«Il caso . Dopo la sospensione per violazione della sicurezza, il via libera . così il pollaio abusivo diventa villa». la Repubblica,12 agosto 2017 (c.m.c.)
I lavori della villa-mausoleo che domina, dalla provinciale per Itri, il panorama di Sperlonga, dopo il sequestro del cantiere di un mese fa, sono ricominciati come in un drammatico déjà vu che ormai, per gli abitanti del borgo magico, si ripete da anni. Dieci giorni fa, la serie di inchieste di Repubblica sull’Italia degli abusi, iniziò proprio da quella cittadina incantevole il cui territorio è stato sfregiato da manufatti illegali costruiti in barba a ogni vincolo e regolamento. A cominciare dal sindaco di centrodestra, Armando Cusani, arrestato a gennaio scorso, ai domiciliari da marzo ma ancora in carica. Il suo hotel, Grotte di Tiberio, sulla statale Flacca, malgrado l’ordine perentorio di demolizione, a spese del primo cittadino e del suocero socio al 50%, entro 90 giorni dal ricevimento dell’atto, è ancora lì. Il 6 agosto era il termine ultimo per buttare giù tutto.
Alle sue spalle, sulla montagna, i lavori dell’arrogante villa costruita da un idraulico di Sperlonga diventato milionario grazie a una giocata al superenalotto, sono ripresi dopo il dissequestro dell’area, cinque giorni fa. I sigilli, spiegano dagli uffici comunali, erano stati messi per violazione di norme sulla sicurezza sul lavoro, non per abuso edilizio. Il ricorso al tar ha dato ragione all’idraulico e operai e ruspe sono tornati a metter mattoni a pieno ritmo per recuperare il tempo perduto. Che l’idraulico porti lo stesso cognome del vicesindaco, Francesco Faiola, indagato per l’abuso edilizio di un intero quartiere – sulla carta area popolare, di fatto trasformato in polo turistico – su cui lui e Cusani hanno costruito illegalmente l’hotel Ganimede, è solo una coincidenza.
Leone Faiola però una parentela nelle alte sfere della politica locale la ha. La moglie, Anna De Simone, proprietaria della villa, è la zia dell’ormai ex assessore all’Urbanistica di Sperlonga, in carica quando, nell’agosto del 2014 cominciarono i lavori di costruzione di quel mausoleo. Malgrado sull’area gravi un vincolo paesaggistico, le carte sono perfettamente in regola. In sintesi: cinque anni fa Faiola vinse insieme ad altri 25 giocatori, 62milioni di euro, rilevò la concessione di quel terreno su cui fino al 2012 insisteva un pollaio abusivo, dai figli dell’originario proprietario, il chirurgo Valdoni per 500mila euro, quindi iniziò la rapida trafila burocratica per ottenere tutte le scartoffie. Un piccolo stop di facciata ci fu nel febbraio 2014 quando i consiglieri di minoranza del Pd tirarono fuori un vecchio verbale firmato da un vigile urbano, diventato nel frattempo capo dell’ufficio tecnico e firmatario del placet per la nuova costruzione di Faiola, in cui ordinava lo sgombero del pollaio in quanto fuorilegge per via dei vincoli di quel luogo. Nell’agosto dello stesso anno però tutto risolto.
I lavori cominciarono ma con un nuovo permesso: una variante in corso d’opera che concedeva ancora più metri quadri di cemento, anche se l’opera in realtà iniziava solo da quella data. Un abuso legalizzato e sanato da carte. «È il vecchio trucchetto – sorride di un riso amaro Nicola Reale, ex consigliere d’opposizione, il primo a denunciare gli affari illegali del sindaco – si continuano a sbandierare i permessi previsti dalla legge per dimostrare che il manufatto realizzato ha tutti i crismi della legalità.
Un santuario di illegalità, ecco cos’è Sperlonga, un territorio governato da una cupola di potere che decide e controlla ogni cosa: dalle nomine nei posti di rilievo ai singoli cittadini che vengono lusingati con promesse o intimoriti con minacce». «Cusani è un bravo uomo e ha sempre mantenuto le sue promesse, a me ha sistemato tutti i figli in posti buonissimi, lasciatelo in pace», dice la signora Carmela che di figli ne ha sette.
Quanto sono bravi Delrio, Gentiloni e tutti gli altri renziani a combattere l'abusivismo, seguendo da prodi l'esempio del sindaco (defenestrato) di Licata. Solo Alfano fa un po' il monello. la Repubblica, 12 agosto 2017, con postilla
IL proposito manifestato da Graziano Delrio di impugnare tutte le maleodoranti leggine regionali che nascondono condoni edilizi più o meno mascherati è senza dubbio alcuno coraggioso. Ma in un’Italia nella quale lo sport nazionale praticato dai politici, sia pure con qualche lodevole eccezione, è quello di ammiccare all’abusivismo, il rischio che questo proposito enunciato dal ministro delle Infrastrutture possa incontrare ostacoli insormontabili è davvero consistente.
Mentre si afferma con provvedimenti votati dagli eletti nei consigli regionali il folle principio dell’abuso “per necessità”, come se fosse necessario per risolvere un personale problema di alloggio tirare su una palazzina alla faccia di qualunque regola e del rispetto dell’ambiente.
La nostra inchiesta ha pure documentato come il rapporto fra la politica e certa burocrazia ottusa o corrotta da una parte, e l’illegalità ambientale dall’altra, sia più solido che nel passato. E chi non si adegua paga a caro prezzo. Non è servita la lezione delle sanatorie che hanno legalizzato il massacro del nostro territorio e dei nostri conti pubblici, considerando la vergognosa sproporzione fra i magri incassi dei condoni e la valanga di denari pubblici spesi per dare servizi agli abusivi. Né è servito, ciò che appare decisamente più grave, il sacrificio di chi come il sindaco di Pollica Angelo Vassallo ha perso la vita per contrastare uno scempio che spesso porta il marchio della criminalità organizzata.
Dice tutto, a proposito del ruolo di certa politica in questo sporco affare, la sconcertante vicenda del sindaco di Licata, sfiduciato dal consiglio comunale per aver deciso di abbattere le costruzioni abusive. Angelo Cambiano ha raccontato allanostra Alessandra Ziniti di aver ricevuto la visita del ministro degli EsteriAngelino Alfano, siciliano, che gli ha pubblicamente manifestato tutta lapropria solidarietà, incitandolo a proseguire nell’azione di recupero dellalegalità. Ma quando si è poi passati dalle parole ai fatti, i consiglieri delpartito Alternativa popolare del quale Alfano è il leader, sono stati in primalinea nel chiedere la sua testa e farlo così cadere. Dettaglio non irrilevanterivelato da Cambiano, ben sette esponenti di quella parte di assemblea comunaleche lo ha sfiduciato si trovavano in conclamato conflitto d’interessi: essendoabusivi loro medesimi. Adesso che il sindaco è stato tolto di mezzo, e con luile ruspe, di certo dormiranno sonni più tranquilli.
Aspettando che Marco Minniti, implacabile custode del rispetto della legge da parte dei poveri e dei diversi, la applichi anche quando, in quanto ministro dell'Interno, deve colpire i suoi affini: i componenti del consiglio comunale di Licata. Articoli di Alfredo Marsala,Gian Antonio Stella, Alessandra Ziniti, da il manifesto, Corriere della Sera, la Repubblica, Il FattoQuotidiano, 11 agosto 2017
il manifesto
LICATA, ABBATTUTO IL SINDACO ANTI-ABUSI.
ALFANIANI DECISIVI.
di Alfredo Marsala
«Il consiglio comunale della città agrigentina sfiducia Cambiano. Scontro con il candidato governatore M5S favorevole alle sanatorie»
Quando ha visto che anche i consiglieri di Ap gli avevano votato la sfiducia ha capito che lo Stato aveva speso solo belle parole. Appena un anno fa, dopo il secondo grave attentato subito, Angelino Alfano, allora capo del Viminale, si era recato a Licata per incontrarlo. Angelo Cambiano, eletto sindaco nel 2015, lo aveva ricevuto nel suo ufficio del palazzo di città. «E’ finito il tempo della politica che coccola gli abusivi», assicurò il ministro, mentre gli operai cercavano di ripulire le mura annerite della casa della famiglia del sindaco data a fuoco la sera precedente.
Cambiano ci aveva provato in tutti i modi a uscire dall’isolamento in cui sentiva di trovarsi, sotto pressione costante da parte degli abusivi e malvisto da una parte della città che non sopportava la sua sovraesposizione. Minacciato e intimidito più volte, il sindaco, che aveva pure ricevuto proiettili e ormai andava in giro con la scorta assegnatagli dalla Prefettura, era diventato per tutti «il demolitore»; nonostante andasse ripetendo che stava solo facendo applicare i provvedimenti della magistratura di Agrigento che gli aveva consegnato l’elenco degli immobili da abbattere perché fuorilegge e che se non l’avesse fatto sarebbe stato accusato di favoreggiamento. In qualche modo Cambiano era riuscito a fare accendere i riflettori mediatici su Licata, mentre le ruspe abbattevano una alla volta ruderi e casette costruite illegalmente entro i 150 metri dalla costa, in totale una settantina.
Cambiano ha resistito alle minacce convincendosi di potere resistere ai blocchi e ai sit-in degli abusivi contro le demolizioni, anche se altri amministratori facevano scelte diverse. Dove non ci sono riuscite le minacce c’è però riuscita la politica. Due sere fa, il consiglio comunale, dove aveva la maggioranza, gli ha voltato le spalle. A sorpresa, è passata la mozione di sfiducia che era stata presentata da 16 consiglieri; bastavano 4 voti in più per mandare il sindaco a casa, alla fine i voti favorevoli sono stati 21, uno in più del quorum. E proprio i voti di Ap sono stati determinanti. Sulla carta nella mozione gli vengono contestate scelte sbagliate che avrebbero fatto arrivare meno fondi nelle casse comunali. «Il vero motivo lo sanno tutti qual è, ma non hanno il coraggio di dirlo», dice Cambiano, che impugnerà l’atto perché «le motivazioni riportate nella mozione sono solo bugie». Intanto è pronto a tornare al suo mestiere di insegnante di matematica dopo essere diventato il simbolo della lotta contro l’abusivismo.
«Sono deluso e amareggiato. Se questa è la fine che fanno gli amministratori che fanno solo il proprio dovere: ho avuto minacce di morte, proiettili, due case incendiate», aggiunge. «Vuol dire che è una classe politica inadeguata, alla ricerca solo del consenso elettorale e non accetto chiamate e solidarietà a posteriori – sbotta – Sono amareggiato dalla politica e dalla sua falsità alla ricerca solo del consenso. Quella di demolire immobili non è stata una scelta politica. Ci sono delle sentenze della magistratura che lo hanno decretato e le sentenze vanno rispettate». Difende comunque la sua città: «Licata non è una città di delinquenti». «Ho 36 anni, sono padre da 9 mesi, vorrei riappropriarmi solo della mia vita», continua.
Puntuali le solidarietà. Ma anche la polemica. C’è chi collega la sfiducia a Cambiano con le dichiarazioni fatte appena il giorno prima da Giancarlo Cancelleri; il candidato a governatore in Sicilia per i 5stelle aveva parlato di «abusivismo di necessità», richiamandosi al «modello Bagheria» del sindaco pentastellato Patrizio Cinque che ha concesso un condono edilizio, accettando 4.500 pratiche. «Mentre viene sfiduciato un bravo e onesto sindaco – dice l’ex presidente dell’Antimafia Francesco Forgione – Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Cancelleri difendono l’abusivismo ma dicono quello di necessità. Esattamente come diceva Totò Cuffaro quando gli abusivi da lui sostenuti facevano i cortei dietro lo striscione ‘Forgione uguale demolizione’. Ecco la differenza tra la legalità praticata e la parola onestà urlata come slogan a casaccio».
