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Edoardo Salzano
La Laguna: La difesa difficile di un ambiente fragile
24 Giugno 2007
L'incontro a Ca' Farsetti (2007)
Perchè Gigi amava la Laguna. Per una biografia di Gigi Scano. Un seguace di Cristoforo Sabbadino. Per il ripristino dell'ecosistema lagunare. Gigi e NoMose

Rileggere il suo Venezia: terra e acqua[1], malauguratamente esaurito e mai ristampato, mi ha aiutato a mettere a punto le ragioni per le quali Gigi ha sempre avuto per la Laguna di Venezia un’attenzione particolare. Un’attenzione che aveva certamente una delle radici nel suo “essere veneziano”; non a caso, se non sapeva condurre un’automobile, e neppure una bicicletta, sapeva invece destreggiarsi con una sampierotta a motore tra rii e bricole in tutte le parti acquee del territorio veneziano. Ma un’attenzione che aveva le sue più profonde radici nelle passioni intellettuali di Gigi: quella per il territorio, per la ricchezza che esso nasconde e rivela, i rischi e i guasti che lo minacciano, e quella per le istituzioni, per la capacità (o incapacità) degli uomini a foggiare e a utilizzare gli strumenti mediante quali il territorio e la società che lo abita vengono governati.

L’attenzione per la Laguna era insomma determinata in Gigi dal suo essere urbanista e politico, dove a entrambi i termini si tolga, per poterli attribuire a lui, quel tanto di utilitaristico, di mercantile, di corrivo ai tempi e alle mode – in una parola, di opportunistico - che nei nostri anni hanno incrinato l’uno e l’altro termine, l’una e l’altra professione. E che non hanno mai scalfito – come sanno quanti lo hanno conosciuto – Luigi Scano.

La sua formazione giuridica[2] era il trait d‘union pratico tra quelle due competenze. Le regole sono infatti il modo nel quale l’urbanistica diventa efficace in un mondo dominato dalla dialettica tra il privatismo proprietario e l’interesse comune, e la loro formazione e gestione sono amministrate dalla politica.

Non a caso è dai luoghi della politica o ad essa vicini che il ruolo di Gigi per la comprensione prima e per la difesa poi della Laguna di Venezia si è esplicato. Come dirigente del Partito repubblicano di Ugo La Malfa e di Bruno Visentini, come consigliere comunale nei lunghi anni nei quali fu costantemente a fianco di Antonio Casellati e di Gianni Pellicani, come consigliere provinciale più tardi. Come puntuale fornitore di consigli e di critiche sempre. Ora che è scomparso moltissimi sono quelli che patiscono la perdita d’un consigliere sempre pronto ad aiutare, d’uno spirito vigile, informato e colto, sempre pronto a fornire una valutazione precisa, sicura, al tempo stesso equilibrata e netta.

Per una biografia di Gigi Scano

Quando qualcuno scriverà l’ampia biografia che merita sarà facile ricostruire il ruolo che Gigi ha svolto in tutte le fasi salienti del dibattito e dell’azione per la Laguna, per la sua comprensione e la sua difesa. Mi limito a ricordare qui alcuni momenti.

1967: Dopo lo shock dell’alluvione del 1966, la comprensione delle cause non naturali del disastro e la prima organica proposte di legge per Venezia e la sua Laguna

1971: le prime battaglie per la difesa dell’ambiente nella Laguna e la collaborazione con Casellati primo Assessore all’ecologia italiano

1973: Il dibattito che condusse alla Legge speciale del 1973 e agli Indirizzi governativi per la sua attuazione

1980: La redazione del “Piano comprensoriale della Laguna di Venezia e Chioggia”

