PerUnaltracittà, 7 novembre 2014.
Per l’attuale governo, Firenze ha costituito un fruttuoso banco di prova. Dal punto di vista politico: autocrazia, deliberazioni d’urgenza (quella per la pedonalizzazione di piazza del Duomo è ora all’attenzione della Procura), annichilimento del consiglio comunale, rottamazioni senza ricostruzione, svuotamento di senso della città pubblica, finta partecipazione e vere privatizzazioni; in una continua, colpevole frammistione tra pubblico e privato. Dal punto di vista urbanistico, il ruolo di anticipatore zelante delle scelte politiche governative permane, come dimostra, solo per fare un esempio, il riciclo dell’attuale sindaco come intermediatore immobiliare alle fiere internazionali del real estate (Monaco di Baviera, ma a breve Cina e Mipim di Cannes): Nardella, infatti, si dedica non solo alla promozione (di per sé vergognosa e penosa) dei migliori immobili pubblici in disuso o in dismissione presenti sul territorio comunale, ma soprattutto di quelli privati. Sui 59 edifici promossi sul mercato della speculazione fondiaria sotto l’egida del comune di Firenze, ben 47 sono infatti privati. Nel disastro della desertificazione della città storica attuatasi anche grazie al decentramento di università, tribunale e uffici, non pareva sufficientemente destrutturante svendere il patrimonio pubblico, ora il pubblico si incarica di vendere quello privato agognando un investimento immobiliare estero dal potere taumaturgico.
E così, per l’occasione, è stato redatto il dossier “Florence city of the opportunities” scritto nell’inglesorum del primo ministro. Ma non basta: il dossier è scaricabile dal sito “invest in Tuscany”, vetrina immobiliare della Regione Toscana dove si trovano, fianco a fianco, offerte di fortezze medicee, «ecowellness resort» nella campagna toscana e lotti edificabili in area industriale.
Torniamo al caso Firenze. Tra i 59 immobili della “brochure” si trovano architetture di pregio: il secentesco convento dei Filippini, ex tribunale in piazza San Firenze; le Poste di Michelucci; il convento di Monte Oliveto e la rinascimentale villa di Rusciano, entrambi in collina; il palazzo Vivarelli Colonna, sede dell’assessorato alla cultura, in piena città storica. E il teatro Comunale, per il quale le brochures ad speculationem (comunale e regionale) presentano già un progetto avveniristico di mini grattacieli sul corso Italia. Per inciso, voglio ricordare che il 27 dicembre 2013 (nei giorni tra Natale e Capodanno!), la Cassa Depositi e Prestiti Spa (su cui torneremo) si è prodigata in un tempestivo regalo al rampante sindaco sulla via di Roma, comprando per 23 milioni di euro (dopo aste andate deserte) proprio il teatro Comunale che ora si tenta di rivendere. I 23 milioni vennero immediatamente utilizzati per chiudere il bilancio comunale, evitando che si sforasse il patto di stabilità (CDP è affidabile: il 28 dicembre i 23 milioni erano già nelle casse comunali).
Come il teatro Comunale, le altre aree in catalogo avrebbero importanza vitale nel progetto futuro per la città: la Manifattura Tabacchi (88.687 mq), proprietà Fintecna, è in vendita con un progetto adottato che prevede (contro il volere dei comitati) due torri alte 53 metri in deroga al regolamento edilizio; le ex-Officine grandi riparazioni (55.000 mq) alle spalle della Leopolda; i 19.000 mq della Cassa di Risparmio all’ombra della cupola del Brunelleschi. Più di duecentomila metri quadri, pubblici e privati, solo nella cerchia trecentesca e nelle aree immediatamente limitrofe.
Eppure, tra il mantenimento della proprietà pubblica e la sua svendita ai privati, esisterebbero soluzioni intermedie, ad esempio nel segno dei commons, da sostenere con scelte politiche mirate: ad esempio, riversandovi il denaro delle spese militari o delle inutili grandi opere. In tal modo gli edifici – ancora pubblici – potrebbero ospitare centri di quartiere, edilizia sociale (vera), scuole, sale per assemblee (così rare nella Firenze post-renziana). Invece, un’analisi dell’oscuro – e illeggibile – decreto 133/2014 detto “Sblocca-Italia”, ora legge, evidenzia che l’«asse Firenze-Roma» (sul quale lugubremente puntava il programma elettorale nardelliano) è attivo e diretto verso ben altri lidi.