Critica anche Legambiente: «Sicuramente se altri sindaci, invece di nascondersi dietro cavilli e rinvii, si fossero comportati con serietà e rigore e avessero anche loro applicato la legge e avessero abbattuto gli abusi edilizi, come fa il sindaco di Carini, Angelo Cambiano non sarebbe rimasto isolato. E c’è chi adesso, con una encomiabile faccia di bronzo, parla di ‘abusivismo di necessità’ solo per raccattare qualche voto cavalcando il populismo. Ma quante case abusive sono state abbattute a Bagheria da quando è stato eletto tre anni fa il sindaco 5 stelle? Altre nuove pagine di politica vergognosa».
Corriere della Sera
A LICATA CACCIANO IL SINDACO
NEMICO DELLE VILLETTE ABUSIVE
di Gian Antonio Stella
L’ «eroe per caso» della guerra agli abusivi, il giovane sindaco di Licata, ha tenuto duro per mesi. A dispetto degli insulti, delle minacce, degli attentati, del peso di doversi muovere con la scorta. Lo sapeva, però, che il suo destino era segnato. E la mozione di sfiducia è stata solo il passaggio formale. Poche settimane e la Sicilia va alle elezioni regionali. E chi ce l’ha il fegato di sfidare il Pau, cioè il Partito abusivi uniti?
È una sconfitta pesante, per l’immagine e l’onore di tutta l’isola, la demolizione politica e clientelare, in consiglio comunale, di Angelo Cambiano, il simbolo stesso del rispetto della legge sulle demolizioni dei villini costruiti all’interno della fascia vietatissima dei 150 metri dal mare. Una sconfitta per Angelino Alfano che, tirato in ballo dalle suppliche a «far sentire l’appoggio del governo», aveva sventolato il suo appoggio al primo cittadino in difficoltà davanti alla rivolta dei fuorilegge: anche gli alfaniani hanno votato per la decapitazione della giunta comunale. E una sconfitta più ancora per lo Stato, che si era illuso di riuscire finalmente a imporre, in quell’angolo di Sicilia, il rispetto della legge. Trent’anni di condoni
Per capire la dimensione della batosta, però, va fatto un passo indietro. Ricordando come dal primo condono craxiano del 1985, seguito dai due berlusconiani del 1994 e 2003, centinaia di migliaia di abusivi siciliani, protagonisti di un furioso saccheggio delle coste (si pensi a Triscina: cinquemila villette illegali tirate su a due passi da Selinunte) scelsero di versare un piccolo acconto avviando le procedure del condono, necessarie per bloccare le inchieste e le demolizioni, per poi non occuparsene mai più. Certi che la burocrazia isolana, tra le peggiori del pianeta, avrebbe ingoiato tutto.
Cosa puntualmente avvenuta. Basti dire che la «sanatoria delle sanatorie» offerta da Totò Cuffaro ai 400 mila isolani che da anni lasciavano marcire le pratiche dei vecchi condoni, fu accolta con l’1,1% di adesioni a Palermo, lo 0,37% a Messina, lo 0,037% a Catania, lo 0,025% ad Agrigento. E l’incasso fu di 1 milione e 85 mila euro: un settecentesimo del previsto.
L’ambiente era tale che nel 2001 lo stesso vescovo agrigentino Carmelo Ferrara, alla minaccia dello Stato di buttar giù almeno le più oscene delle 607 costruzioni illegali costruite dentro il parco archeologico, rispose attaccando le «ruspe immorali», denunciando «una campagna di mistificazione contro la città» e incitando alla ribellione «contro lo stato-padrone». I villini da abbattere
Fu questo, «il contesto» di sciasciana memoria nel quale Angelo Cambiano diventò un «eroe per caso». Era un giovane docente di matematica, non aveva fama di fanatico ambientalista e la lista civica che l’aveva eletto non era fatta di rivoluzionari. Anzi. Ma il commissario di governo uscente, con le chiavi della città, gli consegnò anche un tesoretto di 300 mila euro accantonati per cominciare a buttar giù, finalmente, almeno i villini colpiti da ordinanze inappellabili di demolizione. Cioè 216 su centinaia e centinaia. Come già i lettori sanno: tutte seconde case, quasi tutte sul mare, tutte tirate su a dispetto della legge.
In altre situazioni, forse, lo stesso Angelo Cambiano avrebbe preferito poter dire, come tanti altri sindaci, «spiacente, le ruspe costano e non abbiamo soldi». Meno grane. Meno odio. Meno rischi. I soldi in cassa, però, lui li aveva. I magistrati Renato Di Natale e Ignazio Fonzo, che già avevano dato una scossa imponendo ai comuni di prendere di petto il tema, glielo ricordarono. E lui ne prese atto. Facendo il suo dovere, cosa rara in certe realtà, nonostante la rivolta di tanti amici e amici degli amici: «Picchì giustu a ‘nattre?» Perché solo a noi? Perché le ruspe qui e non in altri comuni e contro altri abusi?
Confronto duro. Tanto che l’associazione «Periscopio, Osservatorio permanente sui rispetto della legalità» (sic) arrivò a firmare un «esposto querelatorio» contro il prefetto, il sindaco, i dirigenti dell’urbanistica e così via accusandoli di aver «prevaricato nelle loro funzioni istituzionali nella nota e triste vicenda…» Per non dire degli appelli («Perché proprio adesso, dopo anni? Perché proprio noi se in Sicilia ci sono un milione di case abusive?») e infine delle minacce.
Ci voleva coraggio a tener duro in nome dello Stato. Angelo Cambiano lo ha avuto. Ma come reggere un «contesto» in cui decine di deputati e senatori e consiglieri regionali si vantano di essere contro le ruspe e lo stesso governatore Rosario Crocetta nega le voci di una sanatoria ma pensa alla «possibilità dell’utilizzo sociale di alcuni immobili costruiti abusivamente che potrebbero, dopo la loro acquisizione al patrimonio pubblico, essere inseriti in piani di recupero...»? Come interpretare certi messaggi quali l’ultima apertura del candidato grillino alla Regione Giancarlo Cancelleri verso gli «abusivi per necessità», storica formuletta che le vecchie volpi partitiche d’ogni colore usano da sempre per stoppare le ruspe? L’altra «rivolta»
Non bastasse, il sindaco di Licata non è il primo a esser buttato fuori. A gennaio era già stato costretto ad andarsene Pasquale Amato, primo cittadino di Palma di Montechiaro: mezzo paese (a partire dai delinquenti che lo tempestavano di lettere minatorie) non gli perdonava di aver appoggiato una serie di demolizioni obbligate da sentenze definitive. Al posto suo, oggi, c’è Stefano Castellino che, come hanno scritto i giornali locali, si è presentato «con le idee chiare». Primo punto: basta ruspe. I soldi, dice, possono essere spesi meglio. Il tutto, si capisce, nella convinzione «che la legalità, la trasparenza e la chiarezza siano essenziali». Ma che statista...
la Repubblica
LICATA SFIDUCIA IL SINDACO DELLE RUSPE "PER NOI ITALIANI L'ONESTÀ È UN LUSSO"
di Alessandra Ziniti
«Tra i consiglieri comunali che hanno votato contro Angelo Cambiano sette proprietari di immobili nella “lista nera”»
La nota riservata è sul tavolo del procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio da un paio di settimane. Angelo Cambiano gliel’ha inoltrata dopo aver ricevuto la segnalazione dal dirigente dell’ufficio tecnico che, come lui, vive da mesi sotto scorta. Sette dei ventuno consiglieri comunali che mercoledì sera hanno deciso di mandare a casa il giovane sindaco che si era messo in testa di far abbattere le case abusive, risultano proprietari di immobili nella lista nera.
«Ora mi piacerebbe sapere se è legittimo che tra coloro che mi hanno votato la sfiducia ci sono persone coinvolte direttamente in questa vicenda», dice Angelo Cambiano il giorno dopo aver perso la sua battaglia, mandato a casa non dal popolo degli abusivi che lo ha minacciato, aggredito, bruciato due case, ma dalla politica che gli ha girato le spalle. Tranne il Pd e parte della sua maggioranza centrista, tutti gli altri, a cominciare dagli uomini del ministro Angelino Alfano, gli hanno votato contro.
«Sono amareggiato dall’ipocrisia e dalla falsità della politica. I messaggi di solidarietà postumi li ho respinti tutti al mittente. Un’attenzione prima di questo atto, che non è solo nei miei confronti ma della buona politica, forse avrebbe cambiato il corso di questa paradossale vicenda».
Oggi tutti indignati. Chi si è fatto sentire?
«Mi ha chiamato il presidente dell’Assemblea regionale Ardizzone, il governatore Crocetta mi ha assicurato che non manderà un commissario “morbido”. Sa che le dico? Tutte parole al vento ».
E Alfano che era venuto a Licata a garantirle vicinanza dopo il primo attentato?
«Non pervenuto. Meglio così. Mi rimbombano ancora le sue parole il 9 maggio nell’aula consiliare di Licata: “Basta con la politica che coccola gli abusivi. Ho dato indicazione ai miei di starle vicino”. E invece tra i promotori della mozione di sfiducia ci sono proprio i suoi fedelissimi. Ma la politica in Sicilia non è ricerca di soluzioni, ma del consenso. E ora a novembre si vota per le Regionali ».
E l’abusivismo è un grande aggregatore di consenso. Anche il candidato del M5S ha assunto una posizione precisa.
«Avevo incontrato Cancelleri mesi fa e mi aveva incoraggiato ad andare avanti con le demolizioni. Ora gli sento dire che agli “abusivi per necessità” non verrà demolita la casa. Ma chi sono gli abusivi per necessità? Sono solo slogan per avere i voti di questa gente».
Si sente sconfitto?
«Sono stato sconfitto da una classe politica inadeguata che ha devastato i territori, che ha perso un’occasione di riscatto che poteva essere anche di rilancio per la nostra terra. E soprattutto che ha perso il treno per affermare una cosa che dovrebbe essere scontata, e cioè che la legge si rispetta. Lo ribadisco: non è stata una scelta politica abbattere le case, c’erano sentenze della magistratura che andavano rispettate senza se e senza ma».
E adesso? Intende veramente tornare a fare l’insegnante?
«Fino a ieri pensavo che non volevo rassegnarmi, oggi penso che ho 36 anni, un figlio di nove mesi e vorrei riappropriarmi della mia vita magari credendo ancora nella buona politica, anche se è difficile pronunciare queste parole in questo momento».
“E ora andiamo a riprenderci quello che è nostro”, direbbe Gaetano Patanè, il sempiterno sindaco della Pietrammare di Ficarra e Picone dopo aver costretto alle dimissioni il suo rivale che aveva provato a far scattare “l’ora legale” in quel paesino della Sicilia. Come ha reagito ieri la sua Licata?
«La solidarietà che mi è stata espressa già nei giorni scorsi da Ficarra e Picone è stata una delle poche che ho gradito. Forse, come dicono loro, con questa crisi l’Italia non si può permettere l’onestà. Licata è una città difficile. Oggi forse molti si stanno rendendo conto che in fondo avevano un buon sindaco, molti altri sono venuti a chiedermi di ricandidarmi per non lasciare la città nelle mani dei ladroni. Vedremo, è ancora presto».
il Fatto Quotidiano
LICATA,CACCIATO SINDACO CHE VOLEVA DEMOLIRE L'ABUSIVISMO.
NEI GIORNI SCORSI LA SOLIDARIETÀ DI FICARRA&PICONE
«Il consiglio del comune siciliano sfiducia il primo cittadino con 21 voti. Angelo Cambiano che da mesi vive sotto scorta paga così la sua lotta alle case abusive che da decenni occupano la fascia entro i 150 metri del litorale: "Torno a insegnare matematica, ma tutti sanno perché sono stato messo alla porta". Pioggia di reazioni. Randisi (Antimafia): "Sconfitta per un'intera comunità"».
Sfiduciato il sindaco antiabusivi di Licata (Agrigento). Il consiglio comunale del comune siciliano ieri notte ha votato la mozione per mandare a casa Angelo Cambiano, da mesi sotto scorta che paga così la sua lotta alle case abusive che da decenni occupano la fascia entro i 150 metri del litorale di Licata. «Mi accusano di non aver fatto arrivare al Comune risorse e finanziamenti, ma non è vero perché ho portato oltre 52 milioni di euro. Il vero motivo lo sanno tutti, qual è ma non hanno il coraggio di dirlo. Io me ne torno al mio mestiere di insegnante di matematica, ma la politica qui dovrà assumersi le sue responsabilità: quella di dire alla gente che un sindaco che fa niente di più che il suo dovere viene cacciato meno di due anni dopo l’inizio del suo mandato».