Il rapporto Ripristino, conservazione ed uso dell'ecosistema lagunare veneziano

Le osservazioni del Comune di Venezia al Piano comprensoriale

1984: La “nuovissima” legge speciale

1990: La formazione della Città metropolitana

2000: La contestazione del Mose e del CVN

Un seguace di Cristoforo Sabbadino

Venezia: terra e acqua è una magistrale storia dell’urbanistica veneziana negli anni della Repubblica italiana, raccontata con abbondanza di dettagli e accurata indicazione di fonti. Ma la sua premessa, e il suo spirito, affondano le radici nella storia più antica. Il primo titolo di paragrafo del libro di Gigi è significativo: “Unde origo inde salus”. Il suo primo capitolo, dedicato alle trasformazioni e al governo del territorio nei secoli della Repubblica Serenissima, dà un ampio spazio a quell’animato dibattito che, nei primi decenni del XVI secolo, oppone le due concezioni tecnico-politiche contrapposte: quella di Cristoforo Sabbadino e quella di Alvise Cornaro. Cornaro proponeva un sostanziale interrimento della Laguna, Sabbadino una ricostituzione delle condizioni idrauliche che conservassero alla Laguna il suo carattere di mixitè salmastra: che salvaguardassero la Laguna in quanto tale. Le soluzioni tecniche erano finalizzate, dall’una e dall’altra parte, a due progetti strategici contrapposti.

“Allargato il dominio, e riconsolidato il controllo politico su retro terra dopo la crisi succeduta alla disfatta di Agnadello (1509), il governo della repubblica affronta globalmente il problema della sistemazione idrografica dell’intero territorio e della salvaguardia della condizione lagunare. La vicenda è indissolubilmente legata alle memorie ed alle polemiche di Cristoforo Sabbadino, tecnico ufficiale dello stato, e di Alvise Cornaro, patrizio padovano. Ed occorre tener presente che «pronunciarsi, nel periodo in cui essi operano, con un progetto di sistemazione idraulica della laguna, basato su di una teoria organica e convincente, significa anche pronunciarsi indirettamente a favore di ideali di sistemazione economica e politica della Dominante che al rapporto tra laguna e terraferma sono legati; significa ad esempio non poter non prendere posizione nel confronto tra 1 ragioni del mare, e quindi della mercatura, e quelle della campagna, e quindi del retrazar, cioè delle bonifiche, ragioni che, non sempre conciliabili nell’indirizzare gli investimenti di capitali, lo sono ancor meno nel far scegliere l’una o l’altra ipotesi di intervento tecnico per la salvaguardia della laguna. Ciò che rende particolarmente interessante il contributo del Sabbadino e del Cornaro è che esso è caratterizzato da uno sforzo, assai difficilmente rintracciabile in altre trattazioni tecniche contemporanee, per tradurre queste ragioni in ragioni teoriche, scientifiche, nello scopo di fondarle sull’oggettività e l’inattaccabilità Nella loro opera fondamentale è la concretezza delle proposte, sorrette da altrettanto concrete motivazioni politiche ed economiche, che costringe però al superamento della semplice e che lascia ogni valutazione in balia dell’occasionalità in favore dell’astrazione come processo razionale di anticipazione e di verifica (Sergio Escobar)”[3] ».

Come Gigi ricorda fu l’impostazione di Sabbadino che prevalse, “non senza smagliature e compromessi”. Si può dire che quella impostazione fu l’ “origo”, l’origine e la matrice, dell’ideologia sulla Laguna e il suo governo che Gigi costantemente condivise, in tutti i momenti e gli eventi che lo condussero ad occuparsi della Laguna.

