casa è sotto sequestro, ma intanto tutto resta dov’è. Qui si allargano tutti...».

A cominciare dal sindaco. Armando Cusani, classe 1963, esponente di punta della coalizione di centrodestra, è al suo terzo incarico da primo cittadino a Sperlonga. Prima, per due mandati, era stato presidente della Provincia di Latina. Malgrado sia agli arresti domiciliari per corruzione e turbativa d’asta, non si è dimesso e, da quasi un ventennio, comanda lui. Il “sindaco padrone”, così lo chiamano, fu il primo in Italia a subire gli effetti della legge Severino: fu sospeso dalle funzioni nel 2013 per una condanna penale di primo grado a due anni per abuso d’ufficio, con l’interdizione dai pubblici uffici.

Nel giugno 2016 col 58% dei voti indossò per la terza volta la fascia tricolore del comune in provincia di Latina e proseguì ciò che aveva interrotto da presidente della Provincia. L’hotel Grotte di Tiberio è uno dei suoi capolavori abusivi, con tanto di semaforo fatto mettere a spese dei contribuiti sulla via Flacca, una strada statale, che non ha mai regolato il traffico ma serviva per dare riferimenti ai turisti: «Lei percorre la Flacca e a un certo punto trova un semaforo e lì sulla destra c’è il mio hotel, diceva tra un caffè e una riunione in consiglio», racconta un funzionario comunale ormai in pensione ma ancora in soggezione quando sente il nome del sindaco.

Di episodi ne racconta tanti. C’è una delibera, la numero 61 del 2013 con cui Cusani istituì una nuova figura professionale: il querelatore del Comune. In pratica affidò a un suo fedelissimo la funzione di querelare chiunque parlasse male di lui: dalla stampa al cittadino. «Una volta presentò un esposto al Csm contro l’allora presidente del Tar Franco Bianchi perché dispose accertamenti su una società a partecipazione comunale, la “Acqua Latina”. Ancora: definì “atto eversivo” la decisione del prefetto Frattasi di sciogliere il vicino comune di Fondi e non esitò a rimuovere seduta stante la comandante dei vigili quando venne a sapere che sarebbero cominciati una serie di controlli anti-abusivismo ».

Cusani insieme al suocero acquistò l’hotel Grotte di Tiberio, una struttura bellissima che costeggia la Flacca (altezza semaforo per l’appunto). E poi, come raccontano a Sperlonga, si allargò. Piscine, cubature nuove, ristoranti, pergolati da 90 metri quadrati, saune, spogliatoi, in barba a vincoli paesaggistici, oltre che urbanistici. Insomma un abuso coperto per tanto tempo, fino a quando una denuncia anonima non ha fatto scoppiare il caso. Quindi il sequestro dell’intera struttura nel 2016 e nel maggio di quest’anno l’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi con 90 giorni di tempo per buttare giù tutto “a spese proprie”. Era l’8 maggio e a ieri l’albergo bianco vista mare, avvolto dai nastri rossi con tanto di cartello “immobile sotto sequestro” appeso all’ingresso, troneggia integro.

Così come l’hotel Ganimede di via Ulisse, di cui Armando Cusani è socio a metà col suo vicesindaco Francescantonio Faiola. Qui il primo cittadino oltre ad aumentare le volumetrie ha violato il piano regolatore. Una lottizzazione abusiva in un’area che avrebbe dovuto ospitare edilizia popolare. Al suo posto centri termali in costruzione con parcheggio annesso proprio davanti alla nuova caserma dei carabinieri, hotel, villette, residence. Oltre 4100 metri cubi a fronte dei 2.500 autorizzate. Il sequestro di tutta l’area e un nuovo avviso di garanzia per il primo cittadino e il suo vice è del 18 maggio scorso, pochi giorni dopo la concessione dei domiciliari al sindaco che fu accolto dai suoi concittadini con applausi e uno striscione: «Bentornato a casa sindaco». Una casa nel centro storico di Sperlonga con l’incantevole vista sul mare e le spalle agli abusi.

«Mansarde, villette e seminterrati regione che vai, sanatoria che trovi. La motivazione è sempre la stessa: “Contenere il consumo del suolo” ». la Repubblica, 31 luglio 2017 (c.m.c.)

La foglia di fico è sempre la stessa, e quando la mettono si aspettano persino l’applauso: «Contenere il consumo del suolo». C’è scritto questo nella sanatoria delle mansarde, che la Regione Lazio sta prorogando da otto anni a questa parte, e c’è scritto questo pure nella sanatoria delle cantine, fresca di pubblicazione sul bollettino ufficiale della Regione Abruzzo. Avete capito bene: le cantine. Chi non sottoscriverebbe una legge regionale sul «Contenimento del consumo del suolo attraverso il recupero dei vani e locali del patrimonio edilizio esistente»?

Leggendo il titolo si potrebbe immaginare un provvedimento per favorire il riuso degli immobili abbandonati, spesso così belli da lasciare senza fiato, dei quali l’Italia è piena. Prima però di aver scorso il testo, scoprendo che delimita invece quel recupero ai «vani e locali seminterrati » da destinare «a uso residenziale, direzionale, commerciale o artigianale ». Ma non religioso: sia chiaro. Perché la sanatoria delle cantine decretata dalla Regione Abruzzo esclude invece espressamente, all’articolo 3, la possibilità di cambiare la destinazione d’uso dei seminterrati «per la trasformazione in luoghi di culto».

Insomma, fateci tutto, anche un bed & breakfast (non è forse attività residenziale?). Tranne che una moschea. Certo, per ottenere questo curioso condono (termine che di sicuro i proponenti rigetteranno sdegnati) bisognerà pagare gli «oneri concessori”. Se però l’intervento riguarda la prima casa è previsto uno sconto del 30 per cento. Va pure da sé che i locali debbano avere determinate caratteristiche. Per farci abitare gli esseri umani sono necessari impianti di “aero- illuminazione” (testuale nella legge) e l’altezza dei locali non può essere inferiore a due metri e quaranta. Ma a trovarle, cantine così alte… Niente paura. Anche in questo caso la legge della Regione Abruzzo offre una elegante scappatoia. Eccola: «Ai fini del raggiungimento dell’altezza minima è consentito effettuare la rimozione di eventuali controsoffittature, l’abbassamento del pavimento o l’innalzamento del solaio sovrastante ».

Il vostro scantinato tocca a malapena uno e novanta? Niente paura: scavate un altro mezzo metro o alzate il solaio di cinquanta centimetri. Sempre rispettando «le norme antisismiche », però. Dopo quello che è successo in Abruzzo, è il minimo. Già… Ma colpisce che nemmeno il terremoto sia stato capace di frenare lo stillicidio delle sanatorie. Anzi. Qualche mese fa c’è stato chi ha rivelato che i contributi pubblici per il sisma non avrebbero discriminato le case abusive. Suscitando la reazione risentita delle strutture commissariali, anche se nessuna smentita ha potuto cambiare la realtà dei fatti: per ottenere i denari statali è sufficiente autocertificare che l’abitazione andata distrutta non era interamente abusiva. E poi presentare domanda di sanatoria. La prova, se ce ne fosse ancora il bisogno, che abusivismo e condoni se ne infischiano anche delle scosse telluriche del settimo grado.

Il vecchio caro condono edilizio ha così pian piano cambiato pelle. Sbarrata la strada in parlamento, si è aperto la via nelle pieghe delle leggi regionali assumendo le forme più subdole e creative. Non soltanto per i sottotetti, come nel Lazio e in Lombardia (Regione che ha deliberato anch’essa il salvataggio delle mansarde), o per le cantine, come in Abruzzo. Emblematico è il caso della Campania, dove il consiglio regionale ha appena sfornato una legge per l’adozione di «linee guida per supportare gli enti locali che intendono azionare misure alternative alla demolizione degli immobili abusivi».

Tradotto dal burocratese, sono le direttive alle quali si devono attenere i Comuni per evitare di buttare giù le costruzioni illegali. Per esempio, si deve valutare «il prevalente interesse pubblico rispetto alla demolizione». Come pure tenere debitamente conto dei «criteri per la valutazione del non contrasto dell’opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico ». E che dire dei «criteri di determinazione del requisito soggettivo di ‘occupante per necessità»? Ecco dunque gli abusivi per bisogno, quella figura mitica capace di spazzare via ogni tabù ambientale con relativo senso di colpa. In Campania sono il corpo elettorale fra i più consistenti e la tentazione di grattargli la pancia, tipica di certa destra, ha ormai fatto breccia anche presso certa sinistra.

I Verdi hanno adesso chiesto al governo di Paolo Gentiloni di impugnare la legge votata dalla Regione governata dal suo compagno di partito Vincenzo De Luca e di stroncare insieme anche la sanatoria delle cantine che ha fatto breccia nel cuore dell’Abruzzo presieduto da un altro dem: Luciano D’Alfonso. Arduo prevedere con quali speranze di successo. Probabilmente non più di quante ne abbiano gli oppositori di una recentissima leggina della Regione Sardegna, ora governata dal centrosinistra di Francesco Pigliaru, per bloccare la possibile invasione delle coste dell’isola con bungalow e casette di legno.

Nel provvedimento sul turismo è spuntata infatti la possibilità per i camping isolani di piazzare costruzioni mobili (ma nella versione iniziale erano ammesse anche nella versione non amovibile) al fine di «soddisfare esigenze di carattere turistico». Le quali, precisa il disegno di legge, «non costituiscono attività rilevante ai fini urbanistici ed edilizi».

Sono quindi case vere e proprie, ma è come se non lo fossero. Bisogna ricordare che questa non è una novità assoluta. Anche in precedenza le leggi regionali consentivano di impiantare strutture del genere nei camping. Ma all’inizio non si poteva superare il 25 per cento della capacità ricettiva di un campeggio. Poi si è saliti al 40. E ora al 45. Arrivare al 100, di questo passo, sarà uno scherzo…