La sfiducia passa al termine di una seduta tesissima di tre ore e mezza in consiglio con 21 voti, uno in più dei 20 che servivano. Sedici i consiglieri che avevano sottoscritto la mozione di sfiducia nei confronti del sindaco espressione di una lista civica di sinistra, venti i voti necessari per far passare la sfiducia, ventuno quelli che hanno defenestrato il sindaco che, dopo gli incendi di due case di famiglia, minacce e intimidazioni, vive sotto scorta. Cambiano ha già fatto sapere che impugnerà l’atto perché «le motivazioni riportate nella mozione sono solo bugie». Nei giorni scorsi anche Ficarra e Picone erano intervenuti a favore del sindaco, con un tweet, in cui lo hanno paragonato al sindaco protagonista del loro ultimo film, L’Ora Legale.
Sui social, dalla notte scorsa, sono tanti i post di cittadini dispiaciuti per la sfiducia. «Per me – scrive un sostenitore – Angelo Cambiano è stato il miglior sindaco di Licata degli ultimi 20 anni. Io non devo rendere conto a nessuno delle mie affermazioni o azioni, non so se chi ha votato la sfiducia può affermare di essere parimenti libero». Un altro utente è lapidario: «Paese di ignoranti e raccomandati. Siamo abusivi e resteremo abusivi. E devo sentir parlare persone che non sanno nemmeno cosa significhi. Grazie di tutto». Il caso è già diventato politico.
A Cambiano arriva la solidarietà di Legambiente che parla di “pagina triste”, ma anche da Alessandro Pagano, di Noi con Salvini, che lancia l’hashtag #iostoconCambiano. «La comunità licatese – afferma il presidente dell’Associazione antimafia, Nino Randisi – adesso è ferita da questa scelta improvvida di una classe politica miope e sempre un passo indietro rispetto ai valori di legalità reclamati dagli stessi cittadini che avevano eletto Cambiano. Un segnale grave questo che ancora una volta sottolinea come i politici abbiano ritenuto che il problema a Licata fosse il sindaco e non invece le costruzioni abusive edificate in barba alle leggi urbanistiche».
«Sfruttano i cavilli e i tempi lentissimi della giustizia. Così il condono è diventato una specializzazione per gli avvocati più intraprendenti». la Repubblica, 10 agosto 2017 (c.m.c.)
Parla l’avvocato generale della Corte d’Appello di Napoli Gialanella: “I Comuni non collaborano”». la Repubblica, 9 agosto 2017 (c.m.c.)
«I segnali che arrivano dalla politica in tema di abusi edilizi non mi sembrano esattamente improntati al principio della tolleranza zero», dice l’avvocato generale della Corte d’Appello di Napoli Antonio Gialanella. Dalla sua scrivania, passano tutte le procedure di demolizione di competenza della Procura generale con a capo il pg Luigi Riello.
I due magistrati, d’intesa con le Procure del distretto, hanno dato un forte impulso alla lotta contro il cemento illegale. Ma è una partita che spesso l’autorità giudiziaria non gioca ad armi pari. E non solo per i numeri: a fronte di più di mille procedimenti pendenti, gli abbattimenti eseguiti dalla Procura generale nel 2016 non superano la settantina. «Abbiamo casi, come quello di un centro sportivo, dove l’ingiunzione a demolire è arrivata nel 2008 e solo otto anni più tardi, a novembre 2016, è iniziata la demolizione».
Perché è così difficile mandare giù un manufatto abusivo?
«Innanzitutto serve una sentenza definitiva e i tempi del processo penale non sono brevi. Anche perché parliamo di reati contravvenzionali che vengono giudicati, spesso, in territori dove i tribunali devono confrontarsi con omicidi e delitti di mafia. Dopo la condanna, comincia un altro iter a sua volta molto complesso ».
In cosa consiste?
«Il proprietario dell’immobile può opporsi sul piano giudiziario e avviare procedure strumentali su quello amministrativo. Questo può portare via anche degli anni. E non bisogna dimenticare che senza soldi non si può demolire ».
Chi finanzia l’abbattimento?
«Ci sono casi in cui il destinatario, quando non ha più alternative, procede all’autodemolizione per risparmiare sui costi. Altrimenti, si attiva il finanziamento della Cassa depositi e prestiti. Ma può farlo solo il Comune. È un vero e proprio mutuo concesso all’ente che, dopo la demolizione, si rivale sul proprietario».
Anche il finanziamento richiede tempi lunghi?
«La pratica va istruita. I problemi però ci sono anche a monte ».
In che senso?
«Debbo registrare lentezze dei Comuni nel ricorso al finanziamento della Cassa depositi e prestiti. Come Procura generale, abbiamo dovuto segnalare gli atteggiamenti, per così dire, poco collaborativi di alcune amministrazioni ».
A questo si riferiva quando parlava della politica che non sembra orientata verso la tolleranza zero?
«Questo è un aspetto. Ma arrivano segnali che suscitano perplessità anche dalla Regione Campania, con la legge, ora impugnata dal governo Gentiloni, sulle “misure alternative agli abbattimenti”. Al di là del merito, si rischia di lanciare un messaggio che non scoraggia gli abusi. Come del resto suscita perplessità anche il disegno di legge Falanga ».
Perché un giudizio così severo?
«Se, da un lato, il disegno di legge attribuisce maggiori poteri al prefetto, e questo potrebbe velocizzare le procedure di finanziamento, dall’altro fissa dei tetti di spesa per gli abbattimenti assolutamente inadeguati: 5 milioni per le procedure del 2016 e 10 per quelle tra il 2017 e il 2020 per tutto il territorio nazionale».
Non bastano?
«Le faccio solo un esempio: il Parco nazionale del Vesuvio, che sta svolgendo un’opera meritoria in questa battaglia, ha stanziato nell’ultimo bilancio 659 mila euro».
Sono tanti soldi.
«Sulla carta sì. Però sono già pronti due progetti di demolizione di competenza della Procura generale dell’importo di 300 mila euro, altri due della Procura di Nola per i quali occorrono 860 mila euro e sette della Procura di Torre Annunziata che richiedono 300 mila euro. Una demolizione di media entità non costa mai meno di 50 mila euro. Per abbattere il centro sportivo di cui le parlavo prima, è stato impegnato un milione e mezzo».
Le cautele della politica, almeno in alcuni casi, non possono essere dettate anche dalla volontà di non colpire chi ha realizzato un abuso per necessità?
«È sbagliato presentare la demolizione come uno strumento che penalizza solo gli ultimi. I fatti dimostrano che spesso in gioco ci sono interessi criminali, speculazioni, paesaggi devastati».
«La lottizzazione di Borgo Berga, a Vicenza Palazzi a ridosso di due fiumi e a pochi metri da una zona patrimonio dell’Unesco». la Repubblica, 5 agosto 2017 (c.m.c.)
Non chiamatelo “ecomostro”, anzi non azzardatevi neppure a chiamarlo abuso edilizio. È una cosa che fa imbestialire la “Cotorossi Spa”. Potreste trovarvi nelle stesse condizioni di alcuni ambientalisti trascinati in tribunale con richieste di risarcimento milionarie. Da vittime a carnefici in un batter d’occhio per aver denunciato una speculazione che ha pochi eguali in Italia. E con una procura che, in buona sostanza, sta indagando su se stessa o meglio sull’edificio che la ospita.
È una storia lunga 15 anni quella dell’operazione Borgo Berga, a poche centinaia di metri da Villa Rotonda del Palladio, patrimonio dell’Unesco. Una vicenda che porta in sé più di un paradosso, di cui si trova traccia già nei primi anni del 2000 degli atti dell’amministrazione di centrodestra guidata da Enrico Hullweck. A suo tempo l’area era occupata dallo stabilimento ormai dismesso della famiglia Rossi. Una fabbrica storica poi acquisita da una delle società della galassia berlusconiana e successivamente ceduta a una cordata guidata dalla Maltauro (società di costruzioni nota ai pm di Milano per alcune vicende legate all’Expo).
In quell’area il Comune di Vicenza decide di realizzare il nuovo Tribunale e in cambio i privati ottengono le autorizzazioni ad edificare su oltre centomila metri quadrati di terreno, con volumi e altezze imponenti, la cessione di aree pubbliche per una superficie doppia di quella ricevuta dal comune e un bel finanziamento per le opere di urbanizzazione. Nel 2006 i lavori partono con la demolizione del vecchio stabilimento, nonostante le prescrizioni della Soprintendenza. Arrivano le prime denunce da parte di Legambiente, Italia Nostra e del Comitato contro gli abusi edilizi. E arriva la prima inchiesta archiviata in tempi record. Strano, visto che gli edifici di Tribunale, attività commerciali e palazzoni di appartamenti vengono tirati su a ridosso di due fiumi, Retrone e Bacchiglione (nell’area storicamente sorgeva il porto fluviale).
Nel 2008 cambia l’amministrazione, e nonostante da consigliere regionale avesse tuonato contro il Tribunale (definendolo «un mostro»), il nuovo sindaco Achille Variati del Pd fa approvare una variante urbanistica che di fatto conferma il vecchio piano. Nel 2013 arrivano nuove denunce degli ambientalisti e la magistratura è costretta a indagare nuovamente su casa propria. Fino al 2014 tutto tace e l’inchiesta resta a carico di ignoti, l’anno dopo viene indagato solo l’ex dirigente all’urbanista del Comune. Pochi mesi e si registra un sequestro preventivo chiesto dal pm Antonio Cappelleri e accolto dal Gip Massimo Gerace.
Viene contestato il reato di lottizzazione abusiva dell’intera area, ma il sequestro riguarda soltanto uno dei lotti. Il giudice scrive nero su bianco che «sussiste l’illegittimità del piano di lottizzazione e dunque dei permessi a costruire rilasciati e da rilasciare». Mancano «gli elaborati sulle zone sismiche, manca il rispetto delle prescrizioni della sovrintendenza, mancano valutazioni ambientali » e altro ancora. Qualcosa sembra muoversi. Sembra, perché in realtà non vengono sequestrati gli edifici realizzati o in via di realizzazione, ma solo un lotto completamente libero. Dunque si continua a costruire, a completare, a vendere o affittare unità immobiliari. Il tutto perché il giudice ritiene «i volumi in essere costitutivi di fatti compiuti non più modificabili». Insomma, ormai l’abuso è fatto.
La procura indaga, e si va avanti. Gli ambientalisti scrivono che i permessi a costruire sono scaduti, e si va comunque avanti. Arriva anche l’Anticorruzione di Raffaele Cantone e un’indagine della Corte dei Conti, e si continua a lavorare. Anzi di più. I mezzi di cantiere, che operano nelle aree libere, vengono autorizzati dalla magistratura ad attraversare il lotto sequestrato.
L’Enac mette in discussione gli accordi tra Comune e privati che conterrebbero uno squilibrio nei profitti del privato a danno dell’amministrazione, quantificato in una decina di milioni di euro. Inoltre, le opere di urbanizzazione si sarebbero dovute effettuare con una gara pubblica e non, com’è accaduto senza bando. La Corte dei Conti apre un fascicolo per danno erariale, ma nulla sembra fermare l’operazione. Intanto la Procura chiede il sequestro dell’intera area, ma questa volta il gip dice di no. Al Riesame il pm si concentra sui danni economici, molto meno sulle relazioni dei consulenti e degli investigatori relative al danno ambientale, e il ricorso viene respinto.