Nella stringatissima sintesi di Gigi, Sabbadino

“propugna interventi volti a restituire alla laguna la sua massima capacità di funzione, garantendone l’intangibilità della massima estensione (il «soracomun», o «acqua alta», sostiene infatti, va crescendo non a causa dell’«alciamento» del mare, ma in conseguenza del restringimento del bacino derivato dalla sedimentazione degli apporti solidi dei fiumi), deviando, con opere in profondità nell’entroterra, i fiumi fuori dalla laguna, proteggendo i lidi, rimuovendo ogni ostacolo che impedisca l’ingresso e l’espansione dell’acqua del mare in laguna.”[4]

Per il ripristino dell’ecosistema lagunare

Questa concezione della Laguna nacque in Gigi all’indomani dell’alluvione del 1966. Superato lo shock iniziale e la fase della protesta e della lamentazione contro la natura matrigna, fu nella pattuglia di quanti compresero che era nelle manomissioni e privatizzazioni della Laguna la ragione del suo irrimediabile degrado. La lotta contro il “canale dei petroli” e l’attuazione della Terza zona industriale fu la prima conseguenza di quella comprensione. Ma subito trascese quel momento ed elaborò (come ricorda Toni Casellati) una prima proposta legislativa, coerente con l’esigenza di un governo pubblico unitario della Laguna, gestito dai comuni e dallo Stato, sorretto da una pianificazione complessiva del territorio lagunare.

La concezione ecosistemica della Laguna maturò poi in Gigi, e trovò la sua piena espressione e consapevolezza, in relazione a due eventi ai quali partecipò molto attivamente: la formazione del “Piano comprensoriale della Laguna di Venezia e Chioggia”, la redazione del rapporto Ripristino, conservazione ed uso dell'ecosistema lagunare veneziano. Questi eventi lo sollecitarono ad agire su due versanti strettamente legati dei suoi interessi: quello della sostanza delle questioni (raramente ho conosciuto un politico che come lui privilegiasse i contenuti rispetto a tutte le altre dimensioni del potere), e quello delle forme di governo.

La salvaguardia della Laguna, la messa in valore e la ricostituzione delle qualità (naturali, storiche, fisiche, sociali, estetiche, economiche) di cui essa è intessuta, ha costituito l’obiettivo finalistico della sua azione per la Laguna. La rivendicazione del carattere di bene comune che la Serenissima aveva saputo privilegiare per secoli ha costituito il legame con la soluzione amministrativa che tenacemente ha propugnato. L’unità del governo della Laguna e del suo territorio è stato l’obiettivo strumentale, fortemente legato alla sua formazione giuridica e ai ruoli politici che volta per volta ha ricoperto.

Gigi fu molto duttile nel condividere, volta per volta, la formula che consentiva (o che sembrava poter consentire) un governo unitario del bacino lagunare. Era consapevole della debolezza di una formula (quella del Comprensorio di comuni come ente elettivo di secondo grado) che fu assunta dalla legge speciale del 1973 per la formazione del piano comprensoriale. Tuttavia si adoperò con passione perché quella indicazione divenisse efficace, perché all’organismo del Comprensorio della Laguna di Venezia e di Chioggia si desse vita, perché il Piano comprensoriale fosse redatto, adottato, approvato. Lavorò dentro la struttura del piano comprensoriale, e ai suoi fianchi per adottarlo (un giorno bisognerà raccontare anche il gustoso aneddoto della sua azione su Gianni Pellicani, e di questo sui socialisti del PSI, perché si giungesse al’adozione), e per migliorarlo quando fu adottato (la corposa osservazione del Comune di Venezia è stata materialmente stesa da lui).

Seppellita sotto la mancata approvazione regionale l’efficacia del piano comprensoriale Gigi continuò ad agire per un governo unitario del bacino lagunare, appoggiandosi sempre alla sponda di autorevoli uomini di governo: comunisti come Gianni Pellicani e repubblicani come Bruno Visentini. A proposito della sua costante collaborazione con i primi, con gli uomini del PCI, Massimo Cacciari fece circolare una battuta spiritosa e verace, che a Gigi provocò irritazione: lo definì “il centro studi del PCI”. Gigi era davvero uno di quegli uomini votati alla politica che pongono al centro di questa specifici obiettivi di contenuto.

