Tutto è relativo, anche la povertà. Non è un caso che l'indagine che ieri ha pubblicato l'Istat si chiama: «La povertà relativa in Italia nel 2005». In un paese ricco, qual è l'Italia, d'altra parte, la povertà non può che essere relativa. Nessun paragone con le centinaia di milioni di persone che vivono con un dollaro al giorno. Ovviamente nessuno accusa l'Istat: le statistiche sulla povertà relative sono standardizzate, svolte con gli stessi criteri in tutti i paesi del mondo. A cominciare dagli Stati uniti, dove la percentuale di poveri relativi è maggiore di quella italiana, ma non di tanto.
In realtà più che la povertà relativa, sarebbe preferibile conoscere con certezza i dati della povertà assoluta partendo da un aggregato statistico certo: un paniere di beni essenziali ai quali ciascuna famiglia o ciascun individuo dovrebbe poter accedere. Ma sono alcuni anni che l'Istat non fornisce questo tipo di informazione, anche se, come sembra, una apposita commissione sta lavorando in questa direzione.
Conoscere la reale entità della povertà assoluta consentirebbe una politica economica mirata; una vera redistribuzione dei redditi a chi ne ha veramente bisogno. Altrimenti tutto diventa casuale. Come nel recente caso del ridisegno delle aliquote Irpef che finiscono per premiare anche lavoratori autonomi onesti (ce ne sono) ma soprattutto i grandi evasori fiscali. Insomma, i ricercatori Istat sono bravi a fare il loro mestiere, ma è difficile credere che quello che non viene dichiarato al fisco, venga con trasparenza raccontato all'Istituto di statistica. In conclusione, questa indagine, ripropone con ancora più forza il problema dell'evasione fiscale di un Italia.
Tuttavia, questa indagine qualcosa dice. Per esempio che in Italia oltre 7,5 milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povertà; che oltre 3,5 milioni di cittadini sono sicuramente poveri e che esiste un area grigia di quasi 6 milioni di persone «quasi povere» che da un anno all'altro possono sprofondare in una condizione insostenibile. Dall'indagine emergono anche cose che sapevamo: per esempio che al Sud la «povertà relativa» è infinitamente maggiore (5-6 volte) rispetto al Nord e che per le famiglie numerose essere poveri è una condizione di normalità. L'indagine, però, forse per l'esiguità del campione è eccessivamente aggregata e non fa distinzione tra grandi città e piccoli centri: crediamo che sia soprattutto nei grandi centri che la povertà relativa è più insostenibile, visti i costi dei servizi e delle abitazioni.
I dati italiani sulla povertà sono stati diffusi ieri in contemporanea con la presentazione pubblica del rapporto annuale della Banca mondiale. Un rapporto che andrebbe diffuso nelle scuole visto che ci parla della vita di miliardi di persone, molte delle quali escluse dalla vita. Più di tutti i quasi 1,4 miliardi di giovani che avranno un futuro (ammesso che sopravvivano alle malattie che li sterminano come mosche) forse peggiore del presente. Come dire: tutto è relativo.