Ora si attende la decisione della Cassazione. Intanto gli ambientalisti si rivolgono alla Corte d’Appello chiedendo la revoca dell’indagine e al Csm con un esposto per chiedere conto del lavoro di Cappellieri. Nessuna risposta. Tutto tace e i lavori vanno avanti. O meglio quasi tutto tace. Perché se dell’indagine non si ha più notizia, sono già arrivate le citazioni in giudizio per i denuncianti da parte della “Cotorossi” che chiede in sede civile 3 milioni per danni e diffamazione. In questo caso l’udienza è fissata per dicembre. Da vittime a carnefici per averlo chiamato “abuso”.
«I 79 bungalow con piscine di Punta Scifo a Crotone avallati dal funzionario Che ora rischia il processo». la Repubblica, 4 agosto 2017 (c.m.c.)
A Crotone non hanno dubbi. «Altro che Caraibi, andate a Punta Scifo». Per arrivare ci vogliono gambe e pazienza, ma la meta vale la fatica. Alla fine del sentiero c’è una cala di sabbia dorata e mare turchese, incorniciata da rocce arrotondate dal vento, a pochi passi dal tempio di Hera Lacinia, il simbolo di Crotone nel mondo. Un paradiso. Sotto assedio.
A sporcare la spiaggia, proprio sotto una torre cinquecentesca, ci sono 79 piattaforme di cemento. E lo scavo, incompleto, di una grande piscina. È quel che resta della mega lottizzazione abusiva mirata a far sorgere un villaggio turistico mascherato da agriturismo. «Un irreversibile stupro» per il giudice che ha sequestrato il cantiere. È toccato ai magistrati mettere fine a una storia paradossale. Il pm Gaetano Bono ha chiesto il processo per il soprintendente di Crotone, Catanzaro e Cosenza, Mario Pagano, gli imprenditori Salvatore ed Armando Scalise, il loro direttore dei lavori, Gioacchino Buonaccorsi, l’ex dirigente del Comune di Crotone, Elisabetta Dominijanni, e il funzionario Gaetano Stabile, accusati di essere a vario titolo i responsabili dello scempio di Punta Scifo.
Il peccato originale risale al 2003, quando l’ex sindaco Pasquale Senatore ha stravolto il piano regolatore, dando via libera agli agriturismi come «attività collaterale e ausiliaria» alle coltivazioni. Anche a Punta Scifo, zona sottoposta a vincolo paesaggistico dal ’68. Al riguardo, però, nessuno ha avuto da ridire e qualcuno ci ha visto un affare. Si tratta di Armando e Salvatore Scalise, reucci dell’abbigliamento sportivo con interessi nel turismo invernale, ma nel 2006 determinati ad accreditarsi come «imprenditori agricoli professionali », contadini con tanto di patentino, senza però un campo su cui zappare.
Se lo procurano solo nel 2008, grazie a una scrittura privata strappata al legittimo proprietario, Giuseppe Zurlo, all’epoca già defunto, e diversi mesi dopo aver chiesto i permessi necessari per costruire su quel terreno un agriturismo.
In Comune, nessuno trova nulla da eccepire, le richieste degli imprenditori vengono approvate in tempi record e il Marine Park Village inizia a prendere forma, quanto meno sulle carte dei progetti. Nei pressi dell’area archeologica di Capo Colonna, sono previsti 79 bungalow, una grande struttura bar-ristorante, piscine e servizi necessari per soddisfare le esigenze di massimo 237 ospiti. Eppure, il depuratore previsto nel progetto può sopportarne 500. Un mistero che nessuno nota alla Provincia, che in otto giorni concede agli imprenditori l’autorizzazione paesaggistica.
E nemmeno alla Soprintendenza dei beni architettonici. Ma lì i funzionari “dimenticano” di valutare in tempi utili l’incartamento e il loro silenzio diventa assenso. Solo a termini abbondantemente scaduti segnalano alcune pecche veniali – un elaborato fotografico mancante – ma i loro rilievi ormai non hanno più peso. Più puntuali i colleghi della Soprintendenza archeologica, ma ugualmente magnanimi. Si limitano a raccomandare di far seguire i lavori di scavo da personale tecnico- scientifico, mentre il Comune non fa altro che prendere atto dei vari pareri e concede il permesso a costruire. È il 20 dicembre 2011.
Nel 2012 le ruspe iniziano a devastare Punta Scifo. Ma non per molto. I cittadini guardano, gli ambientalisti protestano, gli archeologi insorgono e i carabinieri iniziano a indagare. Così l’amministrazione non può far finta di ignorare le macroscopiche difformità fra i lavori in corso e il progetto, né una serie di «errori» nell’iter autorizzativo. Il cantiere viene bloccato e la battaglia si trasferisce nei tribunali, dove a rappresentare gli Scalise c’è l’avvocato Domenico Grande Aracri, fratello del boss di Cutro, Nicolino. È lui a strappare più volte il dissequestro dell’area Solo dopo anni il Mibact si accorge che qualcosa nei sopralluoghi dei suoi sovrintendenti non ha funzionato.
Nuovi scavi rivelano «fitte concentrazioni di materiali ceramici» di epoca romana, ma ci vogliono quattro interrogazioni parlamentari per convincere il ministro Dario Franceschini a chiedere lumi sul cantiere al “suo” sovrintendente dei beni architettonici Mario Pagano. Che afferma che nulla si può fare perché «ormai i bungalow sono stati realizzati», ma non è così. Da qui parte l’indagine che nel giro di un paio di mesi porta a un nuovo sequestro dell’area e a una raffica di avvisi di garanzia, che per sei persone - incluso il sovrintendente Pagano - si sono trasformate in una richiesta di rinvio a giudizio.
Quel processo potrebbe non essere l’unico. Perché di un villaggio turistico a Capo Colonna sono stati sorpresi a parlare anche Gaetano Blasco, l’uomo che rideva dei crolli a Mirandola oggi in carcere per i legami con il clan Grande Aracri, e il “suo” costruttore di fiducia, Antonio Valerio. «Stanno facendo certi progetti a Capo Colonna – gli confida Blasco - devono fare cinquecento case di legno». Parlavano di punta Scifo? A dirlo potrebbe essere Valerio, che da mesi collabora con i magistrati. E pare che - almeno una volta - abbia incontrato il direttore dei lavori degli Scalise.
«La zona è sottoposta a vincoli archeologici, ambientali e sismici. Ma le costruzioni abusive non si sono fermate. Ci sono cantieri che sono stati denunciati anche 20 volte». la Repubblica, 3 agosto 2017 (c.m.c.)
Una casa affacciata su Villa dei Misteri. Un manufatto destinato, forse, a diventare un Bed and Breakfast a meno di duecento metri dagli Scavi più famosi del mondo. Un bar che si allarga dove non potrebbe. A Pompei il cemento ha sfregiato il Mito. La zona è sottoposta a vincoli di tutti i tipi: archeologico, ambientale, sismico. Ma questo non ha fermato le costruzioni abusive. L’ultimo sequestro risale a una decina di giorni fa: la polizia municipale ha apposto i sigilli a un cantiere dove si stava ampliando di circa 120 metri quadri un vecchio fabbricato rurale non troppo distante da Porta Vesuvio, uno degli ingressi degli Scavi archeologici.
Gli investigatori non escludono che i proprietari, già impegnati con altre attività nel settore turistico, volessero realizzare un B&B per ospitare i visitatori. Progetto che per adesso dovrà essere accantonato, almeno fino a quando non si sarà definito il procedimento giudiziario. Ma la storia degli abusi edilizi a Pompei parte da lontano. Dal 1986 ad oggi sono stati eseguiti almeno 4500 sequestri. Ci sono cantieri che sono stati denunciati venti volte. Negli scaffali della sezione anti-abusivismo dei vigili giacciono poco meno di tremila pratiche di condono. Risale a una ventina di anni fa l’ampliamento di un vecchio casolare proprio a ridosso della Villa dei Misteri, una delle residenze di epoca romana più affascinanti di tutti gli scavi.
Oggi, chi alza gli occhi dal percorso riservato ai turisti, vede un’abitazione in piena regola. Gli ampliamenti che si sono susseguiti nel corso degli anni sono al centro di un braccio di ferro che potrebbe portare all’abbattimento delle parti aggiunte al nucleo originario dell’immobile. «I nostri uomini sono impegnati continuamente nei controlli anti-abusivismo», spiega il capitano Ferdinando Fontanella, vicecomandante della polizia locale diretta dal colonnello Gaetano Petrocelli.
Un protocollo firmato nel 2005 fra le amministrazioni locali e la Procura di Torre Annunziata prevede che tutti i manufatti superiori ai 50 metri quadri debbano essere sorvegliati. «Oggi abbiamo circa 100 cantieri sotto vigilanza — sottolinea Fontanella — Ogni settimana, per tutto l’anno. A questi si aggiungono quelli vigilati per ordine dell’autorità giudiziaria. Il nostro impegno non si discute, ma vorremmo poterci dedicare di più a migliorare la città nell’interesse dei cittadini e dei turisti».
Il sindaco di Pompei, Pietro Amitrano, del Pd, si è insediato da poco più di un mese e sa che, tra i dossier ai quali dovrà dedicarsi, c’è anche quello sull’abusivismo. «Il problema esiste ed è serio. Come amministrazione siamo pronti ad affrontarlo, ma con serietà e professionalità evitando di fare di tutta un’erba un fascio ». A settembre scatteranno nuovi abbattimenti disposti dalla Procura di Torre Annunziata guidata dal procuratore Sandro Pennasilico con il suo vice, Pierpaolo Filippelli. Altre 70 pratiche di demolizione sono all’esame della Procura generale di Napoli, che con il pg Luigi Riello e l’avvocato generale Antonio Gialanella dedica da sempre grande attenzione al settore degli immobili abusivi. «È nostra intenzione andare avanti su questa strada, applicando la legge», commenta il pg Riello.
Quello degli abbattimenti è un nodo che riguarda tutta la provincia di Napoli. Basti pensare che nell’area del Parco nazionale del Vesuvio, secondo i dati di Legambiente, dal 1997 al 2012 sono state emesse 1778 ordinanze di demolizione di fabbricati illegali, ma per ragioni diverse, legate di volta in volta ad intoppi negli ingranaggi della burocrazia e della macchina giudiziaria, sono andate giù non più di una quarantina di costruzioni. In ogni comune della “zona rossa” del Vesuvio ci sono, in media, circa 5mila pratiche di condono sospese. I numeri fanno riflettere, ma negli occhi restano le immagini: quanto cemento, ai piedi del Vulcano
«Lo studio presentato dai Verdi:sotto attacco seimila chilometri di costa sequestrati 110 stabilimenti alle organizzazioni criminali». la Repubblica, 2 agosto 2017 (c.m.c.)
Su ottomila chilometri di spiagge, ben seimila sono cementificati: di questo passo nel 2060 tutta la costa italiana sarà un’unica barriera di cemento e mattoni.
La denuncia arriva da un dossier dei Verdi,2017 Odissea nella spiaggia, sui litorali italiani. Una morsa di cemento spesso nata nell’illegalità: dalla Romagna alla Sicilia, passando per la Capitale, sono oltre 110, secondo il rapporto, gli stabilimenti balneari sequestrati alla mafia negli ultimi cinque anni, ottenuti con attività intimidatorie e infiltrazioni mafiose nei Comuni e nelle Regioni.
Troppi, infatti, gli interessi che fanno gola alla criminalità organizzata: dal costo irrisorio della concessione demaniale — incide meno dell’1% sul fatturato dello stabilimento — alla facilità con cui è possibile riciclarne i proventi. Secondo il dossier, il fatturato degli stabilimenti balneari si aggira intorno ai 10 miliardi di euro l’anno — dato peraltro sottostimato rispetto ad altre rilevazioni — un business redditizio reso possibile dall’affitto irrisorio dello Stato.
Il rapporto dei Verdi spiega come le tariffe di affitto sulle aree demaniali dipendono dal regolamento che individua tre tipi di area nelle coste italiane: fascia A, alta valenza turistica, fascia B, normale valenza, e fascia C, bassa valenza. Però in tutta Italia, secondo il dossier, i canoni applicati nelle concessioni sono di fascia B. Così, denuncia il rapporto, lo Stato svende un bene pubblico e tollera una colata di cemento che fa dell’Italia uno dei paesi più cementificati nell’Unione europea. Sulla costa Tirrenica, “respirano” infatti, liberi dal cemento, appena 144 chilometri, 200 sulla costa adriatica.
