Gigi l’ho conosciuto trent’anni fa, quando cominciammo a occuparci del piano del comprensorio di Venezia e della laguna, ed ebbi il piacere di collaborare con Antonio Casellati, che del comprensorio era presidente, con l’attuale sindaco Massimo Cacciari e con altri illustri studiosi ed esponenti politici. Si stabilì fra Gigi e me un’intesa perfetta. Esisteva allora la deplorevole abitudine di assumere le decisioni relative alla vita pubblica in riunioni ristrette fra i vertici dei partiti locali, in particolare fra Psi e Pci. A Gianni De Michelis, che lo redarguiva per il mancato rispetto di qualche accordo relativo al piano comprensoriale, l’indimenticabile Gianni Pellicani rispose che l’inconveniente andava addebitato alla ferrea intesa fra Scano e De Lucia, più forte della disciplina di partito; e che non aveva argomenti per imporci regole che non condividevamo. Fu il viatico all’amicizia di una vita.
Da allora, siamo alla fine degli anni Settanta, fino alla sua scomparsa, non ci siamo più persi di vista e abbiamo continuato spesso a lavorare insieme, raggiungendo talvolta buoni risultati, altre volte siamo stati costretti a onorevoli sconfitte.
Gigi è sempre stato un lavoratore infaticabile. Basta dare uno sguardo al suo curriculum per rendersene conto, e mi auguro che sia possibile una raccolta critica dei suoi lavori, per rendere pubblici e disponibili testi secondo me di straordinaria qualità. Qui riesco a dar conto soltanto, e sommariamente – sono poco più che appunti e promemoria che spero possano essere sviluppati – di alcuni degli impegni di Gigi di cui sono stato in qualche modo partecipe o testimone. Tralascio qui il piano comprensoriale di Venezia, del quale lo stesso Gigi ha trattato magistralmente nel suo Venezia: terra e acqua. Per comodità espositiva tratto separatamente le attività condotte come impegno civico da quelle propriamente professionali. Ma tutti coloro che hanno conosciuto Gigi sanno che il suo agire professionale non è stato mai separato o separabile dall’azione politica e culturale.
Comincio dal rapporto di Gigi con le associazioni culturali. Subito dopo la deludente esperienza del piano comprensoriale di Venezia, si occupò a lungo dell’Istituto nazionale di urbanistica, nel cui consiglio direttivo nazionale fu eletto nel 1980 e confermato per oltre un decennio, svolgendovi un ruolo da protagonista, in particolare come coordinatore della commissione giuridica e quindi autore delle successive proposte di legge dell’Inu in materia di urbanistica o meglio, come si usava dire allora, in materia di “regime degli immobili”. All’inizio degli anni Novanta, com’è noto, nell’Inu cominciò a soffiare il vento del revisionismo, del riflusso accademico e corporativo, che spingeva su posizioni sempre più lontane da quelle che avevamo contribuito a definire negli anni precedenti (e che infine ha condotto l’istituto su un fronte collaterale a quello del governo Berlusconi). Decidemmo allora di abbandonare l’Inu e di fondare una nuova associazione “di tendenza”, non appesantita da problemi di gestione e di funzionamento. Nacque così, nel marzo del 1992, l’associazione Polis, la cui finalità è di “promuovere una disciplina del territorio fondata sull’assunzione degli obiettivi della tutela della sua integrità fisica e della sua identità culturale, e del conferimento a esso di più elevati caratteri di qualità formale e funzionale, quali condizioni per soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
Fondatori di Polis furono Roberto Badas, Silvano Bassetti, Felicia Bottino, Teresa Cannarozzo, Antonio Casellati, Antonio Cederna, Filippo Ciccone, Vezio De Lucia, Antonio Iannello, Edoardo Salzano, Luigi Scano, Walter Tocci, Mariarosa Vittadini. Gigi fu subito eletto segretario, con poteri quasi monocratici, e per un lungo periodo ha condotto l’associazione quasi da solo, scrivendo centinaia di documenti, appelli alle autorità, denunce, comunicati stampa. E ha ricominciato a proporre testi di legge in materia di urbanistica, a scala nazionale e regionale, molto spesso ripresi da parlamentari ambientalisti e di sinistra. La proposta di legge elaborata dagli amici di eddyburg sui principi nazionali in materia di pianificazione del territorio – presentata l’anno scorso da parlamentari di rifondazione e di altri partiti di sinistra – è l’ultima espressione delle sue impostazioni culturali e giuridiche.