«I magistrati delle regioni più esposte agli scempi: “Punire gli abusivi fa perdere voti”. E spesso non si trovano ditte disposte a demolire». il Fatto Quotidiano, 23 luglio 2017 (p.d.)
“Inefficienza”. “Collusioni”. “Inadeguatezza”. Qual è il vero ruolo della politica nel proliferare degli abusi edilizi e nell’incredibile lentezza che contraddistingue le demolizioni? FQ_L’inchiesta in questa quarta e ultima puntata sul fenomeno dell’abusivismo prova a guardare il fenomeno dalla prospettiva della magistratura. Qualche esempio. Se in Calabria, negli ultimi 25-30 anni, l’abusivismo è cresciuto in maniera così esponenziale è colpa dei Comuni. Sindaci, assessori e dirigenti degli uffici: sono loro i primi nemici della lotta all’abusivismo. A spiegarlo è il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Gaetano Paci. Che non ha dubbi: “Questo fenomeno, in realtà, è legato all’inefficienza, alla collusione e all’inadeguatezza degli uffici pubblici che nel corso degli anni non sono stati in grado di imporre il rispetto delle regole”. Insomma, tutto ruota attorno alla relazione tra abusivi e amministratori comunali, ed è proprio nelle pieghe di questo rapporto che si trovano le ragioni di un fenomeno dinanzi al quale, troppo spesso, piuttosto che pretendere il rispetto della legge, la politica e alcune istituzioni fanno spallucce.
Non vedo, non sento, non demolisco. Reggio Calabria, dal 2014 scoperte 700 sentenze mai eseguite
Paci cerca di spiegarlo in maniera semplice: “Diciamo che i Comuni raramente subiscono l’abusivismo edilizio. Il più delle volte semplicemente lo tollerano, non esercitando i controlli che dovrebbero esercitare”. Non si tratta di affermazioni di carattere generale. Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria va nel dettaglio: “Abbiamo verificato - spiega Paci - che immobili abusivi costruiti per fini industriali, a Bagnara Calabra come a Reggio, posti in una posizione visibile a tutti, sono stati utilizzati per anni, senza che nessuno mai svolgesse alcun controllo”. Non stiamo parlando della casetta per l’estate, ma di capannoni industriali, venuti su e utilizzati senza alcuna difficoltà. “È chiaro - continua Paci - che c’è una compiacenza, quantomeno degli uffici tecnici comunali e della polizia municipale, che sul territorio deve fare controlli, verificare e denunziare le situazioni di abuso”.
È da oltre un anno ormai che il procuratore Federico Cafiero De Raho ha affidato all’aggiunto Paci il compito di occuparsi dell’abusivismo in provincia di Reggio Calabria, dove le demolizioni sono praticamente nulle se si escludono, appunto, quelle disposte, negli ultimi mesi, dalla Procura in seguito alle sentenze definitive. Sulla sua scrivania c’è un report dettagliato sulle sentenze del Tribunale che ha disposto l’abbattimento di immobili abusivi: “Abbiamo verificato che, a partire dal settembre 2014, oltre 700 sentenze di demolizione passate in giudicato non erano mai state eseguite”. Mai eseguite. “Eppure, da un punto di vista generale - sottolinea Paci - i comuni non dovrebbero incontrare difficoltà. È vero che questa attività comporta delle spese, ma vengono sostenute da una legge dello Stato, che ha stanziato un fondo di 50 milioni di euro gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti. All’amministrazione comunale non rimane altro che accedere a questo fondo, rivalendosi poi sul proprietario abusivo”. Questo però non avviene. E il motivo è semplice. La lotta all’abusivismo è impopolare. E non porta voti. Anzi, rischia di farteli perdere.
Con gli abbattimenti si perdono voti e consenso. E le imprese convocate dalle procure si rifiutano di demolire
“Demolire l’immobile di una persona che ha commesso un abuso edilizio - aggiunge il magistrato reggino - significa comunque inimicarsi per chi la dispone (soprattutto se è legato al territorio da un mandato di tipo politico-elettorale) quel tipo di elettore o addirittura quel tipo di elettorato”. Ecco perché, per la Procura, piuttosto che con i sindaci, è più facile lavorare con i commissari dei Comuni sciolti per mafia: “Loro non sono legati al territorio da un mandato di tipo politico-elettorale. Devono svolgere un’attività per il ripristino della legalità”.
Ma non si tratta dell’unica difficoltà. Paci descrive un vero e proprio percorso a ostacoli. Il motivo? Non è facile trovare la ditta che dovrà demolire. Non tutte le imprese che si iscrivono nella white-list delle prefetture, infatti, sono poi disposte ad effettuare le demolizioni: “Manifestano delle indisponibilità, talvolta allegando preventivi di spesa particolarmente onerosi. Altre volte ci sono dei rifiuti veri e propri, perché non vogliono impegnarsi nella demolizione di immobili costruiti abusivamente. Ecco - è lo sfogo del procuratore aggiunto - il nostro lavoro, almeno in questo settore, avviene in perfetta solitudine. Ed è osteggiato, neppure tanto velatamente, proprio da parte di chi dovrebbe sostenerlo”. E non esistono soltanto i furbetti convinti di farla franca. A volte c’è anche la criminalità organizzata: “Dentro questo fenomeno, chiaramente anche la ’ndrangheta ha avuto i suoi interessi e il suo tornaconto. Diverse famiglie mafiose, anche di un certo spessore, hanno operato con la compiacenza delle amministrazioni che dovevano controllarne e inibirne le manifestazioni criminali. Hanno realizzato immobili abusivi che poi, comunque, sono stati confiscati e diventati patrimonio dello Stato”. Dalla Calabria spostiamoci in Campania.
L’analisi del procuratore di Napoli. “In Campania amministrazioni compromesse con gli abusi”
Nella provincia di Napoli, dal 1991 al 2016, l’83 per cento dei comuni commissariati lo è anche per il diffuso abuso e la corruzione dell’edilizia: il 77 per cento a Caserta e l’81 per cento in tutta la Campania. Sempre a Napoli, negli ultimi 11 anni, su 16.837 ordinanze di demolizione ne sono state emesse solo il 4 per cento. E non soltanto perché possono compromettere il loro bacino elettorale.
Per il procuratore generale del tribunale di Napoli, Nunzio Fragliasso, la motivazione è che “spesso le amministrazioni comunali sono compromesse con gli abusi e anche per questo le pratiche rimangono inevase”. Il problema, come abbiamo visto, è complesso e riguarda anche le procedure che coinvolgono comuni e procure. I primi sono gli unici interlocutori con la Cassa Depositi e Prestiti per accedere ai fondi necessari per le demolizioni delle strutture abusive, possibilità che non hanno le procure che, anzi, denunciano la mancata presentazione, da parte dei comuni, delle domande di accesso ai fondi. E se non bastasse, la classe politica al Governo, annunciando di volerci mettere una pezza, presenta un decreto legge - presentato dal senatore di Ala, Ciro Falanga - che secondo i Verdi e le associazioni ambientaliste rischia di trasformarsi in un codono permanente.
In attesa di approvazione definitiva alla Camera, la proposta di legge stabilisce per le procure dei criteri di priorità per la demolizione: in cima alla lista ci sono gli immobili costruiti in aree demaniali, o in zone soggette a vincolo ambientale, paesaggistico, idrologico, archeologico o storico artistico. Poi quelli che costituiscono un pericolo per l’incolumità. Infine quelli in uso ai mafiosi. Ma il nodo centrale della questione sono gli “abusi di necessità” e, in questo caso, la legge stabilisce che avranno la priorità gli immobili di titolari appartenenti a nuclei familiari che dispongono di altre abitazioni, escludendo quelli che ne hanno una. Se questo è l’apporto della politica, ecco cosa ne pensa la magistratura che, nel marzo 2016, viene chiamata dal Governo a dire la sua sulla legge.
Durante l’audizione in commissione Giustizia,il procuratore generale della corte di Appello di Napoli, Luigi Riello, spiega: “Passare per i comuni non è producente, perché sono loro i veri dominus e le demolizioni sono iniziate grazie all’autorità giudiziaria”. Per Riello, il ddl Falanga comporterebbe “la proliferazione degli incidenti di esecuzione, mentre un procedimento dovrebbe essere rapido”. E sulla rapidità, il nostro sistema non è di certo un modello, visto che, nella maggior parte dei casi per i reati di abusivismo, non si arriva nemmeno al primo grado di giudizio. Mentre l’abbattimento è previsto solo con la certezza della pena. Anche se si dovesse arrivare alla condanna, subentra il problema dei fondi necessari per la demolizione, quindi la palla ritorna ai comuni, che il ddl lascia come unici interlocutori con la Cassa Depositi e Prestiti. E i comuni, per usare le parole del procuratore Fragliasso, spesso “sono latitanti e di regola non eseguono le ordinanze di demolizione”.
Da Marsala a Terrasini. Quell’emendamento M5S che può invertire la rotta
Leonardo Agate, scrivendo a red.inch.@ilfattoquotidiano.it, segnala il caso di Marsala: “Anche i sindaci siciliani avrebbero dovuto ingiungere la demolizione agli abusivi. A Marsala cominciarono nel 2012, e ne sono state abbattute, dagli stessi privati, o dal Comune per loro inerzia, poche decine su un totale di circa 400. Il ritmo delle demolizioni è di poche unità all’anno. La giustificazione accampata da sindaci e dirigenti comunali è che il bilancio non può sostenere la spesa delle demolizioni, che si aggira sui 10–20 mila euro per ciascuna, salvo abbattere il programma dei servizi essenziali. Giustificazione insostenibile: se il Comune demolisce, anticipa le spese della demolizione, che possono essere recuperate dall’abusivo con aggravio di spese, sanzioni e denuncia all’autorità penale. Se la procura della Repubblica iscrivesse i sindaci e i dirigenti comunali nel registro delle notizie di reato e proseguisse l’azione penale, si avvierebbero i processi nei riguardi degli inadempienti per le omissioni di atti di ufficio. Così si innesterebbe un processo virtuoso, perché gli abusivi demolirebbero dopo l’ingiunzione per non dovere pagare dopo un anno il doppio della spesa, e in ogni altro caso il Comune rientrerebbe in possesso delle spese fatte”. E in effetti, qualcosa si può fare, per obbligare i comuni ad eseguire le demolizioni. Per esempio, come accaduto a Terrasini, in provincia di Palermo, è possibile rimuovere i dirigenti che non adempiono ai loro doveri. E per farlo è sufficiente applicare una norma presentata dalla parlamentare del M5S Claudia Mannino.
Il punto di partenza è semplice: “I funzionari che non adempiono e rispettano i tempi previsti - spiega la deputata siciliana del M5S Claudia Mannino - sono suscettibili di causare un danno erariale”. Un anno dopo l’approvazione della sua norma Mannino è ritornata sul punto: “Ho presentato un esposto a tutte le procure siciliane, e a tutte le sedi regionali della Corte dei Conti, affinché si attivassero per far rispettare la norma e per evitare danni erariali agli enti locali”. E appena 5 giorni fa, nel comune di Terrasini,in provincia di Palermo,un dirigente comunale è stato temporaneamente rimosso dal suo incarico proprio perché - tra le altre contestazioni - ha tenuto “condotte omissive” che, oltre a determinare “un grave ritardo”, nei procedimenti che riguardano i “manufatti abusivi”, hanno provocato “un danno all’ente”.

«Pressioni alla politica e affari dei clan ecco perché l’Italia sta bruciando. Da cittadino non accetto che mi si raccontino fandonie, ma la realtà è che il fuoco è strumento economico di “bonifica criminale”. Ogni zona ha i suoi gruppi criminali che bruciano». la Repubblica, 19 luglio 2017

Quindi nonostante la notizia attiri molti click, e tutti i media possibili l’abbiano riportata, non esistono gattini infiammati che correndo devastano intere aree boschive, niente autocombustione o sigarette accese, ma inneschi chimici preparati ad arte e posizionati laddove è più difficile arrivare. E posizionati a favore di vento (come fatto sul Vesuvio). I luoghi comuni sugli incendi sono moltissimi. Il credere anche che sia facile poterli spegnere. Ma come? Il Vesuvio brucia e non si può spegnere il fuoco conl’acqua del mare? Be’, l’acqua spegne le fiamme, ma nulla può contro il combustibile, quello solo la schiuma può neutralizzarlo. Ma con il mare così vicino perché non usare quell’acqua a disposizione? L’acqua marina, poiché salata, può causare desertificazione, quindi non è possibile utilizzarla in aree su cui si prevede un lavoro di riqualificazione boschiva. Per paradosso la cenere concima e l’acqua marina che spegne le fiamme rende sterile il terreno.

Ho provato a sfatare solo alcune delle bufale più diffuse sull’origine dei roghi perché da cittadino non accetto che mi si raccontino fandonie, ma la realtà è che il fuoco è strumento economico di “bonifica criminale”. Ogni zona ha i suoi gruppi criminali che bruciano. Bande che vogliono otte
nere appalti in cambio della sicurezza delle zone boschive (o mi dai l’appalto o brucio tutto); clan che attraverso il fuoco rendono inedificabili i terreni da cui vogliono ottenere percentuali sulle concessioni edilizie e i lavori di costruzione; e ancora con il fuoco le organizzazioni trasformano parchi nazionali in spazi ideali per le discariche abusive (da materiale plastico a stoffe, rifiuti speciali il cui smaltimento comporta oneri che le aziende aggirano appaltando alla camorra).

Dal Vesuvio alla riserva degli Astroni, ormai distrutta per oltre un terzo, da Roma alla Maremma, alla Costiera Amalfitana, l’Italia brucia come ogni estate con la differenza, significativa, di un dato allarmante che dovrebbe imporre alla politica una seria autocritica: in un solo mese, da metà giugno a oggi, in Italia è andato in fumo tutto quel che è bruciato nell’intero 2016. Quindi nessuna regia unica o piano eversivo, ma solo ciò di cui non si vuole parlare, mai: il fuoco come declinazione – l’ennesima – dell’economia criminale che può esistere perché il territorio è in balia di se stesso senza alcuna seria possibilità di prevenzione, previsione, monitoraggio e intervento. E poi c’è chi, sempre per evitare di affrontare il problema dalla prospettiva più razionale, tira in ballo il tema della militarizzazione del corpo forestale, mostrando il camaleontismo tipico della politica che prima denuncia gli sprechi e poi, quando si prova ad arginarli, trova che il metodo è sbagliato solo perché sotto quel decreto non c’è la propria firma ma quella della forza politica antagonista. Meglio dire «sbagliato aver militarizzato la Forestale» (nonostante le competenze non si siano perse), che impegnarsi per concedere ai Carabinieri Forestali maggiori strumenti per la prevenzione e ragionare sui mezzi mancanti per far fronte alle fiamme.

Ora, in un Paese come l’Italia, dove i grandi ambiti di investimento e riciclaggio delle mafie sono oltre al narcotraffico proprio edilizia e rifiuti, trattare gli incendi alla stregua di calamità naturali è da dilettanti della politica. Già immagino chi dirà: ma come non vedi quanto l’Italia sia colma di turisti? Perché non dai alla politica e alla gestione del territorio il merito di aver fatto da pull factor per il turismo internazionale. Come è possibile – mi domando io, invece – che chi parla di turismo non abbia capito che l’Italia è meta residuale? Che non potendo andare altrove per timore di attacchi terroristici si viene in Italia dove peraltro, causa incendi, in Sicilia e in Toscana sono state evacuate strutture turistiche? L’assalto turistico non avviene perché è migliorata l’accoglienza, perché sono migliorati i trasporti (provate a raggiungere Puglia o Calabria in treno…), ma perché altrove per paura non si va più.

Oggi di fuoco si parla perché non è possibile ignorare quello che sta accadendo, ma non un politico che abbia descritto la situazione in maniera realistica. Anche il fuoco è usato per scopi elettorali, ma dopo aver cavalcato il disagio e l’indignazione non sarà più un argomento spendibile perché non porta voti: gli eco-reati sono percepiti come secondari rispetto alla disoccupazione, salvo poi non fare mai i conti con l’impossibilità di avere una economia florida in un Paese in cui l’economia criminale è in continua espansione. E se oggi la colpa è dei piromani, della militarizzazione del Corpo forestale, se oggi c’è un piano eversivo, se c’è una regia unica, domani in mancanza di bufale, fake news, pre e post verità, resterà solo puzza di bruciato, devastazione e silenzio. E dove c’è silenzio crescono i clan. Alla prossima estate, ai prossimi incendi.