Venti chilometri di costruzione abusive tra le dune sul mare. Un sindaco onesto vuol fifendere la bellezza della sua terra, ma il popolo bue e la politica lo caccianovia la Repubblica, 2 agosto 2017 (c.m.c.)
In contrada Cavaddruzzu, la 67esima villetta nella lista delle costruzioni abusive da abbattere è venuta giù qualche settimana fa sotto l’aggressione delle ruspe in assoluto silenzio. I proprietari, da tempo residenti in Inghilterra, non si sono neanche presentati. In quella villetta a due piani con le pareti color ocra e una bella piscina edificata a 100 metri dal mare sulle dune della costa selvaggia della Sicilia meridionale ci venivano d’estate in vacanza. Di quella seconda casa, come la maggior parte di quelle costruite in spregio di ogni normativa negli ultimi cinquant’anni negli oltre venti chilometri di costa da Gela ad Agrigento fino a Siculiana e Sciacca, oggi restano un paio di materassi ammonticchiati su detriti di ceramica, tubature rotte, lo scavo della piscina. Qualche chilometro più in là, in territorio di Palma di Montechiaro, i proprietari di una villetta che fa bella mostra di sè alla identica distanza dal mare, gongolano: il sindaco Stefano Castellino, come suo primo atto dopo l’insediamento, ha detto: «Qui non si demolisce nulla».
A Licata, dopo mesi di altissima tensione, il “popolo degli abusivi”,che nell’ultimo anno ha alzato le barricate contro il giovane sindaco Angelo Cambiano e la sua “pretesa” di eseguire l’ordine della Procura di Agrigento di demolire le oltre 160 case dichiarate abusive con sentenza passata in giudicato, sembra essersi placato.
Dopo mesi di minacce e aggressioni, dopo due incendi ad altrettante case di familiari del sindaco che nel frattempo è stato costretto a vivere sotto scorta, a “sistemare” Cambiano ci ha pensato la politica. Prima con l’isolamento del giovane “sindaco demolitore” da parte degli stessi colleghi che, con tanto di fascia tricolore al fianco, erano andati a testimoniargli solidarietà e ad applaudirlo, ora con la mozione di sfiducia firmata dalla maggioranza dei consiglieri comunali che mercoledì prossimo dovrebbe decretare la sua deposizione.
Angelo Cambiano, 36enne primo cittadino eletto nel 2015 con il supporto di tre liste civiche di area moderata, pensa già al suo futuro di normale cittadino. «Se in due anni di attività un sindaco viene cacciato solo perché fa il suo dovere, è meglio tornare alla mia vita di insegnante di matematica, deluso dalla politica e con il desiderio di prendere moglie e figlio e andare via da questa terra così bella e ricca di risorse ma anche così poco amata dai suoi cittadini e dalla politica».
Dune di spiaggia selvaggia, chilometri di mare azzurro intenso sempre increspato dalle onde, palme sullo sfondo e una teoria ininterrotte di ville, villette, palazzine di tre piani. Da quelle lussuose con vista strepitosa di professionisti ed esponenti della politica locale (come hanno scoperto i tecnici del Comune di Licata) agli edifici, spesso non finiti e ancora senza intonaco, di emigrati che hanno investito i loro risparmi nella costruzione di case “familiari” per nonni, figli, nipoti di due o tre generazioni. Tutte comunque a prova di sanatoria, ormai con tanto di ordine di demolizione della Procura di Agrigento, edificate entro i 150 metri dal mare in anni in cui tutto, da queste parti, sembrava normale e possibile, tanto prima o poi la Regione siciliana un condono o una sanatoria li avrebbe approvati.
Ma in Sicilia è già campagna elettorale per le prossime elezioni regionali e ai licatesi che si rifiutano di capire perché «dopo quarant’anni arriva un sindaco e si mette in testa di abbattere» sono in tanti a promettere che «una soluzione si troverà, come sempre». Una soluzione che però passa dalla rimozione di un sindaco che in due anni di case abusive ne ha già demolite 67 (un record da queste parti) e ha ancora una lista con un centinaio di prossimi obiettivi per le ruspe.
L’INTERVISTA. ANGELO CAMBIANO
di Alessandra Ziniti
«Faccio il mio dovere per questo la politica vuole mandarmi via».
«Ormai sono alla mia ultima settimana. Le racconto come finisce in Sicilia un amministratore onesto».
Sindaco Cambiano, allora è sicuro della sfiducia. Getta la spugna?
«No, sarò al lavoro fino all’ultimo momento. Spero in uno scatto di orgoglio delle persone perbene, ma so di avere tutti contro. Ho provato a spiegare ma rimango il sindaco cattivo che vuole abbattere le case dei suoi concittadini. E non c’è altra strada che mandarmi a casa velocemente. Perché è ovvio che se dovessi rimanere al mio posto continuerei a fare le demolizioni».
Per questo la sfiduciano?
«Il mondo politico è falso e ipocrita. Le demolizioni delle case abusive non sono neanche citate nella mozione. Hanno trovato motivi pretestuosi, ma tutti sanno che il vero motivo sono le demolizioni e guarda caso dagli ultimi accertamenti è venuto fuori che alcuni dei consiglieri firmatari della sfiducia sono titolari di immobili da abbattere ».
Insomma, alla fine è rimasto solo. E i suoi colleghi che le avevano manifestato solidarietà dopo il primo attentato?
«Sono rimasto solo con la mia famiglia e la scorta, minacce, proiettili davanti al Comune, attacchi violentissimi sui social. E tutto solo perché ho semplicemente fatto il mio dovere di dare esecuzione a delle sentenze definitive di immobili abusivi come ordinatomi dalla Procura di Agrigento. Una cosa che dovrebbe essere ordinaria ma certo diventa pericolosissima se i colleghi dei territori confinanti, con altrettante case da abbattere, annunciano ufficialmente, come ha fatto il sindaco di Palma di Montechiaro, che non demolirà nulla e revocherà il protocollo di legalità con la prefettura. Tutto nel silenzio della politica».
Nessuno più si è fatto vivo degli esponenti delle istituzioni che erano scesi al suo fianco?
«Nessuno. Mi risuonano in testa come una beffa le parole del ministro Alfano, che venne qui l’anno scorso da ministro dell’Interno e disse: «È finito il tempo delle coccole della politica agli abusivi. Chiederò a tutti i consiglieri del mio schieramento di starle vicino». A distanza di un anno i suoi uomini sono tra i firmatari della mozione di sfiducia...»
Splendidi paesaggi deturpati dal cubature abusive e da poteri arroganti . la Repubblica, 1 agosto 2017 (c.m.c.)
«Mi dia retta, si goda il paesaggio e volti le spalle al resto ». L’uomo col volto solcato di rughe è seduto su una panchina del centro storico di Sperlonga, uno dei borghi più belli d’Italia, poco più di tremila anime a metà strada fra Roma e Napoli, proprio di fianco all’edificio comunale chiuso di lunedì, «ma il martedì lo trova aperto tutto il giorno».
Godersi il paesaggio è la regola da queste parti. Dicono che se si vuole continuare a sognare, a Sperlonga non bisogna mai dare le spalle al mare. Ma da qualche tempo la magia dello sperone di roccia che si tuffa nelle acque limpide e in una distesa di sabbia dorata, si spezza su un maleficio di cubature abusive che hanno trasformato quel luogo dalla vista mozzafiato in un paradiso abitato da diavoli.
«La natura è stata tanto generosa con questo posto e l’uomo l’ha ripagata così», sussurra Anna Dicorio, che qui è nata e cresciuta. Il dito indica un mostro di impalcature che sembra appeso alla montagna, alle spalle del mare appunto. «Un idraulico di qui ha vinto il superenalotto e ha deciso di costruirsi quella villa. Poi, come vede, si è allargato... Ora la casa è sotto sequestro, ma intanto tutto resta dov’è. Qui si allargano tutti...».
A cominciare dal sindaco. Armando Cusani, classe 1963, esponente di punta della coalizione di centrodestra, è al suo terzo incarico da primo cittadino a Sperlonga. Prima, per due mandati, era stato presidente della Provincia di Latina. Malgrado sia agli arresti domiciliari per corruzione e turbativa d’asta, non si è dimesso e, da quasi un ventennio, comanda lui. Il “sindaco padrone”, così lo chiamano, fu il primo in Italia a subire gli effetti della legge Severino: fu sospeso dalle funzioni nel 2013 per una condanna penale di primo grado a due anni per abuso d’ufficio, con l’interdizione dai pubblici uffici.
Nel giugno 2016 col 58% dei voti indossò per la terza volta la fascia tricolore del comune in provincia di Latina e proseguì ciò che aveva interrotto da presidente della Provincia. L’hotel Grotte di Tiberio è uno dei suoi capolavori abusivi, con tanto di semaforo fatto mettere a spese dei contribuiti sulla via Flacca, una strada statale, che non ha mai regolato il traffico ma serviva per dare riferimenti ai turisti: «Lei percorre la Flacca e a un certo punto trova un semaforo e lì sulla destra c’è il mio hotel, diceva tra un caffè e una riunione in consiglio», racconta un funzionario comunale ormai in pensione ma ancora in soggezione quando sente il nome del sindaco.
Di episodi ne racconta tanti. C’è una delibera, la numero 61 del 2013 con cui Cusani istituì una nuova figura professionale: il querelatore del Comune. In pratica affidò a un suo fedelissimo la funzione di querelare chiunque parlasse male di lui: dalla stampa al cittadino. «Una volta presentò un esposto al Csm contro l’allora presidente del Tar Franco Bianchi perché dispose accertamenti su una società a partecipazione comunale, la “Acqua Latina”. Ancora: definì “atto eversivo” la decisione del prefetto Frattasi di sciogliere il vicino comune di Fondi e non esitò a rimuovere seduta stante la comandante dei vigili quando venne a sapere che sarebbero cominciati una serie di controlli anti-abusivismo ».
Cusani insieme al suocero acquistò l’hotel Grotte di Tiberio, una struttura bellissima che costeggia la Flacca (altezza semaforo per l’appunto). E poi, come raccontano a Sperlonga, si allargò. Piscine, cubature nuove, ristoranti, pergolati da 90 metri quadrati, saune, spogliatoi, in barba a vincoli paesaggistici, oltre che urbanistici. Insomma un abuso coperto per tanto tempo, fino a quando una denuncia anonima non ha fatto scoppiare il caso. Quindi il sequestro dell’intera struttura nel 2016 e nel maggio di quest’anno l’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi con 90 giorni di tempo per buttare giù tutto “a spese proprie”. Era l’8 maggio e a ieri l’albergo bianco vista mare, avvolto dai nastri rossi con tanto di cartello “immobile sotto sequestro” appeso all’ingresso, troneggia integro.
Così come l’hotel Ganimede di via Ulisse, di cui Armando Cusani è socio a metà col suo vicesindaco Francescantonio Faiola. Qui il primo cittadino oltre ad aumentare le volumetrie ha violato il piano regolatore. Una lottizzazione abusiva in un’area che avrebbe dovuto ospitare edilizia popolare. Al suo posto centri termali in costruzione con parcheggio annesso proprio davanti alla nuova caserma dei carabinieri, hotel, villette, residence. Oltre 4100 metri cubi a fronte dei 2.500 autorizzate. Il sequestro di tutta l’area e un nuovo avviso di garanzia per il primo cittadino e il suo vice è del 18 maggio scorso, pochi giorni dopo la concessione dei domiciliari al sindaco che fu accolto dai suoi concittadini con applausi e uno striscione: «Bentornato a casa sindaco». Una casa nel centro storico di Sperlonga con l’incantevole vista sul mare e le spalle agli abusi.
«Mansarde, villette e seminterrati regione che vai, sanatoria che trovi. La motivazione è sempre la stessa: “Contenere il consumo del suolo” ». la Repubblica, 31 luglio 2017 (c.m.c.)
