Sotto l'accusa della magistratura contabile «le gravi deformazioni provocate da una visione mercantilista dell’economia ispirata dal mantra della competitività, della riduzione dei costi e della compressione salariale».
Il manifesto, 2 agosto 2015
di Roberto Ciccarelli
Austerità. La relazione sulla finanza locale della magistratura contabile: «Gli 80 euro peggiorano il fabbisogno pubblico». L’abolizione dell’Imu? «Danneggia il federalismo fiscale». Le tasse comunali cresciute di otto miliardi di euro dal 2010 a causa di 40 miliardi di tagli agli enti locali, 113 euro a testa in più all’anno. Promemoria in attesa del pacchetto "taglia-tasse" annunciato dal governo
L’abolizione dell’Imu sulla prima casa? Un pasticcio gigantesco che ha distrutto uno dei principi cardine del federalismo fiscale: la corrispondenza tra contribuenti e soggetti beneficiari dei servizi resi. Vogliamo parlare del taglio dell’Irap? L’imposta sulle imprese su base regionale tagliata di 1,9 miliardi da Renzi per ridurre il «cuneo fiscale» ha avuto «riflessi negativi» sulle funzioni degli enti locali. Quanto al «bonus Irpef» degli 80 euro per i lavoratori dipendenti con redditi tra 8 e 26 mila euro è costato 4,5 miliardi di euro e ha «peggiorato il fabbisogno del settore pubblico».
La relazione sugli andamenti della finanza territoriale, resa nota il 27 luglio dalla Corte dei Conti, non è propriamente una lettura estiva, ma permette di comprendere i danni provocati dall’uso populista dei conti pubblici del governo Renzi. Senza contare che quella della magistratura contabile è la più seria requisitoria contro i tagli voluti dai governi dell’austerità dal Berlusconi del 2008 al Renzi della legge di stabilità del 2015.
Alla base non c’è solo la richiesta del rispetto delle funzione costituzionale nella gestione della spesa pubblica, regolarmente infranta da tutti i governi per rispettare i diktat della Troika, ma le gravi deformazioni provocate da una visione mercantilista dell’economia ispirata dal mantra della competitività, della riduzione dei costi e della compressione salariale.
Tutti elementi che hanno provocato un boom inaudito della tassazione, l’aumento del debito pubblico e il blocco della tanto agognata «competitività». L’austerità è un circolo vizioso, soprattutto senza una crescita capace di aumentare l’occupazione e investimenti mancanti.
I tagli agli enti locali dal 2008 a oggi ammontano a quasi 40 miliardi, risultato della riduzione dei trasferimenti statali di 22 miliardi e di un calo dei finanziamenti per la sanità di 17,5 miliardi. «Per conservare l’equilibrio in risposta alle severe misure correttive del governo» i Comuni — colpiti da tagli per quasi 8 miliardi tra il 2010 e il 2014 — hanno risposto con «aumenti molto accentuati» delle tasse locali.
Oggi il peso del fisco è «ai limiti della compatibilità con le capacità fiscali locali» denuncia la magistratura contabile. La tassazione comunale è infatti balzata dai 505,5 euro a testa del 2011 ai 618,4 euro dello scorso anno. Una pressione che tocca i livelli più alti nei Comuni con più di 250mila abitanti, arrivando a 881,94 euro pro capite.
Se i Comuni hanno risposto ai tagli con una revisione al rialzo delle aliquote Ici-Imu — gli «aumenti generalizzati hanno visto gli incassi passare dai 9,6 miliardi di euro del Ici 2011 ai 15,3 miliardi del 2014 — le Regioni hanno puntato sul taglio degli investimenti e dei servizi con «una compressione delle funzioni extra-sanitarie». Tra il 2009 e il 2015 il taglio al finanziamento del fabbisogno della sanità è stato del 17,5 miliardi.
La Corte dei conti descrive le politiche del rigore fiscale nei termini di un «meccanismo distorsivo» che impone agli enti locali di scaricare i tagli imposti dal l’Europa agli enti locali sul contribuente. L’equivalenza è nettissima: l’aumento delle tasse è dovuto ai tagli alle risorse statali dal 2011. A questo si aggiunge il ritardo nella «ricomposizione delle fonti di finanziamento della spesa» per garantire servizi pubblici efficienti ed economici. Questo significa aziende dei trasporti locali in deficit, come la privatizzazione delle municipalizzate.
E questo nonostante l’incremento consistente delle entrate (+15,63% rispetto al 2013). In altre parole, la crisi di aziende come l’Atac a Roma, di cui tanto si parla in questi giorni, non è solo dovuta all’inefficienza organizzativa, ma a un «baco» nel sistema dei trasferimenti delle risorse. La vendita di pacchetti azionari, o la privatizzazione dei servizi pubblici, sono l’ultimo step che può chiudere un cerchio.