La soluzione verso la quale si lavorò allora per individuare una unità di governo adeguata fu quella della “città metropolitana”. L’apporto culturale di Gigi alla maturazione che condusse alle “Ordinamento delle province e dei comuni”, la legge 142/1990 non fu marginale. Una legge alla quale del resto contribuirono attivamente personaggi della vita politica veneziana oltre che nazionale, come Lucio Strumendo e Adriana Vigneri. Una legge nella quale l’inserimento di Venezia tra le 13 Città metropolitane fu merito soprattutto di Gianni Pellicani, di cui Gigi rimase eccellente e fraterno collaboratore fino alla fine. (E devo dire che l’assenza di Gianni in questo luogo e in questo momento è per me ragione di tristezza).

Il profondo convincimento di Gigi della necessità di un governo unitario della Laguna fu anche la ragione per la quale egli si oppose, anche con la violenza polemica a volte esagerata che gli era propria, a ogni iniziativa per la divisione del Comune di Venezia, che non fosse preceduta, o almeno inquadrata, in un sistema unitario di governo quale quello che, volta per volta, poteva venir assicurato dal Comprensorio o dalla Città metropolitana.

Che il governo unitario dovesse avere quale suo oggetto principale la Laguna, e non il tessuto di più ampie, mutevoli e sfuggenti relazioni socioeconomiche, fu poi uno dei motivi di fondo dell’altro suo versante polemico: quello che lo ha contrapposto ai propugnatori di PaTreVe: a quanti, all’unità del bacino lagunare, opponevano l’alternativa di un’ “area vasta” comprendente, oltre Venezia, anche Padova e Treviso (e perché no anche Vicenza, e magari Verona?). Non solo contravvenendo in tal modo alla ratio e alla prescrizione della legge 142/1990, ma anche portando fuori dalla Laguna, e fuori dalla conservazione del suo ecosistema, l’interesse principale e i principali obiettivi dell’azione di governo.

Gigi e NoMose

Le polemiche e le critiche sulle forme di governo dell’area della Laguna non sono però paragonabili, per asprezza d’espressioni e per profondità d’impegno, a quelle rivolte verso il Consorzio Venezia Nuova e il suo progetto MoSE. Gigi non era pregiudizialmente ostile alla previsione, e alla successiva progettazione e messa in opera, di opere di sbarramento mobile alle bocche di porto. E neppure era pregiudizialmente contrario all’impiego dell’impiego del sistema della concessione per singole componenti di un generale progetto di ripristino dell’equilibrio lagunare. Basta leggere la parti del suo libro dedicate ai diversi momenti nei quali degli interventi in Laguna si discusse, a partire dall’indomani dell’alluvione del 1966, per rendersene conto.

Divenne un tenace e irriducibile avversario del CVN e del MoSE per due aspetti fondamentali.

In primo luogo, quando ci si cominciò a rendere conto che il modo nel quale il progetto veniva definito e attuato contrastava pienamente con le regole che, dai tempi della Serenissima, venivano applicate. Quelle regole basate sul riconoscimento del carattere proprio e unico della Laguna, del delicatissimo e fragilissimo equilibrio tra forze della natura e intervento dell’uomo che ne aveva garantito la sopravvivenza. Quelle regole negate dalle operazioni avviate alla caduta della Repubblica: quando le logiche e le tecniche ottocentesche avevano promosso la privatizzazione e l’interrimento di parti consistenti della Laguna e provocato l’irrompere delle grandi opere canalizie nel delicato tessuto delle variegate forme della terra/acqua veneziana; quando la manutenzione quotidiana e il monitoraggio continuo erano stati abbandonati; quando, in sostanza, erano stati infranti i tre principi della sperimentalità, gradualità e reversibilità di ogni intervento in Laguna. Principi che Gigi contribuì a inserire nella legge speciale del 1984, e che sono ogni giorno vistosamente disattesi dalle pratiche in atto.

