La Repubblica, 1° maggio 2015
di Vladimiro Polchi
«I controlli su base etnica sono inaccettabili: fermate la caccia al nero». Negli uffici della Caritas e delle organizzazioni internazionali esplode il caso “apartheid sui treni”. Col Pd che chiede immediati chiarimenti al Viminale: «È una gravissima discriminazione, intollerabile in un Paese civile».
Il fatto: in questi mesi, come ha raccontato ieri Repubblica , i treni in partenza da Bolzano e diretti oltre confine vengono controllati da pattuglie miste di poliziotti italiani, tedeschi e austriaci che bloccano chi non è bianco e impediscono ai migranti di salire sulle carrozze. «La polizia di frontiera sta facendo qualcosa di inaccettabile — attacca Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas — i controlli legati al colore della pelle fanno tornare in mente vicende terribili che non vorremmo più vedere in Europa. Anche la Caritas di Bolzano ci ha confermato queste ispezioni. Lo stesso avveniva nel 2011 coi tunisini alla frontiera francese.
Una vicenda quasi incomprensibile per quanto anacronistico e detestabile è il criterio applicato dalle pattuglie italo-austro-tedesche che hanno l’incarico (tra l’altro del tutto velleitario) di frenare l’approdo nel Nord Europa dei profughi africani che cercano di raggiungere i parenti in Germania, Svezia, Norvegia.
Il presidente del Consiglio ha dichiarato nei giorni scorsi che, finito il travaglio spossante della riforma elettorale, il governo si occuperà di diritti. Viene da dire: si occuperà della sostanza della politica e non più solamente della sua forma, con tutto il rispetto per la forma e per la faticosissima, contrastatissima ri-forma. Ecco una eccellente occasione per farlo. Chiedersi come sia potuto accadere, per quale assurdo accidente procedurale o per quale dolosa rozzezza, che in territorio italiano uomini in uniforme siano costretti, umiliando anche se stessi e il proprio ruolo, a dire “tu no” e “tu sì” ai passeggeri di un treno a seconda della loro razza, abbiano o non abbiano un biglietto in tasca.
Di questi rifiutati, compresi i bambini, esistono bivacchi che vivono ai margini delle stazioni affidandosi al soccorso di volontari e di associazioni umanitarie. Sono la testimonianza vivente dell’inesistente visione europea sulla questione, enorme, dell’esodo africano, malamente avviato alle coste italiane e poi rimpallato dai nostri partner europei. Una risacca che trova lungo le Alpi un secondo vaglio, dopo il mare le montagne, replicando anche su terra ferma quella negazione del diritto di viaggiare (non di risiedere: di viaggiare) che a ogni europeo sembra il più naturale dei diritti, almeno dalla caduta del Muro in poi. E per molti africani è diventato un azzardo, una scommessa, un rischio assurdo. Per quanto enorme sia il problema, per quanto delicato affrontarlo, lo spettacolo di un treno sgomberato dai neri e riservato ai bianchi non è ammissibile, rimanda a discriminazioni la cui fine è giustamente celebrata come una liberazione in ogni parte del mondo dove vigevano forme di segregazione. La liberazione da un incubo. Il ministro degli Interni e le altre figure istituzionali interessate riaprano i loro cassetti (pare che quelle pattuglie “trilaterali” siano un portato degli accordi di Schengen), cerchino di capire come rimediare a un così maldestro obbrobrio, non costringano uomini dello Stato a individuare la pelle nera come un pericolo e la pelle bianca come un lasciapassare.
Per quanto difficile sia capire, sulla questione dei migranti e dei profughi, che cosa bisogna fare, è facilissimo capire che cosa non bisogna fare. Non bisogna che il criterio razziale trovi una benché minima forma di leggibilità, di dicibilità. “Tu non puoi perché sei nero” è indicibile, e basta. Che il governo Renzi si occupi di diritti non è, in questo caso, un buon proposito o un punto della futura agenda politica. È qualcosa da fare e da risolvere oggi, stamattina. Adesso.