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Silvio Testa
ARCA: Un'alternativa al MoSE
20 Agosto 2005
MoSE
In due articoli de il Gazzettino (22 e 23 gennaio 2005) la cronaca della presentazione di un'alternativa al MoSE. Non è la prima, sembra convincente, è avallata da autorevoli studiosi, ma è ignorata. Purtroppo costa troppo poco, ed è fuori dal monopolio privato del Consorzio Venezia Nuova

E' sperimentale, graduale, reversibile

22 gennaio 2005

È sperimentale, graduale, reversibile, come vuole la legge, ma soprattutto è "stagionale": si mette d'inverno, quando serve, e d'estate si toglie. Costa dieci volte meno del Mose (450 milioni di euro contro 4700 milioni), e si realizza in due anni e non in otto, mettendo da subito Venezia al riparo dall'acqua alta; non abbisogna di milioni di metri cubi di cemento, né di migliaia di pali infissi nel fondale, né di sbancamenti delle bocche di porto, ma solamente di spalle autoaffondanti in calcestruzzo (removibili), e della posa di un materasso antierosione di georete; infine può fronteggiare qualsiasi innalzamento del livello medio del mare che i lidi e la costa possano reggere, semplicemente aumentando lo spessore del materasso antierosione.

Stiamo parlando di Arca (Apparecchiature rimovibili contro l'acqua alta), l'anti Mose che stamane verrà presentato anche con animazioni dalle 10 nella Sala del Piovego di Palazzo Ducale, con interventi di Paolo Pirazzoli (ricercatore del Cnr francese) sugli scenari futuri dell'eustatismo e di George Umgiesser (Cnr Venezia) sui problemi idrodinamici. Seguirà un dibattito moderato dal prof. Bruno Rosada.

Arca è stato ideato da Antonio Ieno, un Carneade, accusano gli oppositori, ma dalla grande e lucida determinazione, la cui intuizione è stata poi tradotta in un progetto dall'aria assai solida dal prof. Maurizio De Santis, docente di Opere Marittime all'Università di Padova e componente dello staff che realizzò Voltabarozzo, e dagli ingegneri Giorgio La Valle (Strutture navali) e Filippo Valenti (Relazioni tecniche), con la collaborazione di Pirazzoli e Umgiesser. La progettazione delle automazioni è della Siemens Spa.

«In sostanza - ha spiegato ieri De Santis - si tratta di vere e proprie navi autoaffondanti di 120 metri, trainabili, in acciaio al carbonio». Esse andranno portate alle bocche di porto, il cui fondale dovrà essere preventivamente regolato portandolo a 9.50 metri al Lido, a 12 metri a Malamocco, a 8.50 a Chioggia, e lì verranno allineate tra di loro e incernierate su piloni che altro non sono che scafi autoaffondanti più piccoli. In condizioni normali, le navi stanno alla fonda lasciando ad esempio al Lido tre varchi di 190 metri ciascuno, poi al crescere della marea vengono ruotate di 90 gradi grazie a due eliche intubate trasversali ciascuna, e affondate con acqua, come i sommergibili. Una volta posate sul fondale, sul quale saranno state sagomate, le navi diverranno delle vere dighe contro la marea (vedi foto), potendo servire per acque alte fino a 2.50 metri. «E le eliche trasversali, pompando fuori ciascuna 30 metri cubi al secondo, possono ridurre di 6 millimetri all'ora il livello dell'acqua in laguna, tanta quanta ne piovve il 4 novembre del '66», ha sottolineato Pirazzoli.

«Il sistema - ha spiegato Ieno - consente chiusure parzializzate, a seconda dei livelli di marea». La navigazione resta garantita su tutte le bocche fino a 125 centimetri, chiudendo solo alcuni varchi, poi oltre i 125 centimetri resta garantita solo a Malamocco, mentre a 128 centimetri si chiudono tutte le bocche. «Sulla base delle statistiche di marea dal 1983 al 2002 - ha sottolineato Ieno - le chiusure totali sarebbero state solo 9»

Il progetto è stato presentato anche al Magistrato alle Acque. «Nessuna risposta - ha polemizzato Ieno, e scarsa attenzione è venuta anche dal Comune».