Dalle fiamme dell'estate bollente si risveglia, irrefrenabile il cemento degli speculatori che sembrava addormentato per sempre. Fatti l'uno per l'altro. il Fatto quotidiano, online 17 luglio 2017

«In una delle poche aree scampate all'edificazione sorgerà un nuovo quartiere, mentre diverse associazioni chiedevano il recupero del patrimonio edilizio esistente ma inutilizzato. Dopo l'approvazione e l'avvio della discussione l'area, incolta da anni, è andata in fiamme

di Manlio Lilli | 17 luglio 2017»

Migliaia di metri quadri di parcheggi e 165mila metri cubi di cemento. È praticamente un nuovo quartiere quello che sorgerà a Catania, dove lo scorso 10 luglio la giunta del sindaco Enzo Bianco ha approvato la proposta di variante al Piano Regolatore presentata dal Consorzio Centro Direzionale Cibali. Previsti, secondo i progetti gli ingegneri Aldo Palmeri e di Dario Corrado Maria Consoli 66 mila metri quadri di strutture private, ventimila di alberghi e residence, duemila di area commerciale, seimila di area residenziale. A questi vanno aggiunti 16 mila metri cubi destinati alla costruzione di uno studentato universitario e 32mila per la costruzione di unità abitative. Insomma una nuova gigantesca colata di cemento, in una delle poche aree scampate all’edificazione, mentre diverse associazioni chiedevano il recupero del patrimonio edilizio esistente ma inutilizzato.
“Le previsioni contenute nel Prg del 1969 non sono applicabili alla realtà di oggi. Forse richiamare popolazione attraverso l’edilizia avrebbe avuto un senso 50 anni fa, quando Cibali era effettivamente un quartiere periferico. Oggi però è centro cittadino, dovremmo definirlo quasi centro storico. Secondo me al quartiere serve di più un piano particolareggiato, per dare a tutta la zona una vocazione culturale e turistica”, dice il consigliere comunale Sebastiano Anastasi . Non è il solo a pensarla così. “È intollerabile che si proceda con l’approvazione di varianti che hanno l’unico fine di incentivare la speculazione edilizia”, protesta, infatti, anche Catania Bene Comune lista d’opposizione a Bianco.
Lo scontento, insomma, è di molti. Ma non è tutto. Perché dopo l’approvazione e l’avvio della discussione l’intera area, incolta da anni, è andata in fiamme. Una coincidenza sulla quale sempre i consiglieri di Catania Bene Comune hanno chiesto all’autorità giudiziaria di “fare luce” e dunque indagare visto che “l’incendio ha desertificato le aree oggetto di variante”.In ogni caso con l’approvazione della modifica del piano regolatore da parte della giunta la storia del Centro Direzionale Cibali sembra davvero giunta al suo esito finale, dopo quasi cinquanta anni di tentativi . Un iter iniziato nel 1969 con il Prg che destina i quasi 18 ettari nel quartiere dello stadio ad un asse attrezzato e ad un polo di uffici pubblici. Motivo per il quale i più importanti costruttori locali acquistano i terreni di quell’area e costituiscono un Consorzio con lo scopo di condurre la trattativa con il Comune di Catania. Ma l’operazione non decolla perché il Consiglio comunale non concede l’autorizzazione. Così il Consorzio è costretto a cedere le sue proprietà a Sicilcassa, banca che aveva erogato il mutuo per l’acquisto dei terreni. Lo stallo prosegue e alla fine degli anni Novanta un nuovo passaggio, a Bankitalia, che nel 2013 tenta la vendita. Inutilmente. Anche per questo nel 2016 si decide di avviare una consultazione pubblica aperta a tutte le proposte di utilizzo dell’area. Detto fatto. Il Consorzio sceglie di inserire nel proprio progetto tutte e sei le proposte arrivate. Ma intanto chiede ed ottiene dall’amministrazione la variazione urbanistica per realizzare le proposte di Palmeri e Consoli. Per il resto, ovvero i progetti presentati da Università, Legambiente, associazione Le Cave di Rosso Malpelo, si vedrà.

Il problema che il “resto” non è un elemento trascurabile. Si tratta dei quasi 11 ettari di Parco urbano dei quali dovrebbe occuparsi direttamente il Comune.

L’operazione che il Consiglio comunale del 1969 ha ritenuto di bocciare e che nel 1997 sembrava essere stata stralciata è stata approvata nel 2017. L’attuale amministrazione lascia intendere che non approvando tale variante vi sarebbe stato il rischio di una ancor più grande cementificazione. Il dubbio che si tratti solo di una debole giustificazione rimane, dal momento che a decidere sull’area è esclusivamente il consiglio, come testimonia la lunga e complessa storia del Centro Direzionale.

“Le previsioni contenute nel Prg del 1969 non sono applicabili alla realtà di oggi. Forse richiamare popolazione attraverso l’edilizia avrebbe avuto un senso 50 anni fa, quando Cibali era effettivamente un quartiere periferico. Oggi però è centro cittadino, dovremmo definirlo quasi centro storico. Secondo me al quartiere serve di più un piano particolareggiato, per dare a tutta la zona una vocazione culturale e turistica”, dice il consigliere comunale Sebastiano Anastasi . Non è il solo a pensarla così. “È intollerabile che si proceda con l’approvazione di varianti che hanno l’unico fine di incentivare la speculazione edilizia”, protesta, infatti, anche Catania Bene Comune lista d’opposizione a Bianco. Lo scontento, insomma, è di molti. Ma non è tutto. Perché dopo l’approvazione e l’avvio della discussione l’intera area, incolta da anni, è andata in fiamme. Una coincidenza sulla quale sempre i consiglieri di Catania Bene Comune hanno chiesto all’autorità giudiziaria di “fare luce” e dunque indagare visto che “l’incendio ha desertificato le aree oggetto di variante”.

In ogni caso con l’approvazione della modifica del piano regolatore da parte della giunta la storia del Centro Direzionale Cibali sembra davvero giunta al suo esito finale, dopo quasi cinquanta anni di tentativi . Un iter iniziato nel 1969 con il Prg che destina i quasi 18 ettari nel quartiere dello stadio ad un asse attrezzato e ad un polo di uffici pubblici. Motivo per il quale i più importanti costruttori locali acquistano i terreni di quell’area e costituiscono un Consorzio con lo scopo di condurre la trattativa con il Comune di Catania. Ma l’operazione non decolla perché il Consiglio comunale non concede l’autorizzazione. Così il Consorzio è costretto a cedere le sue proprietà a Sicilcassa, banca che aveva erogato il mutuo per l’acquisto dei terreni. Lo stallo prosegue e alla fine degli anni Novanta un nuovo passaggio, a Bankitalia, che nel 2013 tenta la vendita. Inutilmente. Anche per questo nel 2016 si decide di avviare una consultazione pubblica aperta a tutte le proposte di utilizzo dell’area. Detto fatto. Il Consorzio sceglie di inserire nel proprio progetto tutte e sei le proposte arrivate. Ma intanto chiede ed ottiene dall’amministrazione la variazione urbanistica per realizzare le proposte di Palmeri e Consoli. Per il resto, ovvero i progetti presentati da Università, Legambiente, associazione Le Cave di Rosso Malpelo, si vedrà.

I

«Dai lidi in Sicilia, alle scuole di Locri costruite dalle cosche passando per interi quartieri di Roma: così i “fuorilegge” ridisegnano il piano regolatore del Paese». il Fatto Quotidiano, 16 luglio 2017 (p.d.)

