Due storie raccontate da Michela Bompani e Lucia Serranò dalle rispettive sezioni locali di Genova e Firenze de
la Repubblica. 7 marzo 2017 (p.d.)
la Repubblica online, ed Genova
LIGURIA, OSPEDALI E UFFICI
"VIETATI" ALLE DONNE COL BURQA
di Michela Bompani
L'ingresso negli ospedali liguri, ma pure negli uffici pubblici regionali sarà "vietato" alle donne che indossano il burqa. Lo annunciano il presidente della Regione, Giovanni Toti, Forza Italia, e l'assessora regionale alla Salute, Sonia Viale, leghista, anticipando il contributo di una delibera che sarà votata dalla giunta venerdì. "L'8 marzo è una buona occasione per dire che il burqa è il simbolo della sottomissione della donna all'uomo - dice Toti - ed è una buona occasione per ribadire che bisogna rispettare in Italia le regole minime di uguaglianza tra uomo e donna". E l'assessora Viale ribadisce: "Le persone che chiedono assistenza devono essere riconoscibili anche per facilitare gli interventi degli operatori". Immediato il sostegno del leader della Lega Nord, Matteo Salvini: "Nel diluvio di chiacchiere inutili che accompagna la Festa della donna, questa è una iniziativa concreta per la tutela della libertà, della dignità, dell'indipendenza e della sicurezza delle donne".
Bufera immediata, nelle file dell'opposizione in Regione: "Discriminatoria e incostituzionale la delibera della Viale - attacca Alice Salvatore, portavoce regionale M5S - che, invece di estendere i diritti delle donne, li riduce ulteriormente. Un pessimo segnale, alla vigilia dell’8 marzo, che offende tutte le donne". E aggiunge: "Fa inorridire l'idea che nel 2017 si tenti di impedire alle donne l’accesso alle cure sanitarie essenziali solo ed esclusivamente per i vestiti che indossano. Questa delibera non è altro che l’ennesimo atto di propaganda demagogica già andato in scena in Veneto e in Lombardia. Un provvedimento che viola palesemente l’articolo 3 della Costituzione e andrà incontro a una inevitabile bocciatura da parte della Corte Costituzionale". E Salvatore coglie l'occasione, proprio alla vigilia dell'8 marzo di ribadire: “Se vogliamo parlare di discriminazioni, pensiamo a quelle, troppe, di cui sono vittime le donne, che ancora scontano un gap importante sul lavoro e sulle retribuzioni e che continuano ad essere oggetto di violenze, soprattutto domestiche”.
L'assessora Viale rivendica: "Disporre il divieto d'ingresso nelle strutture sanitarie per le persone che indossino il burqa significa per la Regione Liguria assumere una misura fortemente anti-discriminatoria a difesa della libertà delle donne. Il nostro obiettivo è dire un chiaro no a quella che è la discriminazione simboleggiata dall’utilizzo del burqa. È un tema che deve essere portato all’attenzione della comunità ligure: le discriminazioni attuate attraverso la copertura del volto e del capo della donna sono l’anticamera di quello che non vogliamo. L’8 marzo è un simbolo di libertà della donna di scegliere come muoversi e come operare. Il burqa, al contrario, è simbolicamente l’atto di discriminazione sessuale più palese e maggiormente indice di fanatismo che si ritrova in alcuni paesi in cui la democrazia è dimenticata”.
Anche il Pd attacca la Viale: "Tutti hanno diritto a essere curati, indipendentemente dalla religione che professano e da come si vestono. Se si vuole aprire una discussione sul
burqa, iniziare dagli ospedali è la cosa più sbagliata che ci sia - dice la capogruppo Pd in Regione, Raffaella Paita - parliamo di discriminazione: un tema rispetto al quale la giunta Toti si è distinta per essersi dimenticata di chiedere i fondi al governo. Gli stranieri in Italia sono 5 milioni, quasi il 10%. Molti sono musulmani. Una Regione seria affronterebbe queste vicende aprendo un dialogo con queste comunità, utilizzando mediatori culturali e stimolando una riflessione con la parte più moderata e avanzata. Infine una domanda: se si presenta al pronto soccorso una donna in pericolo che indossa il burqa, cosa fa il medico, le dice di andare a curasi altrove?"
la Repubblica online, ed Firenze
PRATO, OPERAIA CINESE MUORE
NEL CAPANNONE:
INCHIESTA SU FABBRICA DORMITORIO
di Lucia Serranò
Un capannone-dormitorio con decine di operai stipati nello spazio di pochi metri, in precarie condizioni igieniche e di sicurezza. E una donna chiusa in bagno, col capo reclinato e gli occhi sbarrati. Indagini sono state avviate dai carabinieri di Prato, coordinati dalla Procura, sulla fine di una cittadina cinese di 50 anni, irregolare in Italia, trovata morta ieri mattina in un maglificio gestito da un connazionale a Carmignano (Prato). Una morte legata a cause naturali, secondo il medico legale, ma avvenuta in un contesto (dormitori, abusi edilizi, norme sulla sicurezza non rispettate) tale da imporre accertamenti e verifiche a tappeto. Si lavora, in particolare, per chiarire se la donna fosse costretta a turni massacranti o comunque incompatibili con le sue condizioni di salute.
In attesa dell'autopsia, prevista nei prossimi giorni, la Procura ha intanto aperto un fascicolo per l'ipotesi di reato di omicidio colposo, a carico di ignoti. Il titolare della ditta è stato denunciato per l'impiego di manodopera clandestina, mentre il capannone è finito sotto sequestro.
L'allarme è scattato ieri mattina. Sono stati alcuni operai a sfondare la porta del bagno e a scoprire il corpo senza vita: il personale del 118 è arrivato nel giro di pochi minuti, ma non ha potuto far altro che constatare il decesso. Sul posto sono quindi iniziati gli accertamenti dei carabinieri della stazione di Poggio a Caiano e del nucleo investigativo di Prato, seguiti poi da quelli del medico legale, che ha escluso l'ipotesi di una morte violenta (sul corpo nessun segno di violenza). In breve, però, è emerso uno scenario di forte degrado e illegalità. Lungo l'elenco di violazioni messe nero su bianco dalla polizia municipale e dai tecnici della Asl, intervenuti per un sopralluogo. Proprio sulla base della serie di irregolarità la Procura diretta da Giuseppe Nicolosi ha quindi deciso di approfondire il caso e disposto indagini a tutto campo. Nei prossimi giorni saranno ascoltati i sei operai trovati durante i primi controlli, ma si cercano anche gli altri lavoratori: la loro testimonianza potrebbe infatti risultare decisiva per ricostruire con precisione la catena di comando della ditta e le eventuali responsabilità del titolare.
Quella di ieri mattina è solo l'ultima morte "sospetta" registrata negli ultimi anni nei laboratori e nelle ditte di pelletteria gestite da cittadini cinesi in provincia di Prato. Come nel gennaio del 2016, quando la polizia ritrovò il cadavere di un operaio di 49 anni nel corridoio di una ditta di confezioni. Anche in quel caso le indagini accertarono che l'uomo viveva a pochi metri dal luogo di lavoro, ma la morte fu attribuita esclusivamente a cause naturali. Nel luglio scorso, invece, un cittadino cinese di 62 anni perse la vita in un magazzino nella Chinatown pratese, probabilmente folgorato dall'elettricità nel corso di un intervento su un generatore.