La foglia di fico è sempre la stessa, e quando la mettono si aspettano persino l’applauso: «Contenere il consumo del suolo». C’è scritto questo nella sanatoria delle mansarde, che la Regione Lazio sta prorogando da otto anni a questa parte, e c’è scritto questo pure nella sanatoria delle cantine, fresca di pubblicazione sul bollettino ufficiale della Regione Abruzzo. Avete capito bene: le cantine. Chi non sottoscriverebbe una legge regionale sul «Contenimento del consumo del suolo attraverso il recupero dei vani e locali del patrimonio edilizio esistente»?
Leggendo il titolo si potrebbe immaginare un provvedimento per favorire il riuso degli immobili abbandonati, spesso così belli da lasciare senza fiato, dei quali l’Italia è piena. Prima però di aver scorso il testo, scoprendo che delimita invece quel recupero ai «vani e locali seminterrati » da destinare «a uso residenziale, direzionale, commerciale o artigianale ». Ma non religioso: sia chiaro. Perché la sanatoria delle cantine decretata dalla Regione Abruzzo esclude invece espressamente, all’articolo 3, la possibilità di cambiare la destinazione d’uso dei seminterrati «per la trasformazione in luoghi di culto».
Insomma, fateci tutto, anche un bed & breakfast (non è forse attività residenziale?). Tranne che una moschea. Certo, per ottenere questo curioso condono (termine che di sicuro i proponenti rigetteranno sdegnati) bisognerà pagare gli «oneri concessori”. Se però l’intervento riguarda la prima casa è previsto uno sconto del 30 per cento. Va pure da sé che i locali debbano avere determinate caratteristiche. Per farci abitare gli esseri umani sono necessari impianti di “aero- illuminazione” (testuale nella legge) e l’altezza dei locali non può essere inferiore a due metri e quaranta. Ma a trovarle, cantine così alte… Niente paura. Anche in questo caso la legge della Regione Abruzzo offre una elegante scappatoia. Eccola: «Ai fini del raggiungimento dell’altezza minima è consentito effettuare la rimozione di eventuali controsoffittature, l’abbassamento del pavimento o l’innalzamento del solaio sovrastante ».
Il vostro scantinato tocca a malapena uno e novanta? Niente paura: scavate un altro mezzo metro o alzate il solaio di cinquanta centimetri. Sempre rispettando «le norme antisismiche », però. Dopo quello che è successo in Abruzzo, è il minimo. Già… Ma colpisce che nemmeno il terremoto sia stato capace di frenare lo stillicidio delle sanatorie. Anzi. Qualche mese fa c’è stato chi ha rivelato che i contributi pubblici per il sisma non avrebbero discriminato le case abusive. Suscitando la reazione risentita delle strutture commissariali, anche se nessuna smentita ha potuto cambiare la realtà dei fatti: per ottenere i denari statali è sufficiente autocertificare che l’abitazione andata distrutta non era interamente abusiva. E poi presentare domanda di sanatoria. La prova, se ce ne fosse ancora il bisogno, che abusivismo e condoni se ne infischiano anche delle scosse telluriche del settimo grado.
Il vecchio caro condono edilizio ha così pian piano cambiato pelle. Sbarrata la strada in parlamento, si è aperto la via nelle pieghe delle leggi regionali assumendo le forme più subdole e creative. Non soltanto per i sottotetti, come nel Lazio e in Lombardia (Regione che ha deliberato anch’essa il salvataggio delle mansarde), o per le cantine, come in Abruzzo. Emblematico è il caso della Campania, dove il consiglio regionale ha appena sfornato una legge per l’adozione di «linee guida per supportare gli enti locali che intendono azionare misure alternative alla demolizione degli immobili abusivi».
Tradotto dal burocratese, sono le direttive alle quali si devono attenere i Comuni per evitare di buttare giù le costruzioni illegali. Per esempio, si deve valutare «il prevalente interesse pubblico rispetto alla demolizione». Come pure tenere debitamente conto dei «criteri per la valutazione del non contrasto dell’opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico ». E che dire dei «criteri di determinazione del requisito soggettivo di ‘occupante per necessità»? Ecco dunque gli abusivi per bisogno, quella figura mitica capace di spazzare via ogni tabù ambientale con relativo senso di colpa. In Campania sono il corpo elettorale fra i più consistenti e la tentazione di grattargli la pancia, tipica di certa destra, ha ormai fatto breccia anche presso certa sinistra.
I Verdi hanno adesso chiesto al governo di Paolo Gentiloni di impugnare la legge votata dalla Regione governata dal suo compagno di partito Vincenzo De Luca e di stroncare insieme anche la sanatoria delle cantine che ha fatto breccia nel cuore dell’Abruzzo presieduto da un altro dem: Luciano D’Alfonso. Arduo prevedere con quali speranze di successo. Probabilmente non più di quante ne abbiano gli oppositori di una recentissima leggina della Regione Sardegna, ora governata dal centrosinistra di Francesco Pigliaru, per bloccare la possibile invasione delle coste dell’isola con bungalow e casette di legno.
Nel provvedimento sul turismo è spuntata infatti la possibilità per i camping isolani di piazzare costruzioni mobili (ma nella versione iniziale erano ammesse anche nella versione non amovibile) al fine di «soddisfare esigenze di carattere turistico». Le quali, precisa il disegno di legge, «non costituiscono attività rilevante ai fini urbanistici ed edilizi».
Sono quindi case vere e proprie, ma è come se non lo fossero. Bisogna ricordare che questa non è una novità assoluta. Anche in precedenza le leggi regionali consentivano di impiantare strutture del genere nei camping. Ma all’inizio non si poteva superare il 25 per cento della capacità ricettiva di un campeggio. Poi si è saliti al 40. E ora al 45. Arrivare al 100, di questo passo, sarà uno scherzo…
«Pressioni alla politica e affari dei clan ecco perché l’Italia sta bruciando. Da cittadino non accetto che mi si raccontino fandonie, ma la realtà è che il fuoco è strumento economico di “bonifica criminale”. Ogni zona ha i suoi gruppi criminali che bruciano». la Repubblica, 19 luglio 2017
Ho provato a sfatare solo alcune delle bufale più diffuse sull’origine dei roghi perché da cittadino non accetto che mi si raccontino fandonie, ma la realtà è che il fuoco è strumento economico di “bonifica criminale”. Ogni zona ha i suoi gruppi criminali che bruciano. Bande che vogliono otte
nere appalti in cambio della sicurezza delle zone boschive (o mi dai l’appalto o brucio tutto); clan che attraverso il fuoco rendono inedificabili i terreni da cui vogliono ottenere percentuali sulle concessioni edilizie e i lavori di costruzione; e ancora con il fuoco le organizzazioni trasformano parchi nazionali in spazi ideali per le discariche abusive (da materiale plastico a stoffe, rifiuti speciali il cui smaltimento comporta oneri che le aziende aggirano appaltando alla camorra).
Ora, in un Paese come l’Italia, dove i grandi ambiti di investimento e riciclaggio delle mafie sono oltre al narcotraffico proprio edilizia e rifiuti, trattare gli incendi alla stregua di calamità naturali è da dilettanti della politica. Già immagino chi dirà: ma come non vedi quanto l’Italia sia colma di turisti? Perché non dai alla politica e alla gestione del territorio il merito di aver fatto da pull factor per il turismo internazionale. Come è possibile – mi domando io, invece – che chi parla di turismo non abbia capito che l’Italia è meta residuale? Che non potendo andare altrove per timore di attacchi terroristici si viene in Italia dove peraltro, causa incendi, in Sicilia e in Toscana sono state evacuate strutture turistiche? L’assalto turistico non avviene perché è migliorata l’accoglienza, perché sono migliorati i trasporti (provate a raggiungere Puglia o Calabria in treno…), ma perché altrove per paura non si va più.
Oggi di fuoco si parla perché non è possibile ignorare quello che sta accadendo, ma non un politico che abbia descritto la situazione in maniera realistica. Anche il fuoco è usato per scopi elettorali, ma dopo aver cavalcato il disagio e l’indignazione non sarà più un argomento spendibile perché non porta voti: gli eco-reati sono percepiti come secondari rispetto alla disoccupazione, salvo poi non fare mai i conti con l’impossibilità di avere una economia florida in un Paese in cui l’economia criminale è in continua espansione. E se oggi la colpa è dei piromani, della militarizzazione del Corpo forestale, se oggi c’è un piano eversivo, se c’è una regia unica, domani in mancanza di bufale, fake news, pre e post verità, resterà solo puzza di bruciato, devastazione e silenzio. E dove c’è silenzio crescono i clan. Alla prossima estate, ai prossimi incendi.
Dalle fiamme dell'estate bollente si risveglia, irrefrenabile il cemento degli speculatori che sembrava addormentato per sempre. Fatti l'uno per l'altro. il Fatto quotidiano, online 17 luglio 2017
«In una delle poche aree scampate all'edificazione sorgerà un nuovo quartiere, mentre diverse associazioni chiedevano il recupero del patrimonio edilizio esistente ma inutilizzato. Dopo l'approvazione e l'avvio della discussione l'area, incolta da anni, è andata in fiamme
Il problema che il “resto” non è un elemento trascurabile. Si tratta dei quasi 11 ettari di Parco urbano dei quali dovrebbe occuparsi direttamente il Comune.
L’operazione che il Consiglio comunale del 1969 ha ritenuto di bocciare e che nel 1997 sembrava essere stata stralciata è stata approvata nel 2017. L’attuale amministrazione lascia intendere che non approvando tale variante vi sarebbe stato il rischio di una ancor più grande cementificazione. Il dubbio che si tratti solo di una debole giustificazione rimane, dal momento che a decidere sull’area è esclusivamente il consiglio, come testimonia la lunga e complessa storia del Centro Direzionale.
“Le previsioni contenute nel Prg del 1969 non sono applicabili alla realtà di oggi. Forse richiamare popolazione attraverso l’edilizia avrebbe avuto un senso 50 anni fa, quando Cibali era effettivamente un quartiere periferico. Oggi però è centro cittadino, dovremmo definirlo quasi centro storico. Secondo me al quartiere serve di più un piano particolareggiato, per dare a tutta la zona una vocazione culturale e turistica”, dice il consigliere comunale Sebastiano Anastasi . Non è il solo a pensarla così. “È intollerabile che si proceda con l’approvazione di varianti che hanno l’unico fine di incentivare la speculazione edilizia”, protesta, infatti, anche Catania Bene Comune lista d’opposizione a Bianco. Lo scontento, insomma, è di molti. Ma non è tutto. Perché dopo l’approvazione e l’avvio della discussione l’intera area, incolta da anni, è andata in fiamme. Una coincidenza sulla quale sempre i consiglieri di Catania Bene Comune hanno chiesto all’autorità giudiziaria di “fare luce” e dunque indagare visto che “l’incendio ha desertificato le aree oggetto di variante”.
I
«Dai lidi in Sicilia, alle scuole di Locri costruite dalle cosche passando per interi quartieri di Roma: così i “fuorilegge” ridisegnano il piano regolatore del Paese». il Fatto Quotidiano, 16 luglio 2017 (p.d.)
«I furbetti del mattoncino. Un caso ogni tre giorni. Gli effetti di 30 anni di condoni: un furto impunito di 21 miliardi. Dobbiamo ancora regolarizzare 5,3 milioni di condoni dal 1985». il Fatto Quotidiano, 2 luglio 2017 (p.d.)
Un estremo appello alla ragione rivolto ai decisori da alcune personalità che affidano la forza della loro richiesta ad argomenti e non a lunghe liste di adesione e neppure miraggi di consensi elettorali
Al presidente del consiglio, on. Paolo Gentiloni, alla presidente della Camera dei Deputati, on. Laura Boldrini, ai presidenti dei gruppi parlamentari
Nei prossimi giorni andrà in discussione, in seconda lettura, alla Camera dei Deputati il disegno di legge Falanga così intitolato: “Disposizioni in materia di criteri per l’esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi”. In realtà questo provvedimento è di una gravità inaudita perché rischia di legalizzare in modo permanente l’abusivismo con effetti futuri permanenti. Gli immobili abusivi, indipendentemente dalla loro destinazione d’uso, purché abitati o utilizzati, saranno salvi a partire anche dalle aree sottoposte a vincolo ambientale ed archeologico.
