Come si può interrompere e sovvertire ogni attività produttiva e riproduttiva? Quali pratiche possono esprimere il rifiuto dei ruoli imposti dal genere, il rifiuto di ogni forma di violenza contro le donne e della loro oppressione, dentro e fuori i luoghi di lavoro? Allo sciopero globale hanno aderito già 30 paesi. All’indomani dell’insediamento di Trump negli Usa, milioni di donne sono scese in piazza per manifestare «contro il volto patriarcale e razzista del neoloberismo americano».
Un inedito ciclo di lotte femministe si sta «facendo largo nel mondo»? Venerdi sera, a Roma, nello spazio autogestito Communia, in tante ne hanno discusso con Celeste, Magda ed Eleonor, provenienti dall’Argentina, dalla Polonia e dalla Finlandia (Eleonor, di origine etiope-eritrea).
La violenza (violenza patriarcale ed economica imposta dal sistema capitalista) va intesa «come questione strutturale» in cui emerge il tema dei confini e delle frontiere, «strumento primario di violenza», uno dei nodi globali. E così, anche Al tavolo sul Femminismo migrante è emersa la necessità di «fare una critica radicale al sistema di “accoglienza” (dagli Hotspot agli Sprar) ed espulsione», basato su una logica violenta «di potere e privilegio», che spesso nella materialità si riduce a esercitare controllo e repressione: «un sistema che priva le donne migranti della propria libertà e autodeterminazione».
E anche la civilissima Finlandia – dice Eleonor – messa alla prova di massicce richieste di asilo si chiude, stringe le maglie della legge e non accoglie i rifugiati. Inoltre, in Finlandia, «il livello della violenza domestica contro le donne è molto alto anche se poco percepito. E le donne nel lavoro, vengono pagate meno». Il diversity management – se n’è discusso al tavolo Lavoro e welfare – «è ormai un meccanismo di valorizzazione e messa a produzione delle soggettività stesse». Quanto alla violenza domestica, fra le proposte del tavolo su Piano legislativo e giuridico, c’è «l’urgente necessità di una modifica legislativa che introduca la violenza intra-familiare quale causa di esclusione dell’affido condiviso e il divieto di mediazione nei casi di violenza intrafamigliare».
Ma poi: come intendiamo noi occidentali il femminismo «in relazione alle donne immigrate nel nostro paese e in Europa?» Che uso facciamo dei termini «a partire dal nostro posizionamento privilegiato»?
Le donne immigrate sono anche europee, provenienti dai paesi dell’est. Magda, che ha messo in moto il primo sciopero globale intercettando un sentire diffuso, racconta la lotta delle donne polacche intorno alla legge sull’aborto che le destre vorrebbero ulteriormente peggiorare: «Nel periodo comunista – dice – l’aborto era un diritto pienamente garantito. Dopo l’89 è diventato il primo bersaglio della chiesa cattolica. Nel ’95, la legge è stata peggiorata e l’aborto limitato solo a pochissimi casi. Una soluzione di compromesso da cui ora ci tocca ripartire. Nel socialismo le donne avevano la parità totale e piena occupazione. Solo che, dopo aver guidato il trattore, tornavano a casa a fare il doppio lavoro».
Un'occasione per dire che la sbarra va posta sempre in alto: verso il sovvertimento complessivo dei rapporti di potere. «Perché ad ogni femminicidio il patriarcato si rifonda», dice Celeste, raccontando il percorso in crescendo del movimento delle donne argentine.