In pochi anni abbiamo assistito al graduale smantellamento di un'équipe, quella che componeva Radio Tre, che ci portava in tanti a vivere le nostre giornate accompagnate dai suoi programmi, con la radio sempre accesa.
Assistiamo a questa procedura perversa per cui quando una trasmissione ha successo, è seguita e amata, in breve viene sospesa e allontanati i redattori, gli animatori, quelli che ne avevano costruito la forma, il contenuto e il successo. Fatto sta che i migliori scompaiono. Il risultato è che l'intero palinsesto di Radio Tre ha perso senso.
Erano trasmissioni dietro le quali si sentiva la passione di un gruppo di persone capaci: ogni trasmissione sembrava legata all'altra da un progetto generale e vasto, ogni notizia si collocava all'interno di un discorso trattato via via da esperti, ma sempre con un occhio all'informazione puntuale, attuale, con riferimenti al mondo circostante.
Ora per esempio: la trasmissione Il terzo anello è diventata l'intelaiatura di tutta Radio Tre su cui si incastonano gli altri programmi, occupa fra gli altri il tempo prima dedicato alla musica classica da Mattino Tre. Questa trasmissione l'ascoltavo con vero piacere mentre guidavo per l'interminabile cammino verso Roma. Mi forniva un discorso musicale globale, un confronto fra musiche diverse, una storia della musica raccontata con i pezzi e con osservazioni intelligenti, che arricchivano l'ascolto, che si collegava a un discorso che sarebbe venuto dopo o era già stato fatto prima in un'altra trasmissione, c'era insomma una radio collegata nell'interesse e nella passione delle materie trattate che ne faceva un'unica lunga giornata radiofonica piena di significato. Ora si direbbe che c'è un disc jockey che annuncia senza alcuna partecipazione i pezzi che ascolteremo. Si direbbe che il concetto guida ora sia «Un pezzo bello è bello, quindi sta bene ovunque». Non c'è storia, non c'è preparazione, non c'è progetto, spengo la radio e metto i dischi che mi porto ormai sempre da casa. Direte: «Ma quanto pretende!». Radio Tre ci aveva insegnato a pretendere cose intelligenti perché ce ne dava in continuazione.
Questo modo di fare radio era contagioso, sembrava di assistere a una palestra attraverso la quale capitavi anche a partecipare e trattare argomenti che non erano del tuo specifico, quindi in qualche modo ti esponevi, e questo costituiva un continuo monitoraggio di cosa pensa la gente. Si direbbe (questa è l'impressione che ho) che ora la Radio Tre sia tutta registrata, non c'è il piacere dell'invenzione di programmi nuovi e se per caso qualcuno invece dimostra di essere all'altezza di farlo viene immediatamente allontanato.
Ci sono pure alcuni programmi specialistici, carini, chiusi nel loro ghetto di specialità, ma manca il senso dell'équipe che lavora gomito a gomito, inventa e produce idee. Si direbbe che oggi le idee diano fastidio.
Io continuo ad ascoltare Radio Tre Suite, Fahrenheit, Uomini e profeti, mi sembrano dei bunker di resistenza, mi sembra di fare il tifo «Restate, restate, cercate di farcela».
È un ascolto da disperata che invita questi, che oramai sono diventati voci amiche, che mi hanno accompagnato per anni, a resistere in un clima sicuramente difficile, una specie di campo minato dal quale sanno che prima o poi saranno cacciati, e quindi stanno lì nel fortino, sopravvissuti. Sembra deciso che Radio Tre diventi pedante, noiosa, scostante.
Stiamo forse assistendo senza reagire alla lucida messa in atto di un progetto di svuotare i programmi Rai e Radio di Stato da ogni contenuto, così come anche la scuola pubblica, in modo da incentivare le imprese private? Che peccato!