Gli edifici che si trovano nelle aree sottoposte a vincolo ambientale, archeologico, idrogeologico, del demanio, che costituiscono un pericolo per la pubblica e privata incolumità o che sono nella disponibilità di soggetti condannati per reati di associazione mafiosa, saranno demoliti secondo questo ordine:
1 - prima quelli in corso di costruzione o non ultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado
2 - poi quelli non stabilmente abitati.
La legge prevede una somma di 10 milioni di euro annui per gli abbattimenti.
Le demolizioni con questa futura legge saranno fermate per due ordini di motivi:
1) perché la cifra stanziata per le demolizioni è sufficiente per eseguirne 130-140 all’anno
2) perché buona parte delle case sono abitate e quindi saranno in coda alle priorità stabilite dalla legge e perciò mai demolite.
Ma l’aspetto più grave della legge è che la sua applicazione non ha un limite di tempo. Questo significa che tra tre mesi, un anno o due chiunque potrà edificare una villa sulla costa, in una vallata o in qualunque altro luogo avendo i requisiti di necessità.
Altro aspetto grave è che si fermeranno le demolizioni gli immobili abusivi stabilmente abitati, indipendentemente dalla loro destinazione d’uso, anche nelle aree protette, con vincolo ambientale e idrogeologico perché la legge prevede di mettere per ultimi questi casi.
Invece di approvare norme più stringenti per demolire sul nascere l’abuso e per commissariare quei comuni, anche con lo scioglimento dei consigli comunali, che non sono rigorosi o nell'adottare strumenti urbanistici o nell’eseguire le demolizioni, si è scelta una strada assurda come quella di fermare le ruspe dietro l’alibi delle priorità e dell’inesistente abuso di necessità.
I sottoscritti e le sottoscritte firmatari/e dell’appello chiedono:
1) ai presidenti dei gruppi parlamentari e alla presidente della Camera dei Deputati di non procedere alla calendarizzazione in aula del disegno di legge Falanga, ed in ogni caso a non concedere la legislativa.
2) al presidente del consiglio on. Paolo Gentiloni di trasformare il disegno di legge in oggetto in Decreto Legge con l’eliminazione del comma 6 bis) dell’art. 1 che è la norma che consente il blocco delle demolizioni degli immobili nelle aree vincolate e prevedendo in aggiunta che la norma di acquisizione al patrimonio pubblico degli immobili abusivamente realizzati sia resa efficace.
Tomaso Montanari, Angelo Bonelli, Paolo Berdini, Vittorio Emiliani, Gianfranco Amendola, Giovanni Losavio, Edoardo Salzano, Sauro Turroni, Vezio De Lucia, Fabio Balocco, Luana Zanella, Domenico Finiguerra, Giuseppe Civati, Loredana De Petris, Felice Casson, Filiberto Zaratti, Annamaria Bianchi, Marco Furfaro.
«Una proposta di legge dei verdiniani sottoscritta da un’ampia maggioranza allontana le ruspe dai fabbricati, basta dimostrare che siano abitati. Solo in Campania sono 70 mila». il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2017 (p.d.)
il Fatto Quotidiano
ABUSI EDILIZI, VERDI: “MATTARELLA E GRASSO FERMINO
LA LEGGE CHE LI LEGALIZZA E FERMA LE DEMOLIZIONI.
È PEGGIO DI UN CONDONO”
Un provvedimento “di una gravità inaudita”, che «legalizza in modo permanente l’abusivismo con una portata peggiore del condono edilizio dal punto di vista dei suoi effetti futuri». E’ il giudizio dei Verdi sul disegno di legge che fissa i «criteri per l’esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi», che il 18 maggio arriverà in aula al Senato. Il coordinatore nazionale Angelo Bonelli e il responsabile territorio e paesaggio Sauro Turroni lanceranno il 16 maggio un appello al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al presidente del Senato Pietro Grasso perché la legge, che ritengono presenti «vari profili di incostituzionalità», sia fermata e non venga promulgata.
Secondo i Verdi il ddl, primo firmatario l’ex senatore di Forza Italia passato ad Ala Ciro Falanga, «produrrà effetti di continue violazioni di legge» perché «introduce l’abusivismo di necessità e le case abitate non saranno abbattute perché collocate per ultime nell’ordine di priorità anche se si trovano in zone vincolate dal punto di vista ambientale e idrogeologico».
In testa alla lista delle priorità degli abusi da demolire ci sono gli immobili di rilevante impatto ambientale o costruiti su area demaniale o in zona soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico o a vincolo sismico o a vincolo idrogeologico o a vincolo archeologico o storico-artistico, quelli che costituiscono un pericolo per la pubblica e privata incolumità e quelli sottratti alla mafia perché nella disponibilità di soggetti condannati per reati di associazione mafiosa o di soggetti colpiti da misure di prevenzione. Tuttavia all’interno di ognuna di queste categorie sono stabiliti ulteriori gradi di priorità. Gli edifici saranno demoliti secondo questo ordine: prima quelli in corso di costruzione o non ultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado, poi quelli non stabilmente abitati e infine quelli abitati.
Per ciascuna delle 3 sopra dette categorie i Procuratori della Repubblica detteranno i criteri di priorità che dovranno tenere conto delle specificità del territorio di competenza, attribuendo la priorità, di regola, agli immobili in corso di costruzione o comunque non ultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado e agli immobili non stabilmente abitati. Infine, per gli abbattimenti vengono stanziati 10 milioni di euro l’anno, a fronte di un costo di circa 80mila euro a demolizione.
«Le demolizioni con questa futura legge saranno fermate per due ordini di motivi», si legge nell’appello. «Perché la cifra stanziata per le demolizioni è sufficiente per eseguirne 130-140 all’anno e perché buona parte delle case sono abitate e quindi saranno in coda alle priorità stabilite dalla legge e perciò mai demolite. Ma l’aspetto più grave della legge è che la sua applicazione non ha limiti di tempo a differenza dei condoni. Questo significa che tra tre mesi, un anno o due chiunque potrà edificare una villa sulla costa, in una vallata o in qualunque altro luogo avendo i requisiti di necessità. Questo significa che il parlamento della Repubblica Italiana si accinge a legalizzare in modo perenne l’abusivismo edilizio, che anzi dalla norma riceverà ulteriori stimoli. E la norma potrà diventare uno strumento formidabile anche in mano alla criminalità che con prestanome, che corrispondano a criteri di necessità previsti della legge, potrà realizzare case abusive in spregio alla legge».
Invece, dunque, di «approvare norme più stringenti per demolire sul nascere l’abuso e per commissariare quei comuni, anche con lo scioglimento dei consigli comunali, che non sono rigorosi o nell’adottare strumenti urbanistici o nell’eseguire le demolizioni, si è scelta una strada assurda come quella di fermare le ruspe dietro l’alibi delle priorità e dell’inesistente abuso di necessità. Non è un caso che nei resoconti stenografici i senatori Falanga e Palma parlino esplicitamente di fermare le demolizioni a partire dalla Campania. Infatti sia il Presidente della regione Campania De Luca che della Sicilia Crocetta attendono con ansia questa legge dopo aver approvato in giunta provvedimenti blocca ruspe». In Campania le case abusive sono 70mila, in Sicilia ne sono state costruite 2.438 nel 2015 e 1.749 nel 2016.
L’appello è già stato firmato da Paolo Berdini, Vittorio Emiliani, Gianfranco Amendola, Francesco Lo Savio, Vezio De Lucia, Luana Zanella, Fabio Balocco e Mario Staderini.
il Fatto Quotidiano
IN SENATO ARRIVA IL SALVA-ABUSI
di Luciano Cerasa
«Una proposta di legge dei verdiniani sottoscritta da un’ampia maggioranza allontana le ruspe dai fabbricati, basta dimostrare che siano abitati. Solo in Campania sono 70 mila».
Giovedì arriva nell’aula del Senato il progetto di legge “blocca ruspe”. La giunta della Campania, guidata da Vincenzo De Luca, lo attende con trepidazione da mesi, al punto da averne anticipato gli effetti in una proposta di legge regionale approvata il 16 marzo scorso. E il momento è arrivato. Sembra proprio che il progetto normativo – primo firmatario il verdiniano Ciro Falanga – abbia la strada spianata, almeno al Senato. Il testo con pochi emendamenti è stato approvato nelle commissioni di Palazzo Madama con una maggioranza inedita che va dal Pd a Forza Italia e M5S.
la Repubblica
«Un appello di Verdi, urbanisti ed ex magistrati contro il Decreto Falanga: "Così si legalizza per sempre l'abusivismo edilizio". Nasce l'abuso per necessità: "Niente ruspe per chi non ha un'altra casa"».
Roma - In Senato si vota, fra tre giorni, una legge per cambiare le regole sugli abbattimenti delle abitazioni abusive. Il primo firmatario è un verdiniano, Ciro Falanga, e il decreto in dirittura d'arrivo prevede una serie di provvedimenti di peso. Oggi la maggior parte delle demolizioni è affidata alla magistratura, che interviene quando i sindaci non ottemperano (quasi sempre, in Italia). La novità del Decreto Falanga è quella di organizzare una vera e propria classifica delle priorità per l'invio delle ruspe. In fondo a questa graduatoria c'è "l'abuso per necessità".
A chi non ha un alloggio alternativo - la maggior parte di coloro che hanno commesso un abuso edilizio, d'altra parte - non si potrà tirare giù l'edificio illegale. Fosse anche una villa, fosse anche in un'area protetta. Nel testo, si legge, all'ultimo posto delle priorità sono posizionati «gli immobili abitati la cui titolarità è riconducibile a soggetti appartenenti a nuclei familiari che non dispongano di altra soluzione abitativa». Si dovranno quindi segnalare «alle competenti amministrazioni comunali» gli edifici «in possesso di soggetti in stato di indigenza».
A sostenere il decreto - è il 580-B, "Disposizioni in materia di criteri per l'esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi" - ci sono dieci milioni di euro. Una cifra che, parametrata ai costi attuali di un abbattimento, consentirebbe 130 interventi l'anno in tutto il Paese.
Il Decreto Falanga è atteso con una certa premura dai governatori della Campania e della Sicilia. In particolare, Vincenzo De Luca ha disposto a Napoli e nelle altre quattro province campane la sospensione di ogni intervento di demolizione in attesa dell'ultimo passaggio parlamentare del Ddl 580-B, appunto al Senato. Ma l'azione di Ala e Forza Italia - che fin qui non ha incontrato ostacoli da parte del Pd e del Movimento 5 Stelle, la sesta commissione ha votato favorevolmente e all'unanimità - conosce un'opposizione formale da parte dei Verdi con i suoi coordinatori nazionali Angelo Bonelli e Luana Zanella e il responsabile territorio Sauro Turroni. In questa campagna sono affiancati da urbanisti di peso come Paolo Berdini (ex assessore della Giunta Raggi) e Vezio De Lucia, ex magistrati ambientali come Gianfranco Amendola e Domenico Lo Savio, dal radicale Mario Staderini, l'intellettuale Vittorio Emiliani, l'avvocato Fabio Balocco.
Sul provvedimento si è già espresso il procuratore generale di Napoli, Luigi Riello. «Se si irrigidiscono i criteri di priorità con una legge si apre la via a un contenzioso enorme», ha detto. «Gli avvocati tenteranno ogni strada, giustamente, per impedire la demolizione dell'immobile del proprio assistito. Si chiamano incidenti di esecuzione. Ogni legale alzerà un'opposizione: perché demolite la casa del mio cliente e non quella a fianco?». I criteri di priorità, sostiene il magistrato, sembrano evanescenti: «Questa legge prova a tutelare il piccolo abuso di necessità rispetto all'ecomostro, ma rischia solo di rallentare l'intero processo di demolizioni».
