Pierre Carniti e Loris Campetti, Un accordo da non firmare
Gianni Ferrara, La civiltà di Pomigliano
Alberto Lucarelli e Ugo Mattei, Marchionne anticipa il nuovo corso
Pierre Carniti:
«Un accordo da non firmare»
di Loris Campetti
Tutti commentano le vicende di Pomigliano e lanciano anatemi contro gli operai fannulloni. «Gente che non ha mai visto una fabbrica, o se l'ha vista, magari perché è di sua proprietà, non sa come lavora un operaio alla linea di montaggio. Io li manderei un anno a Pomigliano, alla catena». Sarebbe una bella rieducazione. Pierre Carniti non fa nomi, ma dalle tipologie che descrive ci permettiamo di interpretare il suo pensiero, assumendoci la responsabilità di eventuali errori: Veltroni, Sacconi, Marcegaglia... Questa non è un'intervista al prestigioso ex segretario della Cisl ma un colloquio, per noi un aiuto a leggere meglio nella forzatura messa in atto dall'Ad della Fiat, Sergio Marchionne.
Carniti non giudica chi ha preso il suo posto, né chi dirige i sindacati in un momento difficile come questo. È un fatto di stile. Dice però con franchezza quel che pensa. E alla domanda che gli rivolgiamo al termine del colloquio: tu avresti firmato quel testo scritto dalla Fiat?, risponde che «non è un accordo, né un contratto, semmai un protocollo imposto dall'azienda, prendere in toto o lasciare. Nessun sindacalista avrebbe dovuto firmarlo. Semmai avrei detto alla Fiat di chiedere direttamente ai lavoratori. Magari dicendo loro che la situazione è straordinaria, servono sacrifici, e ascoltare le loro risposte. Ma niente firma sindacale, né come sindacato avrei detto ai lavoratori cosa votare. In tanti anni di lavoro sindacale mi è capitato di fare accordi buoni e anche cattivi. Nei 1966, per esempio, firmai un contratto nazionale dei metalmeccanici che sembrava quello precedente, neanche il totale recupero dell'inflazione riuscimmo a strappare. La situazione era quel che era, ma almeno si contrattava. La procedura imposta oggi dalla Fiat per lo stabilimento di Pomigliano è veramente singolare, senza precedenti nel dopoguerra. Certo nel Ventennio succedeva anche di peggio».
Il punto di partenza di Carniti è che la decisione di Marchionne di investire un po' di soldi a Pomigliano è importante ma anche dovuta, perché «dopo aver annunciato la morte di Termini Imerese non poteva certo dire chiudo anche Pomigliano», con tutti i soldi presi dallo stato con la rottamazione. La Fiat si internazionalizza, il cuore produttivo si sposta altrove, «ma se abbatte la produzione in Italia se lo sogna il 30% di mercato casalingo». Seguendo la filosofia prevalente, Marchionne approfitta della crisi per liberarsi dei contratti nazionali. Il primo passo in questa direzione l'ha fatto il governo, «incoraggiando le imprese a regolare i rapporti di lavoro in sede aziendale», defiscalizzando gli aumenti contrattuali di secondo livello. Così si svuota il contratto nazionale. Mi sarei aspettato una reazione sindacale forte».
Si può discutere tutto, anche della validità, oggi, del contratto nazionale di lavoro. «Io vorrei che qualcuno mi convincesse che esistono alternative per difendere con altri sistemi coesione, solidarietà generale, eguaglianza di diritti. Io non le vedo, forse sono troppo vecchio e mi torna in mente una frasi del Manzoni: non sempre quel che viene dopo è progresso. Su questo - aggiunge Carniti - dovrebbero confrontarsi anche i sindacati, invece di beccarsi in concorrenza tra loro su chi è più realista e chi più radicale». Invece, ogni decisione o cambiamento del sistema di regole avviene altrove, con un governo segnato «dai leghisti che sognano le gabbie salariali. Ricordo che in paesi importanti e che crescono più di noi, come la Germania, il contratto nazionale ha un ruolo importantissimo».
