Il manifesto, 29 settembre 2015
Ingrao ha impersonato i nostri ideali. Tutti. Li ha analizzati, approfonditi, discussi. Ne ha misurato la concretezza, l’attualità, l’assunzione da parte delle masse, la resistenza alle offese che l’ideologia del capitale andava muovendo per distorcerne il senso e per sradicarli dalle coscienze. Non si è mai arreso ai dubbi che muoveva a se stesso ed aprendosi agli altri e mai attenuando o precludendo il suo pensare ed il suo fare di militante,di dirigente, di comunista.
Ha voluto sempre sentire, capire, scrutare, criticamente anche quanto a presupposti, tradizioni, metodi, prima di indicare, insegnare, condurre singoli e masse. E capire era per lui penetrare nella realtà dei rapporti umani, cominciando da quelli di produzione e cogliendone ogni prosecuzione, ogni effetto immediato e protratto a qualunque altezza e in quale dimensione si collocasse, qualsiasi suo profilo potesse rilevare sulla condizione umana nell’età del capitalismo
Del più alto valore è stata la concezione della democrazia che Ingrao ha definito e per cui ha combattuto. Sostenendo che «il voto non basta». E «non basta» infatti nei regimi che ne isolano la rilevanza e ne limitano il potere reale di incidere direttamente o indirettamente sui rapporti di potere economico, oltre che di quello sociale e di quello politico.
Tanto meno nei regimi che ne distorcono gli effetti deviandoli da quelli autenticamente rappresentativi. Né basta se non collegato ad altri istituti di partecipazione diretta alla dinamica politica. Sostenendo poi la coordinazione di tutte le assemblee elettive come condizione e strumento di una democrazia che pervada l’intera complessità istituzionale della aggregazione umana a forma stato. Sostenendo, infine, con grande lucidità ed eguale fermezza la necessità di opporsi alla decadenza di civiltà politica, culturale e morale che andava maturando in Italia con la criminosa prospettiva di un uomo solo al comando.