Lido Bruno, San Vito di Taranto. Passeggiamo sulla baia che si apre alla fine di via Meduse - qui tutte le vie portano il nome di pesci – e lo sguardo viene rapito dall'acqua cristallina che dal turchese sfuma nell'azzurro profondo. E a pochi metri dall'acqua, una recinzione in muratura con “Passo carrabile”. L'area è soggetta a vincolo demaniale: sarebbe già vietato costruire, qui, com’è possibile ottenere dal Comune un passo carrabile? Poi il cartello: “Affittasi appartamenti a 20 metri dal mare solo per periodo estivo”. Telefoniamo. Fingiamo d’essere interessati a un appartamento. “L'unica settimana disponibile”, risponde il proprietario, “è l'ultima di agosto”. Gli affari vanno bene. “Abbiamo letto che si trova a 20 metri dal mare – continuiamo - ma com’è possibile? Non si può costruire così vicino alla riva”. “E io ci sono riuscito - risponde orgoglioso - siamo proprio sul mare: se non sta attenta, uscendo cade in acqua”. Ah. “Abbiamo anche la piscina – aggiunge - può vedere le foto su Booking e TripAdvisor”. E dice il vero: tutto pubblicizzato su Internet. Tranne un dettaglio: non solo la struttura - sei appartamenti da 70 metri quadrati ciascuno più piscina – è abusiva. E’ addirittura sotto sequestro: decreto firmato dal gip Giuseppe Tommasino su richiesta del pm della procura di Taranto Mariano Bucconieri. FQ L'Inchiesta segnala la vicenda in procura. La Guardia di Finanza si presenta nel resort: agli ignari vacanzieri viene concesso il tempo utile per fare le valigie. E i sigilli tornano al loro posto. Un caso isolato? Purtroppo no. Dalla Puglia alla Sicilia, passando per Calabria, Sardegna e Roma, ci si rende conto che negli anni, a comandare sui piani urbanistici - violando norme e violentando paesaggi - sono stati proprio gli abusivi.
Dalla Puglia alle Marche. Villaggi sulla sabbia e porti sconosciuti al catasto
Seda San Vito risaliamo in provincia di Foggia, su una lingua di sabbia che separa il mare Adriatico dal lago di Lesina, per la precisione a Torre Mileto, nel comune di San Nicandro Garganico, troviamo 3mila case abusive su 12 chilometri di costa. Ora, che possa venir su una casa, senza che nessuno se accorga, è già poco credibile. Ma che nessuno, negli anni '70, si sia accorto che nasceva un intero quartiere abusivo, va oltre ogni immaginazione. Case senza fondamenta né allacci alla corrente elettrica. Acqua per uso domestico prelevata da pozzi scavati in modalità “fai da te”. Il tutto nel cuore del Parco Nazionale del Gargano, zona dichiarata dall'Ue “Sito di importanza Comunitaria” e “Protezione Speciale”, meta delle rotte migratorie di uccelli. Divieto d’edificazione? Qui è abusiva la Chiesa, il bar, il negozio degli alimentari. Se non bastasse, trovi delle transenne che impediscono l'accesso al mare. Molte case recano il cartello “vendesi” - con quale rogito notarile, vien da chiedersi, visto che sono abusive. Tredici anni fa un'ordinanza di demolizione ne ha fatte abbattere quattro. Poi le ruspe si sono fermate, nonostante nel 2009, la Regione Puglia abbia varato il piano di recupero ambientale, mai divenuto esecutivo, che prevede l'abbattimento di 900 case. Nel frattempo sono piovute le richieste di condono edilizio e i proprietari pagano regolarmente le tasse. A quel punto, hanno costituito un Comitato delle vittime di ingiustizia (sic!), poiché non ricevono servizi adeguati le istituzioni paventano un grave pericolo sanitario.
Proseguiamo per Fano, in provincia di Pesaro, dove la GdF aeronavale di Ancona, comandata dal tenente colonnello Rocco Nicola Savino, ha sequestrato il camping Stella Maris: costruzioni abusive per un valore di 3 milioni su un'area in parte demaniale e in parte privata. Oltre i 24 bungalows hanno eretto anche anfiteatro in muratura. Pochi chilometri a nord, la Gdf ha scoperto che il porticciolo turistico di “Vallugola” è sconosciuto al catasto. Paradossale? Non quanto il seguente dettaglio: risultano comunque versati gli oneri al Comune.
Calabria: snaturato il 65 per cento della costa. Quegli 800 studenti nella scuola inagibile della ‘ndrangheta
Passiamo alle coste calabresi. Legambiente ha certificato che tra il 1988 al 2011 il territorio è stato drasticamente snaturato. “Da Reggio Calabria, fino al confine con la Basilicata, è un susseguirsi di nuove realizzazioni che hanno occupato vuoti, cancellato importanti aree agricole, intaccato paesaggi montuosi di rara bellezza”. Dei 798 chilometri di costa calabrese, ben 523 sono stati “trasformati da interventi antropici legali e abusivi”. L'ennesima prova che è l'abusivismo a disegnare il vero paesaggio del Paese. L’unica commissione d’inchiesta che è riuscita a stilare una relazione sull’abusivismo a Reggio Calabria risale al 2009, guidata Nuccio Barillà, dirigente nazionale di Legambiente. Ha censito 4.191 ecomostri: “Un’offesa al paesaggio ogni 100-150 metri lineari di costa”. Solo tra Bagnara e Africo, nel 2015, si contavano 686 gli ordini di demolizione disposti dal Tribunale. Mai eseguiti. Passeggiando per Reggio - che cont 328 ordini di demolizione non eseguiti t'imbatti nell'“È-hotel”. Albergo in parte sequestrato dalla procura nel 2013 poiché “è integralmente abusivo”. “È evidente – scrive il pm Matteo Centini – che è stato realizzata esclusivamente grazie alla complicità di infedeli funzionari pubblici... L'ennesimo scempio per questo meraviglioso territorio è stato perpetrato con la complicità attiva ... ovvero silenziosa e silente …di ogni singolo pubblico funzionario che aveva responsabilità nella gestione e nella sua tutela”. E se dal lungomare t’inoltri nella periferia, puoi ammirare il “Cos’È-hotel”, la sua struttura “gemella”, costruita in una zona “caratterizzata da vincolo idrogeologico”. Anch'essa sequestrata perché “totalmente abusiva”. A Bagnara, per anni, prima dell’arrivo dei commissari prefettizi - che hanno acquisito la struttura al patrimonio pubblico - il Comune ha pagato al proprietario del residence “Laura”, già considerato abusivo, l’alloggio per gli ospiti del famoso premio Mia Martini.
Se foste nati a Locri, invece, avreste potuto frequentare l’Istituto d’arte “Panetta”o l’Istituto professionale per l’industria. Salvo vedervi sequestrare le scuole, pochi mesi fa, dall’Antimafia perché, come sostiene il procuratore De Raho, è in pericolo “l’incolumità di 800 studenti”. Ebbene sì, a Locri la ‘ndrangheta riesce a costruire persino le scuole. Senza un documento in mano. Senza che un solo agente della polizia municipale se ne accorga. Manca il permesso a costruire, il collaudo, il certificati d’agibilità. Intanto i proprietari incassavano dalla Provincia 130mila euro l’anno d’affitto. Poi l’ente ha acquistato il tutto per 12 milioni di euro. Da soggetti legati alle cosche.
Quartu Sant'Elena, la capitale delle case fai da te. 222 milioni di spesa pubblica per servire gli abusi condonati
La capitale dell’abusivismo in Sardegna è invece Quartu Sant’Elena. Attorno a quel suo mare che ti ci tufferesti già con gli occhi, centinaia di ville cresciute senza alcuno stile, ordine e criterio. Stefano Deliperi, anima della storica associazione ambientalista sarda Gruppo di Intervento Giuridico, la racconta così: “Quartu è una delle capitali dell'abusivismo edilizio in Italia. Negli anni Novanta era al terzo posto dopo Napoli e Gela. Di fatto, però, è anche l'unico Comune sardo ad avere la mappa completa dell'abusivismo edilizio sul proprio territorio: nel 1995, dopo le operazioni di condono, risultavano 10.400 casi di abusivismo – per 70mila abitanti – dei quali 127 insanabili parziali e 486 insanabili totali”. Lungo il mare trovi 2.858 casi di abusivismo, per la bellezza di 739.007 metri cubi realizzati nelle zone turistiche costiere. Ai quali bisogna aggiungere - continua Deliperi - i 490mila metri cubi dei 1.336 abusi nelle zone agricole. Totale: oltre un milione di metri cubi soltanto negli anni Novanta. Allo sfregio ambientale e paesaggistico, bisogna aggiungere la spesa che incombe sulle casse pubbliche, per dotare di servizi le costruzioni abusive. “Per dotare dei necessari servizi (depurazione, acqua, energia elettrica, smaltimento rifiuti, scuole, ecc.) gli ‘abusi condonati’- conclude Deliperi - la spesa ammonta a 222 milioni, a fronte dei 20 milioni entrati con le oblazioni di legge”. E se da Quartu ci spostiamo a Roma, il paradosso diventa lampante: nei fatti,a disegnare un nuovo piano regolatore, sono stati convocati direttamente gli abusivi.
Il paradosso di Roma: chi abusa, delibera. 58mila persone fuori dal piano regolatore
In buona parte delle periferie, oltre il Grande Raccordo Anulare, prima sono state costruite le case, poi sono arrivate le regole urbanistiche. Quartieri senza servizi che hanno ospitato la rapida crescita demografica del secondo dopoguerra: dal ‘51, quando si contavano 1,6 milioni di abitanti, ai 2,8 milioni degli anni 90. Nel 2009, una delibera della giunta guidata da Gianni Alemanno - basata su un piano varato nel ‘97 dal sindaco Rutelli - riconosce 71 nuclei di “edilizia ex abusiva” - i cosiddetti toponimi - abitati da oltre 58 mila persone (pari alla popolazione di Agrigento). L’obiettivo è quello di fornire marciapiedi, strade, parcheggi o reti idriche. Il provvedimento chiede ai residenti “la cessione delle aree pubbliche”, di cui si sono appropriati senza titolo, concedendo in cambio di costituirsi in consorzi e progettare il recupero urbanistico. E così gli abusivi, nei fatti, ridisegnano il piano regolatore. “L’Atac - si legge in una delle schede tecniche che i consorzi hanno presentato per ottenere il risanamento - non svolge servizio all’interno del toponimo per le dimensioni stradali e la mancanza di continuità delle stesse...”. In sostanza, andrebbero costruite strade adeguate e regolamentati i percorsi dei mezzi pubblici. E’ necessario, senza dubbio. Ma c’è un fatto evidente: chi ha violato le norme, ora ridisegna il volto della città. Se non bastasse, gli abusivi possono usufruire di un “aumento della volumetria realizzabile”. E quindi: se da (ormai ex) abusivo, rendi al Comune il suolo pubblico, non solo progetti i servizi, ma ottieni anche nuove cubature. Vista l'assenza di fondi, il piano non è mai decollato. Resta il fatto che il sostegno elettorale dei consorzi edili, ormai, vale una gran fetta del voto delle periferie. E ogni candidato sindaco, a Roma, deve farci i conti.
Sicilia, vista mare con ruspe e sigilli. Nel mirino delle procure lidi e ristoranti
Adesso spostiamoci in Sicilia, a Cefalù, dove lungo l’itinerario arabo normanno i turisti di mezzo mondo si aggirano un po' spaesati fra stabilimenti transennati e col cartello di sequestro in bella vista. Lidi spesso accomunati dall’assenza della necessaria certificazione paesaggistica della Sovrintendenza. Lo scorcio di paradiso in provincia di Palermo, dal 2015 è inserita fra i siti Unesco, ha già subìto a partire dagli anni ‘50 una speculazione - non soltanto edilizia - che ha modificato morfologia e cultura del territorio. E il commissario di polizia Manfredi Borsellino, figlio di Paolo, ha messo nel mirino le 14 concessioni che occupano i 2 chilometri di lungomare. In questo scorcio di stagione ha sequestrato circa la metà degli stabilimenti con i bagnanti sgomenti. “Per quasi tutti gli stabilimenti - dice Borselllino - non è chiaro come abbiano avuto la concessione e la necessaria certificazione paesaggistica. Nella migliore delle ipotesi, c’è stato il parere auto-assentito della Sovrintendenza, acquisito con la procedura del silenzio assenso. Una procedura assolutamente inapplicabile in questa materia, ancor di più quando si tratta di opere (seppure precarie o rimovibili) realizzate su aree sotto stringenti vincoli paesaggistici e considerate di notevole interesse pubblico. Noi abbiamo agito seguendo l’input dell’Assessorato al Territorio che, ben prima dell’inizio dell’attuale stagione, ha diffidato i gestori dal montare gli stabilimenti”. La madre di tutti i sequestri è stato il Poseidon 2 anni fa. Il forte groviglio d’interessi “balneari”s’attorciglia sempre più fra carte da bollo e ricorsi, con gip e tribunale del Riesame che a volte confermano, altre si smentiscono a vicenda. Permangono i sigilli per 2 lidi, per altri c’è il processo in corso, come per il Malik, costruito su un torrente con grave rischio idrogeologico. Fra il lungomare e il Duomo, dove affiorano le mura megalitiche erette sulla scogliera alla fine del V secolo avanti Cristo, sono sorti invece i ristoranti più alla moda: le terrazze a mare. In particolare una ha un’imponente struttura sostenuta da telai di ferro e pilastri in cemento armato conficcati proprio sotto le mure megalitiche. Borsellino ha da poco inviato una nota al riguardo all’assessorato al Territorio e Ambiente (e per conoscenza alla Sovrintendenza di Palermo e al Procuratore della repubblica di Termini). Il commissario di Cefalù aspetta che l'Assessorato gli risponda, però, dice: “In 8 anni e mezzo che sono a Cefalù non ho mai visto una demolizione".

«I furbetti del mattoncino. Un caso ogni tre giorni. Gli effetti di 30 anni di condoni: un furto impunito di 21 miliardi. Dobbiamo ancora regolarizzare 5,3 milioni di condoni dal 1985». il Fatto Quotidiano, 2 luglio 2017 (p.d.)