Il punto, dunque, non è se Pomigliano debba chiudere o no, «la Fiat che per decenni ha vissuto con i finanziamenti pubblici non può permetterselo». La Fiat strumentalizza per giustificare «un cammino eccentrico. Usa esempi singolari, si lamenta perché dei lavoratori si mettono in malattia durante gli scioperi quando quei comportamenti fanno il gioco della Fiat che può così negare la riuscita degli scioperi. Dica la verità, il Lingotto, riconosca gli scioperi invece di tirare sui numeri. Oppure protesta perché in troppi, a ogni elezione, si assentano per fare i rappresentanti di lista. Ma che c'entrano i sindacati e i lavoratori? Esiste una legge dello stato, semmai chiedano alla politica di modificarla».
Sulla presunta incostituzionalità di alcune norme contenute nel diktat Fiat Carniti non si pronuncia, «non conosco abbastanza il testo ma quel che più mi preoccupa non è questo: se ci sono elementi che violano la Costituzione si individueranno le sedi opportune per invalidarle. E comunque Marchionne si illude, perché un sì dei lavoratori - persino un impegno a non ricorrere allo sciopero, o a non dire ahi prima di tre giorni quando ti schiacci un dito con il martello - estorto con il ricatto, è una vittoria di Pirro. Se si sopraffà l'interlocutore questo prima o poi esplode, non si governa con le sopraffazioni. Non c'è stata alcuna contrattazione sul testo, la Fiat ha portato un pacco non negoziabile, perciò non ha senso apporvi una firma sindacale». Meglio un confronto, anche conflittuale, le imposizioni producono solo rivolte. «Dovrebbe sapere Marchionne, abituato a trattare con i sindacati americani, che negli Usa, negli anni sindacalmente difficili, gli operai dell'auto mettevano i bulloni nei motori».
Alla domanda «ti aspettavi qualcosa di meglio da Marchionne?», Carniti precisa che il dirigente Fiat opera in condizioni difficili, con l'auto che batte in testa in tutto il mondo, una competizione dura e una capacità produttiva superiore alla domanda. Poi, aggiunge, è abituato negli Usa dove il sindacato dell'auto è uno e non sei o sette. «Immagino che abbia dato ascolto a dei consigliori che spiegano come la strada sia quella della rieducazione forzata dei lavoratori per battere l'anarchismo. Avrà ascoltato un po' di colleghi confindustriali che pretendono la cancellazione di qualsiasi forma di contrattazione collettiva», come la capa dei giovani imprenditori, «i figli dei papà confindustriali». Così Marchionne, incoraggiato dal contesto, si è gettato lancia in resta contro il contratto nazionale. Ma al suo posto, lo ripeto, non starei tranquillo del risultato».
La civiltà di Pomigliano
di Gianni Ferrara
Era del tutto evidente che il capitalismo globalizzato, il liberismo assoluto, il revisionismo storico, etico-politico ed istituzionale mirassero allo stesso obiettivo. Non era però scontato un impatto così sconvolgente, recessivo, distruttivo. Sconvolgente il tessuto sociale, recessivo della civiltà politica, distruttivo di un intero ordine giuridico: quello immediatamente connesso alla struttura della società, il diritto del lavoro. Ma il grado di recessione varia da nazione a nazione, a determinarlo in Italia è la barbarie del berlusconismo. Si è aggiunto, per rivelarne l'essenza più intima. Ha assunto un nome che resterà. Lo hanno detto ministri e opionion makers: Pomigliano.
Non sono soltanto i metalmeccanici che vi lavorano ad esserne colpiti. Ne sono le prime vittime, i primi degli esseri umani che saranno asserviti all'irrazionalità ed all'immoralità del capitalismo del XXI secolo, in Italia, in Europa. La tecnica dell'asservimento ha un nome, world class manifactoring. È scritto al punto 5 dell'accordo (?) che la Fiat impone a Pomigliano.
