il manifesto 30 luglio 2017 (c.m.c.)
Sarebbe un errore considerare lo scontro tra Francia e Italia sul controllo dei cantieri navali di Saint-Nazaire solo come una manifestazione della grandeur d’Oltralpe.
Quest’ultima, sia chiaro, è ben presente e rinvigorita dall’energica figura di Macron, che vuole reincarnare i tradizionali miti patriottardi, espansivi e (neo)coloniali da Napoleone Bonaparte a De Gaulle.Senza scordare che anche Mitterand non scherzava quando affermava “La France c’est l’Europe”. La vittima più prossima è spesso l’Italia, al netto della vittoria di Bartali al Tour de France del lontano ’48 (e Paolo Conte ne registrò il sempiterno risentimento francese).
L’Italia: surclassata nella geopolitica, e sul terreno del militarismo, nel Mediterraneo e in Africa. Ultimo esempio, la vicenda libica. Sbeffeggiata sul tema dei migranti, vittime predestinate di ogni litigio tra i potenti. Oggetto di shopping da parte francese in ogni campo, da quello agroalimentare a quello della grande distribuzione commerciale, da quello finanziario – bancario a quello delle telecomunicazioni. Campi strategici per il nostro interesse nazionale inclusi, come si può notare. Non desta quindi sorpresa – casomai necessità di approfondimento critico – se l’iniziativa di una minacciata nazionalizzazione, seppure temporanea, dei cantieri Stx, per bloccare il take over di Fincantieri, da parte di Macron, in spregio agli accordi fatti con Hollande (ma non sarebbe questa la novità), incontri immediatamente il plauso di Force Ouvriere e di Jean Luc Melenchon.
In realtà la vicenda va inquadrata in un contesto più ampio che vede la crisi della globalizzazione, come fin qui l’abbiamo conosciuta, con consistenti segnali di contrazione della medesima , ovvero di deglobalizzazione, sia in campo commerciale – anche in questo modo si spiega la di per sé positiva marcia indietro francese sulla Torino – Lione – sia in quello industriale, come in quello finanziario. Questo non significa che l’impresa capitalistica abbia smesso di espandersi spazialmente. Solo che vengono avanti nuovi protagonisti che cambiano il volto del capitalismo moderno. Come il cosiddetto platform capitalism che esige investimenti fissi enormemente inferiori e sfrutta il lavoro precario o addirittura servile. Su questo movimento di fondo dell’economia, fioriscono – si può dire a destra come a sinistra – varie forme di protezionismo e di nazionalismo. Trump ed epigoni ne sono il prodotto più che la causa.
Le conseguenze in Europa sono ormai evidenti. Proprio i ministri dell’economia di Italia, Francia e Germania avevano chiesto alla Commissione di Bruxelles di rivedere le regole per gli investimenti stranieri nell’Unione, soprattutto per osteggiare l’aggressività della imprenditoria asiatica. L’altro elemento che, determinando uno spostamento del baricentro economico da Ovest ad Est su scala globale, mette in crisi i precedenti presupposti della globalizzazione. Solo che così facendo la Ue ha introiettato il protezionismo. In Spagna l’acquisto di Abertis da parte di Atlantia è messo in forse.
Nella patria dell’ordoliberismo, la Germania, viene varata una legge per limitare le scalate a società e infrastrutture strategiche per evitare che la tecnologia venga catturata dal Dragone cinese.
Mentre si vuole addirittura cambiare la geografia, spostando ad esempio i confini dell’Italia fino a quelli tra Niger e Libia per bloccare i migranti, in Europa si riaprono conflitti antichi attorno agli assetti proprietari e di comando di grandi società. Nel caso in questione di Stx l’incidenza del militare nella partita industriale, complica le cose, ma non ne costituisce la motivazione esclusiva.
Per queste ragioni appare inadeguato un semplice sussulto d’orgoglio italiano, ad esempio contro il controllo francese di Vivendi su Telecom, se non è già troppo tardi. Intendiamoci, meglio di un’inerte sottomissione, visto l’effettivo carattere strategico del settore delle telecomunicazioni.
L’incontro di martedì a Roma con il ministro dell’economia francese e il bilaterale di fine settembre a Lione fra Francia e Italia servirà a poco. Il vero problema è invertire la direzione verso un’Europa a due velocità, impedire che si rafforzi dopo le urne tedesche del 24 settembre e affrontare di petto la questione delle politiche economiche, delle diseguaglianze e dei rapporti ineguali fra i paesi. In sostanza il cambiamento radicale dei Trattati.