Le Due Italie sono sempre esistite anche se non si erano mai materializzate con una evidenza così plastica e in sostanziale pareggio politico. E' cosiddetta «sinistra» (termine col quale ormai indichiamo uno schieramento che riassume quasi tutto ciò che era «arco costituzionale»), che ha raggiunto, in realtà, il suo massimo storico in questa elezione. Quella destra diffusa, «che non si dà confini neanche nei confronti del fascismo », di cui ha parlato Rossanda nel commento dei primi dati elettorali, esisteva già sottotraccia negli anni della prima Repubblica ma era compressa e disciplinata dalla mediazione democristiana che ne moderava istinti e stemperava paure. Il maggioritario barbarico imposto da Berlusconi in chiave di guerra civile «fredda», ma permanente ha fatto emergere e messo a nudo l'Italia profonda che non aveva una vera rappresentanza politica e che ha finalmente trovato qualcuno che la interpretasse senza scrupoli e mediazioni. Questa Italia esiste ed esisterà, bisogna farci i conti, non è pensabile che si dissolva nel breve e nel medio tempo. La volontà di governare tenendo conto di essa è un proposito di elementare civiltà istituzionale, anche se purtroppo unilaterale e in Italia non ricambiato. Ma soprattutto bisognerebbe cercare di capire e scomporre questo blocco, in realtà molto differenziato, individuando i punti critici su cui agire, e rinunciando serenamente a recuperare ciò che non è recuperabile. Infatti non è pensabile di inseguire il berlusconismo sul suo terreno, ma si possono dare risposte serie a domande fondate. Rinunciando ad analisi troppo semplificate, come quelle che per molto tempo la sinistra ha prodotto dopo l'emergere del fenomeno Berlusconi. Questa destra non è interpretabile in chiave di «modernità», ma contiene al suo interno pulsioni addirittura arcaiche che questa campagna elettorale ha fatto emergere. Non solo subcultura, non è solo «l'Italia che parcheggia in seconda fila» come si legge spesso, ma esprime ormai culture radicate e immaginario diffuso. Paradossalmente, è molto più «ideologico» il voto a destra di quanto non sia un voto a sinistra ormai realistico e disincantato. Il fenomeno dell'anticomunismo postumo, che è forse l'ideologia più fortunata e diffusa della nuova Italia, va decrittato al di là delle fantasie pulp del leader della destra su bambini bolliti e nipotini di Pol Pot (a cui non si crede fino in fondo, se è vero che ventiquattrore dopo si chiede una grande coalizione con questi mostri). Ma da tempo quando a destra dicono comunisti intendono in realtà lo Stato, le tasse, il rispetto delle leggi, per cui non è del tutto incoerente che perfino Oscar Luigi Scalfaro diventi «comunista» in questo immaginario. Proprio la questione delle tasse, che pare sia stata la molla decisiva della rimonta finale di Berlusconi, ci impone però una analisi critica autocritica del blocco sociale della destra, e in ultima analisi su cosa è diventata la società italiana. Se è vero che il problema della tassazione è uno dei problemi fondamentali di ogni democrazia, e lo è particolarmente in Italia dove esiste storicamente lo scandalo di un regime fiscale debole coi forti ma occhiuto inflessibile coi deboli, questo diventerà forse il terreno decisivo dell'acquisizione del consenso. E proprio su questo terreno la sinistra ha mostrato una deplorevole confusione che non si può ricondurre solo a «difetto di comunicazione», che pure c'è stata, con quel parlare di «abbattimento di cinque punti del cuneo fiscale », progetto giusto e ambiziosissimo, che rivela però nella formulazione l'abitudine a parlare a imprenditori e redattori delle pagine economiche anziché al popolo (era così difficile parlare di tasse sul lavoro?)
Non ci si può rassegnare a consegnare definitivamente alla destra la rappresentanza delle regioni più ricche e produttive del Nord, e neppure accettare la situazione che vede ampliarsi in molte realtà il voto popolare delle periferie alla destra. In una situazione, come quella italiana, dove l'intreccio tra stipendi, pensioni familiari, piccole rendite e piccolo risparmio è ormai costitutiva dei bilanci delle famiglie e costituisce fattore di sopravvivenza e di rifugio precario sotto i colpi della crisi ci vuole la massima precisione nelle indicazioni e nelle proposte. Da fare, possibilmente, all'inizio e non alla fine delle campagne elettorali, e mettendosi d'accordo su cosa dire. Avere trascurato il tema fiscale, riproponendo nelle pieghe della campagna il ritorno di una tassa di successione sulla prima casa che nei suoi termini avarissimi era anacronistica già cinque anni fa in un paese dove oltre l'ottanta per cento dei cittadini possiede la casa dove abita è non solo un errore tattico ma strategico, che rivela categorie di analisi della società italiana ferme alla visione di una Italia povera che è ormai fotografia ingiallita di un paese che non esiste più, senza cogliere ancora del tutto la realtà di un paese a ricchezza diffusa ma ormai precaria e minacciata. Non si può, neppure per sbaglio, trovarsi nella condizione per cui la proposta, sacrosanta, della redistribuzione del reddito a favore dei ceti più deboli o di quelle fasce di società impoverite dalla mano libera che l'ex-premier ha dato al suo elettorato specifico di raddoppiare i prezzi negli ultimi anni, possa rischiare di venire intesa come spoliazione di chi ha poco e a maggior ragione difende quel poco che ha. Una pratica, finalmente introdotta, di tassazione equa e progressiva, come la Costituzione e ancor più la decenza imporrebbero a questo paese, può anche essere apprezzata alla fine da quei settori della società italiana che hanno risposto al richiamo della foresta di Berlusconi ma che non sono costituzionalmente evasori fiscali; ma che chiedono una rassicurazione attorno a una selva di tasse spesso incoerente e persecutoria per gli onesti. La questione di una revisione dell'Ici sulla prima casa, che aveva proposto per primo Bertinotti, è stata poi abbandonata colpevolmente alle improvvisazioni demagogiche dell'ex- premier, accompagnata per giunta dal proposito di revisioni catastali che giuste in sé hanno assunto inevitabilmente il significato di un inasprimento di una tassa fondamentalmente ingiusta e avvertita come tale. Per inciso, la stessa idea che circola da tempo di candidare alla presidenza della repubblica un politico come Giuliano Amato, il più impopolare nell'immaginario collettivo degli italiani in quanto percepito come uomo dell'Ici e delle mani nei conti correnti dei cittadini, mostra quanta trascuratezza vi sia di fronte a un senso comune di larga parte del paese, giusto o sbagliato che sia, ma col quale è doveroso fare i conti. Però va anche fatta una notazione comparativa rispetto al passato su questo voto imponente di metà degli italiani a destra, e che è forse l'unica nota ottimistica che si può ricavare. Nel 2001 il popolo di destra che aveva votato Berlusconi esprimeva ottimismo, vitalità ingenua ma reale, voglia di arricchimento facile. Oggi esprime solo paura. Che è un sentimento importante e che sarebbe colpevole ignorare, ma è anche una base su cui la destra non può costruire molto. Qui mi pare si registri la svolta e l'avvio del declino di Berlusconi, non più uomo dei sogni ma degli incubi, non solo degli italiani che lo detestano ma anche di quelli speculari e contrapposti degli italiani che lo votano.