E come era prevedibile fin dall’inizio il governo Tsipras ha scelto la via del negoziato con le Istituzioni. Qui un primo dato da analizzare. Per mesi abbiamo assistito ad una disinformazione di massa che ha dipinto il leader ellenico come un “nazionalista”, un “populista” e soprattutto un euroscettico.
Il referendum era sull’accettare o meno le politiche di austerity e in tale scenario Tsipras è sempre stato chiaro: vogliamo far cambiare rotta a Bruxelles, costruire un’altra Europa, senza abbandonare moneta unica ed eurozona. Una prospettiva fortemente europeista che i media nostrani hanno “coperto” facendo improbi parallelismi tra il premier greco e il blocco xenofono capeggiato da Marine Le Pen e Matteo Salvini.
La Grexit era un’opzione da scongiurare, almeno per il governo Tsipras che in questi 5 mesi di dura trattativa con le Istituzioni ha cercato di trovare una mediazione senza che venisse calpestata la dignità del popolo greco. Il referendum del 5 luglio è diventato così una lezione di democrazia e di sovranità popolare contro quel che il sociologo Luciano Gallino ha definito il “colpo di Stato della Troika”. Tentativo sventato.
Dopo quel 5 luglio, l’Eurogruppo ha strangolato la Grecia negando il prestito ponte di 7 miliardi di euro, il che si è tradotto in fine della liquidità per Atene. Da lunedì il rischio di bancarotta. Scenari inquietanti e, appunto, di rottura con l’Unione Europea. Per andare dove? Sotto l’egemonia dei capitali russi e cinesi? Senza dimenticare un altro particolare: la Grecia è un Paese Nato. Persino Costas Lapavitsas, economista greco di riferimento per molti No Euro, ha dichiarato: “Ora non possiamo gestire una Grexit”.
L’opzione non è mai stata presa seriamente in considerazione da Tsipras che, alla fine, ha ingoiato la cicuta presentando un piano di 12 miliardi di euro che accontenta alcune importanti richieste dell’Unione Europea.: “Non sto svendendo il Paese. Sono misure dolorose e lontane dalle promesse della campagna elettorale, ma è il meglio che si potesse fare”, le sue parole in Parlamento. Per qualcuno è la capitolazione totale, per altri il piano sarebbe identico all’ultimatum proposto il 26 giugno dalle Istituzioni, quello che avrebbe portato come reazione al referendum del 5 luglio. Quindi Tsipras avrebbe tradito quell’OXI.
Nel dettaglio, i bocconi amari da ingoiare per il governo ellenico sono la riforma pensionistica (si andrà in pensione a 67 anni dal 2022), lo sconto del 30 per cento sulle aliquote IVA sulle isole e, soprattutto, le insopportabili privatizzazioni di porti e aeroporti regionali. Grandi concessioni e cedimenti. Dall’altro non ci sono tagli orizzontali sui salari, si mantiene IVA bassa sui generi di prima necessità e sulla cultura, diminuiscono le spese militari e non si concedono competenze alla Troika sui licenziamenti e sulla contrattazione collettiva del lavoro.
Ma per capire, fino in fondo, la mediazione di Tsipras dobbiamo soffermarci su un aspetto: Syriza ha sempre considerato la ristrutturazione del debito come cardine. La rivendicazione principale. E da questo punto di vista si ottiene un piccolo successo, soprattutto simbolico. Come scrive il collega Alessandro Gilioli sull’Espresso.it: “Le precedenti condizioni dei creditori erano legate all'erogazione dell'ultima tranche di aiuti del secondo memorandum, quindi poco più di 7 miliardi, mentre queste proposte sono la contropartita per un piano di tre anni (fino a metà del 2018) e valgono un prestito di 53,5 miliardi. È una differenza notevole e somiglia a ciò che ripeteva Tsipras: basta con questo stillicidio ogni tre mesi di scadenze e prestiti (quindi ricatti), dateci tempo”. Uno spiraglio. E un precedente. Nessuno finora era riuscito minimamente a rinegoziare il debito. Inoltre Tsipras ha avuto il merito di aver rilanciato il primato della politica sul dominio della finanza.
In Italia? Tra isterismi e disinformazione, un minuto prima, manco dopo, l’accordo si scatenano i commenti. Una maggioranza anti-Tsipras. Un fronte unico, dalla destra liberista ai renziani e alla sinistra-sinistra: ha ceduto alla Troika.
Intanto ci voleva l’arrivo al potere di questo greco per far discutere finalmente il Parlamento di Strasburgo di effetti dell'austerity, ristrutturazione del debito, conferenza di Londra del 1953 e rapporto Paesi creditori-debitori. Si è parlato, tardivamente, del destino dell'Europa, di diritti e sovranità popolare. Di democrazia. Già dimenticato? Questo Paese di 9 milioni di abitanti, isolato all’interno dell’Eurogruppo, sta aprendo una breccia. Da solo era ovvio non potesse vincere le Istituzioni e riformare l’Europa. Davide ha resistito fin troppo contro Golia. Ha preso tempo. Ai movimenti sociali e magari a Podemos (in Spagna si voterà a novembre), Sinn Fein etc continuare il lavoro iniziato dai greci.
Per il resto, sembra che i mal di pancia all’interno della minoranza di Syriza stiano rientrando e i parlamentari voteranno il piano di Tsipras, a malincuore. Sapendo delle concessioni alla Troika. Ma passare all’opposizione del primo governo di sinistra (radicale) in Europa, e in Grecia, al primo ostacolo, è stato ritenuto inopportuno. “Mi trovo di fronte a una scelta difficile: far cadere questo governo o accettare proposte che sono simili a quelle dei vecchi memorandum?” si domandava Vassilis Primikiris, uno dei leader della minoranza interna. Hanno preferito, a parte qualche eccezione, la prima opzione. Di certo, la partita non è chiusa. A Tsipras il compito di riconvincere il popolo dell’OXI, in piazza Syntagma a protestare per il piano, e gli scettici.
(11 luglio 2015)