Una denuncia ogni tre giorni. Una sanzione amministrativa ogni 30 ore. Un intervento della Finanza ogni 600 minuti. È a questo ritmo che viaggia l’abusivismo edilizio in Italia. E il dato riguarda soltanto la costa e il demanio marittimo. La Guardia di Finanza – che ha il compito di sorvolare le aree demaniali e denunciare gli abusi – nei primi cinque mesi dell’anno ha già realizzato 348 interventi, 54 denunce, 122 sanzioni amministrative, sequestrando beni per ben 4,5 milioni. L’anno scorso si viaggiava al ritmo di una denuncia ogni 18 ore: nel bilancio 2016 si contano 491 denunce, 1.068 interventi, sequestri per 6,1 milioni. È un paradosso, ma il 2017 sembra quasi l’anno della redenzione. E chi associa all'abuso edilizio sulla costa la “semplice”costruzione d’una villa con accesso diretto sul mare, dia un'occhiata a questi esempi. Dovrà ricredersi.
Turisti sotto sequestro .Rimessaggi nei fiumi, anfiteatri sul mare
Il 9 giugno a Sperlonga viene sequestrato un intero hotel: il “Grotte di Tiberio”. La Procura dispone che, entro tre giorni, i malcapitati turisti debbano sloggiare. Il proprietario - l’ex presidente della Provincia di Latina, Armando Cusani - deve invece attivarsi per mettere in sicurezza la struttura. A Salerno, nell'alveo del fiume Tusciano, c’è chi insedia immobili, depositi, uliveti. E l’immancabile discarica abusiva. Sul litorale di Fano la Gdf sequestra un'intera struttura ricettiva: 12 case mobili, 24 bungalow e un anfiteatro. Sulla storica foce del Rubicone – quella che Giulio Cesare varcò, con una legione di 5000 fanti, avviando la guerra civile al grido di alea jacta est – qualcuno ha pensato di attrezzare 15 pontili. Li ha destinati al rimessaggio e all’alaggio dei natanti. Turismo, agricoltura, edilizia popolare: l’abuso edilizio sviluppa una fetta d’economia. Ed è un implacabile specchio del Paese.
Quelle pratiche del 1985. In 5 milioni aspettano una risposta da 32 anni
Torniamo al 1985, l'anno del primo condono edilizio, e poniamoci una domanda: qual è il vantaggio per lo Stato di varare un condono? La risposta è semplice ma nient’affatto scontata: fare cassa. Il 28 febbraio 1985, con Bettino Craxi al governo, furono ammessi alla possibilità di condono tutti gli abusi – non solo quelli sulla costa – realizzati fino all'ottobre 1983. Oltre a far cassa, l’utilità del condono, era quella di tracciare una linea netta con il passato, per impedire nuovi abusi. Che invece procedono – solo sulla costa – al ritmo di una denuncia ogni tre giorni. Non a caso la legge sul condono varata nel 1985 prevede una relazione annuale al Parlamento sul fenomeno dell’abusivismo. Com’è andata a finire? Di condoni ne abbiamo avuti altri due (entrambi targati Berlusconi, nel 1994 e nel 2003). E in Parlamento, di relazioni annuali, in 32 anni, ne sono state pubblicate solo due. Pochine per monitorare l’evoluzione del fenomeno. Nel frattempo, con i tre condoni, negli uffici comunali italiani sono giunte 15.431.707 richieste. Oltre 15 milioni di pratiche da smaltire che, nei fatti, significano soldi da incassare. Se lo Stato non è interessato a studiare il fenomeno, sarà almeno interessato a far cassa? Il Centro studi Sogeea, nell'aprile del 2016, rivela che su 15,4 milioni di pratiche, ben 5,3 milioni risultano inevase. Tra queste, 3,5 milioni risalgono alla sanatoria del 1985: c'è gente che a 32 anni aspetta di sapere se il proprio immobile abusivo può essere sanato. Trentadue anni di stallo. Soldi che lo Stato avrebbe potuto incassare. E che non ha mai visto. Quanti?
L’intero PIL dell'Estonia. Due terzi della legge di Stabilità varata nel 2015
“Si può stimare –si legge nello studio Sogeea –che i mancati introiti per le casse del nostro Paese sono pari a 21,7 miliardi. Il dato si ottiene sommando il denaro non incassato per oneri concessori, oblazioni, diritti di istruttoria e segreteria, sanzioni da danno ambientale. Stiamo parlando di denaro equivalente a 1,4 punti del nostro Prodotto interno lordo pari a due terzi della legge di Stabilità 2015, superiore al Pil di una nazione come l'Estonia”. Soltanto Roma, per intendersi, potrebbe incassare 800 milioni dalle pratiche ancora inevase. E se questo è lo stallo sulle possibili sanatorie, che accade invece quando si deve demolire?
Qui Reggio Calabria. “Siamo soltanto in tre per 33 mila pratiche”
Abbiamo chiesto ad alcuni Comuni di fornirci i dati sull'abusivismo edilizio. “Il Settore Pianificazione – ci risponde il dirigente di Reggio Calabria – è sottodimensionato come tutti gli altri settori”. L’ufficio – ci spiega – è composto da appena “tre unità” oltre il personale amministrativo e la mole di lavoro è immensa: “Le 33.866 pratiche di condono edilizio sono state tutte istruite. Per quelle non completate, sono state richieste integrazioni. Se i proprietari presentassero tutto quello che è stato richiesto, potrebbero essere tutte chiuse, positivamente o negativamente, in un arco di tempo ragionevole, anche con l'esiguità del personale assegnato”. E sul fronte demolizioni che accade? Nei fatti siamo a quota zero. “I procedimenti – continua – non sono in carico al settore, che si limita a emettere le relative ordinanze”. La legge prevede che se il proprietario non demolisce, il Comune interviene anticipando le spese, usufruendo del fondo di rotazione istituito presso la Cassa Depositi e Prestiti, con successivo recupero coatto delle somme. “Le risorse economiche per gli enti sono merce rara – continua il dirigente – E Reggio Calabria, che ha sottoscritto un piano di rientro, non ha l’accesso ai fondi di rotazione”. Sullo Stretto, insomma, sventola bandiera bianca. Eppure, attraverso una norma del 2014, che porta il nome della deputata M5S Claudia Mannino, ai proprietari che non ottemperano alla demolizione è possibile erogare sanzioni dai 2 mila ai 20 mila euro.
Qui Altofonte. “Abbiamo incassato 300 mila euro. In teoria”
Ad Altofonte,in provincia di Palermo, il sindaco Antonino Di Matteo,nel maggio 2016, inizia ad approntare gli atti ingiuntivi per i proprietari che non hanno demolito. È un passo avanti, senza dubbio. Ma fino a un certo punto: “La procedura del recupero coattivo risulta complessa e di non facile gestione”, scrive Di Matteo in una lettera alla Camera. Poi aggiunge un dettaglio. Aveva già provato a farsi pagare dagli abusivi chiedendo un canone per l’occupazione. E con quei soldi intendeva finanziare le demolizioni. Ma pare che non stia andando come sperava. “Le difficoltà riscontrate con le ingiunzioni al pagamento del canone per l’occupazione degli immobili abusivi, per un totale contestato di 302 mila euro, rischiano di procurare nocumento alla finalità ultima della sua proposta: ovvero autofinanziare le demolizioni con i proventi delle sanzioni...”. Una partita persa? Di certo nella gran parte dei casi, la palla finisce alla magistratura. D’altronde, un sindaco che demolisce si gioca una bella fetta di elettorato. E in qualche caso, come Angelo Cambiano a Licata l’anno scorso, finisce persino sotto scorta. Non è un caso che la Corte dei Conti siciliana abbia dichiarato che per le mancate demolizioni siamo dinanzi a un veroe proprio danno erariale. E quindi: quando possiamo far cassa, non incassiamo; quando dobbiamo evitare danni erariali, non li evitiamo.
Un oceano di scartoffie. Una banca dati? Con il prossimo governo, forse
Dinanzi a una tale mole di scartoffie - oltre 5 milioni di pratiche per i soli condoni, senza contare il numero di abusi edilizi che si moltiplicano di ora in ora - dovremmo immaginare un’efficace organizzazione del lavoro. Anche perché siamo dinanzi a miliardi da incassare. E invece Sogeea ha verificato che il 90% degli enti locali si arrabattano con archivi cartacei, solo il 2% ha un archivio digitale, l’8% un archivio misto. Ma andiamo oltre. La Regione Campania, nel 2010, avvia due progetti. Il Conabed (Contrasto abusivismo edilizio) prevede l’immissione in una banca dati pubblica di ogni abuso segnalato dai comuni. Il Mistral prevede invece un monitoraggio da immagini satellitari, entrambi tramontati nel giro di pochi anni. Il Mistral viene soppresso nel 2012 perché con il suo milione di euro l’anno, costa troppo. È preferibile tenersi i danni erariali. E i mancati incassi delle vecchie sanatorie. Senza contare che negli ultimi anni la Campania ha registrato in media 1.500 segnalazioni di abusi edilizi al mese. E che, dal 1991 a oggi, il 91% dei Comuni sciolti per infiltrazioni camorristiche vede nelle motivazioni del decreto che fa decadere l’amministrazione un diffuso abusivismo edilizio. E una banca dati nazionale? L’idea è stata proposta soltanto pochi mesi fa con un emendamento della parlamentare Mannino al progetto di legge Falanga. L’unica nota positiva di una legge accusata dalle associazioni ambientaliste di voler riproporre un condono mascherato. Anzi: di legalizzare l’abusivismo in modo permanente, affogando lo Stato più di quanto abbiamo già visto in un diluvio di ricorsi.
Condono permanente. Ddl Falanga: la classifica delle demolizioni
La legge – approvata in maggio al Senato e rinviata alla Camera – disciplina le demolizioni secondo una classifica di priorità. Non potrà essere demolito l'edificio di chi non ha un’altra casa da abitare. In cima alla classifica delle demolizioni troviamo gli immobili di rilevante impatto ambientale, costruiti su area demaniale soggetta a vincoli. Seguono gli immobili che costituiscono un pericolo per l’incolumità dei cittadini e quelli riconducibili ai mafiosi. Non si tratta dell’unico assist all’abusivismo. In Sicilia, il deputato regionale Mimmo Fazio ha tentato invano, nel 2016, di sanare gli immobili costruiti (prima del 1991) entro la fascia costiera di 150 metri. Il presidente Crocetta invece di urlare allo scandalo, ha commentato: “Alcune strutture vicine al mare, piuttosto che abbatterle, potrebbero essere trasformate in attività ricettive, spingendo i Comuni a predisporre i piani di recupero, abbattendo solo ciò che deturpa l’ambiente. Se dovessimo demolire tutto, saremmo costretti a portare in discarica milioni di metri cubi di cemento”. Stessa posizione per il presidente campano De Luca: “Esistono poveri cristi che si trovano in questo problema per ignoranza. Consentiamo ai Comuni di approvare piani di recupero, facendo pagare a chi ha costruito abusivamente, ma regolarizzando, perché 70 mila alloggi abusivi, che non possono allacciarsi a luce e rete fognaria, portano a disastri ambientali”. A una soluzione simile pensa anche il sindaco di Casal di Principe, Franco Natale, che nel suo territorio conta 1.500 abusi. Per demolirli tutti – secondo uno studio del suo Comune – sarebbe necessario spendere 210 milioni, allestire una tendopoli da 6 mila sfollati, smaltire 300 mila metri cubi di detriti: tre volte il volume del Colosseo. Oltre l’abusivismo dei “poveri cristi”, però, c’è anche quello dei vip. Quali?
Lo racconteremo nella prossima puntata.

Un estremo appello alla ragione rivolto ai decisori da alcune personalità che affidano la forza della loro richiesta ad argomenti e non a lunghe liste di adesione e neppure miraggi di consensi elettorali

Al presidente del consiglio, on. Paolo Gentiloni, alla presidente della Camera dei Deputati, on. Laura Boldrini, ai presidenti dei gruppi parlamentari

Nei prossimi giorni andrà in discussione, in seconda lettura, alla Camera dei Deputati il disegno di legge Falanga così intitolato: “Disposizioni in materia di criteri per l’esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi”. In realtà questo provvedimento è di una gravità inaudita perché rischia di legalizzare in modo permanente l’abusivismo con effetti futuri permanenti. Gli immobili abusivi, indipendentemente dalla loro destinazione d’uso, purché abitati o utilizzati, saranno salvi a partire anche dalle aree sottoposte a vincolo ambientale ed archeologico.

Gli edifici che si trovano nelle aree sottoposte a vincolo ambientale, archeologico, idrogeologico, del demanio, che costituiscono un pericolo per la pubblica e privata incolumità o che sono nella disponibilità di soggetti condannati per reati di associazione mafiosa, saranno demoliti secondo questo ordine:
1 - prima quelli in corso di costruzione o non ultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado
2 - poi quelli non stabilmente abitati.

La legge prevede una somma di 10 milioni di euro annui per gli abbattimenti.

Le demolizioni con questa futura legge saranno fermate per due ordini di motivi:
1) perché la cifra stanziata per le demolizioni è sufficiente per eseguirne 130-140 all’anno
2) perché buona parte delle case sono abitate e quindi saranno in coda alle priorità stabilite dalla legge e perciò mai demolite.

Ma l’aspetto più grave della legge è che la sua applicazione non ha un limite di tempo. Questo significa che tra tre mesi, un anno o due chiunque potrà edificare una villa sulla costa, in una vallata o in qualunque altro luogo avendo i requisiti di necessità.

Altro aspetto grave è che si fermeranno le demolizioni gli immobili abusivi stabilmente abitati, indipendentemente dalla loro destinazione d’uso, anche nelle aree protette, con vincolo ambientale e idrogeologico perché la legge prevede di mettere per ultimi questi casi.

Invece di approvare norme più stringenti per demolire sul nascere l’abuso e per commissariare quei comuni, anche con lo scioglimento dei consigli comunali, che non sono rigorosi o nell'adottare strumenti urbanistici o nell’eseguire le demolizioni, si è scelta una strada assurda come quella di fermare le ruspe dietro l’alibi delle priorità e dell’inesistente abuso di necessità.

I sottoscritti e le sottoscritte firmatari/e dell’appello chiedono:

1) ai presidenti dei gruppi parlamentari e alla presidente della Camera dei Deputati di non procedere alla calendarizzazione in aula del disegno di legge Falanga, ed in ogni caso a non concedere la legislativa.
2) al presidente del consiglio on. Paolo Gentiloni di trasformare il disegno di legge in oggetto in Decreto Legge con l’eliminazione del comma 6 bis) dell’art. 1 che è la norma che consente il blocco delle demolizioni degli immobili nelle aree vincolate e prevedendo in aggiunta che la norma di acquisizione al patrimonio pubblico degli immobili abusivamente realizzati sia resa efficace.

Tomaso Montanari, Angelo Bonelli, Paolo Berdini, Vittorio Emiliani, Gianfranco Amendola, Giovanni Losavio, Edoardo Salzano, Sauro Turroni, Vezio De Lucia, Fabio Balocco, Luana Zanella, Domenico Finiguerra, Giuseppe Civati, Loredana De Petris, Felice Casson, Filiberto Zaratti, Annamaria Bianchi, Marco Furfaro.

Le ragioni per le quali la legge per il condono perpetuo dell'abusivismo edilizio è nefasta e distruttiva del territorio e della legalità. In calce nelle dichiarazioni di voto il mare di ipocrisia che ha contraddistinto gli altri interventi espressi il 17 maggio. CarteInRegola online


SignorPresidente, colleghi senatori, questo è un provvedimento molto strano che,partito dal Senato in una certa maniera e poi trasmesso alla Camera deideputati, é ritornato qui in tutt’altra maniera. È strano perché lacollocazione che si è voluta dare a questo insieme di norme si inserisceall’interno di un decreto legislativo che nulla ha a che fare con la materia,ma che ci dà la certezza, o quantomeno il sentore, di quanto importante sia percoloro che hanno problemi di abusivismo e che difendono situazioni diabusivismo, fare in modo che diventino norme di carattere generale.

Strano perché all’inizio, nella primafase, si parlava di «priorità» e ora, quasi con una tautologia, si sostituiscela parola «priorità» con la parola «criteri» (che etimologicamente risale alverbo greco krìno); poi però il tutto viene ammorbidito quando sidice che bisogna tenere in adeguata considerazione questa situazione e, quindi,si consiglia una formulazione diversa. Strana è anche la formulazione che vienedata a questi criteri da tenere in adeguata considerazione, perché si richiedeal pubblico ministero un surplus d’indagine, unapprofondimento e una verifica dei criteri che allungherà notevolmente i tempi,portando alle calende greche qualsiasi possibilità di intervenire, come diròanche tra poco.

Strano perché questo disegno di leggecontiene al suo interno un trojan horse, per mutuare un terminedell’informatica, e cioè un cavallo di Troia, perché la priorità vieneattribuita di regola agli immobili in corso di costruzione, o comunque nonultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado, e agli immobilinon stabilmente abitati. È facilmente pensabile l’escamotage cheverrà utilizzato da chi vorrà far saltare qualsiasi abbattimento: tuttitroveranno un figlio o un parente, più o meno lontano, per fare in modo che nonsi dia esecuzione all’abbattimento, perché l’immobile abusivo verrà consideratostabilmente abitato. Si diceva e si dice: fatta la legge, trovato l’inganno.Qui, addirittura, l’inganno è stato suggerito e scritto nella legge: vi doquesti criteri, ma potete anche aggirarli in questa maniera.

