Caro Massimo,
leggendo il tuo lungo Forum all’"Unità", mi è venuta, di continuo, la voglia di interloquire direttamente con te e con le cose che dici. Perciò ti scrivo questa “lettera”. Non è certo, la mia, una pretesa di “parità” di ruolo politico, è una libertà che mi prendo a partire da una vecchia amicizia, nata nel mezzo di “anni formidabili” e nutrita, a tutt’oggi, da stima e solidarietà, a dispetto della distanza delle nostre rispettive posizioni politiche. Leggendo la tua intervista, dicevo, apprezzando il tono razionale e determinato che la caratterizza, annotandone, per altro, alcuni passaggi non del tutto chiari, mi sono venuti molti e contraddittori pensieri. Il primo dei quali lo formulo così: Massimo, hai ragione, ma in realtà hai torto. Un ossimoro che va spiegato.
In effetti, il leit-motiv della tua intervista ha un fondamento: è in atto "un’operazione che mira a disgregare la maggiore forza del centrosinistra", i Ds. E’ in corso, cioè, una campagna di delegittimazione politica e demonizzazione morale del maggior partito italiano, orchestrata da “poteri forti”, densa di strumentalizzazioni anche bieche, alimentata da grandi e piccoli giornali con tutti i mezzi - compresa la pratica barbarica della pubblicazione di intercettazioni telefoniche prive di ogni rilievo penale.
Aggiungiamo che, in un clima che “autorizza” - sembrerebbe - all’uso di tutti i mezzi, “à la guerre comme à la guerre”, anche la tua persona è diventata un bersaglio privilegiato di attacchi davvero ignobili - e che, in sostanza, c’è materia non solo di riflessioni, ma di preoccupazioni per il futuro. Compreso il passaggio a cui alludi: una competizione elettorale come quella che rischia di essere alle porte, traboccante di veleni e scoop, rischia moltissimo di contribuire, non poco, al qualunquismo, alla sfiducia di massa, al “sono tutti eguali”.
D’altronde, una destra già quasi sconfitta su che cosa può puntare se non su un improvviso disincanto di massa, su quella crisi della politica che può non risparmiare nessuno? La nostra gente - il popolo di sinistra - rischia di uscire da questa storia più che altro “disorientata”, come si diceva una volta. Non è che noi di Rifondazione non vediamo bene questo pericolo: contrariamente a quel che dice Peppino Caldarola, tutto abbiamo fatto, facciamo e faremo fuorché speculare su queste storie nella speranza (per altro illusoria) di una manciata di voti in più, rubati al partito cugino (o fratello, fai tu). Fin qui, hai ragione, o hai comunque molte ragioni. Dov’è, invece, quel che non convince?
Come spesso accade, il problema è la diagnosi - l’analisi. Perché qualcuno sta cercando di mettere in mezzo la Quercia? E perché qualcun altro, magari gli stessi, vorrebbero volentieri sbarazzarsi della tua presenza protagonistica sulla scena italiana? Tu dici: perché i Ds incarnano, più di qualunque altra forza, “l’autonomia della politica”. Ovvero, la capacità della politica di governare e dirigere i processi reali - dell’economia prima di tutto - senza soggezioni o subalternità ai poteri costituiti.