L’indiscussa attitudine di Gigi “legislatore” va ricordata ancora per la collaborazione da lui fornita ad Antonio Cederna, parlamentare della sinistra indipendente dal 1987 al 1992, e all’associazione Italia nostra. Della consuetudine di lavoro con Cederna per fortuna lo stesso Gigi ha dato conto, in maniera molto puntuale, nel volume Un italiano scomodo. Attualità e necessità di Antonio Cederna, curato da Maria Pia Guermandi e Valeria Cicala (Bononia University Press, 2007). È l’ultimo suo scritto importante ed è una preziosa testimonianza dell’operoso sodalizio che si era stabilito fra Gigi e Tonino Cederna, in particolare su due testi di legge fondamentali: quello sulla difesa del suolo e quello su Roma capitale. Nello scritto di Gigi è ricordata e documentata accuratamente anche l’elaborazione della proposta di legge Cederna del 1991 per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna che però non riuscì neppure a iniziare il suo iter parlamentare. E Gigi ricorda altresì di non aver condiviso, e a ragione, il favore di Cederna per la legge del 1991 in materia di aree protette.
Scomparso Cederna, Gigi ha continuato a proporre testi di legge con Sauro Turroni, deputato e poi senatore verde, che ha scritto per l’incontro di oggi un bel ricordo dei loro rapporti politici, professionali e di amicizia.
Con Italia nostra, Gigi ha sempre collaborato, in particolare con la segretaria generale Gaia Pallottino, negli anni della presidenza di Desideria Pasolini dall’Onda. Furono organizzate anche iniziative congiunte Italia nostra – Polis. Importante soprattutto l’articolato di legge curato da Gigi relativo alla tutela dello spazio agricolo e naturale predisposto all’inizio del 2005 a conclusione di un ciclo di iniziative dell’associazione sul paesaggio agrario. La proposta, molto in sintesi, è basata sulla necessità di riconoscere la qualità di bene culturale al territorio non urbanizzato, sia in prevalente condizione naturale sia oggetto di attività agricola o forestale, inserendolo nella lista delle categorie di beni tutelati della legge Galasso. La proposta è stata successivamente ripresa nella già citata proposta eddyburg in materia di pianificazione del territorio.
Per ultimo va ricordato il contributo, molto apprezzato, di Gigi al comitato dei cittadini di Fiesole nel gennaio scorso, e poi al coordinamento dei comitati toscani presieduto da Alberto Asor Rosa.
Ed eccoci alle attività professionali. Solo per memoria ricordo il grande impegno di Gigi per la formazione del piano paesistico dell’Emilia Romagna, nella seconda metà degli anni Ottanta, quando era assessore regionale all’urbanistica Felicia Bottino. La prima collaborazione con chi scrive queste righe fu avviata, nell’ambito della direzione generale del Coordinamento territoriale del ministero dei Lavori pubblici. Gigi, insieme ad altri ricercatori (Filippo Ciccone, Maurizio Di Palma, Italo Insolera, Paolo Leon) condusse un’importante indagine sulle politiche di recupero che potevano essere concretamente promosse nei territori vincolati dalla legge Galasso. L’ambizioso obiettivo era di fornire elementi utili, non solo dal punto di vista delle metodologie di pianificazione e d’intervento, quanto per stimare le risorse necessarie, la loro allocazione e, soprattutto, l’impatto economico e sociale che si poteva prevedere, con particolare riguardo all’occupazione giovanile. Purtroppo i risultati furono disponibili troppo tardi, proprio mentre Giovanni Prandini metteva fine alla mia carriera ministeriale.
