Un'analisi sconvolgente della galassia nera, fascista, xenofoba e razzista che si sta raggrumando attorno a Matteo Salvini, pronto a cavalcarla e a prendersi l'Italia, annientando oltre 70 anni di democrazia. Indispensabile lettura per comprendere le connessioni e ramificazioni di questo fenomeno e contrastarlo. (i.b.)
Una decina di giorni fa sono andata all presentazione di questo libro che non avevo ancora letto. E' stata una rivelazione non tanto per il fenomeno che racconta, poichè le cronache di tutti i giorni lo testimoniano, e in eddyburg cerchiamo di commentarne gli episodi e tappe più significative (vedi le cartelle Fascismi e Accoglienza Italia), ma perchè ne illustra le origini, le connessioni e la strategia.
Per esempio viene bene spiegata l'ascesa di un Salvini sovranista e del fascioleghismo, che segnano una mutazione non da poco per il partito dell'indipendenza della Padania: ce la ricordiamo la Lega di Bossi che diceva mai con i fascisti?
Non c'è migliore introduzione a questo libro che il suo prologo, che riportiamo di seguito. (i.b.)
IL SENSO DEL VIAGGIO
di Paolo Berizzi
tratto da NazItalia: Viaggio in un Paese che si è riscoperto fascista. Baldini&Castoldi, 2018
È dagli inizi degli anni Duemila che con le mie inchieste racconto la galassia della destra radicale italiana e le sue derive estremiste. La destra peggiore, regressiva, xenofoba, razzista e nazifascista,
che non ha nulla a che vedere con quella democratica, moderna e liberale. Ed è da anni che, documentando il progressivo ritorno del nuovo fascismo, cerco da cronista di mettere in guardia l’opinione pubblica, la politica, le istituzioni sui rischi che questo fenomeno può rappresentare per la nostra democrazia. Il silenzio assordante che per anni ho sentito intorno a me era frustrante: avevo la sensazione di essere una specie di marziano, un visionario, uno che vedeva fantasmi, cose inesistenti. Sì, proprio come ti dipingono loro. Avevo finito per sentirmi così: un paranoico ossessionato da un fenomeno che molti tacevano, anche a sinistra, sostenendo non esistesse. E intanto quei gruppi nazifascisti – che da sempre adottano il metodo di screditare e delegittimare chi non si volta dall’altra parte ma si ferma a denunciare – continuavano a descrivermi come un «infame», una specie di disadattato, un bugiardo, un venditore di bufale, uno che non ha niente di meglio da fare, uno che deve «trovarsi un lavoro vero». Quasi fosse una perdita di tempo occuparsi di partiti e associazioni politiche che oltre settant’anni dopo la fine del fascismo e del nazismo vorrebbero far tornare quei fantasmi. Forse hanno ragione loro. Forse è tempo perso. È una sensazione che ho provato spesso in questi anni, ogni volta che dopo avere portato a galla un fatto inquietante, che in altri Paesi avrebbe generato come minimo un dibattito pubblico, lo vedevo passare sotto silenzio. Qualche interrogazione parlamentare, dichiarazioni di pochi deputati, sempre gli stessi, la risposta d’ufficio del governo nel question time alla Camera: nulla di più. A volte ho pensato e penso che la nostra Repubblica nata dalla Costituzione non abbia più la coscienza vigile per riuscire a occuparsi seriamente di neofascismo, e trovi più semplice derubricare il tema a qualcosa di residuale, di «non attuale». Anche quando la realtà intorno a noi ci dice che non è così. Credo che di fronte a certe provocazioni, intollerabili per qualsiasi repubblica democratica, non basti indignarsi (quando accade).
Occorre agire, battersi, prendere l’iniziativa per arginare i pericoli. Disinnescarli prima che lievitino diventando difficili da gestire. «Il fascismo in Italia è morto per sempre», ha detto a febbraio 2018 il ministro dell’Interno Marco Minniti, scuola comunista e Dna antifascista. Lo stesso ha sostenuto Matteo Renzi: «Non c’è il fascismo e non esiste un rischio fascismo». Erano i giorni successivi alla tentata strage xenofoba di Macerata, in cui il nazileghista Luca Traini ha ferito sei immigrati africani a colpi di pistola. Non sono d’accordo. Non è così. Quello che è successo e che sta succedendo nel nostro Paese dimostra l’esatto opposto. C’è un nuovo fascismo che ha rialzato la testa. È un fascismo liquido, certo, disaggregato e sfuggente, e proprio per questo molto insidioso. È anche e soprattutto grazie alla sottovalutazione e alla sbadataggine, o alla complicità di qualcuno, che il fascismo di ritorno punta a permeare – in parte ci è già riuscito – gli strati più deboli della società. Rendendo fertile quel terreno, organizza una semina che non necessariamente deve avere tempi brevi.
