Il manifesto, 19 aprile 2015
Sono 734 piazze in tutto il mondo, 41 solo in Italia. Una mobilitazione che ricorda il dicembre 1999, quando il movimento globale si oppose all’allora ministeriale della Wto a Seattle, e che oggi si mobilita per il Trattato transatlantico di liberalizzazione commerciale Usa– Ue (Ttip) e il suo obiettivo di deregolamentare standard, normative e tutte quelle leggi di tutela ambientale e sociale considerati «barriere tecniche al commercio».
In decine di flashmob, sciami di fantasmi hanno vagato per le piazze italiane, come in piazza del Pantheon a Roma dove gli spettri del Ttip si sono fatti inseguire in mezzo a turisti incuriositi, così come in piazza del Duomo a Milano o in via Lagrange a Torino, giusto per citare alcune mobilitazioni italiane «Stop Ttip», a dimostrare che il trattato fantasma sta guadagnando visibilità nonostante la ritrosia della Commissione europea.
D’altro canto uno dei principali obiettivi della campagna internazionale, di cui quella italiana è parte attiva, è proprio quello di spiegare ai cittadini un negoziato non conosciuto ai più, sebbene il nostro Governo sia stato Presidente di turno dell’Unione europea. Aldilà della demagogia sulla presunta trasparenza (uno dei negoziati più trasparenti mai avuti, millanta la Commissaria al Commercio Ue Malmstrom dal suo blog proprio il giorno della grande mobilitazione) quanto si conosce del trattato, lo si deve all’azione dei movimenti sociali che pochi giorni dal nuovo Round negoziale che inizierà il 20 aprile negli Stati uniti, sono riusciti a rendere pubbliche le richieste della Commissione europea all’Amministrazione statunitense: accesso al mercato degli appalti pubblici negli Stati uniti in cambio di maggiore flessibilità in agricoltura. Ecco uno dei patti scellerati che potrebbero lastricare la strada verso la firma, un grande mercato delle pulci dove tanto si ottiene quanto più si dà e dove ci si impegna a difendere un settore nel momento in cui questo risponde a interessi consolidati.
Per questo quasi un milione e settecentomila cittadini europei hanno scelto di firmare una petizione internazionale che chiede il blocco immediato dei negoziati, una raccolta firme che nella giornata di mobilitazione ha visto una netta impennata nelle adesioni verso quota due milioni, considerata dalle reti internazionali l’obiettivo politico da raggiungere.
Le centinaia di migliaia di persone scese in piazza nelle seicento piazze europee e nel centinaio di mobilitazioni statunitensi, lottano per ridare senso al termine «democrazia».
Chiedere maggiore partecipazione non significa, come spesso banalmente semplificato dai sostenitori del Ttip, «negoziare in 800 milioni di cittadini», ma vuol dire essere considerati parte in causa e coinvolti direttamente, anche tramite i Parlamenti, ad oggi con un ruolo defilato. Ridando potere i cittadini ed evitando, ad esempio, che i Parlamentari europei abbiano le armi sputate nel dare pareri non vincolanti, ratificando solo alla fine un trattato con la formula «prendere o lasciare» senza possibilità di emendamento. O evitando le limitazioni all’accesso ai documenti negoziali imposte persino ai parlamentari europei, come l’europarlamentare di Podemos Ernest Urtasun ha recentemente denunciato ai media spagnoli.
I documenti resi pubblici dall’Unione europea grazie alle pressioni dell’opinione pubblica e dell’Ombudsman europeo, sono solo testi legali di posizionamento e non chiariscono l’effettivo livello di compromesso e lo stato dell’arte del negoziato. E forse è persino logico che sia così, considerato che gli interessi che si stanno tutelando, non sono certo quelli della maggioranza dei cittadini europei e statunitensi.
Dietro alla demagogia della difesa delle Indicazioni geografiche per Paesi come l’Italia, per esempio, o dell’aumento dell’export che porterebbe benefici diffusi, c’è una politica che parla di concessioni a pochi privilegiati, di una posizione di difesa delle tipicità che butterebbe fuori mercato la maggior parte delle nostre piccole produzioni di qualità a tutto vantaggio di pochi grandi esportatori, di un abbattimento degli standard di qualità su agricoltura e chimica che ha fatto persino preoccupare la Commissione Ambiente del Parlamento Europeo in una sua recente risoluzione.
A tutto questo si aggiunge una politica di tutela degli investimenti che svuoterebbe definitivamente il potere di controllo dei mercati da parte dei Governi, concedendo alle imprese il potere di denunciare i Governi a causa di legislazioni non gradite. Nonostante tutto questo, nonostante le promesse di Renzi a Obama, questo 18 Aprile c’è un mondo che ha detto «Stop Ttip». Una posizione che, d’ora in avanti, sarà impossibile ignorare.
*Presidente Fairwatch / Campagna Stop Ttip Italia