La tappa successiva si è sviluppata a Napoli, dove sono stato amministratore dal 1993 al 1997. Chiesi subito l’aiuto di Gigi, che si dedicò con passione ed entusiasmo a un lavoro oscuro, faticoso, non retribuito. Il comune di Napoli era stato dichiarato in dissesto, il che significa che ci era inibita qualsiasi spesa, operavamo in condizioni inverosimili, mancava tutto, gli uffici erano decimati dagli arresti, non sapevo di chi potevo fidarmi, non avevo un computer e scrivevamo a mano. Gigi dimostrò, insieme alle capacità già note, un’attitudine sorprendente e commovente a farsi carico di tutto. Stava a Napoli spessissimo, stabilì rapporti di eccellente collaborazione con i pochi, bravissimi, funzionari e operatori con i quali cercavamo di andare avanti. Ricordo un suo documento indirizzato al governo di lucida e feroce indignazione per l’annunciato condono del governo Berlusconi della primavera del 1994, documento che fu sottoscritto da molti amministratori di città grandi e piccole.
Ma soprattutto devo ricordare il suo impegno per il nuovo piano regolatore di Napoli al quale si dedicò senza risparmio, curando in particolare la nuova disciplina del centro storico. A questo proposito mi propose di chiedere l’aiuto anche di Edgarda Feletti, allora dirigente del comune di Venezia, che aveva mirabilmente curato la formazione del piano del centro storico, quando era assessore Edoardo Salzano. Fu scovata una norma che consentiva lo scambio di funzionari fra i comuni, che il sindaco Cacciari autorizzò subito. Mi impegnai in una sorta di dignitoso accattonaggio anche con altre amministrazioni comunali: allora per Napoli si mobilitavano tutti. Al duo Scano – Feletti si aggiunsero altre e molto qualificate collaborazioni: il ministero dei Beni culturali (che mise a disposizione l’ufficio statale per la pianificazione paesistica), la soprintendenza ai Monumenti di Napoli (che distaccò al comune Antonio Iannello), docenti universitari e studiosi di varie discipline. Gli architetti del comune ressero egregiamente l’impatto e in breve tempo padroneggiarono con sicurezza la metodologia dell’analisi e della classificazione tipologica degli edifici esportata a Napoli da Edgarda e da Gigi. E Gigi ha continuato fino all’ultimo a dare il suo generoso contributo per l’urbanistica napoletana.
Chiusa quell’esperienza, discutemmo molto del nostro futuro professionale e decidemmo di occuparci a tempo pieno di pianificazione del territorio, operando solo per la pubblica amministrazione. Concordavamo sul fatto che l’urbanistica, materia strettamente dipendente dalla politica, è essa stessa politica. Ma dire che l’urbanistica è politica, non significa negarne la specificità tecnica, o non riconoscere il valore dei suoi operatori. Il nostro lavoro non poteva essere paragonato a quello di qualsivoglia tecnico lottizzato.
Discutemmo a lungo dell’autonomia dei progettisti di un piano nei confronti della committenza pubblica, convenendo che rivendicare pregiudizialmente autonomia e libertà di decisione può essere un errore. Spesso irrimediabile. Ma errore opposto, forse ancora più grave e diffuso, sta nella concezione dell’urbanista come puro tecnico asservito alla politica, e quindi pronto ad assumere la “scelta politica” come salvacondotto per legittimare ogni tipo di operazione. L’unica garanzia, per evitare il naufragio sugli scogli dell’eccesso di disponibilità oppure su quelli opposti della malintesa autonomia, sta nell’essere portatori e garanti di una propria concezione etica, estetica e culturale, politica, se si vuole: questa è la linea che con Gigi abbiamo sempre condiviso. Una condizione rara, lo sapevamo bene, che si realizza solo quando la committenza pubblica è animata dalle stesse concezioni dei tecnici chiamati a collaborare.
È andata proprio così all’inizio della nostra attività in Toscana. Il piano territoriale di coordinamento della provincia di Pisa, poi quello della provincia di Lucca, il piano strutturale del comune di Pisa, quello del comune di Lastra a Signa (il cui sindaco Carlo Moscardini, stabilì con Gigi un bel rapporto umano e politico) e il piano del comune di Gavorrano: sono state esperienze indimenticabili, occasioni di incontro con amministratori e tecnici di eccezionale levatura morale e professionale, con i quali si è perfettamente realizzata quell’unità d’intenti politici, tecnici e culturali da noi auspicata.