Visione meramente ingegneristica, polarizzazione di tutto l’impegno sulle grandi opere cementizie e acciaiose alle bocche di porto, assunzione di tecniche hard anche per le più delicate operazioni sulle componenti più fragili della Laguna, abbandono della visione olistica degli interventi necessari, trattamento dell’ecosistema lagunare come un qualsiasi indifferenziato bacino acqueo: queste sono le critiche principali che Gigi muoveva all’operato del CVN, alla logica e alla concezione di fondo dei suoi interventi. Ne troviamo una sintetica espressione nella relazione della proposta di legge di Antonio Cederna (largamente dovuta al pensiero e alla penna di Gigi) per Venezia e la sua Laguna, presentata nel 1983. Nell’individuare le cause dell’inefficacia dei provvedimenti della legge speciale del 1973 si afferma che

“la ragione prima ed essenziale del procedere inceppato e sussultorio delle azioni e degli interventi […] risiede nel non compiutamente risolto confronto tra due approcci, due modelli, due logiche. Semplificando al massimo: tra una logica sostanzialmente meccanicistica, che tende a isolare i problemi (o tutt'al più a riconoscere tra essi nessi estremamente semplificati) e a dar loro soluzioni indipendenti e fortemente ingegneristiche, e una logica, per così dire, sistemica, che chiede di evidenziare le correlazioni tra tutte le dinamiche in atto, e quindi tra tutti i problemi da affrontare, e pertanto pretende una predefinizione globale, e costantemente ricalibrabile, di tutti gli interventi e le azioni da prevedersi, per collocarle in sequenze temporali che ne garantiscano ed esaltino le sinergie positive”[5].

Ma ciò che soprattutto lo indignava era la sistematica violazione della legalità e lo stravolgimento del sistema dei poteri che la concessione statale al consorzio di imprese aveva determinato. Durissime le sue critiche al sistema della “concessione unica” dello Stato al Consorzio Venezia Nuova; asperrime le proteste per il suo permanere quando la legge ne prescriveva il superamento.

In un articolo scritto per eddyburg, in replica ad talune affermazioni del ministro Lunardi, ricorda innanzitutto che il Parlamento

“aveva deciso di superare radicalmente il sistema della ‘concessione unica’, dello Stato al Consorzio Venezia Nuova, di ogni competenza afferente agli studi, alle ricerche, alle sperimentazioni, alla progettazione degli interventi, alla realizzazione delle opere, riguardanti il riequilibrio idrogeologico della laguna di Venezia, l'arresto e l'inversione dei processi di degrado del bacino lagunare, la difesa degli insediamenti urbani lagunari dalle ‘acque alte’ eccezionali. ‘Concessione unica’ che era stata, inizialmente, conferita in base alla legge 29 novembre 1984, n.798,, e grazie alla quale un consorzio di imprese di diritto privato è divenuto, grazie alle enormi risorse (erogategli dallo Stato) di cui poteva disporre, padrone pressoché incontrastato degli studi attinenti la Laguna veneziana, della progettazione delle opere da effettuarsi in essa, del controllo della validità dei primi e della seconda, asservendo, in termini addirittura patetici, ai propri obiettivi e ai propri interessi, gli organi decentrati (il Magistrato alle acque di Venezia) e quelli centrali delle amministrazioni statali”.[6]

Approvata la legge il governo avrebbe dovuto dare attuazione al suo dettato. Ma così non fu, denuncia Gigi:

“Per il vero, nell'immediato il Governo (Ciampi) ottemperava alla volontà e al mandato del Parlamento, ed emanava il decreto legislativo 13 gennaio 1994, n.62. Alle cui disposizioni più di un Ministro avrebbe dovuto, conseguentemente, dare concreta attuazione, con propri atti. Cosa che i Ministri interessati, facenti parte del Governo (Berlusconi) nel frattempo subentrato, si guardavano bene dal fare: senza, se vogliamo dirla tutta, essere richiamati a compiere il proprio dovere né dalla Regione Veneto (governata dal centrodestra), nè dalla Provincia di Venezia (governata dal centrosinistra), né dal Comune di Venezia (governato dal centrosinistra), né dal Comune di Chioggia (governato prima dal centrodestra e poi dal centrosinistra).” [7]

