Il giorno dopo le clamorose dimissioni di Varufakis emergono le virtù politiche e le prospettive della decisione, Articoli di Tommaso De Francesco, Pavlos Nerantsis, Annamaria Merlo. Il manifesto, 7 luglio 2015
È la prima volta, dopo tanti anni, che tutti i leader politici partecipano allo stesso vertice — l’ultimo risale ai primi anni ’90 — con l’esclusione dei nazisti di Alba dorata, assenti per «motivi ideologici e politici». Durante la riunione, durata più di sette ore, Tsipras ha presentato ai suoi interlocutori un piano simile a quello discusso dieci giorni fa con i creditori, aggiornato con i dati nuovi. In primo luogo ha ribadito la richiesta di Atene di un prestito dall’Esm pari a 29,1 miliardi di euro, cui si contrappone Berlino che continua a non voler sentir parlare di ristrutturazione del debito.
Per il momento il problema più urgente è la liquidità. Le banche greche rischiano di rimanere a secco da un momento all’altro. La Bce, per ora, si è limitata a mantenere il flusso d’emergenza dell’Ela al livello pre-voto (89 miliardi) e a una «correzione» del collaterale offerto in garanzia dagli istituti greci. Per questo motivo il governo ha deciso il prolungamento della chiusura delle banche fino a domani. «La Grecia andrà al tavolo delle trattative con l’obiettivo di riportare alla normalità il sistema bancario» ha detto Tsipras. Il premier greco è uscito dall’aula due volte. La prima per avere una conversazione telefonica con Mario Draghi e l’altra con Putin. La Bce potrebbe togliere completamente l’ossigeno alle banche greche, ma non vorrebbe essere Draghi a provocare il default.
Tsipras oggi è più forte che mai dopo aver ottenuto oltre il 60% dei voti, strappando il consenso anche di altre forze politiche. «L’esito del referendum non è un mandato di rottura ma un mandato per continuare gli sforzi per una soluzione sostenibile» sottolineano i leader politici, aggiungendo che «ciascuno farà il possibile per contribuire all’obiettivo comune». Ovvero garantire la liquidità alle banche e la crescita del paese, promuovere le riforme tenendo conto la giustizia sociale e il negoziato per la ristrutturazione del debito.
Il premier greco partecipa oggi al vertice Ue con un mandato chiaro: ottenere un accordo al più presto, possibilmente «entro le prossime 48 ore». Un’intesa all’ interno dell’eurozona che apre la strada ad una Europa diversa, della solidarietà e dei diritti contro l’austerità e la recessione. Il premier greco deve affrontare i falchi dell’eurozona che non vedono come un dramma l’uscita della Grecia dall’euro, a differenza di altri che fanno di tutto per tenere Atene nell’eurozona, specie nel momento in cui Jp Morgan e Barclays considerano «probabile» un’uscita.
Intanto i greci che per cinque anni stanno vivendo sulla propria pelle le conseguenze del peggior attacco del neoliberalismo, nonostante il terrorismo mediatico, la chiusura delle banche, le intimidazioni e i ricatti di alcuni partner europei in questi giorni sono ottimisti. Come aveva scritto Yannis Ritsos, una delle voci poetiche più forti della Grecia contemporanea, «noi cantiamo per unire il mondo».
Per arrivare a questo punto d’intesa tra le forze politiche e un cambiamento del clima nei rapporti con i creditori era, però, necessario un sacrificio. Yanis Varoufakis, il ministro delle finanze greco, che per cinque mesi ha tenuto duro, ieri mattina ha dovuto dimettersi non perché in disaccordo con Tsipras, ma perché l’hanno chiesto i partner europei. E il premier greco per togliere ogni alibi ai suoi interlocutori europei ha chiesto le dimissioni del suo ministro e amico.
Verso le otto di mattina Varoufakis ha scritto sul suo blog di aver lasciato l’incarico per consentire al premier di ottenere più facilmente un accordo. «Subito dopo l’annuncio dei risultati del referendum, sono stato informato di una certa preferenza di alcuni membri dell’Eurogruppo e di partner assortiti per una mia «assenza» dai loro vertici, un’idea che il primo ministro ha giudicato potenzialmente utile per consentirgli di raggiungere un’intesa. Per questo motivo da oggi lascio il ministero delle Finanze. Considero mio dovere aiutare Alexis Tsipras a sfruttare come ritiene opportuno il capitale che il popolo greco ci ha offerto con il referendum d’ ieri». E poi conclude: «Porterò con orgoglio il disprezzo dei creditori».
La notizia non ha sorpreso nessuno. Anzi in un’ottica di rilancio del negoziato, le dimissioni sono state accolte positivamente dai mercati. Da parecchio tempo era noto che il ministro delle finanze greco non era affatto grradito ai membri dell’Eurogruppo e soprattutto al suo omologo tedesco, Wolfgang Schauble. Le posizioni diverse, ma anche l’aria da prof e l’abbigliamento casual di Varoufakis hanno creato prima un’antipatia, poi uno scontro frontale e in seguito un vuoto che con il tempo è diventato caotico, tra il ministro greco e i 18 dell’eurozona.
