La Repubblica, 24 agosto 2013
MAI registrata a memoria d’uomo cotanta sensibilità umanitaria della destra italiana di fronte alla piaga del sovraffollamento nelle carceri. Nel novembre 2002 non bastò l’appello rivolto da Giovanni Paolo II davanti alle Camere riunite per convincere il governo Berlusconi a promulgare un atto di clemenza nei confronti dei detenuti. Né si ricordano pressioni in tal senso dai cattolicissimi ciellini riuniti a Rimini, dove quest’anno scrosciano applausi per i ministri Mauro e Cancellieri fautori di un provvedimento d’amnistia.
Per la verità un indulto fu poi approvato nel luglio 2006 su iniziativa del governo Prodi, che ne pagò per intero il prezzo d’impopolarità, anche perché la destra, per votarlo, ne impose l’estensione a reati per cui era sotto processo, guarda un po’, Silvio Berlusconi. Il quale, ritornato alla guida del Paese, introdusse nuovi reati (come quello di clandestinità) e aggravi di pena, che contribuirono in maniera determinante all’abuso della custodia cautelare e al sovraffollamento incivile delle nostre carceri. Fino alla condanna della Corte di giustizia europea; del tutto ignorata dai forcaioli che oggi si riscoprono estimatori di Pannella, pronti a firmarne i referendum e a garantire una corsia preferenziale per l’amnistia che esimerebbe il loro leader dall’anno di detenzione cui è stato definitivamente condannato.
Avvertiamo quindi una speciale viltà in quest’ultima, ennesima trovata che mira a trasformare un atto di clemenza – per sua natura rivolto a mitigare la pena di una moltitudine di persone colpevoli ma derelitte, precipitate all’ultimo gradino della scala sociale – in ossequio alla prepotenza di un oligarca che vorrebbe imporsi al di sopra e al di fuori dello stato di diritto. Il ministro Lupi ora smentisce che sia all’ordine del giorno del governo una tale oscena strumentalizzazione della vergogna in cui versano le carceri: deve essersi reso conto che il “no” secco del Pd rende impossibile una maggioranza parlamentare favorevole a un’amnistia ad personam.
Ma nel frattempo è stato davvero imbarazzante udire le voci di tanti forcaioli del Pdl salutare con favore l’improvvida proposta della ministra della Giustizia e del ministro della Difesa.Quest’ultimo, Mario Mauro, giunge a definire impossibile una riforma della giustizia, nel senso della malintesa pacificazione, «senza un gesto di clemenza, cioè l’amnistia». Così Mauro la missione dell’esecutivo di larghe intese si estenderebbe fino a trasformarlo in governo di “riconciliazione nazionale”. Già in passato, senza esito alcuno, fu prospettata una soluzione politica di vicende drammatiche che avevano gravemente colpito la comunità nazionale: se ne parlò per il terrorismo politico degli anni Settanta e per la Tangentopoli degli anni Novanta. In entrambi quei casi si trattava di affrontare piaghe dolorose, lutti e ladrocini, che avevano però a che fare con comportamenti devianti di natura collettiva, purtroppo assai diffusi nella nostra società. Alla fine la soluzione politica risultò improponibile perché cozzava con le regole fondamentali dello stato di diritto.
Ma è davvero singolare che Mauro non si renda conto della differenza sostanziale fra quelle devianze estese e il caso eminentemente personale, individuale, con cui si misurano oggi la giustizia e la politica: la responsabilità penale di un singolo cittadino, per quanto potente e prepotente egli sia.
Stiamo trattando il caso di un oligarca che frodando il fisco ha sottratto centinaia di milioni all’erario pubblico e danneggiato gli altri azionisti della sua stessa azienda. La propaganda cui si assoggettano i fautori della soluzione politica tende a presentare come vittima un uomo di governo che – per arricchirsi e costituire riserve di denaro all’estero – ha recato danno allo Stato che si era impegnato a servire.
Si prova imbarazzo a elencare – prima dell’amnistia ad personam
– gli altri innumerevoli sotterfugi escogitati giorno dopo giorno per sottrarre Berlusconi alla condanna inappellabile comminatagli il 1° agosto scorso. La richiesta di una grazia presidenziale. La commutazione della pena detentiva in sanzione pecuniaria. La pretesa superiorità del Parlamento rispetto a una sentenza definitiva della Cassazione. La richiesta sovversiva di mantenere capo politico della lista elettorale, ai sensi della legge Calderoli, un cittadino privato dei diritti politici. La non retroattività della decadenza automatica dai pubblici uffici del parlamentare condannato, sancita meno di un anno fa dalla legge Severino. E infine, più beffardo che mai, il dubbio di costituzionalità adombrato sulla medesima legge Severino che pure il Pdl aveva votato in Parlamento senza alcuna obiezione. Ha proprio ragione Cirino Pomicino: ce ne sarebbe abbastanza perché Berlusconi licenzi gli avvocati che paga profumatamente e che per giunta ha fatto eleggere in Parlamento, se solo ora scoprono di aver votato una legge anti-corruzione incostituzionale!
La contraddittoria, grottesca sequela di escamotage dalla vita breve con cui il Pdl cerca di mascherare la pretesa dell’impunità per Berlusconi, comprova la natura eversiva della sua leadership e non trova appigli nelle regole dello stato di diritto. Al massimo riusciranno a strappare ancora qualche settimana di dilazione prima che la pena diventi esecutiva e comporti la decadenza dell’evasore fiscale dal suo incarico pubblico.
Ma certo la strumentalizzazione del dramma delle carceri, con la proposta di amnistia, appare, fra tutte, la più detestabile delle furbizie. Maldestra, perché l’approvazione di una legge di amnistia richiede tempi lunghi. Odiosa, perché abusa della sofferenza altrui per il vantaggio di un impunito.