In un altro passaggio, dici, più o meno, che il “peccato originale” diessino è stato il tentativo di intervenire contro i più prestigiosi poteri del capitalismo italiano - la Fiat - e aiutare, appoggiare, sostenere la nascita di nuovi poteri “indipendenti” - la famosa Opa di Colaninno, per intenderci. Ora, qui emerge la portata strategica della questione, e del nostro dissenso di fondo: aver accarezzato l’illusione che, per ritrovare un ruolo politico primario, per ricostruire un sistema di alleanze sociali largo e robusto, per ritornare ad esercitare sulla società italiana una vera e rinnovata egemonia, la strada giusta per la sinistra fosse quella di “appoggiarsi” su un pezzo di capitalismo - quello avventuroso, o all’apparenza in ascesa. Qui, è vero, la questione morale non c’entra nulla: c’entra invece, fino in fondo, l’idea di politica, l’idea di sinistra. Quell’opzione, ribadita in tutti gli ultimi congressi Ds, che la sinistra del duemila, per esser tale, altro non debba che “governare la modernizzazione”, cioè il capitalismo nell’era della globalizzazione - magari individuando in qualche pezzo della neo-borghesia nazionale un antidoto efficace ai guai della concorrenza e del mercato mondiale. Perdonami se ti dico che questo passaggio politico - proprio questo - mi ricorda da vicino il tentativo di Bettino Craxi: so che, giustamente, non hai mai demonizzato l’ex-leader socialista, ma l’hai valutato per quello che è realmente stato, il “revisionista” più osè della politica italiana, e del suo filone “riformista”. Anche Craxi, intendo dire, dopo aver coniato (o fatto coniare da Martelli), lo slogan “governare il cambiamento”, si pose il problema di tenere botta ai poteri forti, come la Fiat, che non lo amava, e pensò di contare su forze nuove - tipo il “made in Italy”. Anche Craxi entrò in rotta di collisione totale con il *Corriere della Sera*. E anche Craxi diventò oggetto di una campagna negativa ad alta intensità, alla quale rispondeva per lo più con la sindrome del complotto - ma anche rivendicando il carattere generalizzato e diffuso di alcune pratiche, quel “lo fanno tutti”, che un leader politico non dovrebbe mai dire. Non è che una suggestione, un’analogia: è chiarissimo, ai miei occhi, sia quanto tu sei diverso da Bettino, sia quanto i Ds, il corpo attivo del partito, siano lontani dal craxismo. Per fortuna. Resta però che l’illusione di “migliorare” il capitalismo da dentro, accettandone la logica di fondo e puntando tutto sul suo possibile, auspicabile, “necessario” riequilibrio interno, è, secondo me, un’illusione pericolosa - non perdi solo l’anima, perdi la partita strategica. Dentro tutta la vicenda Unipol-Bnl non c’è proprio, al fondo, questa stessa illusione? Nulla a che fare, dal mio punto di vista, sul terreno giudiziario, che è sempre bene lasciare alla magistratura. Molto a che fare, però, sul terreno morale - chiamalo strategico, se è più chiaro - su che cosa è, può e deve essere oggi il movimento cooperativo. In breve: poiché il capitalismo non è neutro, come ben sai, e poiché esso è invece il regno dell’antipolitica (nel senso preciso che le sue leggi proprie di funzionamento sono la produzione di plusvalore, il profitto, l’arricchimento anche personale e cozzano per natura con l’idea stessa di “limite”), l’autonomia della politica, e della sinistra, come fanno a conciliarsi con l’internità al capitalismo, o alla modernizzazione, che tu rivendichi? E alla fin fine, se entri nel gioco, “in partibus infidelium”, come fai, a trasformare (anche tu!) in una specie di complotto quella che a me pare, piuttosto, la “normale” pratica dello scontro dei poteri, usi ad ammazzare i parvenus o usi, ad ogni buon conto, a preservarsi, a rafforzarsi, a stipulare patti, accordi, alleanze con chi più li aggrada?
Oggi, questi poteri vogliono un’Italia normalizzata: senza più alcun genere di sinistra. Forse vogliono perfino rilanciare lo sviluppo - quello produttivo che, mi pare, anche tu torni a privilegiare su quello finanziario e speculativo - ma alla condizione di un riassetto del sistema politico nel quale, sì, la “damnatio memoriae” pesa, e come: D’Alema sarà certo diverso, diversissimo, da Bertinotti, ma resta pur sempre il terminale attivo di un’altra storia - di grandi speranze collettive.
Caro Massimo, mi rendo conto che qui il discorso rischia di diventare ideologico e di sfiorare le ragioni per cui tu sei (quasi) il massimo leader dei Ds e io una militante di Rifondazione. Ma sei davvero così sicuro che, dal punto di vista strategico, i Ds non hanno proprio nessuna colpa? Che la strada imboccata - a partire da quella maledetta “svolta” di quasi vent’anni fa - sia stata una scelta così felice? Oggi, siamo arrivati, forse, al tempo delle decisioni “definitive”. Consentimi di citare ancora Bettino Craxi, che fece proprio il vecchio adagio: “primum vivere, deinde philosophare”. Io penso che sì, sarebbe bene che i Ds vivessero, senza farsi assorbire da un Partito democratico qualsiasi - mi pare che, in questo Forum, mazzoli con una certa durezza annessionismi rutelliani e freddezze prodiane. Ma potrebbe, il tuo partito, pensar di vivere, se non a sinistra?