Secondo fonti a Bruxelles, era diventato «un dialogo tra sordi» a tal punto, che mesi fa, l’ambasciatore tedesco ad Atene per ben due volte aveva chiesto al governo greco l’allontanamento di Varoufakis.
Anche all’interno di Syriza non piaceva tanto questo spirito esibizionista e scontroso del ministro ormai ex. La settimana scorsa secondo un servizio apparso sul quotidiano Ta Nea (Le novità) che non è mai stato smentito dal governo, alcuni ministri avevano chiesto l’allontanamento di Varoufakis.
E domenica sera quando l’ esito del «no» era quasi sicuro, durante un incontro, Tsipras ha chiesto le dimissioni di Varoufakis, il quale uscendo dalla sede di governo, ha usato toni duri contro i creditori, parlando di «partner che terrorizzano i greci» e di «valuta parallela all’euro», una dichiarazione che non andava di pari passo con il tentativo di Tsipras di tenere i toni bassi e trovare un compromesso.
L’allontanamento di Yanis Varoufakis, tanto amato tra i greci, potrebbe paragonarsi con il sacrificio di Ifigenia nella tragedia Agamemnone di Eschilo. Il suo sotituto sarà Euclid Tsakalotos, capo-gruppo della squadra di negoziato greca, stretto amico di Varoufakis.
Parole e scelta inaspettate perché annunciate appena il giorno dopo la vittoria del no contro i diktat della troika. Come dice Alexis Tsipras, «per lottare per la libertà servono virtù e coraggio».
C’è già chi paragona il gesto di Varoufakis a «Cincinnato», chi sapientemente torna sulle sfortune di Dioniso raccontate nel kylix di Exekias alle prese con gli etruschi «delfini», chi addirittura richiama alla memoria la scelta di allontanarsi da Cuba fatta da Che Guevara d’accordo con Fidel Castro. Si rischia così però di fare della mitologia, antica o moderna che sia.
Qui al contrario ci troviamo di fronte ad una scelta immediata, strategica e consapevole: «Mi dimetto per favorire l’accordo». Si intuisce l’accordo consensuale (lo conferma la nomina al ministero delel Finanze al suo posto di Euclid Tsakalotos, fortemente legato a Varoufakis ed esponente della piattaforma di sinistra di Syriza) tra i due dirigenti che, forti dell’immenso sostegno popolare che arriva dai risultati del referendum, hanno deciso di togliere, con questa mossa dolorosissima per entrambi, ogni alibi all’intransigenza della troika. Che ora non può più trincerarsi dietro la presunta «arroganza» dell’«intrattabile» e fuori dagli schemi, mediatore Varoufakis.
Il sacrificio di Varoufakis, più che l’evento mitologico di riferimento, mostra la capacità di rispondere al «peso» della vittoria. Nel senso della poesia di Costantino Kavafis Che fece…il gran rifiuto (ispirata ai versi della Divina Commedia di Dante) di più d’un secolo fa ma che sembra scritta in occasione del referendum greco: «Per alcuni uomini giunge il giorno in cui/ devono pronunciare il grande Sì o il grande/ No. È chiaro sin da subito chi lo ha/ pronto dentro di sé il Sì e pronunciandolo/ si sente più rispettabile e risoluto./ Chi rifiuta non si pente. Se glielo richiedessero,/ «no» pronuncerebbe di nuovo. Eppure quel no — / quel no giusto lo annienta per tutta la vita».
Una rinuncia, quella di Yanis Varoufakis, che sottolinea l’originale drammaticità della sinistra greca e della sua storia. Intessuta della necessità di rompere un profondo isolamento. Già nel secondo dopoguerra con la disperazione e sconfitta sanguinosa della guerra civile continuata dai comunisti contro i nuovi occupanti britannici, dopo la sconfitta di quelli nazisti-fascisti.
Una sconfitta consumata, oltre che per i gravi errori dei comunisti greci, sull’altare di Yalta e di Stalin ma anche per responsabilità di Tito, l’emergente leader jugoslavo anti-stalinista. Poi, mentre in tutta Europa esplodeva il ’68, in Grecia la sinistra soccombeva già da un anno alla dittatura militare dopo il golpe dei colonnelli, sostenuta dalla Nato. Il riscatto fu la rivolta del Politecnico del ’74. Ancora una volta per rivendicare la specificità della crisi greca di fronte all’ordine mondiale della Guerra fredda e alla sostanziale indifferenza-connivenza dell’Europa.
Ora la sinistra — prima composita e ora con Syriza finalmente unita — che il leader Alexis Tsipras ha portato al governo del Paese dopo il disastro della destra, è impegnata nella diversità più difficile: contraddire il neoliberismo e l’economicismo dell’Unione europea ridotta solo ad una moneta e al ruolo di recupero crediti al servizio del Fmi.
