Roberto Giannì se ne va. Lascia il dipartimento di urbanistica del comune di Napoli e si trasferisce a Bari dove assumerà la direzione dell’urbanistica regionale pugliese. Per un verso è un ritorno a casa, Roberto è nato in provincia di Lecce e non ha mai interrotto il rapporto con la sua terra. Venne a Napoli a studiare e subito dopo la laurea cominciò a collaborare con il comune insieme agli altri “ragazzi del piano” negli anni dell’amministrazione di Maurizio Valenzi (quando erano davvero ragazzi). Si deve a essi il cosiddetto piano delle periferie, approvato dal consiglio comunale prima del terremoto del novembre 1980 e poi in larga misura realizzato con gli interventi per la ricostruzione, di cui si occuparono gli stessi ragazzi del piano.
Ma non è solo un ritorno. Mi pare evidente che, per un temperamento come quello di Roberto – un commis d’état che non ama la routine –, dev’essere irresistibile l’idea di ricominciare e di contribuire all’esperienza di una regione per tanti versi all’avanguardia, grazie anche all’altissimo profilo dell’assessore al territorio Angela Barbanente e al fascino del presidente Nichi Vendola.
La partenza di Giannì non è una notizia privata, né di poca importanza. Sono coinvolto – e me ne scuso, non mi succede quasi mai su queste pagine – ma non credo di cedere a sentimenti personali se scrivo che a Napoli finisce una stagione, nonostante tutto una bella stagione. Di cui Roberto Giannì è stato indiscusso protagonista. Mi riferisco agli anni dal 1993 a oggi, dalla prima amministrazione di Antonio Bassolino all’ultima di Rosa Russo Iervolino (in carica fino alla prossima primavera). Anni in cui è successo di tutto, dall’estate sfolgorante del G7, quando lo splendore della città conquistava le prime pagine dei giornali del mondo, all’orrore dei rifiuti e alle prime pagine di segno opposto. Una stagione lunga e contraddittoria durante la quale però un segmento dell’attività comunale, quello dell’urbanistica, ha tenuto il passo con coerenza, conservando uno standard eccellente. Dall’impostazione alla stesura del nuovo piano regolatore tutto all’interno degli uffici, dal progetto per Bagnoli alla tutela delle residue aree verdi, dallo studio delle tipologie dell’edilizia storica alla gestione dell’edilizia privata: sono queste le tappe di un percorso diverso da quello di Milano, Firenze, Roma, e della stragrande maggioranza delle città italiane grandi e piccole. A Napoli non comanda l’urbanistica contrattata, non sono praticate la deroga e altre scorciatoie, non esistono “atti negoziali” che prevalgono sulle norme di piano. Non ci sono scandali.
Se l’urbanistica è politica, il merito è indubbiamente dei sindaci e degli amministratori ma, si sa, i buoni risultati, e soprattutto quelli di lunga durata, si realizzano solo se procede perfettamente l’abbinamento fra il potere politico e quello specialistico. A Napoli ha funzionato mirabilmente. La riprova è che l’attività edilizia privata – che negli anni passati nella capitale del Mezzogiorno era quasi scomparsa, soverchiata dall’edilizia pubblica e da quella abusiva – si è moltiplicata in ogni settore urbano, dal centro storico alle periferie. E non si contano gli articoli e le dichiarazioni di costruttori e di esponenti del mondo imprenditoriale che apprezzano l’azione del comune.
Ho scritto che quella stagione adesso finisce. Farei un torto a Roberto se pensassi che dopo di lui il diluvio. Auguro a lui e a tutti noi, agli amministratori e ai ragazzi del piano ormai stagionati (qualcuno è andato in pensione) che a Napoli cominci subito un’altra bella storia. Però un’altra storia, quella di prima è finita.
Vedi anche l'intervista a Roberto Giannì e i materiali nella cartella " Una città un piano: Napoli