E dopo il primo governo Berlusconi? Nessun subentrante governo intervenne. Prosegue Gigi:

“[…] le citate disposizioni di legge non sono mai state abrogate, per cui del relativo inadempimento potrebbero essere chiamati a rispondere i competenti Ministri degli ulteriormente subentrati Governi Prodi, D'Alema, Amato, e nuovamente Berlusconi, e se si vuole nuovamente Prodi. Chiamati a rispondere come? Se un impiegatucolo dell'anagrafe comunale si rifiuta di consegnarmi il certificato di nascita commette il reato di omissione di atti di ufficio, ed è passibile delle sanzioni di cui al relativo articolo del codice penale. Se un generale compie atti contrari alla volontà espressa dal Governo, o non provvede a quanto dallo stesso Governo ordinatogli, è definito (anche dai media) ‘fellone’, ed è passibile delle sanzioni, variabili in rapporto alle diverse fattispeci concrete, di cui ai relativi articoli del codice penale militare (di pace o di guerra). E se un Ministro (cioé un componente di quello che il notorio estremista Charles-Louis de Secondat barone de La Brède e de Montesquieu ha definito come ‘esecutivo’) omette di ‘eseguire’ ciò che è stato deciso dal Parlamento (cioè da quello che lo stesso pericoloso sovversivo francese ha chiamato ‘potere rappresentativo’, della volontà popolare democraticamente espressasi)? Si ‘lascia perdere’? si ‘chiude un occhio’? questo sì a me pare porre il problema ‘necessario e urgente’ di ‘un approfondimento concettuale su cosa sia la democrazia in un Paese civile’!”[8]

Allarme per le condizioni fisiche e funzionali di quell’impareggiabile bene comune dell’umanità costituito dalla Laguna di Venezia; allarme per le deriva cui era (ed è ancora) sottoposto il sistema di potere democratico: queste le due maggiori preoccupazioni di Gigi, e di quanti come lui, e insieme a lui, continuano a gridare NoMose, a un’opinione pubblica sempre più distratta, fuorviata e disinformata, e a un establishment che conosce tutti gli slogan e tutte le vie dell’immaginario, ma non è più capace di studiare i problemi nel loro merito e di valutare oggettivamente le soluzioni e i loro costi, per la generazione attuale e per quelle future.

[1] Luigi Scano, Venezia: Terra e acqua, Roma Edizioni delle autonomie, 1985. Gli amici di Gigi sperano di riuscire a rieditare il libro, con una raccolta di prenotazioni e il sostegno del Comune di Venezia.

[2] Gigi aveva completato gli studi giuridici all’Università degli studi di Padova. Non raggiunse la laurea proprio per colpa del suo libro e dei cattivi consigli di alcuni amici (tra cui l’autore di queste note) Infatti quel libro era in origine la sua tesi di laurea. Lo convincemmo a pubblicarlo come contributo alla campagna elettorale amministrativa del 1985, quindi non potè utilizzarlo per il fine originario. Il tempo passò, altri impegni lo assorbirono e …

[3] L.Scano, Venezia: terra e acqua, p. 18.

[4] Ibidem, p. 19

[5] Si veda il saggio di L. Scano “In Parlamento: un’eredità da raccogliere”, in Un italiano scomodo. Attualità e necessità di Antonio Cederna, a cura di M. P. Guermandi e V. Cicale, Bologna BUP, 2007, p. 153 e segg.

[6] http://eddyburg.it/article/articleview/7446/0/178/

[7] Ibidem.

[8] Ibidem.

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