Grecia. Non mancano critiche ma all’interno di Syriza si loda la «praticità» del premier
Alexis Tsipras per evitare che il suo governo fosse una «parentesi di sinistra», come vorrebbero l’ ex premier Samaras e la maggioranza dei partner europei, ha preferito svoltare. Una «retromarcia di destra» come viene descritta dagli avversari interni al partito del premier, realistica e «di dignità» secondo il Megaro Maximou, sede di governo.
Tra pragmatismo e idealismo su una cosa sono d’ accordo ambedue le correnti della sinistra radicale greca. Il prolungamento del negoziato e il pericolo di un tracollo finanziario in Grecia avrebbero provocato uno scontro frontale tra il neo governo e i creditori internazionali. Ad Atene immagini simili a quanto era successo a Cipro nel marzo del 2013 con le lunghe file di fronte ai bancomat sarebbero inevitabili. Al di là di questa valutazione comune, le strade tra le due correnti si separano. Gli «inconciliabili» credono che una fuoriuscita della Grecia dall’Ue metterebbe i greci in salvo, senza tener conto che la competitività del Paese rimane bassissima; i realisti fanno notare che il governo del Syriza-Anel continua a trattare. «È meglio un Grexit che una continuazione perenne dello stato dell’ impoverimento attuale» sostiene l’economista e giornalista Leonidas Vatikiotis. Per aggiungere ciò che si sente molto in questi giorni da chi critica l’operato del governo: «il contenuto dell’ accordo di Bruxelles non deve essere paragonato con il programma del governo precedente, ma con il programma pre-elettorale del Syriza».
In realtà ministri e dirigenti del Syriza vicini al premier non nascondono il loro imbarazzo. Ciò che maggiormente ha colpito a livello morale è stata la reazione di Manolis Glezos. «Probabilmente Glezos era deluso per la mancata elezione a presidente della Repubblica» sostengono alcuni che conoscono da vicino il simbolo della resistenza greca contro i nazisti. Ieri Tsipras ha parlato telefonicamente con vari dirigenti del suo partito che si sono opposti all’accordo di Bruxelles, si è incontrato con Mikis Teodorakis a casa sua, ma non ha voluto scambiare una parola con il suo maestro Manolis.
Critiche sono arrivata anche da parte dei comunisti del Kke, che venerdì prossimo organizzeranno una manifestazione alla Platia Syntagmatos di fronte al parlamento per denunciare l’accordo di Bruxelles, mentre secondo il Pasok il governo «rimane senza finanziamenti fino al giugno».
Con il via libera dell’ Eurogruppo alla lista delle riforme greche la Borsa di Atene ha registrato ieri un rialzo record (9,81%), ma questa buona notizia non viene vista da alcuni media internazionali che fino a ieri continuavano a parlare della fuga dei capitali greci all’ estero. «Negli ultimi giorni sono stati prelevati dalle banche greche 500 milioni di euro al giorno… i soldi prelevati in fretta in parte sono finiti addirittura in Svizzera, dove i greci avrebbero depositi per 60 miliardi di euro» ha scritto pochi giorni fa il sito de Il sole 24 Ore, senza spiegare chi sono quelli che hanno questi soldi. Il sottinteso è chiaro: «i greci, piccoli e grandi risparmiatori» per il timore della sinistra radicale ritirano le proprie economie.
Le cose non stanno propriamente cosi. C’è stato un calo dei depositi bancari dai 160 miliardi (ultimo dato ufficiale del dicembre scorso) a 145 miliardi, secondo le stime a metà febbraio. Ma a sentire gli economisti, «i capitali fuggiti all’ estero non appartengono ai piccoli correntisti, bensì ai soliti evasori fiscali. I dipendenti pubblici e i pensionati non hanno soldi sufficienti per sopravvivere, figuriamoci se hanno dei soldi a parte».
A confermare l’identikit dei risparmiatori che hanno fatto fuggire i loro «risparmi» all’estero è il ministro dello Stato, adetto alla lotta contro la Corruzione, Panagiotis Nikoloudis, già procuratore della Corte suprema che ha preparato una lunga lista di 3.500 nomi, sospetti di aver evaso fiscalmente e di aver riciclato denaro sporco. Si tratta di persone sopra ogni sospetto dalla casta dei businessmen (proprietari di catene di supermercati e di negozi di abbigliamento, armatori) e dei liberi professionisti (medici, farmacisti, ingegneri civili, ecc.) che di crisi ne hanno capito poco, con depositi bancari che vanno oltre ai dieci milioni, mentre alle autorità si dichiarano «poveri» con introiti che non superano le poche migliaia di euro. Sono gli stessi che risultano irreperibili oppure descritti con il termine generico «greci» nei servizi di una parte della stampa internazionale
GRECIA: SÌ DELL'EUROGRUPPO, MA CON RISERVE
di Anna Maria Merlo
Gli esami non finiscono mai per la Grecia. Ieri, l’Eurogruppo ha finalmente approvato la “lista” presentata da Atene lunedi’ notte, proprio allo scadere dell’ora limite (“ho ricevuto una mail alle 23,15” ha precisato il presidente Jeroen Dijsselbloem). L’Eurogruppo ha seguito il parere favorevole dei creditori — Ue, Bce e Fmi — espresso in mattinata. Ma, ha spiegato il commissario agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, questo “non significa che siamo d’accordo su queste riforme, siamo pero’ d’accordo sull’approccio, abbiamo evitato una crisi, ma restano numerose sfide di fronte a noi”. Sulla carta, la Grecia ha quattro mesi, fino a fine giugno, per ridiscutere la questione del debito con le “istituzioni”, il nuovo nome del trio Ue-Bce-Fmi, che ha sostituito l’odiato termine di “trojka”.