«Serve un piano straordinario di contrasto alle povertà, una vera epidemia per tante zone del Paese, che comprenda più fondi e più servizi» sostiene Antonio Satta — componente del direttivo dell’Anci –In questi anni abbiamo garantito servizi, nonostante un Patto di stabilità che ci ha trasformati in notai più che in amministratori e politici».
Per chi vuole leggerle, queste pagine costituiscono un ammonimento sulle conseguenze dei tagli che verranno, quelli alla Sanità (2,3 miliardi nel 2016) e a quelli alle tasse sulla prima casa (45 miliardi) nei prossimi tre anni. È in arrivo un’altra imbarcata di aumenti delle tasse sui cittadini. La crisi fiscale viene prodotta dai governi. I tagli li pagano i cittadini che, in più, sono obbligati a rinunciare ai servizi, alle cure e ad un trasporto locale efficiente.
E Renzi che dice? Ieri ha assicurato che i soldi «sottratti» ai Comuni per l’abolizione della Tasi/Imu «saranno restituiti integralmente». Magie contabili della finanza creativa.
L’abolizione della tassa sulla prima casa promessa urbi et orbi dal presidente del Consiglio Renzi varrà per 8 milioni di contribuenti, quelli delle due fasce di versamento più basse, circa 55 euro pro-capite, mentre per un milione di contribuenti più ricchi il risparmio sarà in media di circa 827 euro.
Lo sconto per 35.700 proprietari di case di lusso arriverà a circa 1.940 euro. Lo ha calcolato l’ufficio fisco e finanza pubblica della Cgi secondo il quale l’operazione «fornirà benefici molto limitati a chi ha già poco, cioè la maggioranza di lavoratori e pensionati, mentre saranno molto più cospicui per chi possiede proprietà di maggior valore».
Se per le persone a basso reddito i vantaggi saranno, a giudizio della Cgil, modesti, rilevanti saranno invece gli svantaggi: «le mancate entrate derivanti dall’abrogazione di Tasi e Imu — sostiene il segretario confederale Danilo Barbi — saranno coperte da tagli sui servizi normalmente fruiti da questi cittadini». Si parla dei tagli da oltre 2 miliardi di euro per il prossimo triennio alla Sanità: «un ulteriore impoverimento del servizio sanitario pubblico che ridurrà il diritto universale alla salute».
Per quanto riguarda la tassazione sulle imprese, nel 2016, le misure strutturali di riduzione fiscale dovrebbero raggiungere 10 miliardi annui, portando ad un’aliquota del 24% nel 2017. In questo pacchetto non bisogna tanto meno dimenticare la decontribuzione sui nuovi «contratti a tutele crescenti», previsti dal Jobs Act.
La Cgil stima una spesa effettiva di 5 miliardi in tre anni per la creazione complessiva di 200mila unità di lavoro nel settore privato.
Un’impresa vana, di fronte a una disoccupazione che resterà stabile tra il 12 e il 13% nei prossimi anni. La riduzione di Ires e Irap sulle imprese è «l’ennesimo provvedimento ‘a pioggia che prescinde, ad oggi, da investimenti, innovazione, produttività e maggiore occupazione» sostiene Barbi.
Per il 2018, Renzi ha annunciato la riduzione dell’Irpef. La radiografia del sindacato di Corso Italia ha calcolato un risparmio annuo per un reddito di 18mila euro di 970 euro; per uno di 35mila euro di 2.950; per uno di 150 mila di 11.800 euro. In pratica il Pd e Renzi agiscono come un Robin Hood alla rovescia: danno ai più ricchi ciò che hanno tolto ai più poveri, rovesciando ogni criterio di progressività della tassazione e, anzi, agevolando la legge principale della disuguaglianza contemporanea: la ricchezza premia sempre il vertice della piramide sociale. In basso «sgocciolano» sempre meno risorse.
L’analogia tra le politiche fiscali di Berlusconi e Tremonti e quelle di Renzi e del Pd non è una semplificazione di comodo. Per la Cgil si tratta della stessa politica: «Evoca una riforma dell’Irpef con due sole aliquote, non garantirebbe più la progressività del sistema tributario. Il risparmio fiscale sarà così tanto più ragguardevole, quanto maggiore è il reddito».
Non solo: sono politiche che non servono all’aumento dell’occupazione, che non sia quella «drogata» da incentivi che tutt’al più trasformano i contratti esistenti in quelli a «tutele crescenti». «Ciascuna di queste nuove misure fiscali non favorirà l’occupazione, e tanto meno stimolerà la crescita del Paese» conferma Barbi.
Il pacchetto «taglia-tasse» del governo prevederebbe una revisione della spesa pubblica complessiva di circa 26 miliardi. Una prospettiva che preoccupa il sindacato che propone un’altra strada: la creazione diretta di occupazione e investimenti pubblici che avrebbe un beneficio sul Pil quattro volte superiore rispetto ad un taglio generalizzato delle tasse.