Stupisce soltanto chi non conosce Milano, il risveglio civico di una città che si interroga da tempo su se stessa e sull’orgoglio perduto. Nel voto che ha spiazzato il centrodestra e sorpreso il centrosinistra c’è molto dell’indignazione che si legge ogni giorno nelle lettere ai giornali, insieme a una richiesta di attenzione della politica e alla domanda di maggiore serietà. Serietà intesa come rispetto, efficienza, controllo, garanzia di equità: messaggi che la città operosa recapita da anni a chi governa attraverso incontri e dibattiti che finiscono inesorabilmente con una domanda: dov’è Milano, dove sono i milanesi. Milano è nello stesso posto di sempre.
Coi suoi numeri da record, i suoi primati, le sue opportunità, tra lampi di luce e zone d’ombra, prove riuscite d’integrazione e nicchie di paura. I milanesi invece sembrano dispersi, perduti in mille isole di resistenza civile: molti si battono per il verde, per una strada, per un quartiere, portano il bene della solidarietà agli emarginati di ogni tipo, malati, anziani, disabili, immigrati, carcerati. Chiedono una città più pulita, più ordinata, la sicurezza senza il coprifuoco, l’attenzione per le piccole cose. Ma spesso bisogna andarli a cercare, per riunire intorno ad un progetto le tante articolazioni di una società minuta in fermento, che si dà da fare per migliorare il benessere dei cittadini e la qualità della vita.
Giuliano Pisapia ha incrociato questo fermento, quel new deal civico organizzato negli ultimi anni in piccoli centri di opinione, associazioni culturali, gruppi di lavoro nei quartieri e nelle parrocchie, che il Corriere aveva documentato nel suo viaggio in camper, attraverso le varie zone della città. Ha dato attenzione e ascolto ai cittadini, in modo semplice e diretto, a differenza della campagna elettorale di Letizia Moratti. Il sindaco uscente aveva già avuto segnali in questo senso, qualcuno aveva già evidenziato la distanza eccessiva tra richieste dei cittadini e Palazzo Marino.
Quando cinquecento persone si autoconvocano al teatro Puccini per discutere del «Manifesto per Milano» , come nel giugno dello scorso anno, vuol dire che c’è una ritrovata voglia di partecipare alle scelte per il futuro della città. Vuol dire che tanti cittadini chiedono ascolto sui loro piccoli e grandi problemi, o vogliono, come il cardinale Tettamanzi, essere protagonisti di una Milano capace di ritrovare la sua leadership nel Paese. Ci si vuole riconoscere in una città capace di dare il giusto valore al merito, di fornire qualche buon esempio e di allontanare il virus della volgarità. Nel «Manifesto per Milano» ci sono parole come rispetto, competenza, responsabilità. Sono parole che ci riguardano (diversamente da quelle del caso Lassini, contro i magistrati). Queste parole torneranno a ripetersi in questi giorni. Ma non si possono svendere nel marketing elettorale.