Altri più recenti lavori in Toscana non sono andati a buon fine, come nel caso dei piani di Calenzano e Pontassieve. L’improvvisa scomparsa ha risparmiato a Gigi le polemiche e la tristezza della rottura intervenuta con i comuni del circondario della Val di Cornia, Piombino, Campiglia, Suvereto, luoghi della Maremma livornese di prodigiosa bellezza, dove si è allentato il tradizionale impegno pubblico per la tutela e per l’uso lungimirante del territorio.
Con Gigi abbiamo anche attraversato il Chiarone, tentando di operare nel Lazio e in Campania. L’esperienza che merita di essere ricordata è certamente il piano regolatore di Eboli, territorio di frontiera all’estremità orientale della sconfinata area urbana di Napoli. Dopo ci sono le terre spopolate del Cilento e della Basilicata. La vicenda del piano di Eboli è strettamente legata alla figura di Gerardo Rosania, sindaco della città dal 1997 al 2005. Noto per aver lottato senza tregua contro la speculazione malavitosa e per aver demolito, dal 1998 al 2000, ben 450 costruzioni abusive nella pineta demaniale, lungo la costa, superando difficoltà immani.
Fra Rosania e Scano si stabilì subito un rapporto diretto profondo e molto concreto, in particolare per quanto riguarda l’assetto del vasto territorio agricolo. A Eboli, come in tutti i comuni del Mezzogiorno, la campagna è considerata ormai solo come un vuoto da riempire. La devastante ideologia familistica dominante è fondata sul possesso o sull’aspirazione al possesso della casa in campagna. Rosania e Scano non cedettero di un millimetro rispetto all’obiettivo di riservare lo spazio rurale esclusivamente alla produzione agricola e il sindaco, pur amato e in precedenza mise a repentaglio la sua rielezione. Mi piace ricordare che Rosania in una pubblica occasione definì Gigi “un mistico della normativa urbanistica”.
Concludo ricordando che Gigi, a Eboli, organizzò anche, tramite l’associazione Polis, nell’ottobre del 2000, un bel convegno su Il governo pubblico del territorio e la qualità sociale. Nella sua non breve relazione introduttiva ritorna la passione politica e la dimensione politologica di Luigi Scano, che propone una sorta di riepilogo del suo pensiero, dal generale al particolare, dalla globalizzazione ai piani particolareggiati. La relazione è pubblicata su eddyburg. Qui mi limito a rendere omaggio a Gigi riprendendo solo tre sue definizioni.
L’ideologia della globalizzazione: “ha prodotto un comune sentire per cui quasi ogni aspetto della vita dell’umanità, e di ogni singolo individuo, appare determinato, e comunque dominato, dalle supposte «leggi naturali» dell’economia, concepita come una sorta di immane sistema neurovegetativo, nonché dalle altrettanto ineludibili e autoreferenziali esigenze della «tecnica» (oppure, in una visione minoritaria, e tutt’altro che autenticamente ed efficacemente antagonistica, da centri decisionali remoti, impersonali, irresponsabili)”.
La sinistra di governo:“immersa in un presente disancorato dalla storia, deprivatasi di principi e valori, ha finito con l’assumere come suo obiettivo una «modernizzazione» priva di qualificazioni, incapace di trasmettere messaggi significativi e di aggregare grandi interessi collettivi”.
Il ceto politico di centro sinistra: “privo di una vera identità programmatica, e di una robusta strategia, ha finito con il giocare di rimessa, facendosi sostanzialmente dettare l’agenda degli argomenti dagli avversari, e comunque da altri soggetti, nella presuntuosa e arrogante certezza di supplire a tutto con una superiore capacità tattica: riuscendo soltanto a dar prova di un tatticismo esasperato nel quale si manifestava l’assenza di maturate profonde convinzioni in merito a pressoché ogni argomento”.
Le tre definizioni citate rendono onore alla cultura e alla intelligenza di Gigi “vecchio liberale”, come amava definirsi, allergico ai luoghi comuni e alla ideologie vincenti. Bastian contrario per scelta filosofica ed etica.
Ha ragione Anna Renzini, Gigi, alla fine, si ritira nell’“impolitico”, Ma per lui la vita coincideva con la politica e forse è questa la ragione del suo essersene andato.