A cosa miri lo ha spiegato lucidamente Luciano Gallino: assicurare che nulla, proprio nulla del tempo di lavoro retribuito possa essere perduto dal padrone. Il che comporta il massimo di rendimento di ogni operazione, di ogni gesto, di ogni minuto, di ogni secondo. Quindi il massimo di assorbimento da parte del capitale del tempo di lavoro. Tante ore, tanti minuti, tanti secondi di sfruttamento. Comporta la riduzione di ciascun lavoratore, ciascuna lavoratrice a robot. Poiché il robot non ce la fa a sostituire l'essere umano, si deve ridurre l'essere umano a robot.
E non basta. Dal momento che il robot si permetterà, al termine di ogni turno, di ridiventare essere umano e potrebbe aspirare ad esercitare i diritti che due secoli di lotte del movimento operaio hanno conquistato per civilizzare la condizione umana, si vuole imporre all'essere umano di non esercitare questi diritti, a cominciare da quello di sciopero.
Gli si chiede di impegnarsi contrattualmente a rinunziarci. Nel mentre ci si appresta a sopprimere le fonti di tali diritti. A sostituire sia il contratto collettivo con tanti contratti individuali di adesione (alla volontà del datore di lavoro) sia le leggi, come lo statuto dei lavoratori con la farsa derisoria dello "statuto dei lavori". A modificare l'articolo 41 della Costituzione in modo da distorcerne il significato e la portata e sfumarne l'efficacia. A quanto si sa, immunizzando, a priori e come tale, l'iniziativa economica privata denominandola "responsabilità", chiunque la svolga e qualsiasi possa essere il campo di esercizio (se non finanziario).
Impedendo, quindi, che se ne possa precludere il carattere antisociale, ed anche prevenire quello criminale, visto che «gli interventi regolatori dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali» si dovrebbero limitare «al controllo ex post». Post mortem bianca, ad incidente sul lavoro avvenuto, a danni già prodotti alla salute, alla sicurezza, all'ambiente? Così appare. Si vuole evidentemente sancire in via assoluta la signoria dell'impresa capitalistica su ogni altra istituzione e sulla società intera.
Si motiva questa controriforma costituzionale adducendo la necessità prioritaria ed inderogabile della competitività. Della quale competitività è pur tempo di denunziare, senza esitazione, il significato reale ed occultato. Che è quello della compressione dei salari dei lavoratori di tutto il mondo fino a ridurli alla soglia minimale del salario percepito nel più depresso dei Paesi del mondo.
A Pomigliano è il lavoro umano, è la condizione umana, è la dignità umana, sono i diritti umani che subiscono un attacco senza precedenti. La loro difesa è quella stessa della civiltà umana, ovunque sia aggredita.
Marchionne anticipa il nuovo corso
di Alberto Lucarelli e Ugo Mattei
Ormai è tutto chiaro: c'è una evidente relazione funzionale, causa-effetto, molto stretta, tra il progetto di modifica dell'art. 41 della Costituzione e il surreale referendum Marchionne che così reciterebbe: «Sei favorevole all'ipotesi dell'accordo del 15 giugno 2010 sul progetto Futura Panda a Pomigliano?» Come è noto, il progetto Tremonti-Berlusconi è quello di aggredire e modificare l'art. 41 della Cost., inserendo un IV comma che consentirebbe all'attività di impresa di svolgere la propria attività senza controlli, salvo un poco chiaro controllo ex post. Occorre ricordare che l'art. 41 della Cost. non è un orpello, o una regola qualsiasi, ma una norma-principio alla quale sono riconducibili i diritti costituzionali dei lavoratori di cui agli artt. 35-40, nonché tutta la disciplina ordinaria in materia di lavoro. In maniera assolutamente eccentrica, ovvero inserendo un IV comma palesemente in contrasto con il II e il III, si violentano i principi fondamentali (precedentemente si era parlato di modificare l'art 1 Cost.), agendo all' interno del sistema, attraverso la sterilizzazione e l'annientamento dei rapporti economico-costituzionali (artt. 35 ss. Cost.); quei rapporti direttamente attuativi dell'art. 1 Cost. («La Repubblica fondata sul lavoro»), dell'art. 2 relativamente al principio di solidarietà, dell'art. 3, II comma, relativamente al principio di eguaglianza sostanziale.