Davide contro Golia

23 gennaio 2004

Davide contro Golia. Ovvero Arca contro il Mose. Potrebbe riassumersi così il senso della presentazione alla città, ieri nella sala del Piovego di Palazzo Ducale, del progetto di chiusure mobili alle bocche di porto alternativo al Mose, ideato da Antonio Ieno e tradotto in forma progettuale da uno staff coordinato dal prof. Maurizio De Santis, docente di Opere marittime all'Università di Padova. Del tutto assenti le istituzioni, anche se Gianfranco Bettin e Flavio Dal Corso (Verdi) hanno poi chiesto di fermare il Mose e di sperimentare Arca .

Arca 2005 (Apparecchiature rimovibili contro l'acqua alta) è l'evoluzione del progetto già presentato quattro anni fa, raffinato e perfezionato. L'idea di fondo è sempre la stessa: l'utilizzo per chiudere le bocche di porto di cassoni autoaffondanti, che nell'ipotesi originaria erano in calcestruzzo, ma che nelle successive stesure del progetto sono diventati delle vere navi in acciaio al carbonio, trainabili. D'estate se ne stanno da qualche parte alla fonda, in manutenzione, ma d'inverno vengono collocate al loro posto, per fermare l'acqua alta.

Non richiedono strutture fisse, milioni di metri cubi di cemento, migliaia di pali di fondazione, ma solo delle spalle di ancoraggio fatte però anch'esse di scafi autoaffondanti, e la stesura di un materasso antierosione dello spessore di circa 30 centimetri sul fondale delle bocche di porto, che può essere sagomato alla profondità che si crede. «Noi abbiamo scelto i limiti attualmente necessari alla navigazione», ha spiegato De Santis, ovvero 9.50 metri al Lido, 12 a Malamocco, 8.50 a Chioggia.

Le navi, alte dai 6 ai 15 metri, vengono trainate al loro posto, e incernierate su dei piloni (anch'essi scafi autoaffondanti, più piccoli) in modo da lasciare dei varchi di 190 metri: 3 al Lido; uno a Chioggia e a Malamocco più un secondo varco da 90 metri. In ogni bocca di porto, sempre con scafi autoaffondanti, vengono realizzate delle conche di navigazione per il naviglio minore. Al crescere della marea, le navi vengono ruotate di 90 gradi (come porte sui cardini) grazie a eliche trasversali intubate, e affondate come i sommergibili, imbarca ndo acqua, fino a posarsi sul fondo, diventando delle dighe. Il sistema è modulare, perché permette anche chiusure parziali. «Il tutto - ha sottolineato Ieno - entra in esercizio in 15 minuti». Il progetto, è stato spiegato, può essere realizzato in due anni, e non in 8 come il Mose, mettendo da subito al sicuro Venezia dall'acqua alta, e costa "solo" 450 milioni di euro, cioé dieci volte meno del progetto ufficiale.

Arca e Mose sono stati messi a confronto da Paolo Pirazzoli, direttore di ricerca del Cnr francese, e da George Umgiesser, modellista del Cnr veneziano. Pirazzoli ha paragonato i risultati dei due sistemi nello scenario del 4 novembre 1966, corretto secondo le previsioni degli esperti dell'Ipcc (Intergovernamental panel on Cimate change) per i quali il livello del mare potrebbe crescere di 30 cm entro il 2050, e di mezzo metro entro il 2100.

Nel '66, ha ricordato Pirazzoli la marea toccò i 194 cm, rimase per 22 ore sopra i 110, la laguna crebbe di 7 millimetri all'ora solo per la pioggia. «Col Mose - ha sostenuto ricordando la tracimazione dell'acqua tra i portelloni -, si sarebbero superati i 110 cm in laguna, con Arca non si sarebbero toccati i 90». Addirittura i 60 se con le eliche si fosse pompata l'acqua fuori dalla laguna. Col mare cresciuto di 30 cm il Mose non avrebbe garantito i 140 cm, Arca sarebbe rimasto sotto il metro; col mare cresciuto di mezzo metro, il Mose non avrebbe impedito una marea di 170 cm, Arca avrebbe tenuto a 110.

Umgiesser ha invece paragonato gli effetti dissipativi di Arca rispetto a quelli proposti nel '99 dal Comune, e poi dal Consorzio Venezia Nuova, da De Piccoli (progetto Perla), dagli 11 punti. «Tranne le lunate del Consorzio - ha detto - assolutamente inutili, tutte le proposte sono efficaci per ridurre i picchi di marea tra i 10 e i 30 centimetri, ma con Arca si può scegliere la riduzione, continuando a permettere la navigazione. Arca - ha concluso - è l'unico progetto che unisce la possibilità della chiusura totale con le opere alternative».

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