Strano anche perché ci sono indicazioni daparte di tutti i procuratori della Repubblica, ordinari e generali, che sonointervenuti, secondo cui tali criteri apriranno la via a un contenzioso enormee infinito, perché giustamente gli avvocati faranno valere il diritto didifesa, faranno incidenti di esecuzione a non finire che dureranno anni, anchedieci anni, e tutto verrà sospeso per moltissimo tempo.

Assieme a queste stranezze c’è ancheun’aberrazione. Basti pensare che per le case abusive costruite in areeprotette (è un aspetto molto grave) queste demolizioni verranno fermate. Miriferisco alle costruzioni abusive nelle aree protette con vincolo ambientale eidrogeologico, perché il disegno di legge prevede di mettere per ultimi questicasi. Questa è una vera e propria aberrazione.

Aggiungo che se mai il disegno di legge inesame dovesse entrare in vigore, sarebbe di una gravità particolare e nonaccettabile, perché nella sostanza legalizza in modo permanente l’abusivismo,con effetti futuri che hanno il carattere della permanenza. Le case abusive,purché abitate in qualsiasi maniera, con quegli escamotage econ quegli imbrogli, saranno comunque salvate. Non è accettabile che questodisegno di legge si basi sulla ben nota distinzione di comodo tra quello cheviene considerato l’abusivismo di speculazione e l’abusivismo di necessità,cioè quello costituito dalle case abitate, che verrà messo in coda al fine dievitare le demolizioni.

Quali saranno, allora, gli effetti delpresente disegno di legge? Se esso entrerà in vigore darà certezza del fattoche le demolizioni verranno fermate per alcuni motivi che ho già indicato, maanche per i prossimi che sto per indicare. Innanzitutto la cifra che è statastanziata e che si prevede di stanziare comunque al termine del lavorolegislativo è bassissima ed è sufficiente – secondo un calcolo materiale che èstato fatto – a consentire nel corso di un anno 130-140 demolizioni e questo, afronte di decine di migliaia di casi, è davvero risibile. Inoltre non vengonodate forze, strutture né personale per poter intervenire. Vi è poi un altrofattore: buona parte delle case è abitata, quindi sarà messa in coda allepriorità, con dispregio di tutte le considerazioni che ho fatto poco fa.

Tuttavia, l’aspetto ancora più grave delpresente disegno di legge è che la sua applicazione non ha alcun limite ditempo, a differenza ad esempio dei tanto vituperati condoni. Ciò significa che nelprossimo futuro, tra qualche mese e tra qualche anno, o comunque in qualsiasisituazione fino all’abolizione della norma, chiunque potrà edificarematerialmente una villa o una casa in una vallata, su una costa, in una zona dipregio, in qualunque zona, anche sottoposta a vincoli; in questo modo ilParlamento italiano si sta accingendo a legalizzare in modo permanentel’abusivismo edilizio, invece di bloccarlo.

Su questo aspetto aggiungiamo un’altraconsiderazione. Non è che ci sia semplicemente il rischio che questa normapossa essere utilizzata dalla criminalità organizzata; è certo che la normaverrà utilizzata dal crimine, diventerà uno strumento importante nelle suemani. Infatti, con vari sistemi, attraverso i cavalli di Troia di cui si dicevaprima, con i prestanome, con l’indicazione di criteri di necessità previstidalla legge, si potrà continuare a costruire case abusive in dispregio allalegge fondamentale che riguarda questa materia. Questa, sostanzialmente, è larealtà.
Invece di approvare norme più rigide estringenti per abbattere ed eliminare in partenza l’abuso ed eventualmentearrivare anche al commissariamento dei Comuni che non siano rigorosi e chedimostrino di non rispettare le norme sulla lotta all’abusivismo edilizio, siadottano norme di questo tipo che certamente non sono accettabili e neanchepresentabili.

Questo è un po’ un vizio italico che, difronte a determinate situazioni e tragedie, come quelle causate da dissestoidrogeologico, a volte piange lacrime di coccodrillo, perché si nasconde dietroalle norme che approva e, dopo aver versato lacrime di coccodrillo per letragedie gravissime che si verificano continuamente nel nostro Paese, il giornoseguente torna a chiudere gli occhi e invece di combattere l’abusivismoedilizio riprende a favorirlo.

Concludo ricordando a questo proposito unpasso fondamentale della nostra Costituzione, che tra l’altro getta anche unaluce in termini di profili di illegittimità costituzionale su alcune di questenorme. All’articolo 9, secondo comma, della nostra Costituzione si dicetestualmente che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico eartistico della Nazione». Il disegno di legge che ci apprestiamo a votare nontutela assolutamente questo bene primario, tanto primario che è stato inseritonella parte fondamentale e primaria della nostra Carta costituzionale.

Qualcuno ha definito questo provvedimentoun condono mascherato, ma in realtà è peggio, perché non è mascherato: è uncondono vero e proprio, palese, chiaro e soprattutto permanente. Per questomotivo, il Gruppo Articolo 1-MDP esprimerà un voto contrario.

I testi delle dichiarazioni di voto

«Una proposta di legge dei verdiniani sottoscritta da un’ampia maggioranza allontana le ruspe dai fabbricati, basta dimostrare che siano abitati. Solo in Campania sono 70 mila». il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2017 (p.d.)

Giovedì arriva nell’aula del Senato il progetto di legge “blocca ruspe”. La giunta della Campania, guidata da Vincenzo De Luca, lo attende con trepidazione da mesi, al punto da averne anticipato gli effetti in una proposta di legge regionale approvata il 16 marzo scorso. E il momento è arrivato. Sembra proprio che il progetto normativo – primo firmatario il verdiniano Ciro Falanga – abbia la strada spianata, almeno al Senato. Il testo con pochi emendamenti è stato approvato nelle commissioni di Palazzo Madama con una maggioranza inedita che va dal Pd a Forza Italia e M5S.
Tutti d'accordo nel fermare le demolizioni introducendo nella normativa due criteri che lasciano ampie possibilità di farla franca. Il primo è quello della penuria di fondi. La legge assegna per l’esecuzione delle demolizioni appena 10 milioni di euro ogni anno fino al 2020. Basta per eseguirne 130-140 all’anno. Con il secondo si stabilisce che tutte le case abitate saranno messe in coda alla lista degli edifici da demolire, senza distinzioni tra casotti di tufo e ville con piscina. “Ma l’aspetto più grave – rincarano il coordinatore nazionale dei Verdi Angelo Bonelli e il responsabile territorio e paesaggio Sauro Turroni – è che l’applicazione non ha limiti di tempo a differenza dei condoni. Questo significa che chiunque potrà edificare una villa sulla costa, in una vallata o in qualunque altro luogo avendo i requisiti di necessità, uno strumento formidabile anche in mano alla criminalità che potrà agire indisturbata utilizzando dei prestanome”.
Secondo la lettura dei Verdi si fermeranno anche le demolizioni delle case abitate edificate nelle aree protette, con vincolo ambientale e idrogeologico. “Appellandosi a questa legge, gli avvocati faranno giustamente il loro dovere che è quello di tentare ogni strada per impedire la demolizione dell’immobile del proprio assistito – ha avvertito il procuratore generale di Napoli Luigi Riello – ogni legale dirà: perché demolite casa al mio cliente e non a quell’altro? È stato verificato che l’ordine di priorità è stato rispettato? Sono stati controllati bene tutti i criteri? I quali criteri, mi si permetta di dirlo, mi sembrano evanescenti”.
Ed è soprattutto in Campania che l’abusivismo edilizio è diventato una piaga storica, favorita più che contrastata dalla politica in cambio di voti. Tanti. Nella regione dove circa il70% dei Comuni è privo di un Piano regolatore e anche la zona rossa intorno al Vesuvio è intensamente popolata, le case abusive sono oltre 70 mila. Per De Luca non c’è alternativa. Da poco eletto governatore, spiegava: “Ci vuole una sanatoria, si tratta di buon senso”. E poi: “Se c’è un povero cristo che nell’entroterra campano, senza danneggiare nessun paesaggio, ha fatto l’abuso, lo si sana perché non abbiamo alternative”. Ogni anno in Italia vengono realizzate 20 mila nuove case abusive. In Sicilia anche il governatore Rosario Crocetta ha proposto di fermare le ruspe, nonostante esista una casa abusiva ogni 900 metri di costa.
Articoli di Luciano Cerasa e di Corrado Zunino e dichiarazione di Loredana De Petris. il Fatto Quotidiano, la Repubblica, il manifesto, 15-17 maggio 2017

il Fatto Quotidiano
ABUSI EDILIZI, VERDI: “MATTARELLA E GRASSO FERMINO
LA LEGGE CHE LI LEGALIZZA E FERMA LE DEMOLIZIONI.
È PEGGIO DI UN CONDONO”

«Il ddl, che ha come primo firmatario l’ex senatore di Forza Italia passato ad Ala Ciro Falanga, arriverà in aula al Senato giovedì 18. Prevede che le case abitate finiscano ultime in ordine di priorità tra quelle da abbattere. Gli ambientalisti: "Invece di commissariare i comuni che non eseguono le demolizioni, si è scelta una strada assurda come quella di fermare le ruspe"»

Un provvedimento “di una gravità inaudita”, che «legalizza in modo permanente l’abusivismo con una portata peggiore del condono edilizio dal punto di vista dei suoi effetti futuri». E’ il giudizio dei Verdi sul disegno di legge che fissa i «criteri per l’esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi», che il 18 maggio arriverà in aula al Senato. Il coordinatore nazionale Angelo Bonelli e il responsabile territorio e paesaggio Sauro Turroni lanceranno il 16 maggio un appello al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al presidente del Senato Pietro Grasso perché la legge, che ritengono presenti «vari profili di incostituzionalità», sia fermata e non venga promulgata.
Secondo i Verdi il ddl, primo firmatario l’ex senatore di Forza Italia passato ad Ala Ciro Falanga, «produrrà effetti di continue violazioni di legge» perché «introduce l’abusivismo di necessità e le case abitate non saranno abbattute perché collocate per ultime nell’ordine di priorità anche se si trovano in zone vincolate dal punto di vista ambientale e idrogeologico».

In testa alla lista delle priorità degli abusi da demolire ci sono gli immobili di rilevante impatto ambientale o costruiti su area demaniale o in zona soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico o a vincolo sismico o a vincolo idrogeologico o a vincolo archeologico o storico-artistico, quelli che costituiscono un pericolo per la pubblica e privata incolumità e quelli sottratti alla mafia perché nella disponibilità di soggetti condannati per reati di associazione mafiosa o di soggetti colpiti da misure di prevenzione. Tuttavia all’interno di ognuna di queste categorie sono stabiliti ulteriori gradi di priorità. Gli edifici saranno demoliti secondo questo ordine: prima quelli in corso di costruzione o non ultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado, poi quelli non stabilmente abitati e infine quelli abitati.

Per ciascuna delle 3 sopra dette categorie i Procuratori della Repubblica detteranno i criteri di priorità che dovranno tenere conto delle specificità del territorio di competenza, attribuendo la priorità, di regola, agli immobili in corso di costruzione o comunque non ultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado e agli immobili non stabilmente abitati. Infine, per gli abbattimenti vengono stanziati 10 milioni di euro l’anno, a fronte di un costo di circa 80mila euro a demolizione.
«Le demolizioni con questa futura legge saranno fermate per due ordini di motivi», si legge nell’appello. «Perché la cifra stanziata per le demolizioni è sufficiente per eseguirne 130-140 all’anno e perché buona parte delle case sono abitate e quindi saranno in coda alle priorità stabilite dalla legge e perciò mai demolite. Ma l’aspetto più grave della legge è che la sua applicazione non ha limiti di tempo a differenza dei condoni. Questo significa che tra tre mesi, un anno o due chiunque potrà edificare una villa sulla costa, in una vallata o in qualunque altro luogo avendo i requisiti di necessità. Questo significa che il parlamento della Repubblica Italiana si accinge a legalizzare in modo perenne l’abusivismo edilizio, che anzi dalla norma riceverà ulteriori stimoli. E la norma potrà diventare uno strumento formidabile anche in mano alla criminalità che con prestanome, che corrispondano a criteri di necessità previsti della legge, potrà realizzare case abusive in spregio alla legge».
Invece, dunque, di «approvare norme più stringenti per demolire sul nascere l’abuso e per commissariare quei comuni, anche con lo scioglimento dei consigli comunali, che non sono rigorosi o nell’adottare strumenti urbanistici o nell’eseguire le demolizioni, si è scelta una strada assurda come quella di fermare le ruspe dietro l’alibi delle priorità e dell’inesistente abuso di necessità. Non è un caso che nei resoconti stenografici i senatori Falanga e Palma parlino esplicitamente di fermare le demolizioni a partire dalla Campania. Infatti sia il Presidente della regione Campania De Luca che della Sicilia Crocetta attendono con ansia questa legge dopo aver approvato in giunta provvedimenti blocca ruspe». In Campania le case abusive sono 70mila, in Sicilia ne sono state costruite 2.438 nel 2015 e 1.749 nel 2016.

