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Michele Salvati
Unire rigore, equità e crescita. Quadrare il cerchio è possibile
19 Agosto 2011
Articoli del 2011
Lettura coerentemente “riformista” dei possibili equilibri economici, però applicata al’Italia suona del tutto accademica. Corriere della Sera 19 agosto 2011 (f.b.)

Rigore, equità e crescita sono le tre esigenze che devono essere soddisfatte per uscire dai guai nei quali il nostro Paese ristagna da tempo. Ricordando un famoso saggio di Ralf Dahrendorf, mi sono posto questa domanda: non si tratta forse di un problema di «quadratura del cerchio», per definizione impossibile da risolvere? Un problema per cui, se due esigenze vengono soddisfatte, la terza non può esserlo? Chi pone così il problema si sbaglia. Ognuna delle tre esigenze è difficile da soddisfare, ma esse non sono contraddittorie. Anzi, la soluzione di una favorisce la soluzione delle altre.

Prima variazione: si possono avere insieme rigore ed equità, ma in questo caso non si può avere crescita. Falso. Se si dà al termine rigore il significato elementare di tenere i conti pubblici in ordine e raggiungere anno dopo anno un avanzo primario con il quale ridurre il debito, non è vero che ci sia un contrasto tra rigore e crescita. C'è contrasto solo se si concepisce l'equità come la soddisfazione di interessi consolidati e difesi da poderose corporazioni, la cui minaccia provocherebbe tensioni e proteste: in questo caso riforme strutturali profonde non si potrebbero fare e la crescita sarebbe impossibile. Ma conservare l'attuale, perverso equilibrio degli interessi — ciò che i governi hanno fatto sinora — non coincide con l'equità: non è equo mantenere diviso in due il mercato del lavoro, o difendere «diritti acquisiti» che sono in realtà posizioni di rendita, o tollerare una scandalosa evasione fiscale. Equa è una politica che consente a tutti — ricchi e poveri, giovani e vecchi, uomini e donne — una vita decente e pari opportunità. Ma questo non contrasta, anzi va insieme con la crescita.

Seconda variazione: si possono avere insieme crescita e rigore, ma non equità. Falso. È vero che il rigore e la progressiva restituzione del debito richiedono avanzi di bilancio e dunque o maggiori imposte o una minore spesa pubblica o entrambi. E di conseguenza un minor reddito reale per i cittadini. Ma non è detto che questa maggior penuria debba essere distribuita in modo iniquo o che vada a ledere gli incentivi che stimolano le imprese a produrre e a investire. Un Paese che cresce e tiene i conti in ordine non è necessariamente un Paese iniquo: la Germania e i mitici Paesi nordici, da tutti gli indicatori disponibili, sono costituiti da società più eque e da economie più dinamiche dell'Italia.

Terza variazione: crescita ed equità possono stare insieme, ma non così il rigore. Falso: non è vero che solo il lassismo fiscale e monetario consentirebbe di accomodare crescita ed equità, come pensano coloro che rimpiangono l'inflazione e le svalutazioni della Prima Repubblica.

Costoro ritengono sia stato un errore infilarci nell'euro e suggeriscono di conseguenza — seppure siano ancora pochi a sostenerlo apertamente — che dovremmo uscirne il più rapidamente possibile. Dalla loro hanno l'evidenza che l'entrata nella moneta unica ha coinciso con l'inasprimento di un regime di politica economica internazionale in cui i redditi da lavoro si sono ridotti rispetto agli altri e le condizioni lavorative notevolmente peggiorate. Ma questo peggioramento ha riguardato tutti i Paesi avanzati, sia quelli della zona euro, sia quelli con moneta propria: anzi, è stato massimo per gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, Paesi che possono adottare una politica monetaria autonoma. Qualora seguissimo i suggerimenti dei lassisti nelle attuali condizioni internazionali non raggiungeremmo certo condizioni di maggiore equità, ma solo aggiungeremmo un ingestibile problema di inflazione e svalutazione a quelli che già dobbiamo affrontare ora.

Conclusione. Rigore, equità e crescita sono tre obiettivi che possono e debbono essere perseguiti insieme. La manovra appena varata soddisfa in buona misura l'esigenza di rigore ma non altrettanto quelle di equità e di crescita. La ragione non risiede in una presunta incompatibilità di questi obiettivi, ma nel colpevole ritardo e nell'affanno con il quale il governo ha affrontato una situazione di difficoltà che era nota da tempo senza aver preparato le condizioni nelle quali quegli obiettivi sarebbero stati compatibili e anzi di mutuo aiuto.

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