Ma, intanto, per avere la certezza che dal 28 febbraio, data di scadenza del secondo piano di aiuti (130 miliardi), ci sarà l’estensione di quattro mesi, bisogna che il progetto passi nei parlamenti dei quattro paesi che prevedono un voto ogni volta che vengono impegnati denari pubblici. Sono Olanda, Finlandia, Estonia e Germania. Il Bundestag vota venerdi’, Wolfgang Schäuble ha scritto ai deputati per invitarli ad approvare il piano, in caso di via libera da parte dell’Eurogruppo. Ma, ha precisato ieri il suo portavoce Martin Jaeger, “la lettera di Atene non conduce a soluzioni sostanziali”.
Riserve sono state emesse anche dall’Fmi: si tratta di un “valido punto di partenza”, ma “in vari settori” mancano rassicurazioni su riforme che erano state imposte dal Memorandum (aumento dell’Iva, abbassamento delle pensioni, privatizzazioni, riforma al ribasso del lavoro). Anche l’Eurogruppo, dopo l’approvazione, ha voluto aggiungere delle raccomandazioni: la Grecia deve “sviluppare e ampliare la lista delle riforme, sulla base del presente accordo, in stretta cooperazione con le istituzioni, per permettere una conclusione rapida e favorevole dell’esame”. Difatti, per il versamento dell‘ultima tranche di circa 7 miliardi di euro per la Commissione “sono attese ulteriori precisazioni sulle riforme e saranno concordate fino a fine aprile, in linea con quanto prevede la dichiarazione dell’Eurogruppo della scorsa settimana”. I creditori staranno attenti sulla promessa di lotta alla corruzione e all’evasione, vecchie richieste della trojka e promesse che i predecessori di Tsipras non erano riusciti a mettere in atto.
Il governo Tsipras ha dovuto correggere a più riprese la “lista” da presentare a Bruxelles. Il draft del comunicato ha fatto varie volte l’andata e ritorno tra Bruxelles e Atene, tra venerdi’ e lunedi’. La Grecia ha dovuto annacquare molto la proposta. Jean-Claude Juncker, per esempio, ha escluso un aumento del salario minimo. Nel testo resta una frase vaga: si parla di “approccio intelligente della negoziazione collettiva sui salari” e “questo include la volontà di aumentare il salario minimo, preservando la competitività”, mentre l’ “aumento del salario minimo e il timing saranno decisi in concertazione con le istituzioni europee e internazionali”. Per Juncker, sarebbe stato “intenibile” politicamente un salario minimo greco maggiore di quello “di sei paesi della Ue” (tra cui Slovacchia e Spagna), che sono chiamati a contribuire all’aiuto ad Atene.
La Grecia ha incluso nella proposta dei riferimenti al programma di Syriza sull’aiuto ai più poveri, ma ha dovuto precisare che “la lotta alla crisi umanitaria non avrà effetti negativi sul bilancio”. Non ci sono dettagli su queste misure, finite in fondo al testo. Inoltre, sulle privatizzazioni, Atene ha dovuto accettare che non saranno revocate quelle già approvate e che non tornerà indietro neppure su quelle per le quali è già stato pubblicato il bando. Invece, “rivedrà quelle non ancora lanciate, puntando a migliorare i benefici a lungo termine”. Dijsselbloem, che in mattinata è stato ricevuto dalla commissione affari economici del Parlamento europeo, ha precisato che la lista è “un primo passo, ma c’è ancora molto da lavorare”. Il presidente dell’Eurogruppo si è anche interrogato sulla tenuta del governo Tsipras: bisogna vedere se “potrà fare quello che vuole”, ha detto.
L’Eurogruppo si è soprattutto preoccupato di ottenere dalla Grecia l’assicurazione che non verranno “prese iniziative unilaterali” e che ogni decisione sarà presa “in consultazione con le istituzioni europee”. Dijsselbloem è stato ancora più diretto: “ci deve essere una forte cooperazione, non si possono fare mosse unilaterali, almeno fino a quando Atene vuole nuovi fondi dall’Eurozona”.
La vera preoccupazione è di evitare un Grexit, che farebbe tremare tutto l’edificio dell’euro. Per Christine Lagarde, alla testa dell’Fmi, “l’uscita della Grecia dell’euro è fuori discussione, faremo di tutto per aiutarli” (in questo e solo in questo)