L’aspirazione di questo fascismo 2.0 di poter giocare una partita da protagonista in politica è secondaria, viene dopo. È vero: nelle istituzioni è già entrato. CasaPound Italia è presente in 13 consigli comunali e, nonostante il risultato non esaltante alle ultime elezioni politiche – dove i voti sovranisti e di destra radicale sono stati per buona parte cannibalizzati dalla Lega – è un partito destinato a crescere. Ma ai nuovi camerati, prima ancora di ottenere un peso alle urne, interessa avere legittimazione da parte dell’opinione pubblica. Essere riconosciuti, accettati, fare presenza nelle periferie, nei quartieri, nelle scuole, nelle università, negli stadi, nei dibattiti e nei talk televisivi: adesso anche sui treni e a bordo degli autobus con le ronde. Questo agli sdoganatori volontari della galassia nera è chiarissimo: e dovrebbe esserlo anche agli sdoganatori involontari e inconsapevoli, che però finiscono per avere la stessa responsabilità degli altri. «Essere distratti o, peggio, sottovalutare, può essere molto pericoloso.
Ci vuole una cultura antifascista collettiva, è questo che ci manca.» Carlo Smuraglia, l’ex presidente dell’Anpi, è uno dei più attenti e lucidi osservatori del fenomeno del fascismo di ritorno. L’ultima volta che ho ascoltato le sue parole era agosto 2017: sotto un tendone di FestaReggio, a Reggio Emilia. Parlavamo di «nuove destre». Erano i giorni in cui Forza Nuova aveva lanciato la provocazione della nuova «marcia su Roma». «La cultura antifascista è venuta meno col tempo. Bisogna ricostruirla, ci vuole lavoro e impegno», è il ragionamento che fa oggi Smuraglia. «Bisogna partire dalle scuole. E poi, certo, occorre che le leggi vengano applicate. Perché si continua a permettere che movimenti neofascisti facciano attività politica e si presentino alle elezioni? Perché lasciamo correre che si inneggi al regime di Mussolini e Hitler? Che cosa diciamo ai nostri giovani di fronte a queste manifestazioni e a questa follia? Quale risposta gli diamo? Perché queste formazioni non vengono messe fuori legge, come è accaduto in passato? Tutto quello a cui stiamo assistendo in questi anni è sconcertante. E ci dice una cosa chiarissima: che c’è un rischio fascismo per la democrazia. È un fascismo diverso, che si manifesta con nuove forme: lo vediamo in diversi Stati europei e anche in Italia.
Il tema è culturale e sociale. Non è più tempo di indugi. È tempo di agire, prendendo atto di quello che sta accadendo.» A volte le istituzioni stanno a guardare. E invece dovrebbero fare. Anche con dei segnali, dei provvedimenti che non sono solo simbolici. Per esempio: un altro tema di dibattito in Italia, sul quale negli ultimi mesi ho cercato di accendere l’attenzione, è la revoca della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. Al duce fu conferita in decine di Comuni italiani tra il 1923 e il 1924 come conseguenza di un atto politico che di fatto era un’imposizione da parte del Partito nazionale fascista. Molte amministrazioni in questi anni l’hanno revocata. Un segno importante per affermare con forza l’identità antifascista della nostra democrazia in un periodo storico nel quale i neo populisti, che strizzano l’occhio ai «neri», puntano a smantellare la carta costituzionale. E i nuovi fascisti, con la forza e l’infingimento, puntano a essere socialmente accettati sfidando le leggi e la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione che vieta la ricostituzione del Partito fascista. Uno degli ultimi Comuni che ha tolto la cittadinanza onoraria al duce è stata Mantova, a febbraio 2018. Il consiglio comunale, a maggioranza Pd, ha votato la mozione che prevede la cancellazione dell’onorificenza concessa a Mussolini nel 1924: contrari tutto il centrodestra – Forza Italia, FdI, Lega – ma anche il M5S.