L’appello è già stato firmato da Paolo Berdini, Vittorio Emiliani, Gianfranco Amendola, Francesco Lo Savio, Vezio De Lucia, Luana Zanella, Fabio Balocco e Mario Staderini.

il Fatto Quotidiano
IN SENATO ARRIVA IL SALVA-ABUSI
di Luciano Cerasa

«Una proposta di legge dei verdiniani sottoscritta da un’ampia maggioranza allontana le ruspe dai fabbricati, basta dimostrare che siano abitati. Solo in Campania sono 70 mila».

Giovedì arriva nell’aula del Senato il progetto di legge “blocca ruspe”. La giunta della Campania, guidata da Vincenzo De Luca, lo attende con trepidazione da mesi, al punto da averne anticipato gli effetti in una proposta di legge regionale approvata il 16 marzo scorso. E il momento è arrivato. Sembra proprio che il progetto normativo – primo firmatario il verdiniano Ciro Falanga – abbia la strada spianata, almeno al Senato. Il testo con pochi emendamenti è stato approvato nelle commissioni di Palazzo Madama con una maggioranza inedita che va dal Pd a Forza Italia e M5S.

Tutti d'accordo nel fermare le demolizioni introducendo nella normativa due criteri che lasciano ampie possibilità di farla franca. Il primo è quello della penuria di fondi. La legge assegna per l’esecuzione delle demolizioni appena 10 milioni di euro ogni anno fino al 2020. Basta per eseguirne 130-140 all’anno. Con il secondo si stabilisce che tutte le case abitate saranno messe in coda alla lista degli edifici da demolire, senza distinzioni tra casotti di tufo e ville con piscina. “Ma l’aspetto più grave – rincarano il coordinatore nazionale dei Verdi Angelo Bonelli e il responsabile territorio e paesaggio Sauro Turroni – è che l’applicazione non ha limiti di tempo a differenza dei condoni. Questo significa che chiunque potrà edificare una villa sulla costa, in una vallata o in qualunque altro luogo avendo i requisiti di necessità, uno strumento formidabile anche in mano alla criminalità che potrà agire indisturbata utilizzando dei prestanome”.

Secondo la lettura dei Verdi si fermeranno anche le demolizioni delle case abitate edificate nelle aree protette, con vincolo ambientale e idrogeoogico. “Appellandosi a questa legge, gli avvocati faranno giustamente il loro dovere che è quello di tentare ogni strada per impedire la demolizione dell’immobile del proprio assistito – ha avvertito il procuratore generale di Napoli Luigi Riello – ogni legale dirà: perché demolite casa al mio cliente e non a quell’altro? È stato verificato che l’ordine di priorità è stato rispettato? Sono stati controllati bene tutti i criteri? I quali criteri, mi si permetta di dirlo, mi sembrano evanescenti”.

Ed è soprattutto in Campania che l’abusivismo edilizio è diventato una piaga storica, favorita più che contrastata dalla politica in cambio di voti. Tanti. Nella regione dove circa il70% dei Comuni è privo di un Piano regolatore e anche la zona rossa intorno al Vesuvio è intensamente popolata, le case abusive sono oltre 70 mila. Per De Luca non c’è alternativa. Da poco eletto governatore, spiegava: “Ci vuole una sanatoria, si tratta di buon senso”. E poi: “Se c’è un povero cristo che nell’entroterra campano, senza danneggiare nessun paesaggio, ha fatto l’abuso, lo si sana perché non abbiamo alternative”. Ogni anno in Italia vengono realizzate 20 mila nuove case abusive. In Sicilia anche il governatore Rosario Crocetta ha proposto di fermare le ruspe, nonostante esista una casa abusiva ogni 900 metri di costa.

la Repubblica

AL VOTO LANUOVA LEGGE SULLE DEMOLIZIONI.
E SCATTA L'ALLARME:
«SI RISCHIAL'ABUSIVISMO LEGALIZZATO»
di Corrado Zunino

«Un appello di Verdi, urbanisti ed ex magistrati contro il Decreto Falanga: "Così si legalizza per sempre l'abusivismo edilizio". Nasce l'abuso per necessità: "Niente ruspe per chi non ha un'altra casa"».

Roma - In Senato si vota, fra tre giorni, una legge per cambiare le regole sugli abbattimenti delle abitazioni abusive. Il primo firmatario è un verdiniano, Ciro Falanga, e il decreto in dirittura d'arrivo prevede una serie di provvedimenti di peso. Oggi la maggior parte delle demolizioni è affidata alla magistratura, che interviene quando i sindaci non ottemperano (quasi sempre, in Italia). La novità del Decreto Falanga è quella di organizzare una vera e propria classifica delle priorità per l'invio delle ruspe. In fondo a questa graduatoria c'è "l'abuso per necessità".

A chi non ha un alloggio alternativo - la maggior parte di coloro che hanno commesso un abuso edilizio, d'altra parte - non si potrà tirare giù l'edificio illegale. Fosse anche una villa, fosse anche in un'area protetta. Nel testo, si legge, all'ultimo posto delle priorità sono posizionati «gli immobili abitati la cui titolarità è riconducibile a soggetti appartenenti a nuclei familiari che non dispongano di altra soluzione abitativa». Si dovranno quindi segnalare «alle competenti amministrazioni comunali» gli edifici «in possesso di soggetti in stato di indigenza».
A sostenere il decreto - è il 580-B, "Disposizioni in materia di criteri per l'esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi" - ci sono dieci milioni di euro. Una cifra che, parametrata ai costi attuali di un abbattimento, consentirebbe 130 interventi l'anno in tutto il Paese.

Il Decreto Falanga è atteso con una certa premura dai governatori della Campania e della Sicilia. In particolare, Vincenzo De Luca ha disposto a Napoli e nelle altre quattro province campane la sospensione di ogni intervento di demolizione in attesa dell'ultimo passaggio parlamentare del Ddl 580-B, appunto al Senato. Ma l'azione di Ala e Forza Italia - che fin qui non ha incontrato ostacoli da parte del Pd e del Movimento 5 Stelle, la sesta commissione ha votato favorevolmente e all'unanimità - conosce un'opposizione formale da parte dei Verdi con i suoi coordinatori nazionali Angelo Bonelli e Luana Zanella e il responsabile territorio Sauro Turroni. In questa campagna sono affiancati da urbanisti di peso come Paolo Berdini (ex assessore della Giunta Raggi) e Vezio De Lucia, ex magistrati ambientali come Gianfranco Amendola e Domenico Lo Savio, dal radicale Mario Staderini, l'intellettuale Vittorio Emiliani, l'avvocato Fabio Balocco.

Sul provvedimento si è già espresso il procuratore generale di Napoli, Luigi Riello. «Se si irrigidiscono i criteri di priorità con una legge si apre la via a un contenzioso enorme», ha detto. «Gli avvocati tenteranno ogni strada, giustamente, per impedire la demolizione dell'immobile del proprio assistito. Si chiamano incidenti di esecuzione. Ogni legale alzerà un'opposizione: perché demolite la casa del mio cliente e non quella a fianco?». I criteri di priorità, sostiene il magistrato, sembrano evanescenti: «Questa legge prova a tutelare il piccolo abuso di necessità rispetto all'ecomostro, ma rischia solo di rallentare l'intero processo di demolizioni».

Nel Napoletano, dove ci sono 70.000 abitazioni fuorilegge, si era avvertita nelle ultime stagioni un'inversione di tendenza con una decrescita dei manufatti abusivi e un aumento delle autodemolizioni da parte dei proprietari: sconfitte al processo, diverse famiglie sceglievano di abbattere la costruzione avviata per evitare il conto dello Stato, più oneroso.

Nelle audizioni al Senato si parla esplicitamente di fermare le ruspe al Sud. Il senatore di Forza Italia, Nitto Francesco Palma, anche lui magistrato, ha dichiarato: «Il disegno di legge è volto a salvare dagli abbattimenti le abitazioni delle persone che vivono in Campania con un reddito assai modesto e non già i grandi gruppi alberghieri o i faccendieri che abitano dimore lussuose presso la Costiera sorrentina».

L'appello di chi si oppone al decreto è stato inviato oggi ai presidenti della Repubblica e del Senato e chiede di fermare «una legge blocca demolizioni che legalizza in modo perenne l'abusivismo edilizio». La denuncia di ambientalisti, urbanisti e scrittori sottolinea: «L'aspetto più grave del provvedimento è che la sua applicazione non ha limiti di tempo, a differenza dei condoni. Questo significa che fra tre mesi, un anno o due chiunque potrà edificare una villa sulla costa, in una vallata o in qualunque altro luogo avendo i requisiti di necessità. Significa, inoltre, che da questa norma l'abusivismo riceverà ulteriori stimoli e la criminalità organizzata potrà realizzare case abusive in spregio alla legge attraverso prestanome».


il manifesto
ABUSIVISMO,
«STOP AL DDL FALANGA»
dichiarazione di Loredana De Petris

La capogruppo di Sinistra Italiana e presidente del gruppo misto al Senato, Loredana De Petris, chiede alla maggioranza di rinviare il ddl Falanga in commissione. Il disegno di legge che porta il nome del senatore verdiniano Ciro Falanga potrebbe essere approvato dall’aula di palazzo Madama questa settimana. Sarebbe una pietra tombale sulla demolizione di case abusive - spiegano in un appello ambientalisti, urbanisti e ex magistrati - a causa del meccanismo ideato per programmare le demolizioni: una scala di priorità che ha in cima le case in costruzione, da abbattere per prime, e all’ultimo gradino quelle già abitate. «Le case già abitate di fatto sono tutte salve. Per le altre - dice il verde Angelo Bonelli - bisogna individuare l’abuso, poi arriva la sentenza che ordina la demolizione, e ci sono 90 giorni di tempo per eseguirla. In tre mesi la casa può essere finita, ci si mette dentro una famiglia, e il gioco è fatto». Anche il procuratore generale di Napoli, Luigi Riello, è intervenuto contro il ddl: «Se si irrigidiscono i criteri di priorità con una legge si apre la via a un contenzioso enorme. Gli avvocati tenteranno ogni strada, giustamente, per impedire la demolizione dell’immobile del proprio assistito». Il firmatario del ddl, Falanga, ovviamente difende il suo provvedimento e dice che se non sarà approvato si dimetterà da senatore.

«Se chi governa “perdona” ciclicamente il ripetersi di un reato, di fatto induce in chi pratica quel reato la convinzione che ciò che ha fatto magari non sia lecito, ma tollerato sì». il Fatto Quotidiano online, 27 aprile 2017 (p.d.)