Ad esempio, l’art. 26 (Misure urgenti per la valorizzazione degli immobili demaniali inutilizzati) introduce modifiche sostanziali all’accordo di programma, che – ricordo – è una convenzione tra enti pubblici per la realizzazione di opere, la cui approvazione «comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle [...] opere» medesime (corsivo nostro, dl 267/2000, TU sugli ordinamenti degli enti locali, art. 34, c. 6). Ora, all’accordo di programma riguardante gli immobili demaniali inutilizzati, lo Sblocca Italia attribuisce anche valore di variante urbanistica (in modo da saltare le fasi di adozione, osservazioni, approvazione, etc., erodendo ulteriormente gli spazi di democrazia comunale). Su questi immobili il comune presenta un progetto di recupero, «anche attraverso il cambio di destinazione d’uso», al ministero cui è attribuito in uso il bene; è inutile dirlo: il progetto potrà derivare anche da privati «a seguito di ricerca di mercato». Sulla base della variante urbanistica così realizzata – in deroga alle leggi (perché di pubblica utilità) – l’agenzia del demanio procede all’alienazione. Ne deriva che uno strumento eminentemente pubblico, volto all’interesse generale, la dichiarazione di “pubblica utilità”, è impiegato per la speculazione privata.
A questo punto il cerchio si chiude: il comma 8 prevede infatti l’attribuzione di quota parte dei proventi derivanti dalle valorizzazioni/alienazioni degli immobili, proprio a quegli enti territoriali che hanno contribuito alla conclusione del procedimento. Dunque – nel nostro caso – al comune di Firenze e alla Regione Toscana spetterà una percentuale sulla vendita degli immobili in brochure, come agli agenti immobiliari, nel segno della regressione civile.
Ma c’è di più: a intorbidire le acque, l’art. 10 trasforma la Cassa Depositi e Prestiti estendendone il campo d’azione come ente promotore di iniziative private (ancorché «nei settori di interesse generale»), campo non più limitato a quelle pubbliche che in tal modo vengono rigettate in pasto al mercato (il tema è stato trattato esaurientemente da Luca Martinelli).
Ricordiamo come già il Piano strutturale fiorentino aveva posto nel sovrammondo della pianificazione le aree strategiche (Manifattura tabacchi, Panificio militare etc.), estrapolandole – con determina del sindaco – dalla normale gestione urbanistica e proiettandole su un binario preferenziale di deroghe, varianti e pubblico avviso. E come l’approvando Regolamento urbanistico richiami, nella forma e nella sostanza, le dette brochures.
Lo Sblocca Italia – all’insegna di urgenza e pubblica utilità, facendo leva sul mercato immobiliare, sul cemento e sulla rendita, in una fase storica in cui i valori degli immobili sono crollati, e in cui il finanzcapitalismo ha eliminato le merci dal ciclo di accumulazione – sottrae definitivamente all’autodeterminazione delle comunità locali, le aree inutilizzate o in via di dismissione, in specie quelle militari, così estese nelle città italiane il cui futuro disegno, fisico e sociale, proprio su quelle aree potrebbe far leva.
I metodi adottati sono improntati, da una parte, al neoliberismo (o paleoberlusconismo, come si legge nel Rottama Italia), ossia: deroghe, stralci, defiscalizzazione, sconti, esenzioni, silenzio-assenso. Dall’altra alla neoautocrazia (o paleofascismo): ad esempio nella generosa previsione di commissari straordinari (i “commissari straordinari per la rigenerazione urbana” previsti dall’art. 33 rammentano gli sventramenti di regime). Commissari che – L’Aquila insegna – corrispondono al trasferimento della potestà in materia urbanistica dall’ente locale direttamente al governo. Quando si dice potere esecutivo.
Intervento svolto a un incontro sul tema "Sblocca Italia, o il grande appetito", organizzato dal Laboratorio politico perUnaltracittà. Firenze, 7 novembre 2014