Oggi la Grecia presenta nuove proposte, concordate tra tutti i partiti, ai due incontri programmati a Bruxelles, l’ennesimo Eurogruppo straordinario a metà giornata, seguito in serata da un vertice dei capi di stato e di governo dei 19 della zona euro. La mossa è stata concordata con Alexis Tsipras da Angela Merkel e François Hollande, in successive telefonate, tra domenica sera e ieri. Hollande ha ricevuto Merkel ieri all’Eliseo, per cercare un terreno di intesa, dopo le divergenze recenti. Hollande attende «proposte serie e credibili», offrendo un equilibrio tra «solidarietà e responsabilità», con «urgenza». Per Merkel, i partner hanno già dato prova «di molta solidarietà», l’ultima proposta era «molto generosa».
Hollande è invitato, in Francia, ad uscire dalla sua tradizionale ambiguità e a proporsi come un vero mediatore per evitare il peggio. Il ministro dell’Economia, Emanuel Macron, ha respinto l’ipotesi di organizzare un’uscita dall’euro della Grecia «senza drammi», avanzata dall’ex primo ministro Alain Juppé (che sogna l’Eliseo per il 2017). Per la Germania, invece, «al momento non ci sono i presupposti per una nuova trattativa su un altro programma di aiuto», ha affermato il portavoce di Merkel, Steffen Siebert, che ha anche precisato che «non c’è ragione per una ristrutturazione» del debito, come chiede Tsipras. La reazione tedesca al risultato del Greferendum sfiora l’isteria, al punto che il numero due del governo, l’Spd Sigmar Gabriel ha annunciato che «il summit discuterà di aiuti umanitari» per la Grecia, «la gente laggiù ha bisogno di aiuto e noi non dovremmo rifiutarglielo solo perché non siamo d’accordo con il risultato del referendum». Di ricorso alla charity aveva già parlato l’ineffabile Martin Schulz (Europarlamento), un’ipotesi ripresa dal gruppo Ppe a Strasburgo.
Il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, segue la posizione tedesca e afferma che «la vittoria del no è molto disdicevole per l’avvenire della Grecia», perché «per la ripresa economica sono inevitabili misure difficili e riforme» e che non c’è «niente da aspettarsi» dalle proposte greche. La Commissione ieri ha pubblicato un commento minimalista, che «prende atto e rispetta» il risultato del referendum. Il commissario all’euro Vladis Dombrovskis ripete che «il posto della Grecia era e resta nell’eurozona», ma aspetta il risultato dell’Eurogruppo di oggi per vederci più chiaro. Attendismo anche all’Fmi, dopo aver «preso atto» del Greferendum: «Sorvegliamo la situazione – ha detto Christine Lagarde – e siamo pronti ad aiutare la Grecia se ce lo chiedono».
Comunque, la Commissione è soprattutto preoccupata della stabilità dell’euro: «La stabilità della zona euro non è in gioco», insiste Bruxelles e Dombrovskis ribadisce: «La stabilità dell’eurozona non è in discussione». Jean-Claude Juncker ha avuto contatti con Tusk, Dijsselbloem e Draghi, che ha parlato anche con Tsipras.
La Bce, suo malgrado, è gettata in prima linea in queste ore. Ha in mano l’arma fatale dell’Ela (liquidità di emergenza), l’ultimo rubinetto rimasto aperto per finanziare il sistema bancario greco. L’Ela è ferma a 89 miliardi e domenica la Banca centrale greca ha di nuovo chiesto a Francoforte un rialzo. Oggi e domani le banche non riaprono, come previsto, sono a secco. Per la Bce, che ha prestato alla Grecia 30 miliardi, la data finale è il 20 luglio, quando la Grecia deve rimborsare 3,5 miliardi. Se non c’è l’accordo, non ci saranno i soldi. Di qui ad allora, la Bce potrebbe progressivamente stringere il cappio attorno al collo della Grecia, fino a sospendere anche l’Ela. Allora ci saranno i fallimenti delle banche, che precipiteranno la Grecia nel caos, nel panico del bank run e a dover ricorrere agli IOU (I owe you), cioè una moneta parallela per pagare funzionari e pensioni, equivalente a un Grexident nel disordine.
Jens Weidmann, della Bundesbank, sottolinea da tempo che l’Ela della Bce è al limite delle competenze di Francoforte, che sta rischiando la propria reputazione. La ristrutturazione del debito chiesta da Atene ha di fronte un ostacolo di peso: per Christian Noyer, governatore della Banque de France, «per definizione il debito greco verso la Bce non può essere ristrutturato perché costituirebbe un finanziamento monetario a uno stato», escluso dall’art.123 del Trattato di Lisbona.
In caso di Grexident, ma anche di un Grexit ordinato, non sono del tutto dissipati i timori di un contagio, a cominciare da Spagna e Portogallo. Luis de Guindos, ministro spagnolo, ha affermato che «la Spagna non prevede assolutamente» un Grexit e ha aperto a un «terzo piano di aiuti, la Grecia ha diritto di chiederlo», ma ha ricordato che «bisogna applicare le regole». Impazienza anche da parte di Matteo Renzi: le riunioni di oggi «devono indicare una via definitiva» per uscire da quello che Paolo Gentiloni ha definito «il labirinto greco».