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Giuseppe Turani
L’autocritica delle Coop
15 Febbraio 2007
Scritti 2005
Qualcosa è cambiato, qualcos’altro deve cambiare. Da la Repubblica del 29 dicembre 2005

Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti lasciano la guida dell’Unipol e l’Opa Unipol su Bnl è morta. Il presidente e il vicepresidente della compagnia assicurativa lasciano i loro incarichi in parte per potersi difendere meglio (ma dovevano pensarci un po’ prima) e soprattutto perché contro di loro pesano accuse infamanti: dall’aggiotaggio all’insider trading.

Due reati particolarmente odiosi perché sono, sempre e comunque, contro il mercato, contro la gente, contro gli altri risparmiatori, piccoli e grandi. Sono reati che solo i peggiori commettono. La sola idea che a commettere simili porcherie siano stati due "cooperatori" mette i brividi e lancia un’ombra lunghissima e molto nera sul mondo della cooperazione. Anche l’Unipol (come la Banca Popolare italiana di Fiorani) aveva un consiglio di amministrazione, sindaci, revisori dei conti. Anche dei codici etici, si dice. Ma nessuno ha visto niente e niente è servito a qualcosa, a quanto pare.

E quindi la partita non può certo essere considerata chiusa con l’uscita di scena di Consorte e Sacchetti. Il movimento cooperativo dovrà interrogarsi a lungo sul suo modo di essere e su quello che fa. Non è che il caso si possa chiudere mandando a casa Consorte e Sacchetti. E tutti gli altri che erano lì? Ma le coop dovranno anche riflettere sul loro futuro, su quello che vogliono fare. E questo proprio partendo dal caso Consorte e Sacchetti. I due non sono funzionari qualunque delle coop indiziati di aver commesso qualche marachella.

I due (soprattutto Consorte, che era il capo) sono quelli che in un certo senso hanno trascinato le coop nel XXI secolo. Sono loro infatti, e non altri, che hanno portato l’Unipol in Borsa, facendola diventare una protagonista (sia pure minore) della finanza italiana, dove prima c’era una compagnia che "faceva le polizze ai compagni" e alle altre cooperative.

E infatti, giustamente, dentro il movimento Consorte era considerato una star, quello più avanti di tutti. Quello che avrebbe finalmente dato corpo e sostanza a quella specie di fantasma che è, e rimane, la "finanza rossa". Lui la stava costruendo, partendo proprio dall’Unipol. Lui ha fatto quello che gli altri cooperatori, abituati a vendere piselli in scatola nei supermercati e a tirar su villette unifamiliari per i soci, non avevano nemmeno osato immaginare.

Insomma, dall’Unipol non si sta dimettendo un funzionario un po’ birbante, ma si sta dimettendo il migliore. Quello che negli ultimi quindici anni ha indicato alle coop la nuova strada, quella della finanza.

Adesso, lui se ne va, e allora le coop devono cominciare a chiedersi se quella strada era giusta. E, soprattutto, se il movimento cooperativo è attrezzato per lanciarsi in un’avventura del genere. Sembra di capire che, almeno stando alle notizie di cronaca, i bravi cooperatori italiani non sono ancora abbastanza smaliziati e severi per gestire affari di questo genere. Sono brave persone, che fino a ieri guardavano al "loro" Consorte come un bravo padre di famiglia guarda con orgoglio al figlio che si è laureato ingegnere.

Insomma, se le coop vogliono rimanere nella finanza, nel XXI secolo, possono farlo, ne hanno il diritto. Ma allora devono attrezzarsi in modo diverso. Devono, in una parola, imparare un po’ di etica protestante. E devono stare attenti alle compagnie che frequentano. Certo, facendo affari con Fiorani e con Gnutti si potevano fare molti soldi e in fretta. Ma per questo non c’è bisogno di un movimento cooperativo. Bastano una scrivania, due telefoni e un po’ di spregiudicatezza.

L’Opa sulla Bnl è morta. In queste ore i vertici delle coop continuano a dire che l’episodio Consorte non cambia niente, si va avanti. Si tratta quasi di un riflesso condizionato, di un moto di orgoglio. Ma, non appena ci avranno fatto sopra una bella dormita, gli stessi vertici delle coop si renderanno conto che la cosa più conveniente da fare è studiare una veloce "exit strategy", cioè un modo per andarsene e per sfilarsi da questo affare pasticciato. Un affare troppo grosso per l’Unipol e dalle prospettive molto incerte sul piano industriale.

Ma qualche riflessione va fatta anche in casa dei Ds. Di questo disgraziato affare (che finirà malissimo) i Ds hanno parlato troppo, spendendo nella difesa di Unipol e del suo assalto alla Bnl i migliori fra i loro dirigenti. E hanno sempre mostrato molta, troppa cautela, nel prendere le distanze da questa storia, anche quando tutti cominciavano a nutrire profondi sospetti. In altri casi i Ds hanno mostrato molto più buonsenso e molto più fiuto.

C’è da chiedersi: perché? E molti giornali stanno già facendo, a questo proposito, insinuazioni sgradevoli. Io penso invece che quello dei Ds sia stato soprattutto un errore politico. Un grave errore politico.

In realtà, a loro l’ipotesi che l’Unipol arrivava a mettere le mani sulla Bnl è sempre piaciuta. Anzi, la vedevano come il passaggio di una frontiera.

Dalle collette domenicali dell’Unità al controllo di una grande banca nazionale. Tutti, a quel punto, avrebbero capito che i Ds erano finalmente cresciuti. che non erano più quelli delle feste con le salsicce e il discorso del compagno segretario. Inoltre, avere una banca come Bnl (associata a Unipol) nella propria area di riferimento avrebbe indotto tutti a un maggior rispetto.

Ecco, l’errore (al di là del fatto di non essersi accorti di chi era Consorte e di che cosa stava facendo) è stato proprio questo: pensare che avesse ancora un senso mischiare affari e politica. In Italia c’è già Berlusconi che lo fa, non si sente alcun bisogno di un fenomeno analogo (e speculare) a sinistra. Una forza di sinistra (o di centrosinistra) vince perché sa fare buone proposte al paese. Non perché ha le "sue" banche, le "sue" coop, i "suoi" finanzieri che operano in Borsa. Se poi l’idea era quella (da qualche parte ventilata) di contrapporre al salotto buono dell’establishment italiano una specie di salottino improvvisato, gestito da Consorte, Gnutti, Fiorani, Ricucci, allora va detto che saremmo alla follia politica.

Certo, si dirà, tutti questi ragionamenti si basano, per ora, solo su accuse e tutti hanno il diritto di essere considerati innocenti fino a una sentenza definitiva.

Giustissimo. In questa vicenda, però, abbiamo visto che, finora, i giudici milanesi che seguono il caso hanno visto sempre giusto. Anzi, hanno visto (diciamo le cose come stanno) quello che altri (ben più attrezzati) non avevano e avrebbero invece dovuto vedere. La bilancia, quindi, pende già adesso un po’ dalla loro parte. E tutti quelli che in questi anni hanno considerato Consorte come "il migliore" e i suoi disegni come una strategia vincente, interessante, è ora che comincino a cambiar

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