L'impressione, spostando i controlli ex post, è che si voglia dare carta bianca alle strategie aziendali, anche quelle più aggressive e in contrasto con i limiti posti al capitale dalla effettiva garanzia dei diritti dei lavoratori. A serio rischio saranno il diritto all'equa retribuzione e a livelli di vita liberi e dignitosi, l'organizzazione del lavoro, le funzioni sindacali, il diritto di sciopero. Vi sarebbe inoltre il rischio concreto dell'introduzione, da parte dell'impresa, di controlli, ispezioni e perché no veri e propri tribunali speciali. Cosiddetti piani di ristrutturazione o conversione aziendale, in presenza di controlli ex post, non dovranno più assicurare modalità e condizioni di lavoro tali da garantire la sicurezza e la salute, l'apprendimento e il benessere. In sostanza, attraverso l'intervento sull'art. 41 Cost. si intende raggiungere la sospensione della regolamentazione e del controllo nel mercato del lavoro. Il lavoratore verrebbe collocato in un limbo, indifeso nella sua già naturale debolezza, ancora più bisognoso di tutela in una fase di acuta crisi economica.
Qual è allora il collegamento tra nuovo art. 41 e il piano Marchionne? È chiaro: il piano Marchionne per Pomigliano intende fare da apripista al nuovo modello di art. 41, ovvero alla deregolamentazione del mercato del lavoro, condizionando il rientro dalla Polonia della costruzione della nuova Panda a condizioni esasperate di lavoro (i diciotto turni) e a deroghe al contratto collettivo che mettono a rischio la libertà e dignità umana. Nello specifico il piano, supportato dal progetto di modifica dell'art. 41 Cost., contiene una serie di punti inaccettabili dal punto di vista della legittimità costituzionale, costituendo un vero e proprio vulnus a quei diritti fondamentali summenzionati. Si fa in particolare riferimento a: 1) 18 turni settimanali: impianti di produzione per 24 ore al giorno e 6 giorni alla settimana, compreso il sabato. Ricorso allo straordinario per 18esimo turno, per un massimo di 15 volte l'anno. 2) Straordinario: 120 ore annue di straordinario "comandate" (80 ore in più obbligatorie, dalle 40 attuali, che arrivano quindi a 15 sabato); 3) Pause: ridotte a 30 minuti (dagli attuali 40) e i 10 minuti in meno vengono monetizzati in 31 euro lordi al mese. Pausa mensa a fine turno; 4) Assenteismo e malattia: per assenze per malattia collegate a scioperi, manifestazioni esterne, "messa in libertà" o mancanza di fornitura, l'azienda non retribuisce i primi tre giorni; 5) Sanzioni: Il mancato rispetto degli impegni assunti nell'accordo aziendale, prevede sanzioni ai sindacati e ai singoli lavoratori; 6) Sciopero: non è proclamabile nei casi in cui l'azienda ha comandato lo straordinario per esigenze di avviamento, recuperi produttivi e punte di mercato.
L'eutanasia dell' art. 41 Cost., la dolce morte in prova, come vorrebbe il governo, non comporterebbe solo la cancellazione del welfare e dei diritti fondamentali ad esso riconducibili, ma dello Stato democratico tout court. Insomma, il referendum di Marchionne ha ad oggetto due secoli di lotta, sudore, sangue.