La storia delle parole è una cosaseria. «Riforma», per esempio,è una parola che ha avutoun destino miserando, comequegli attori o calciatori un temporicchi e famosi e di cui poi si vienea sapere che sono morti in miseria,soli e malati. Una volta, «riforma» era l’alter ego della «rivoluzione», cioè un altromodo, progressivoe progressista, pacifico e per viaelettorale, di cambiare la societànel senso della giustizia sociale. Poi se n’è impadronito il Fondomonetario internazionale ed è finitacome sappiamo: anche la distruzionedell’articolo 18 dello Statutodei lavoratori è una «riforma».Non parliamo nemmeno di «comunismo», correntemente sinonimodi totalitarismo. Ad indagare le correntidi senso che hanno fatto slittarei significanti, i contenitori, versoun significato opposto, c’è da divertirsi. Specialmente se questi slittamenti sono occultati.
Credo sia questo il rovello che haspinto Piero Bevilacqua a scrivereElogio della radicalità (Laterza, pp.184, euro 16). Perché ne aveva le taschepiene di sentir lodare da ognipolitico e da ogni televisione il «moderatismo» comevirtù suprema dellapolitica e dell’economia, quellacosa che spintona chiunque si affaccisulla scena politica verso il mitico«centro», quel luogo in cui è sufficientenon far nulla, cioè lasciareche le cose vadano per il loro verso(quello che la finanza vuole), per tirarsu reti piene di voti guizzanti.Non so se Bevilacqua gradirà,mail suo libro l’ho letto provando il gustocrescente della rivalsa, com’è tipicodi quello che un tempo si chiamavaun pamphlet - un’invettiva -piuttosto che con la calma riflessivache un saggio sa suggerire. Del resto,ricordo un articolo di un paiodi anni fa o tre, di Bevilacqua, mi parefosse il 2008 dell’inizio della crisidei «subprime» negli Stati Uniti, incui, con vigore polemico e abbondanzadi argomenti, si chiedevaconto agli «economisti»degli esitidel loro intollerante dominio, taleper decenni da svuotare dall’internoe riempire di parole contraffattee di razionalità economica dementele università e i centri di ricerca,la produzione culturale e i talkshow: perché - chiedeva - non fateammenda?
Non fanno ammenda per niente.Se gettate un occhio a Ballarò, la trasmissionedi Rai3, troverete che siedeimmancabilmente tra gli ospitiun o una economista, che con ariaastratta, come di chi non debbamai dubitare di sé, esibiscono la loromoderazione ed enumerano i«fondamentali dell’economia».Moderazione? Perché - si chiedeBevilacqua - chiamare in questomodo l’estremismo, il fondamentalismoeconomico che ha ridotto ilmondo nello stato in cui è? «La crisiattuale - scrive - ci spinge (...) a porcila domanda fondamentale: i duepilastri storici del consenso capitalistasu gran parte della società sonoancora in piedi La liberazione dell’individuoe la prospettiva di un incrementoillimitato e crescente dellaprosperità sono sempre gli elementichiave di una narrazione capace ancora di persuadere e sedurre?».
La risposta, parrebbe, è cheno, questa narrazione non reggepiù se non camuffandosi da destinoinevitabile, da realismo, da«moderazione», appunto: «Sotto ilprofilo culturale, il moderatismooggi rappresentra la perpetuazionedi un conformismo ideologicoche è fra i più vasti e totalitari chel’umanità abbia mai conosciuto.Esso si fonda interamente, malgradoi vari scongiuri di rito, sul ’sensocomune’ neoliberista: un insiemedi convinzioni dottrinarie frale più estremiste».
Alla semplice domanda se sia ragionevolecredere che saccheggiandoi redditi dei cittadini e allo stessotempo saccheggiando il territorio sigettano le basi per la «crescita», nessunministro«tecnico» è in grado didare una risposta. Perché banalmentenon è pensabile. Così che ilsenso comune delle persone normalidiverge bruscamente dal sensocomune dei «decisori» economici,ormai i soli abilitati a guidarel’autobus su cui tutti noi siamo seduti.Ed è in questo scarto che il panoramache Bevilacqua traccia nellibro inserisce la sua proposta: «Occorrecapovolgere il significato delleparole. Un ideale di generale ’moderazione’(...) è diventato, nel girodi qualche decennio, la prospettivadi un progetto rivoluzionario. (...)Qual è infatti oggi la finalità supremadei disegni più radicalmenteeversivi dell’attuale assetto disordinatodel mondo? A cosa ambisconoi molteplici soggetti e movimentiche mirano a sovvertire l’ordine capitalistico?
È la prospettiva di unasocietà sobria, che ponga fine al consumismosmisurato, alla bulimia distruttivadi territorio e risorse, all’affannodella crescita infinita (...)? Acosa aspirano i sostenitori della decrescita,del buen vivir, di Slow Food,del Take Back Your Time e delDownshifting americani, deimovimentiche rivendicano i beni comuni?Essi chiedono l’avvento di unasocietà conviviale, come la profetizzavaIvan Illich».Beninteso, queste affermazionisono confortate da Bevilacqua conanalisi, ragionamenti, citazioni (diun Marx molto diverso da quellodeimarxisti anchilosati), e in generaleda una prosa che rende la letturadel libro piacevole almenoquanto quella dell’ennesimo gialloscandinavo di consumo. Già, quisi sta consumando un criminemoltoefferato. Tutti noi possiamo diventaregli investigatori che mettonoil colpevole in condizione dinon nuocere più.