La madre di tutte le battaglie a tutela di quel paesaggio di cui all’articolo 9 della Costituzione e della quale ci si ricorda solo nei preamboli delle leggi e mai nella sostanza, è la lotta all’abusivismo edilizio. Lotta? Ma che dico mai? Semmai “lotta a favore all’abusivismo”. Tappeti rossi sul nostro già martoriato suolo a chi costruisce abusivamente. La nostra legislazione è un susseguirsi di condoni veri o mascherati che consentono il mantenimento dello status quo e di fatto legittimano il perdurare dell’illegalità. Perché se chi governa “perdona” ciclicamente il ripetersi di un reato, di fatto induce in chi pratica quel reato la convinzione che ciò che ha fatto magari non sia lecito, ma tollerato sì.
L’esordio della mani per i condoni data 28 febbraio 1985, quando la legge n. 47 del governo Craxi-Nicolazzi disegna un quadro normativo sull’edilizia “provvisorio”, ma che ha come maggiore conseguenza quella di ammettere al condono tutti gli abusi realizzati fino all’1 ottobre del 1983. Secondo i dati del Centro ricerche economiche e sociali del mercato dell’edilizia (Cresme), l’effetto annuncio del primo condono avrebbe provocato l’insorgere – nel solo biennio 1983-84 – di 230.000 manufatti abusivi, mentre quelli realizzati fra il 1982 e tutto il 1997 sarebbero stati 970.000.
A riaprire i termini del condono, meno di 10 anni dopo, è la legge n. 724 del 23 dicembre 1994 (primo governo Berlusconi), intitolata significativamente “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”. La 724 spalanca le porte della precedente legge 47/1985, estendendola agli abusi realizzati fino al 31/12/1993. Nel biennio successivo si contano 14 decreti, (l’ultimo fu il Dl 495/1996) tutti decaduti per mancata conversione in legge e tutti contenenti una norma, un richiamo, anche solo un riferimento alla sanatoria edilizia. La raffica di decreti termina solo quando la Corte costituzionale (sentenza 360 dell’ottobre del 1996) stabilisce l’illegittimità della prassi di reiterare all’infinito le decretazioni d’urgenza facendone poi salvi gli effetti.
L’ultima sanatoria ex lege risale al 24 novembre 2003 (ancora Berlusconi) con la conversione del decreto 30 settembre n. 269, “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici”.
Perché oggi parlo di abusivismo? Perché il tema resta sulla cresta dell’onda. Partiamo dal governatore piddino Vincenzo De Luca che in Campania vuole sanare 70mila case abusive. E pensare che quelli del Pd campano, quando a legiferare sull’abusivismo edilizio era la giunta di centrodestra guidata da Stefano Caldoro (Pdl), usavano questi toni: “Finché il territorio sarà considerato oggetto di baratto in cambio di consensi elettorali, quelle che poi verranno saranno lacrime di coccodrillo“. Passiamo poi al governatore Pd della Sicilia Rosario Crocetta: secondo un’anticipazione del quotidiano La Repubblica dell’8 aprile scorso, “il governo Crocetta e una maggioranza trasversale all’Assemblea regionale siciliana presenteranno il piano sull’abusivismo, un pacchetto di norme che, per almeno un anno, sospende le demolizioni di case costruite sulla costa, anche all’interno dei 150 metri dalla battigia: “Nessuno parli di sanatoria – ha detto Crocetta – Si tratta di una norma che evita l’abbattimento se lì si possono realizzare opere di servizio pubblico, come lidi o altro, e nelle more dei piani che dovranno fare i Comuni si bloccano le ruspe per almeno un anno”.
Soprattutto, il tema dei condoni va affrontato perché è proprio di questi giorni la discussione in Parlamento di un disegno di legge titolato (“Disposizioni in materia di criteri per l’esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi“, presentato nel 2013 da tale Ciro Falanga, deputato trasformista campano, prima Forza Italia, ora in Ala, la compagine dei verdiniani. Votato al Senato il 22 gennaio 2014, poi trasformato alla Camera e lì votato il 18 maggio 2016, licenziato all’unanimità dalla commissione Giustizia del Senato il 12 aprile scorso, il testo andrà presto al voto finale del Senato. In esso si fissa l’aberrante criterio secondo cui non tutti gli abusivismi sono uguali: ci sono quelli di speculazione e quelli di necessità. Dato questo presupposto, in futuro dovrà darsi priorità ai primi nell’abbattimento. E non lo si chiami condono edilizio, perché formalmente non lo è: come definire, però, un provvedimento di legge che torna a distinguere tra “abusivismo di necessità” e “abusivismo di speculazione”, stabilendo che il primo deve finire in coda nella scala di priorità quando c’è da decidere sugli abbattimenti, rinviandoli a data da destinarsi, ossia mai.
Il Ddl prevede anche che a occuparsi delle demolizioni future non saranno più i sindaci, bensì i prefetti, stanziando 10 milioni di euro ad hoc l’anno dal 2017 al 2020. Dato che si calcola che ogni demolizione costa 80 mila euro, in sostanza si potrebbero demolire appena 130 edifici l’anno. In tutta Italia. Attualmente sono 46.760 le ordinanze di demolizione che attendono esecuzione (dati fermi al 2011) e ogni anno vengono realizzate circa 20.000 case abusive.
Sempre di più mi vergogno di essere italiano. E mai e poi mai, a maggior ragione, entrerei in politica in una nazione in cui si varano norme che favoriscono la delinquenza allo scopo di accumulare consenso elettorale. Se in una remota ipotesi entrassi in politica e addirittura facessi parte del governo, cosa farei io in materia di lotta all’abusivismo edilizio?
Ecco alcuni spunti. 1) Accertamento di tutti gli abusi esistenti sul territorio e relativa pubblicità cartacea presso l’albo pretorio comunale e in rete; 2) monitoraggio costante del territorio al fine di evitare nuovi abusi; 3) commissariamento di quei comuni che non hanno uno straccio di piano regolatore; 4) inasprimento delle pene per coloro che realizzano costruzioni abusive; 5) immediata esecutività delle ordinanze (contingibili e urgenti) di abbattimento, una volta accertata l’assenza di titolo abilitativo (il procedimento penale segua la via che gli compete); oneri per l’abbattimento e il rispristino a carico del delinquente; obbligo di riutilizzo del materiale derivante dalle demolizioni.
Voglio concludere con un’osservazione sul cosiddetto “abusivismo per necessità”. Di cosa parliamo, per favore? Con tutti gli alloggi liberi che ci sono sul territorio italiano, è davvero “necessario” costruire una villetta? Possibile che con tutti gli alloggi in vendita o da affittare, una famiglia abbia come unica alternativa all’andare a dormire sotto i ponti, pagare un’impresa che le realizzi una casetta?

Nel dossier dell’Espresso online, di cui abbiamo ripreso l’ampia introduzione di Paolo Biondani, non è riportato l’unico articolo sul condono edilizio (l’unico a prucurare danni irreversibili al suolo), che era uscito sull’edizione cartacea del 6 novembre. Lo riprendiamo oggi. L’Espresso, 6 novembre 2016

Il condono edilizio è peggio del condono fiscale e finanziario, di quest’ultimo con il passare degli anni si perderà la memoria. Non è così per la sanatoria edilizia perché le ferite inferte al paesaggio e alle città sfidano i secoli. Restano sfigurate per sempre le coste dell’Italia meridionale, principalmente di Campania, Calabria e Sicilia, e le periferie di città grandi e piccole. Ma quando si parla di condono edilizio si parla soprattutto di Roma. Italo Insolera diceva che l’abusivismo non è solo un fenomeno perverso che ha condizionato la vita di Roma, ma è un modo d’essere di Roma. Il totale delle domande di condono relative alle leggi dal 1985 al 2003 è impressionante, oltre 600 mila, delle quali un terzo ancora da esaminare. 600 mila abusi su una popolazione di meno di tre milioni di abitanti, un abuso ogni cinque abitanti uno ogni due famiglie, è un dato pauroso, senza confronti con il resto d’Italia, che legittima i peggiori convincimenti sulla diffusione dell’illegalità nella capitale.

Un terzo del territorio urbanizzato di Roma, con più di mezzo milione di abitanti, è formato da migliaia di lottizzazioni abusive disseminate in ogni parte della sconfinata periferia. Aggregati di case di varia tipologia (dalle villette a alle ville anche di lusso, alle palazzine a più piani) a perdita d’occhio, quasi del tutto privi di spazi collettivi, verde e attrezzature, con infami servizi di trasporto pubblico. Non ci sono piazze, i luoghi d’incontro e di socializzazione sono i centri commerciali.

Eppure a Roma non sono mai mancati intellettuali, architetti, urbanisti, giornalisti con un occhio di riguardo per il condono e l’edilizia abusiva accreditata come spontanea. Quegli stessi pronti a scatenarsi contro Corviale, Laurentino 38 e altre complesse architetture dell’edilizia pubblica hanno visto nelle politiche di condono il riconoscimento di importanti valori tradizionali e popolari. Nel 1983 alla “città spontanea” fu dedicata un’importante mostra che confrontava Roma con Algeri, Tunisi, Il Cairo, Maputo, Bogotá e Città del Messico. Una mostra che spianò la strada alla prima legge di condono edilizio, quella del 1985 voluta del governo di Bettino Craxi (ministro dei Lavori pubblici Franco Nicolazzi). Le leggi successive, del 1994 e 2003, sono opera dei governi Berlusconi (ministri consenzienti Giulio Tremonti, Roberto Radice, Pietro Lunardi).

La conferma di Roma capitale dell’abusivismo si ebbe il 17 febbraio del 1986. Si svolse in quel giorno un’altra marcia su Roma – meno tragica di quella di 64 anni prima, non foriera di lacrime e sangue ma anch’essa politicamente terribile –, la marcia dei sindaci abusivi siciliani, capeggiati da Paolo Monello sindaco comunista di Vittoria (una città quasi tutta abusiva in provincia di Ragusa), sostenuti da Lucio Libertini responsabile dell’urbanistica del Pci. La marcia dei sindaci siciliani era contro la legge per il condono del 1985, ma nel senso che volevano renderla più permissiva e meno onerosa.

La Sicilia, dopo Roma, è l’altro grande teatro in cui recitano da protagonisti abusivismo e condono. Ricordo solo le villette nella Valle dei Templi di Agrigento, gli scempi di Pizzo Sella sopra Palermo, e il parco archeologico di Selinunte, sulla costa Sud occidentale dell’Isola, che affaccia sulle repellenti lottizzazioni di Triscina e Marinella.

Pochissimi i casi in cui a perdere è stato il condono. Indimenticabili le demolizioni degli ecomostri di Fuenti in Costiera amalfitana e di Punta Perotti a Bari

«Un emendamento a Palazzo dei Normanni vuol mettere a norma gli edifici costruiti tra il 1976 e il 1985. “Sarebbe un liberi tutti” ». La Repubblica, 30 luglio 2016 (c.m.c.)

Palermo quell'emendamento, solo tre mesi fa, veniva sventolato dagli abusivi di Licata che si opponevano alle ruspe con i propri figli in braccio. Quell’emendamento, appena riveduto e corretto, martedì potrebbe diventare legge all’Assemblea siciliana, vanificando gli sforzi fatti nell’Isola per far partire le demolizioni. All’improvviso, nel sonnecchiante parlamento regionale piomba la sanatoria per tutte le costruzioni entro i 150 metri dalle coste.

A presentarla un plotone trasversale di 11 deputati capitanati dall’ex sindaco di Trapani Girolamo Fazio: ex forzista oggi al gruppo misto, quest’ultimo, che è diventato («Mio malgrado», dice lui) l’indiscusso fan di chi ha costruito in tutta l’Isola in violazione delle regole.

La proposta di Fazio di legittimare le abitazioni sul litorale era diventata, in primavera, l’argomento principale degli occupanti delle case da abbattere che avevano ceduto ai bulldozer dopo essersi resi protagonisti di incidenti e disordini. E dopo avere – paradosso tutto siciliano – denunciato magistrati e forze dell’ordine per abuso d’ufficio. Al sindaco di Licata, Angelo Cambiano, era andata ancora peggio: dopo quegli episodi gli avevano bruciato la casa di campagna, va tuttora in giro scortato.

In questo clima, «superconvinto» delle sue ragioni, Fazio ha portato avanti il suo emendamento pro-abusivi: prima in commissione, dove la sua disposizione è stata bocciata a fatica (4 no, 3 sì, 3 astenuti) e ora in aula, dove il deputato senza demordere si è rifatto avanti con un testo solo leggermente modificato.

La sanatoria è prevista ora per le case realizzate dal 1976 al 1985 – data del primo condono edilizio – ma nel frattempo i benefici si sono allargati, non più limitati alle sole zone “C”, quelle parzialmente edificate. Ed è previsto che non solo chi ottiene il condono, ma pure i familiari, possano ottenere un diritto di abitazione della casa abusiva. «Uno scandalo, una vergogna inaudita», ha tuonato Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente della Camera, che ha parlato con il ministro Gian Luca Galletti, il quale avrebbe promesso di attivarsi.

L’esito della nuova sanatoria è tutt’altro che scontato: il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, ieri non ha escluso che l’emendamento possa essere dichiarato ammissibile e dunque andare ai voti, lanciando due allarmi non ingiustificati. Primo: «Se si procede con scrutinio segreto in aula può succedere qualsiasi cosa». Secondo: «Se la norma venisse approvata ci sarebbero danni incalcolabili anche in caso di successiva impugnazione del Consiglio dei ministri: prima del giudizio della Consulta, per un periodo almeno di un anno, in Sicilia ci sarebbe il liberi tutti».

Ma la voce di indignazione più forte è quella di un magistrato, il procuratore aggiunto di Agrigento Ignazio Fonzo che dopo 15 anni è riuscito a riportare le ruspe nella Valle dei Templi. Non esattamente un’impresa di poco conto: le demolizioni fra Agrigento e Licata sono scattate e andate avanti dopo una discreta pressione sui sindaci, minacciati di incriminazione per omissione d’atti d’ufficio in caso di mancata esecuzione di sentenze definitive che risalgono anche a venti anni fa. Il risultato? Simbolico. Ventitré edifici buttati giù, a fronte però di 22.100 abusi accertati dal 2009 al 2015.

E la top ten dei Comuni con il maggior tasso di violazioni edilizie sembra tratto da un’agenzia di viaggi: il mattone selvaggio ha conquistato lo Stretto di Messina e le contrade marsalesi, l’oasi del Simeto, le rovine greche di Siracusa e le ville barocche di Bagheria. Si registrano più nuovi abusi nelle isole Eolie (540) che in quattro capoluoghi (Caltanissetta, Ragusa, Enna e Trapani) messi insieme. I numeri dello scempio crescono, di molto, se si tiene conto delle domande di sanatoria: 770 mila.

Il cemento in Sicilia dal 1988 a oggi, segnala Legambiente, ha mangiato 65 chilometri di costa Ora nessuno sa, esattamente, quanti siciliani verrebbero premiati dall’ultimo emendamento che estende la possibilità di condono. Ma di certo gli abusivi continuano a rappresentare un elettorato molto rispettato in Sicilia. Gianfranco Zanna, presidente regionale di Legambiente, parla di «regalo d’estate ai predatori di coste» e ricorda le dichiarazioni rilasciate del ministro Angelino Alfano (agrigentino) quando andò a trovare il sindaco di Licata dopo l’attentato: «È finito il tempo della politica che coccolava gli abusivi per avere qualche migliaio di voti». Ma a firmare l’emendamento di Fazio, fra i sette deputati della maggioranza che sostiene Crocetta, ci sono tre deputati dell’Ncd. Ovvero il partito di Alfano.

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