«Dittatore» e «liberticida»: per questo il duce non è più cittadino onorario mantovano. Per tenere la maggioranza unita sul voto è intervenuto anche il sindaco dem, Mattia Palazzi. «Siamo qui per decidere se la cittadinanza a Mussolini oggi rientri o meno nei valori che questo consiglio e questa città intendono celebrare», ha detto. In Italia ci sono città dove, invece, il dittatore liberticida Mussolini continua a essere cittadino onorario. Sono anche città governate dal centrosinistra, e cioè un’area politica che sul tema dell’antifascismo dovrebbe avere una sensibilità più spiccata. Uno di questi Comuni è Bergamo, la città dove sono nato e dove vivo. Il sindaco Giorgio Gori, nonostante richieste che gli sono arrivate da più parti, ha sempre ribadito: «La cittadinanza lasciamola come monito». A ottobre 2017 sul tema si era espresso anche Lele Fiano, collega di partito di Gori e soprattutto promotore della legge contro la propaganda nostalgica del Ventennio: «Trovo singolare che si mantenga ancora una cittadinanza onoraria per un assassino», ha detto senza mezze parole. Sensibilità diverse all’interno dello stesso partito? Evidentemente sì. Secondo qualcuno la prudenza del sindaco bergamasco potrebbe essere stata dettata, in questi anni, da tatticismi politici: in particolare dalla volontà di non perdere quei consensi che a Bergamo gli sono arrivati da ambienti che prima di lui votavano centrodestra (e il cui passaggio al Pd, per paradosso, ha portato all’erosione dei voti di sinistra). Ambienti dove la revoca della cittadinanza al duce sarebbe considerata un atto troppo radicale. Ma è anche dalla determinazione di certe scelte che passa il contrasto alle derive neofasciste, ai populismi nazionalisti e xenofobi, al fascioleghismo che ha preso corpo negli ultimi anni. È anche così, e con delibere ad hoc, adottate da decine di amministrazioni, che si toglie spazio alle ambizioni dell’ultradestra dell’ultradestra contraria all’integrazione e all’Europa. Due fattori spacciati come minaccia all’identità, all’economia e al futuro del nostro Paese. Non occorre particolare coraggio: basta che un amministratore ricordi cosa ha significato il fascismo per l’Italia e per la sua città, la sopraffazione, la violenza, la privazione della libertà. E magari che trovi anche il tempo per capire come si presenta e agisce l’estrema destra di oggi: come quei gruppi fomentano le paure sociali, come si camuffano agli occhi delle amministrazioni, che di fronte alla loro tracotanza e subdola penetrazione appaiono «vulnerabili» e permeabili.
Il mio viaggio nell’Italia che si è riscoperta fascista racconta anche questa permeabilità. È il fattore che ha determinato la caduta della pregiudiziale sulla manifestazione di quell’ideologia, la sua «normalizzazione» e persino l’accettazione di un tasso di violenza squadrista allarmante – sebbene in molti casi sia passato in sordina sui media nazionali. Una permeabilità che ha messo a nudo la superficiale distrazione di molti leader anche della sinistra, colpevoli di aver lasciato per troppo tempo le piazze e la complessità delle periferie alle ronde e di avere affrontato con «pacatezza» e tardivi appelli alla calma la follia anti-immigrazione: e questo ha portato la sinistra a perdere tonnellate di voti. Una permeabilità, infine, che ha favorito l’ascesa e il successo elettorale, lo scorso 4 marzo 2018, del politico che più di tutti usa sovranismo e xenofobia come strumenti di propaganda: Matteo Salvini. Con lui la Lega si è trasformata in un ricettacolo di idee un tempo inconciliabili: dalle istanze autonomiste e anche secessioniste, al nazionalismo identitario e antieuropeista, fino a un fascioleghismo tinto di scudocrociato al Sud. Grazie a questo cambio di pelle il nuovo Carroccio è riuscito a fare l’en plein alle ultime elezioni. Un’affermazione arrivata dopo anni di «vicinanza» a CasaPound e altre formazioni neofasciste. Il 4 marzo la Lega ha aspirato come un’idrovora i voti della galassia nera spezzandone, per ora, ogni illusione di entrare in Parlamento. Salvini quei voti li ha cercati a lungo, e se li è presi. Punto. Questa è la realtà che molti osservatori, commentando l’esito elettorale, hanno colto solo parzialmente. Sia a destra sia a sinistra si è preferito dare una lettura sbrigativa, semplificando e liquidando come un fallimento il mancato sfondamento dei partiti di estrema destra, e in particolare lo 0,9% di CasaPound Italia. Ma il dato, se è certo al di sotto delle attese, equivale a sei volte quello del 2013. Si è messo in relazione questo flop con «l’allarme neofascista», secondo molti ingiustificato, sollevato nei mesi che hanno preceduto il voto dai «giornali di sinistra» e dalla sinistra litigiosa, ostaggio di una profonda crisi di identità. Io credo sia vero il contrario: anzitutto la sensibilità della sinistra sul fenomeno del populismo nazionalista e sovranista è stata insufficiente, altro che eccessiva. E soprattutto è arrivata in clamoroso ritardo. Quel ritardo è stato abilmente cavalcato dal partito che è diventato il maggiore interprete delle paure della gente, del sentimento nazionalista nazionalista e antieuropeo, delle pulsioni identitarie, xenofobe, razziste, delle parole d’ordine e dei principi della destra radicale: questo partito è la nuova Lega nazionale. Paradossalmente, in questo processo, il vero argine al dilagare dei neofascisti che volevano far «volare schiaffoni in Parlamento» è stato proprio Salvini col suo equilibrismo. Ma Salvini è stato anche il Grande Traghettatore, il taxi sul quale è salita l’Italia nera che ha visto nella Lega l’unico soggetto politico in grado di incidere in Parlamento o addirittura al governo. Per questo il problema delle derive fasciste, dopo la recrudescenza della campagna elettorale, si riproporrà presto in tutta la sua forza; una forza di idee che cresce e attecchisce sempre di più, e di cui è giunto il momento di prendere coscienza andando a scavare sotto la superficie che – mimetizzandolo – sembra tenere sotto traccia questo fenomeno.