Di Antonio Cederna – uno dei fondatori dell’ambientalismo italiano, che fu archeologo e critico d'arte, poi soprattutto straordinario giornalista e ancora consigliere comunale di Roma e parlamentare – mi pare importante, su queste pagine, ricordare soprattutto l’impegno a favore del progetto Fori, la più affascinante idea per l’urbanistica romana dopo l’unità d’Italia. Il suo contributo non fu solo di metodo, di critica o di informazione. Cederna fu anche concretamente operativo. L'immagine che aveva della Roma del terzo millennio, l'ha descritta più volte, ma il testo nel quale quell'immagine è sviluppata compiutamente è la sua Proposta di legge per Roma capitale, dell'aprile 1989, quand'era deputato indipendente del Pci. La relazione alla proposta di legge è una delle più convincenti pagine dell’urbanistica moderna. Cederna riprende un’impostazione del piano regolatore del 1962, un piano per molti versi indifendibile, fondato però su una spettacolare idea di città: accanto alla Roma storica, nei settori della periferia orientale doveva prendere corpo la città moderna. Lì dovevano trasferirsi i ministeri e le altre attività terziarie, liberando il centro dalle oltraggiose condizioni di congestione e d’inquinamento in cui viveva (e continua a vivere). L’operazione volta alla formazione di un nuovo centro cittadino assunse il nome di Sdo (Sistema direzionale orientale) ed è stata a lungo oggetto di studi e di proposte.
Per lo Sdo Cederna propose la soluzione che fu definita “a saldo zero”: i ministeri spostati dalle aree centrali e trasferiti non dovevano essere sostituiti da altre funzioni con un analogo carico urbanistico. Si dovevano invece formare vuoti urbani attrezzati, parchi verdi e ampie zone pedonali, con la valorizzazione delle aree archeologiche. “Basti pensare – scrisse Cederna – allo sgraziato salto di quota che separa la Via Cernaia dal piano degli scavi delle terme di Diocleziano, frutto della sommaria sistemazione della zona dopo l'edificazione del ministero delle Finanze". L’operazione Sdo diventava in tal modo una parte del progetto Fori. Che non era solo un’operazione di archeologia urbana. L’archeologia era il punto di partenza per un radicale rinnovamento dell’assetto di Roma, e in questo senso era complementare allo Sdo. Il progetto, inizialmente elaborato dal soprintendente Adriano La Regina, prevedeva il ripristino del tessuto archeologico sottostante la via dei Fori, attraverso la sutura della lacerazione prodotta nel cuore della città dallo sventramento degli anni Trenta. Allora, Benito Mussolini, per consentire che da Piazza Venezia si vedesse il Colosseo, e per formare uno scenario grandiosamente falsificato per la sfilata delle truppe, aveva fatto radere al suolo gli antichi quartieri, le chiese e i monumenti costruiti sopra i Fori e spianare un’intera collina, la Velia, uno dei colli di Roma. Migliaia di sventurati cittadini furono deportati in miserabili borgate, dando inizio all’ininterrotta tragedia della periferia romana.
Il progetto per il ripristino dei Fori e dell’area archeologica centrale fu sostenuto dal sindaco Luigi Petroselli con entusiasmo e disponibilità culturale sorprendenti. Anzi, “il grigio funzionario di partito” venuto dalla gavetta di Viterbo diventò, insieme a Cederna, il protagonista del progetto Fori. L’idea della storia collocata al centro della città, sotto forma di vertice intra moenia del parco dell’Appia Antica – una grande pausa, dal Campidoglio ai Castelli Romani in una conurbazione senza fine e senza qualità – raccolse vasti e qualificati consensi. Favorevoli furono soprattutto i cittadini di Roma, che parteciparono in massa a quelle straordinarie occasioni determinate dalla chiusura domenicale della via dei Fori e alle visite guidate ai monumenti archeologici. Con determinazione e rapidità inusitate, Petroselli mise mano fattivamente all’attuazione del progetto provvedendo all’eliminazione della via del Foro Romano, che da un secolo divideva il Campidoglio dal Foro Repubblicano, e all’unione del Colosseo – sottratto all’indecorosa funzione di spartitraffico – all’Arco di Costantino e al tempio di Venere e Roma. Si realizzò allora la continuità dell’area archeologica, liberamente percorribile, dal Colosseo al Campidoglio.
E’ forse il momento più alto per l’urbanistica romana contemporanea, ma durò poco. Il 7 ottobre 1981 morì improvvisamente Luigi Petroselli (è passato un quarto di secolo e dobbiamo commemorare anche lui). Dopo tre lustri di abbandono, furono ripresi gli scavi ai lati della via dei Fori ed è stata ripetuta l’esperienza delle domeniche pedonali. Ma la chiusura definitiva della strada alle automobili è stata continuamente rinviata. Eppure non è vero che l’eliminazione della via dei Fori determinerebbe insostenibili problemi di traffico. E’ vero il contrario. La chiusura, a Napoli, di piazza del Plebiscito – esperienza che fu pensata assumendo a modello proprio il progetto Fori – dimostra che risoluti interventi di pedonalizzazione riducono nettamente il traffico cittadino.
Che ne è oggi del disegno e della strategia per Roma di Antonio Cederna e Luigi Petroselli? Devo dire con dolore che quel disegno e quella strategia sono stati abbandonati. Non è questa l'occasione per analizzare le politiche territoriali del comune di Roma e della regione Lazio. Devo però osservare, in primo luogo, che lo Sdo, per molti decenni idea forza dell'urbanistica romana, è stato silenziosamente cancellato. Era sicuramente un’ipotesi superata dall’enorme e in larga misura abusiva crescita di Roma in tutte le direzioni, ma andava proposta e discussa un’altra idea generale per il futuro della capitale. Che invece non c’è stata.
In secondo luogo, il progetto Fori e l'area archeologica centrale. Non è più all'ordine del giorno l'eliminazione della via dei Fori Imperiali, che è stata addirittura proibita da un inverosimile vincolo di tutela sullo stradone fascista. Non c'è più l'incompatibilità del traffico con la salute dei monumenti. Non c'è più, insomma, il progetto epocale di Cederna e Petroselli per cambiare la forma e il futuro di Roma. Quando morì Luigi Petroselli, Cederna fu il primo a capire che con lui era morto anche il progetto Fori, e scrisse su Rinascita dello "scandalo" di Petroselli. Lo scandalo di un sindaco comunista che voleva mettere la storia e la cultura al posto dell'asfalto e delle automobili.