«Per il Nobel dell’Economia Joseph Stiglitz, l’accordo sarebbe una vittoria del buon senso: “Washington aiuti la Grecia visto che Bruxelles non fa la sua parte. La Merkel smetta di fare propaganda: Atene non sta per fallire”».
La Repubblica, 11 luglio 2015 (m.p.r.)
«Avete visto? Anche il Fondo Monetario ha detto che il debito greco va ristrutturato ». Veramente ha detto che va ristrutturato quello degli altri, per la sua porzione vuole la restituzione per intero. E Joseph Stiglitz scoppia in una risata: «Ma insomma, ve lo devo spiegare io che quando ci sono più creditori, il gioco è sempre quello di scaricare sugli altri l’onere?». Poi torna serio: «Sono sicuro che come è stato in altri casi come l’Argentina, alla fine ristrutturerà anche il suo credito ». Comincia così una lunga conversazione telefonica con l’economista, premio Nobel 2001, che più si è speso a favore di un aiuto concreto alla Grecia. Stiglitz è appena tornato a New York dal Lago di Como, dove è rimasto un mese a limare il libro Creating a learning society che sta per uscire. «Oggi si studia troppo poco, ma i Paesi dove si studia di più domineranno la gara per lo sviluppo».
Professore, sulla Grecia tira una forte aria di accordo. Ci crede?
«Tutto sommato sì. Sarebbe una vittoria del buon senso. Non sarà facile, certo. Ancora mancano tanti dettagli, a quanto ne so. Però penso che l’esito sarà positivo. Sarà una vittoria della giustizia della storia».
In che senso?
«La propaganda tedesca è riuscita a imporre l’immagine di una Grecia in disfacimento, un Paese talmente mal governato che merita solo di essere messo sotto tutela, anzi non riesce neanche a cavarsela nonostante sia stato generosamente aiutato. È tutto il contrario: la Grecia è in queste condizioni a causa,non nonostante l’intervento europeo. E poi non è vero che è semi-fallita: dalla metà degli anni ’90 all’inizio della crisi la Grecia è cresciuta più della media dell’Ue, il 3,9% contro il 2,4% annuo ».
Ma non avverte una certa atmosfera di ravvedimento presso la Germania, di inedita volontà di andare incontro alla Grecia?
«Mah, è così difficile interpretare l’anima di una nazione. L’establishment tedesco è quanto mai diviso. Per una Merkel che ammette che tutto sommato la Germania non è la depositaria dell’unica ricetta economica possibile, e che sono stati imposti tempi pazzeschi per il rigore in Grecia, è sempre pronto uno Schaeuble o un Weidmann a ricordare che i cattivi sono i greci».
Cattivi no, ma ne hanno fatti anche loro di errori. O non è vero?
«Ma certo, nessuno è perfetto. Chi non ne fa? Di errori ne hanno fatti tanti i greci, più però i precedenti governi conservatori che quello attuale, per inciso anche con la complicità di istituzioni come la Goldman Sachs. Ma il referendum non è stato un errore. Al contrario, ha dato più forza a Tsipras, è stato il fattore che ha sbloccato il negoziato. È partito un segnale forte e chiaro: il popolo greco non può andare avanti con l’austerity perché rischia di essere strangolato per sempre. Sono sicuro che le cancellerie l’hanno recepito».
Veramente sembra che Tsipras stia accettando un documento che è né più né meno quello contro il quale il suo popolo si è espresso una settimana fa…
«Non è così. Vedrete che qualche miglioramento ci sarà. Innanzitutto sarà evitato, e non è poco, l’ulteriore taglio su stipendi e pensioni. Poi ci si avvicinerà alle posizioni greche sullo spinoso nodo dell’avanzo primario. E poi ci sarà la famosa ristrutturazione di cui parlavo, magari non prevedendo dei tagli secchi al debito ma allungando ancora le scadenze, concedendo periodi di grazia sugli interessi, abbassandone insomma il peso. Non si andrà lontano dalla richiesta iniziale dei greci: non legare la restituzione solo a delle date, ma alla crescita del Paese. Che è impossibile che torni ad esserci nelle condizioni attuali».
Su Time lei ha invocato il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. A quali modalità pensa?
«La premessa è che è mancata la solidarietà europea. La generosità di cui parlano i tedeschi non è servita altro che a pagare gli interessi alle banche (tedesche). Ben altro serviva. È una questione di gratitudine: la Germania ha distrutto la Grecia per la seconda volta in un secolo, stavolta con la complicità della troika. La prima volta, nell’ultima guerra mondiale, ha avuto il condono quasi totale dei suoi debiti. Quella sì che era generosità: un perdono incondizionato da parte dell’America che aveva mandato a morire centinaia di migliaia di suoi giovani in una guerra causata dalla Germania. E con l’aggiunta dei finanziamenti a pioggia del piano Marshall. Ora, visto che di gratitudine non c’è traccia da parte tedesca, l’America deve farsi avanti per evitare la Grexit e i suoi contraccolpi che colpirebbero anch’essa. Così come era stata generosa con la Germania, deve esserlo con la Grecia. E visto la Bce non vuole adempiere alle sue responsabilità, la Federal Reserve deve creare una linea di credito speciale per la Grecia. Ho invitato poi gli americani ad andare in vacanza in Grecia, a comprare prodotti greci, a dimostrare una volontà di aiuto incondizionato e un’umanità che agli europei sono mancate».
Visto che ancora non c’è niente di sicuro, è ancora buona la proposta in caso di nuova rottura?
«Sì, ma poi sa cosa le dico? Che se la Grecia uscirà dall’euro non sarà la fine del mondo. Sarà un shock per tutti, ma alla fine Atene si riprenderà, come l’Argentina che fra i 2003 e il 2008 ha avuto uno dei più alti tassi di crescita del mondo. Sarà però la definitiva sconfitta dell’esperimento della valuta unica, disegnato e programmato malissimo. Oggi il Pil dei Paesi dell’euro sarebbe del 17% superiore nel complesso a quello che è. Per colpa della moneta unica ».