». il manifesto, 18 marzo 2017 (c.m.c.)
Occorreranno studi approfonditi di psicologia per riuscire un giorno o l’altro finalmente a capire come mai, ogni volta che si parla di debito pubblico, al ministro dell’Economia di turno brillino gli occhi, si guardi furtivamente intorno e con riflesso pavloviano decida di mettere sul mercato un altro pezzo di ricchezza sociale.
Come fossimo agli albori della dottrina neoliberale, ci tocca ogni volta sentire la litania: «Servono le privatizzazioni per abbattere il debito pubblico».
Nel frattempo, ci siamo venduti quasi tutto e il debito pubblico ha continuato allegramente la sua irresistibile ascesa.
Poco importa. Ormai sappiamo che ogni volta che si «accende» lo «scontro» tra il nostro governo e e l’Unione Europea, dobbiamo controllare le nostre tasche perché è quasi automatica la soluzione: la sottrazione di un bene comune..
Per carità, questa volta siamo solo alla fase istruttoria, ma il fatto che sia già uscita sulla stampa appare una studiata strategia di sondaggio preventivo per vedere di nascosto l’effetto che fa.
Il ministero dell’Economia sta studiando un nuovo assetto della Cassa depositi e prestiti (Cdp), che prevede la cessione di una quota del 15%, che porterebbe la proprietà pubblica al 65% (essendo il 15,93% già in possesso delle Fondazioni bancarie. Essendo il patrimonio complessivo pari a 33 miliardi, nelle casse dello Stato entrebbero 5 miliardi che naturalmente sarebbero destinati all’abbattimento del debito pubblico.
Inutile sottolineare come la parola «abbattimento» nel dizionario italiano ha un preciso significato: demolizione, distruzione, abolizione. Può chiamarsi abbattimento un’operazione che porterà il nostro debito pubblico dagli attuali 2.217,7 miliardi (dicembre 2016) ai futuri 2.212,7 miliardi?
In compenso, se l’ultimo dividendo staccato da Cdp corrispondeva a 850 milioni di euro (dei quali, 680 milioni sono andati allo Stato), in futuro, su ogni dividendo simile, lo Stato ne incasserà solo 550. Non è neppure chiaro ad oggi a chi verrà ceduto il 15% se a investitori istituzionali, a fondi o banche estere.
La svendita di un ulteriore pezzo di Cdp si incrocia anche con le grandi manovre intorno alla privatizzazione di Poste: l’idea del ministero dell’Economia è quella di cedere entro l’anno il residuo 29,3% (dopo aver ceduto il 35% a Cdp e il 36,7% a investitori individuali e istituzionali).
Grandi manovre finanziarie, fatte all’oscuro di tutti i detentori della ricchezza di Cassa Depositi e Prestiti, ovvero quelle oltre 20 milioni di persone che vi depositano i risparmi (oltre 250 miliardi) e che sapranno sempre meno intorno alla loro tutela e utilizzo.
Forse è davvero giunto il momento di rilanciare una campagna di massa per la socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti, per il suo decentramento territoriale e per la gestione partecipativa dell’utilizzo del risparmio postale.
Hanno venduto tutti i beni comuni e ora scappano con la Cassa. È il momento di riprenderci la ricchezza sociale che rappresenta.