La Repubblica, 3 febbraio 2015
PARAFRASANDO Marshall McLuhan: il “look” è il messaggio. Lo hanno capito il premier greco Alexis Tsipras e il suo ministro delle Finanze Yanis Varoufakis. Nella loro tournée europea hanno attirato l’attenzione anche per il guardaroba casual. Varoufakis senza cravatta, la camicia fuori dai pantaloni e il giaccone a Downing Street, di fronte al collega inglese molto formale, la dice lunga sulla volontà greca di non rispettare nessuna convenzione.
È un metodo già padroneggiato da Marchionne (golf in mezzo agli smoking), da Renzi (camicia sbottonata), e prima di loro dagli americani: Mark Zuckerberg con le sue T-shirt da surfista sintetizza lo spirito della Silicon Valley; Barack Obama con le sue corse in salita sulla scaletta dell’Air Force One incarna il salutismo per una generazione di maratoneti.
Dietro lo scompiglio dell’etichetta ce n’è uno più sostanziale. Oggi Tsipras arriva in Italia in una giornata particolare, con il discorso inaugurale del nuovo presidente della Repubblica. Guai però se passasse inosservato il premier greco: indossi pure bretelle rosse e All Star se serve ad attirare l’attenzione. Sullo scenario “Grexit” — la possibile uscita della Grecia dall’unione monetaria — si sta giocando una partita delicatissima. E fin qui sottovalutata. Annegata fra i tecnicismi sulla rinegoziazione dei debiti di Atene, i diktat della troika (Commissione Ue, Bce, Fondo monetario) e le condizioni di Draghi per erogare liquidità d’emergenza.
Un acuto osservatore tedesco come Wolfgang Munchau sul Financial Times descrive il pericolo che incombe sull’eurozona. La Germania si è convinta che Tsipras può essere snobbato, «perché un’uscita della Grecia dall’euro sarebbe una calamità per la Grecia, uno shock minore per l’eurozona, e un non-evento per l’economia globale». Poiché la storia è piena di incidenti imprevisti, il rischio è che si stia ripetendo l’errore-Lehman che fu all’origine del crac sistemico nel 2008. La Lehman Brothers era una banca relativamente piccola, lasciarla fallire poteva essere una lezione salutare per le altre, senza conseguenze per l’economia. Le cose sono andate diversamente. La banca era piccola, sì, ma legata da mille fili invisibili che risucchiarono la finanza mondiale verso il baratro. L’errore di calcolo costò caro. Di fronte alla noncuranza tedesca, sembra più lucido il cancelliere dello Scacchiere inglese, quello che portava la cravatta all’incontro con Varoufakis: la tensione fra Atene e l’eurozona secondo lui «è il più grave rischio che oggi fronteggia l’economia globale».
Dietro il look scapigliato dei suoi nuovi dirigenti, la piccola Grecia ha tanti difetti ma anche un grosso merito. Il difetto più grave è l’assenza di un patto di cittadinanza, di un contratto sociale rispettato, di una cultura delle regole: se nel 2011 i parlamentari di Atene fecero notizia perché trasferivano i risparmi in Svizzera, due settimane fa la vittoria elettorale di Syriza è stata preceduta da un’evasione fiscale in massa, un segnale di “liberi tutti” che lascia sgomento lo scrupoloso contribuente tedesco. Ma il governo Tsipras ha messo la lotta all’evasione in testa alla sua agenda e ha diritto a un’apertura di credito. Il suo merito maggiore: si presenterà anche scravattato, ma sta dicendo che il Re, che si crede elegantissimo, è nudo (o la Regina Merkel). Quando Varoufakis chiede ai partner europei se vogliono «una Grecia riformata oppure deformata » dalle terapie mortali dell’austerity, parla lo stesso linguaggio di Obama. Il presidente americano in un’intervista alla Cnn ha detto che la Grecia «ha bisogno di una strategia di crescita», dopo anni di tagli e salassi che hanno amputato del 25% il suo reddito nazionale. «La nostra esperienza americana — ha detto Obama — insegna che la via maestra per ridurre i deficit e risanare i conti pubblici, è la crescita». Dall’alto di cinque anni e mezzo di ripresa, può permettersi di darci questa lezione.
È sconcertante la deriva fondamentalista del pensiero economico nelle capitali europee che contano: Berlino, Bruxelles. Gli ayatollah dell’austerity non hanno bisogno di confrontarsi con i fatti — che dimostrano la follia delle loro ricette — proprio come i sacerdoti di una religione ottusa e feroce. A nulla è servito che l’America abbia fatto l’esatto contrario, con effetti benefici. Ben vengano le provocazioni greche, di stile e di sostanza, se dovessero svegliare un continente dal torpore mortale.