Si attende dal Presidente qualche gesto che dimostri che la lettera e lo spirito della Costituzione esige che si rispetti quel suo articolo secondo il quale "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli". Il manifesto, 4 febbraio 2015
Nell’asciutto e preciso intervento rivolto dal Parlamento agli italiani, una affermazione è apparsa subito chiara risuonando come un monito: la garanzia più forte della nostra Costituzione consiste nella sua applicazione, «nel viverla ogni giorno». E garantire la Costituzione, significa tra l’altro «ripudiare la guerra e promuovere la pace»: eccolo l’articolo 11 nel suo primo enunciato. Dichiarazione che, nello stile di chi dichiara di essere attento al quotidiano, alle difficoltà reali dei «concittadini», è sembrato tutt’altro che retorica. Soprattutto rivendicata nella sede istituzionale più alta, dopo tanti silenzi e ipocrisie.
Ma nel seguito delle sue parole e nell’accoglienza tra i parlamentari, molte ambiguità sulla questione della guerra rimangono. Sia nell’affermazione: «…A livello internazionale la meritoria e indispensabile azione di mantenimento della pace, che vede impegnati i nostri militari in tante missioni, deve consolidarsi con un’azione di ricostruzione politica, sociale e culturale senza la quale ogni sforzo è destinato a vanificarsi». Sia nel ringraziamento «…alle forze armate, sempre più strumento di pace ed elemento essensiale della nostra politica estera e di sicurezza…». In quale crisi — nei Balcani, in Iraq, in Afghanistan o in Libia -, l’uso della forza e della guerra «umanitaria» con la presenza interventista dei nostri soldati ha aiutato a risolvere quei conflitti e non ha invece incancrenito la situazione, anche con la co-responsabilità in stragi con tante, troppe vittime civili e fughe di milioni di disperati?
Perché tutto, nel discorso del Presidente Mattarella — sia quello in Parlamento che dopo la visita alle Fosse ardeatine -, viene inscritto comunque nella necessità di rispondere al «terrorismo internazionale» e ai «predicatori di odio» che insidiano la nostra sicurezza e i nostri valori. Senza interrogarsi mai se l’uso della forza militare, vale a dire della guerra, abbia fin qui aiutato a fermare il terrorismo e non piuttosto a seminare maggiore odio. Non è forse l’uso della guerra a pregiudicare la pace e perfino gli sforzi di pace degli organismi internazionali? Visto il modo in cui è stata presa la decisione di partecipare a molti conflitti, contro e oltre la volontà dell’Onu. E ancora, come si rifiuta la guerra se le Forze armate vengono promosse al rango di «elemento essenziale della politica estera» che invece dovrebbe essere propria della diplomazia, di fatto inesistente in Italia e nell’Unione europea? Se dopo l’89 e la Guerra fredda, si è aperta ricorda Mattarella, una stagione nuova in Europa, che ci stanno a fare 100 piloti italiani di cacciabombardieri nei Paesi baltici al seguito della strategia di allargamento a est della Nato, pericolosamente al confine della Russia? Davvero questo aiuterà la conclusione della crisi ucraina o al contrario l’approfondirà verso un confronto pre-’89?
E tutto questo quanto ci costa, visti i magri bilanci tagliati per via della crisi? Perché, se proprio non vogliamo ripetere la frase a noi cara del Presidente Sandro Pertini, «Si aprano i granai si chiudano gli arsenali di armi», almeno osserviamo che dai dati ufficiali di Nato e Sipri, l’attuale spesa militare dell’Italia si aggira tra 50 e 70 milioni di euro al giorno. Al giorno. Senza dimenticare che gli F-35 dal costo miliardario, sono strumento d’offesa non di difesa.
Eppure l’articolo 11 della Costituzione italiana rifiuta la guerra proprio «come mezzo di risoluzione delle crisi internazionali». Senza malinterpretare il secondo comma dell’articolo (che mette a disposizione risorse per soddisfare le richieste degli organismi internazionali come l’Onu), come fosse un’autorizzazione a fare la guerra, magari aggettivata con «umanitaria». Ma come può la seconda parte di un articolato costituzionale fondativo contraddire e negare la prima parte? Altrimenti, che costituzione sarebbe. Pensate se l’ articolo 1 che fonda l’Italia sul lavoro, dichiarasse nella sua seconda riga invece fondativa la disoccupazione. La guerra è esplicitamente «rifiutata». Purtroppo di questo rifiuto si è fatto uso e abuso, e vale la pena ricordare che l’avvio della fine della leva militare promosso dal ministro della difesa Mattarella, non ha decretato la fine della partecipazione italiana alle guerre ma il contrario: a partire dal 1999, quando Mattarella era vice-premier, è cominciata una nuova stagione della Nato che, con la guerra di raid aerei sulla ex Jugoslavia, si è trasformata da patto di difesa in trattato offensivo, pronto all’intervento militare. Quel conflitto è diventato il modello di altre avventure belliche come in Iraq, Afghanistan, Libia, Siria» e via dicendo.
Così, alla fine davvero è suonata appropriata la standing ovation di tutto il Parlamento appena Mattarella ha nominato i «due marò». Certo, concordiamo anche noi che due anni e mezzo di detenzione senza processo sono insopportabili, in India e sotto ogni giurisdizione. Ma come dimenticare che questa drammatica vicenda è nella scia della scellerata decisione bipartisan del Parlamento che ha autorizzato i militari dello Stato italiano a fare da scorta a navigli privati in difesa dei «pirati»; così indiscriminata e poco mirata che abbiamo sparato, uccidendo due dimenticati pescatori indiani, in un’area, le coste del Kerala, dove la pirateria non c’è. Soprattutto Mattarella ha fatto bene a ringraziare i tanti militari morti nell’adempimento del loro dovere. Quei tanti marò di cui nessuno parla, malati terminali o morti per l’uranio impoverito.
Ora se la presidenza Mattarella «promuoverà la pace», sarà anche il Presidente dei pacifisti. E ci aiuterà a tirare fuori lo scheletro della guerra dall’armadio delle democrazie occidentali