Dei diversi filoni dell'urbanistica di certo il progetto territorialista costituisce uno dei più consistenti, come dimostrano sia le convergenze a mano a mano emerse con altri campi della ricerca (dalla sociologia alla botanica, dall'agraria all'economia), sia l'attuale proposta di costituire in questo ambito una associazione internazionale di studi multidisciplinari. Già diversi volumi sono stati pubblicati su questo tema, ma il più recente - Scenari Strategici. Visioni identitarie per il progetto di territorio, Alinea, 2007, pp. 465, euro 45 - presenta elementi di nuovo interesse, perché fornisce indicazioni precise nell'evoluzione verso la sostenibilità, che rispondono in modo eloquente alle inadeguatezze della politica istituzionale rispetto alla questione climatica e offrono possibili soluzioni alle aporie dello sviluppo in termini di fruizione sociale dei valori e dei caratteri dei luoghi.
Scrive nella introduzione il curatore del volume, Alberto Magnaghi, fondatore della «scuola territorialista italiana»: «Negli scenari che popolano questo volume ... e si pongono come snodo strategico tra la ricognizione rappresentativa del patrimonio territoriale e il progetto di territorio, a partire dall'incontro fra saperi tecnici e conoscenze contestuali si può verificare un atto creativo olistico, tipico del procedimento artistico».
In questa affermazione emergono evidenti alcune tracce del bagaglio dello stesso Magnaghi, specie della sua formazione giovanile negli ambienti dell'architettura milanese degli anni Sessanta, in cui era forte il senso della cultura visiva come elemento di comunicazione e di qualificazione sociale dello stesso progetto edificatorio. Non a caso nella prefazione all'edizione francese del Territorio dell'Architettura di Vittorio Gregotti, Umberto Eco ricordava «l'ideale di un progetto totale che investa la società a ogni livello e di cui l'architettura sembra essere la via maestra». E a proposito di Gregotti, Eco notava come «l'architetto milanese... riflette l'ideale rinascimentale dell'intellettuale completo, che cerca di armonizzare attraverso il proprio progetto tutti i problemi e tutte le risposte della cultura del suo tempo».
Sono parole che potrebbero valere anche per i contesti interessati dagli scenari del progetto territorialista, all'interno dei quali si saldano rimarchevoli risvolti comunicativi e figurativi (sottolineati da Patrizia Gabellini in uno dei saggi di commento) e approdi più marcatamente strutturalisti - in senso sociopolitico - probabilmente derivati dalle esperienze operaistiche, ormai lontane ma indimenticabili, di Magnaghi. Ne scaturisce una proposta urbanistica fortemente incardinata sulla dialettica tra caratteri e valori del patrimonio e istanze sociali.
Vengono così richiamate le tre caratteristiche indispensabili per un progetto edificatorio - la venustas, la firmitas, l'utilitas - che nel programma territorialista si declinano in una prospettiva più ampia, di osservazione dello stesso corpus territoriale. Secondo tale orientamento la firmitas richiama la consistenza ambientale e la qualità ecologica del territorio, la venustas può coincidere con la qualità estetica del paesaggio da tutelare nel presente e da riproiettare nei caratteri percettivi di un insediamento cui, troppo spesso, si deve ridare senso, vista «tutta la schifezza realizzata nella seconda parte della modernità» (parola di Renzo Piano) e infine l'utilitas attualizza le istanze di equità progressive, tipiche dell'urbanistica.
Si comprende, quindi, l'importanza del luogo nello scenario territorialista. I progetti presentati all'interno di Scenari strategici propongono, sulla base di una comune attitudine ecomorfologica, metodi e tecniche di lettura differentemente articolati a seconda che ci si occupi della valorizzazione sostenibile della città media toscana (David Fanfani e Fabio Lucchesi), della città lineare costiera e di valle ligure (Mariolina Besio), della città diffusa milanese (Giorgio Ferraresi), delle contraddizioni dei contesti siciliani tra orridi abusivismi e brani di alta qualitò paesaggistica (Bernardo Rossi Doria), della marginalità urbana di immigrazione nel ravennate (Alberto Tarozzi).
Ma la raccolta di saggi curata da Magnaghi propone anche alcune riflessioni su una serie di nodi che rivestono un ruolo cruciale anche al di fuori del programma territorialista. La tendenza alla liquefazione sociale delle comunità di abitanti, su cui si sofferma in questi anni tanta letteratura socioantropologica (Zygmunt Baumann, per molti) può mettere in crisi la centralità della partecipazione e quindi l'intera armatura politica territorialista. Tuttavia lo stesso Baumann ha segnalato le potenzialità dei segmenti di nuove formazioni sociali che si riconoscono - quasi sempre casualmente - intorno al comune sentire dei valori patrimoniali, fino a formare «nuovi intrecci» socio-culturali. I conflitti suscitati dai grandi interessi del capitale globalizzato, allorché esso «atterra» su luoghi le cui caratteristiche contrastano con i relativi progetti possono - sempre secondo Baumann - accelerare la formazione di tali nuove «comunità di abitanti». In effetti la Val di Susa - così come i sempre più numerosi contesti europei e americani (e non solo), in cui le formazioni locali si riconoscono intorno alla difesa del territorio - muovono nella direzione indicata dal sociologo polacco e attualizzano la stessa figura dell'abitante, centrale nello scenario territorialista.
Altrettanto importante è il superamento del concetto di sviluppo sostenibile. A questo proposito, Serge Latouche denuncia - sia pure affettuosamente - la caduta di Magnaghi nella «trappola dello sviluppo locale», proprio quando - non solo secondo lo studioso francese - non c'è bisogno di alcuna nuova forma di crescita. Lo studio sugli scenari chiarisce che «sviluppo locale autosostenibile» è poco più di un artificio linguistico per una sostenibilità sociale ridisegnata attorno alla centralità del patrimonio territoriale. E come hanno colto tra gli altri Mimmo Cersosimo e Osvaldo Pieroni, la strutturazione economica è una conseguenza di questo assetto più che un obiettivo intenzionalmente conseguito.