Il manifesto, 30 gennaio 2016 (m.p.r.)
«Assessore alle privatizzazioni. Di Forza Italia». Un assessore alle privatizzazioni? Del partito di Berlusconi? Sembra una cosa singolare. Se si aggiungesse «... diventa viceministro all’Economia del governo del Pd» saremmo quasi sicuri che si tratta o di un articolo satirico alla Stefano Benni o di un personaggio inventato stile Antonio Albanese (ci ricordiamo il «ministro della Paura»?). Invece è vero. Tutto vero. Anzi quasi peggio: Luigi Casero, viceministro del dicastero dell’Economia e delle Finanze di Renzi, è stato responsabile economico di Forza Italia ed è rimasto al ministero ininterrottamente dal 2008 come sottosegretario all’Economia con Berlusconi...
Analizzare i nomi della compagine governativa può sembrare roba da poco, da notisti politici, rispetto a quella dei processi economici. Ma il quadro diventa abbastanza chiaro. Il fatto è che, in tema di privatizzazioni, cercare aderenze interessi a esse favorevoli è caccia facile in quel ministero. Più che fatti singoli sembra che le connivenze coinvolgano tutti e molto apertamente.
Il sottosegretario Paolo Baretta (al Ministero dal 2013)? Nei tardi ’90 era in Cisl e ha seguito «i processi di privatizzazione di Telecom e di riorganizzazione di Poste italiane» (sito del Ministero). L’appena nominato viceministro Enrico Zanetti (già sottosegretario)? Socio di Eutekne Spa, società di consulenza tributaria che organizzava convegni come «Dalla privatizzazione dei servizi pubblici locali risorse utili per la crescita».
Pare proprio sia tornata l’epoca delle grandi privatizzazioni. «Grandi» nel senso che vengono date in pasto al mercato aziende di statura nazionale e controllate dal ministero dell’Economia. Si tratta di enti che già funzionano come imprese, in regime privatistico, ma controllate dallo Stato. Nel 2015 è stato il turno di quote Enel e Poste Italiane, di cui Padoan rivendica il successo. Pare imminente la collocazione sul mercato del 40% di Ferrovie e del 49% di Enav, settore di assistenza al volo aereo. E si parla anche di StMicroelectronics, Fondo Italiano di Investimento e Sace. La motivazione addotta è semplice: fare cassa per abbattere il debito pubblico.
La Commissione europea, nelle Raccomandazioni all’Italia del 2015, prescriveva di «attuare in modo rapido e accurato il programma di privatizzazioni e ricorrere alle entrate straordinarie per compiere ulteriori progressi al fine di assicurare un percorso adeguato di riduzione del rapporto debito pubblico/Pil». Lo dice a chiare lettere sia il Def che il ministro in audizione: «Tra il 2016 e il 2018 si prevede che l’insieme del programma di privatizzazioni potrà comportare per l’erario entrate pari allo 0,5 per cento del Pil all’anno». Non si capisce bene la base di tali previsioni dato che lo stesso ministro-economista, a domanda diretta risponde: «Mi è stato anche chiesto dall’onorevole Bordo quanto si pensa di incassare. La mia risposta è che non lo so».
Nonostante la retorica dell’azionariato popolare - l’utopia di far diventare i lavoratori piccoli proprietari di grandi conglomerati industriali - il processo delle grandi privatizzazioni è strettamente legato al mercato finanziario. «Le operazioni di privatizzazione che hanno smantellato il sistema delle partecipazioni statali si proponevano specificamente fra gli obiettivi quello di contribuire a una crescita del mercato azionario che va oltre i meri aspetti dimensionali». Lo raccontava Draghi nel 2008. Nonostante le bufere sulla ribalta della politica, i cambi di governi e maggioranze, questi processi vanno avanti, quasi nel silenzio.