In risposta all´appello di Roberto Saviano al presidente del Consiglio affinché ritiri il provvedimento sul processo breve e all´intervista rilasciata da Carlo Azeglio Ciampi su Repubblica per criticare il provvedimento, intellettuali e politici della maggioranza hanno invocato «concordia» e imparzialità (lo stare "sopra le parti"). Sandro Bondi ha scritto in una lettera aperta a Saviano che la vera cultura democratica è «priva di coloriture politiche», quelle che invece Saviano sembra essersi dato da quando ha vestito i panni «dell´intellettuale militante che nella storia del nostro Paese ha tradito la missione della cultura e che spesso è diventato ideologicamente intollerante verso gli stessi intellettuali non irreggimentati». Infine, a commento dell´appello di Ciampi («basta con le leggi ad personam»), Fabrizio Cicchitto ha tuonato che «Ciampi non è mai stato al di sopra delle parti, ma orientato contro di noi». Sembra di capire che il ragionamento imparziale si identifichi nel primo caso con il ragionamento incolore o il non schierarsi, nel secondo con lo schierarsi (se Ciampi non fosse stato "contro" la parte di Cicchitto sarebbe stato "sopra le parti"). Il secondo caso è meno interessante da discutere perché o illogico o fazioso. Il primo merita invece qualche osservazione perché solleva questioni importanti.
Sembra di capire che giudizio imparziale si dia quando non ci si schiera o non si sta né di qua né di là; che, in altre parole, la "verità" equivalga a una sospensione del giudizio proprio per non formulare giudizi. C´è un grano di vero in questa concezione incolore della verità perché è innegabile - i filosofi, basti ricordare Immanuel Kant, lo hanno spiegato molto bene - che il giudizio produce o un sì o un no. Se questo non può darsi (o per insufficienza di dati o per mancanza di chiarezza nelle idee di chi deve giudicare) allora lo si sospende in attesa di poterlo formulare. Un giudizio sospeso non è però un giudizio. Nel giudizio giuridico, l´imparzialità è l´esito dello sforzo che il giudice fa per formulare un giudizio che sia del colore dei criteri assunti come fondamenti del giudicare: per esempio, i diritti, le regole procedurali e costituzionali. Si sa quanto sia difficile la formulazione di un giudizio che sia in grado di mettere a tacere tutte le possibili contro-argomentazioni per giungere all´unanimità, che è la meta ideale del giudizio imparziale. Se l´imparzialità è difficile nella dimensione giuridica, figuriamoci in quella politica. Se è vero che la politica è l´arena dove interessi e idee si incontrano e scontrano, si organizzano ed cambiano, pare evidente che non sia né possibile né desiderabile la sospensione del giudizio, l´imparzialità angelica, incolore.
E veniamo all´altro argomento invocato, quello della concordia. Bondi l´ha opposta, opportunamente, alla «guerra civile». La concordia è una cosa maledettamente seria. I trenta tiranni che rovesciarono la democrazia ateniese la invocarono per giustificare il colpo di stato con la scusa di mettere rimedio alla discordia che divideva il corpo politico a causa della perversa identificazione della libertà con l´eguaglianza. Un fatto che cancellando la preminenza di rango provocava, dicevano i tiranni, anarchia e disordine. E poi, negli anni in cui la repubblica romana era come un corpo lacerato da eserciti contrapposti (una guerra civile non di parole ma di sangue), Cicerone invocò e predicò la concordia degli animi, quell´unità di intenti che gli amici come i cittadini di una buona repubblica dovrebbero avere. Pare evidente che quella di Cicerone sia un´idea di concordia più attraente di quella dei tiranni ateniesi. Essa era invocata nel nome non di una parte (quella di Antonio o di quella di Cesare, poco importa), ma dei fondamenti della aequa libertas, dell´eguale libertà sancita nei codici e contenuta come valore nella tradizione comune. Concordia, come si intuisce, non equivale né a sospendere il giudizio per evitare dissenso, né, soprattutto, a raggiungere unanimità su una opinione che, se accolta, finirebbe per favorire una parte dei cittadini, e quindi vanificare proprio quella legge fondamentale nel nome della quale l´appello alla concordia è legittimo e giusto.
Dissentire sull´interpretazione di questi fondamenti è legittimo e non un segno di "guerra civile". È frutto di una normale dialettica politica in una democrazia robusta e sana. Perché tanto timore del dissenso politico? E non è per nulla chiaro perché coloro che si sforzano di pensare con la loro testa e di conseguenza formulano giudizi coerenti con le ragioni della nostra comune vita democratica siano "intellettuali militanti" e "irregimentati", mentre coloro che formulano giudizi in coerenza ad uno schieramento politico (per giunta maggioritario) siano invece "senza coloritura", ovvero neutrali e imparziali. Gli intellettuali militanti erano, come si sa, coloro che negli anni della guerra fredda militavano manicheamente pro o contro, in nome di fedi e dogmi più che di ragioni; non per difendere la carta fondamentale ma per realizzare un´idea, e quindi per portare avanti un progetto di cambiamento della costituzione, quello che meglio si adattava alla loro idea. Chi sono oggi gli equivalenti degli "intellettuali militanti" di ieri? Se è l´amore per la verità che ci accomuna, come Bondi dice a Saviano, allora in nome della verità egli non può non vedere che a seminare "l´odio" non sono coloro che si appellano alla Costituzione, ma coloro che vogliono piegarla alle esigenze della loro parte. Ecco perché proprio in nome della concordia e della verità si deve cessare di essere intellettuali militanti per essere "intellettuali critici", intellettuali liberali pronti a formulare giudizi sulle questioni che la vita sociale e politica solleva, in nome e alla luce di quei fondamenti sui quali conveniamo tutti e grazie ai quali possiamo dialogare e dissentire senza per questo essere in guerra.