Nel Napoletano, dove ci sono 70.000 abitazioni fuorilegge, si era avvertita nelle ultime stagioni un'inversione di tendenza con una decrescita dei manufatti abusivi e un aumento delle autodemolizioni da parte dei proprietari: sconfitte al processo, diverse famiglie sceglievano di abbattere la costruzione avviata per evitare il conto dello Stato, più oneroso.
Nelle audizioni al Senato si parla esplicitamente di fermare le ruspe al Sud. Il senatore di Forza Italia, Nitto Francesco Palma, anche lui magistrato, ha dichiarato: «Il disegno di legge è volto a salvare dagli abbattimenti le abitazioni delle persone che vivono in Campania con un reddito assai modesto e non già i grandi gruppi alberghieri o i faccendieri che abitano dimore lussuose presso la Costiera sorrentina».
L'appello di chi si oppone al decreto è stato inviato oggi ai presidenti della Repubblica e del Senato e chiede di fermare «una legge blocca demolizioni che legalizza in modo perenne l'abusivismo edilizio». La denuncia di ambientalisti, urbanisti e scrittori sottolinea: «L'aspetto più grave del provvedimento è che la sua applicazione non ha limiti di tempo, a differenza dei condoni. Questo significa che fra tre mesi, un anno o due chiunque potrà edificare una villa sulla costa, in una vallata o in qualunque altro luogo avendo i requisiti di necessità. Significa, inoltre, che da questa norma l'abusivismo riceverà ulteriori stimoli e la criminalità organizzata potrà realizzare case abusive in spregio alla legge attraverso prestanome».
il manifesto
ABUSIVISMO,
«STOP AL DDL FALANGA»
dichiarazione di Loredana De Petris
La capogruppo di Sinistra Italiana e presidente del gruppo misto al Senato, Loredana De Petris, chiede alla maggioranza di rinviare il ddl Falanga in commissione. Il disegno di legge che porta il nome del senatore verdiniano Ciro Falanga potrebbe essere approvato dall’aula di palazzo Madama questa settimana. Sarebbe una pietra tombale sulla demolizione di case abusive - spiegano in un appello ambientalisti, urbanisti e ex magistrati - a causa del meccanismo ideato per programmare le demolizioni: una scala di priorità che ha in cima le case in costruzione, da abbattere per prime, e all’ultimo gradino quelle già abitate. «Le case già abitate di fatto sono tutte salve. Per le altre - dice il verde Angelo Bonelli - bisogna individuare l’abuso, poi arriva la sentenza che ordina la demolizione, e ci sono 90 giorni di tempo per eseguirla. In tre mesi la casa può essere finita, ci si mette dentro una famiglia, e il gioco è fatto». Anche il procuratore generale di Napoli, Luigi Riello, è intervenuto contro il ddl: «Se si irrigidiscono i criteri di priorità con una legge si apre la via a un contenzioso enorme. Gli avvocati tenteranno ogni strada, giustamente, per impedire la demolizione dell’immobile del proprio assistito». Il firmatario del ddl, Falanga, ovviamente difende il suo provvedimento e dice che se non sarà approvato si dimetterà da senatore.
«Se chi governa “perdona” ciclicamente il ripetersi di un reato, di fatto induce in chi pratica quel reato la convinzione che ciò che ha fatto magari non sia lecito, ma tollerato sì». il Fatto Quotidiano online, 27 aprile 2017 (p.d.)
Nel dossier dell’Espresso online, di cui abbiamo ripreso l’ampia introduzione di Paolo Biondani, non è riportato l’unico articolo sul condono edilizio (l’unico a prucurare danni irreversibili al suolo), che era uscito sull’edizione cartacea del 6 novembre. Lo riprendiamo oggi. L’Espresso, 6 novembre 2016
Il condono edilizio è peggio del condono fiscale e finanziario, di quest’ultimo con il passare degli anni si perderà la memoria. Non è così per la sanatoria edilizia perché le ferite inferte al paesaggio e alle città sfidano i secoli. Restano sfigurate per sempre le coste dell’Italia meridionale, principalmente di Campania, Calabria e Sicilia, e le periferie di città grandi e piccole. Ma quando si parla di condono edilizio si parla soprattutto di Roma. Italo Insolera diceva che l’abusivismo non è solo un fenomeno perverso che ha condizionato la vita di Roma, ma è un modo d’essere di Roma. Il totale delle domande di condono relative alle leggi dal 1985 al 2003 è impressionante, oltre 600 mila, delle quali un terzo ancora da esaminare. 600 mila abusi su una popolazione di meno di tre milioni di abitanti, un abuso ogni cinque abitanti uno ogni due famiglie, è un dato pauroso, senza confronti con il resto d’Italia, che legittima i peggiori convincimenti sulla diffusione dell’illegalità nella capitale.
Un terzo del territorio urbanizzato di Roma, con più di mezzo milione di abitanti, è formato da migliaia di lottizzazioni abusive disseminate in ogni parte della sconfinata periferia. Aggregati di case di varia tipologia (dalle villette a alle ville anche di lusso, alle palazzine a più piani) a perdita d’occhio, quasi del tutto privi di spazi collettivi, verde e attrezzature, con infami servizi di trasporto pubblico. Non ci sono piazze, i luoghi d’incontro e di socializzazione sono i centri commerciali.
Eppure a Roma non sono mai mancati intellettuali, architetti, urbanisti, giornalisti con un occhio di riguardo per il condono e l’edilizia abusiva accreditata come spontanea. Quegli stessi pronti a scatenarsi contro Corviale, Laurentino 38 e altre complesse architetture dell’edilizia pubblica hanno visto nelle politiche di condono il riconoscimento di importanti valori tradizionali e popolari. Nel 1983 alla “città spontanea” fu dedicata un’importante mostra che confrontava Roma con Algeri, Tunisi, Il Cairo, Maputo, Bogotá e Città del Messico. Una mostra che spianò la strada alla prima legge di condono edilizio, quella del 1985 voluta del governo di Bettino Craxi (ministro dei Lavori pubblici Franco Nicolazzi). Le leggi successive, del 1994 e 2003, sono opera dei governi Berlusconi (ministri consenzienti Giulio Tremonti, Roberto Radice, Pietro Lunardi).
La conferma di Roma capitale dell’abusivismo si ebbe il 17 febbraio del 1986. Si svolse in quel giorno un’altra marcia su Roma – meno tragica di quella di 64 anni prima, non foriera di lacrime e sangue ma anch’essa politicamente terribile –, la marcia dei sindaci abusivi siciliani, capeggiati da Paolo Monello sindaco comunista di Vittoria (una città quasi tutta abusiva in provincia di Ragusa), sostenuti da Lucio Libertini responsabile dell’urbanistica del Pci. La marcia dei sindaci siciliani era contro la legge per il condono del 1985, ma nel senso che volevano renderla più permissiva e meno onerosa.
La Sicilia, dopo Roma, è l’altro grande teatro in cui recitano da protagonisti abusivismo e condono. Ricordo solo le villette nella Valle dei Templi di Agrigento, gli scempi di Pizzo Sella sopra Palermo, e il parco archeologico di Selinunte, sulla costa Sud occidentale dell’Isola, che affaccia sulle repellenti lottizzazioni di Triscina e Marinella.
Pochissimi i casi in cui a perdere è stato il condono. Indimenticabili le demolizioni degli ecomostri di Fuenti in Costiera amalfitana e di Punta Perotti a Bari
Palermo quell'emendamento, solo tre mesi fa, veniva sventolato dagli abusivi di Licata che si opponevano alle ruspe con i propri figli in braccio. Quell’emendamento, appena riveduto e corretto, martedì potrebbe diventare legge all’Assemblea siciliana, vanificando gli sforzi fatti nell’Isola per far partire le demolizioni. All’improvviso, nel sonnecchiante parlamento regionale piomba la sanatoria per tutte le costruzioni entro i 150 metri dalle coste.
A presentarla un plotone trasversale di 11 deputati capitanati dall’ex sindaco di Trapani Girolamo Fazio: ex forzista oggi al gruppo misto, quest’ultimo, che è diventato («Mio malgrado», dice lui) l’indiscusso fan di chi ha costruito in tutta l’Isola in violazione delle regole.
La proposta di Fazio di legittimare le abitazioni sul litorale era diventata, in primavera, l’argomento principale degli occupanti delle case da abbattere che avevano ceduto ai bulldozer dopo essersi resi protagonisti di incidenti e disordini. E dopo avere – paradosso tutto siciliano – denunciato magistrati e forze dell’ordine per abuso d’ufficio. Al sindaco di Licata, Angelo Cambiano, era andata ancora peggio: dopo quegli episodi gli avevano bruciato la casa di campagna, va tuttora in giro scortato.
In questo clima, «superconvinto» delle sue ragioni, Fazio ha portato avanti il suo emendamento pro-abusivi: prima in commissione, dove la sua disposizione è stata bocciata a fatica (4 no, 3 sì, 3 astenuti) e ora in aula, dove il deputato senza demordere si è rifatto avanti con un testo solo leggermente modificato.
La sanatoria è prevista ora per le case realizzate dal 1976 al 1985 – data del primo condono edilizio – ma nel frattempo i benefici si sono allargati, non più limitati alle sole zone “C”, quelle parzialmente edificate. Ed è previsto che non solo chi ottiene il condono, ma pure i familiari, possano ottenere un diritto di abitazione della casa abusiva. «Uno scandalo, una vergogna inaudita», ha tuonato Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente della Camera, che ha parlato con il ministro Gian Luca Galletti, il quale avrebbe promesso di attivarsi.
L’esito della nuova sanatoria è tutt’altro che scontato: il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, ieri non ha escluso che l’emendamento possa essere dichiarato ammissibile e dunque andare ai voti, lanciando due allarmi non ingiustificati. Primo: «Se si procede con scrutinio segreto in aula può succedere qualsiasi cosa». Secondo: «Se la norma venisse approvata ci sarebbero danni incalcolabili anche in caso di successiva impugnazione del Consiglio dei ministri: prima del giudizio della Consulta, per un periodo almeno di un anno, in Sicilia ci sarebbe il liberi tutti».
Ma la voce di indignazione più forte è quella di un magistrato, il procuratore aggiunto di Agrigento Ignazio Fonzo che dopo 15 anni è riuscito a riportare le ruspe nella Valle dei Templi. Non esattamente un’impresa di poco conto: le demolizioni fra Agrigento e Licata sono scattate e andate avanti dopo una discreta pressione sui sindaci, minacciati di incriminazione per omissione d’atti d’ufficio in caso di mancata esecuzione di sentenze definitive che risalgono anche a venti anni fa. Il risultato? Simbolico. Ventitré edifici buttati giù, a fronte però di 22.100 abusi accertati dal 2009 al 2015.
E la top ten dei Comuni con il maggior tasso di violazioni edilizie sembra tratto da un’agenzia di viaggi: il mattone selvaggio ha conquistato lo Stretto di Messina e le contrade marsalesi, l’oasi del Simeto, le rovine greche di Siracusa e le ville barocche di Bagheria. Si registrano più nuovi abusi nelle isole Eolie (540) che in quattro capoluoghi (Caltanissetta, Ragusa, Enna e Trapani) messi insieme. I numeri dello scempio crescono, di molto, se si tiene conto delle domande di sanatoria: 770 mila.
Il cemento in Sicilia dal 1988 a oggi, segnala Legambiente, ha mangiato 65 chilometri di costa Ora nessuno sa, esattamente, quanti siciliani verrebbero premiati dall’ultimo emendamento che estende la possibilità di condono. Ma di certo gli abusivi continuano a rappresentare un elettorato molto rispettato in Sicilia. Gianfranco Zanna, presidente regionale di Legambiente, parla di «regalo d’estate ai predatori di coste» e ricorda le dichiarazioni rilasciate del ministro Angelino Alfano (agrigentino) quando andò a trovare il sindaco di Licata dopo l’attentato: «È finito il tempo della politica che coccolava gli abusivi per avere qualche migliaio di voti». Ma a firmare l’emendamento di Fazio, fra i sette deputati della maggioranza che sostiene Crocetta, ci sono tre deputati dell’Ncd. Ovvero il partito di Alfano.