loader
menu
© 2024 Eddyburg
Ida Dominijanni
Tu chiamale emozioni
9 Agosto 2008
Scritti 2007
Riflessioni utili, come al solito, per comprendere il mondo in cui viviamo e ipotizzare quello in cui vivremo. Da il manifesto del 9 gennaio 2007

Sul numero di Foreign Affairs che inaugura l'anno una ricercatrice francese, Dominique Moisi, analizza lo stato dei rapporti fra area occidentale, area islamica e area «emergente» asiatica sostituendo al celebre paradigma del clash of civilizations di Samuel Huntington quello del clash of emotions. Le tre grandi aree di cui sopra, sostiene Moisi, si configurano oggi, più che come tre culture compatte e l'una contro l'altra armate o pronte ad armarsi, come tre grandi aree emozionali: l'Occidente come area della paura, il mondo arabo e musulmano come area dell'umiliazione, l'asia cinese e indiana come area della speranza. Moisi mette in guardia dal prendere la sua ipotesi troppo alla lettera, com'è già stato sciaguratamente fatto con le tesi di Huntington: i tre mood emotivi non sono compatti e comportano significative eccezioni e qualche mix in aree eccentriche ma cruciali (ad esempio in Russia e in America latina). Ma vale la pena seguire il suo ragionamento..

Gli Stati uniti e l'Europa,, sostiene Moisi, sono divisi, più che uniti, da una comune cultura della paura. Mentre negli Stati uniti del dopo-11 settembre essa ha preso le note sembianze dell'ossessione securitaria all'interno e della preempive war all'esterno, in Europa si manifesta più sottilmente come paura dell'altro, paura del futuro, paura di perdere un'antica identità: l'incubo di essere «invasi» dall'emigrazione, la fantasia che l'Europa si trasformi in «Eurabia», la scoperta che le città europee sono non solo obiettivi ma anche basi del terrorismo internazionale, si mescolano negli europei a paure più endogene che riguardano la crisi dello stato sociale, la stasi economica e la possibilità di trasformarsi nel museo del mondo. E se per gli Stati uniti l'ossessione securitaria e guerra in Iraq si sono risolti in una disfatta d'immagine e di credibilità, in Europa queste micro e macro paure diffuse rischiano di riportare in auge antichi spiriti nazionalisti, come già s'è visto nella bocciatura della costituzione Ue.

La cultura dell'umiliazione che abita il mondo islamico ha dal canto suo radici lontane: già alimentata da una lunga decadenza culminata nella fine dell'impero ottomano, e poi inasprita dalla creazione dello stato d'Israele, oggi per un verso è incardinata al conflitto mediorientale, per l'altro è esacerbata dagli effetti penalizzanti della globalizzazione sull'intera area dei paesi arabi. Fatto sta che questo stratificato sentimento d'umiliazione assume sempre più i caratteri del conflitto religioso-identitario, fra islam e ebraismo, e fra islam e occidente, e rischia di assegnare all'estremismo sciita la bandiera della resistenza. Nessuna riconversione di questo sentimento è possibile, sottolinea Moisi, senza soluzione del problema palestinese.

Un quadro fosco, in cui l'unico vento di speranza sembra soffiare dall'estremo oriente, da dove vengono due messaggi chiari. Il primo dice che «la Cina è tornata» e sta ritrovando, dopo due secoli di relativo declino, uno statuto internazionale possente. Il secondo dice che l'India è la più grande e più popolosa democrazia del mondo, e che con le sue elite capaci di strategie di cooperazione con gli Stati uniti e con l'Europa ha ragione di guardare al futuro con ottimismo ancor maggiore della Cina.

Che fare in Occidente, e dell'Occidente, in questa situazione? A giudizio di Moisi, negare che il sentimento di umiliazione arabo-islamico sia per gli occidentali un problema e una minaccia è sbagliato tanto quanto affrontarlo con la guerra e la degenerazione della democrazia come fanno gli Usa. Né la soluzione può consistere solo nel sostenere l'Islam moderato contro quello fondamentalista: si tratterebbe piuttosto di instillare nelle società musulmane un sentimento di speranza e di fiducia nella crescita capace di contrastare rabbia e disperazione. Con la consapevolezza che senza soluzione dei problemi del mondo islamico, non può esserci dissoluzione della sindrome fobica in Occidente. E con la speranza che il clash of emotions si riveli per sua natura più mobile e volubile del clash of civilization.

ARTICOLI CORRELATI
4 Maggio 2017
22 Novembre 2008

© 2024 Eddyburg