Il manifesto, 10 ottobre 2015 (m.p.r.)
Occupazioni, flash-mob al Miur, al ministero dell’economia e a palazzo Chigi, blitz con petardi e fumogeni in filiali bancarie e agenzie di lavoro interinali come Manpower a Napoli, presidi e incontri al ministero dell’Istruzione. E poi 90 cortei con 5 mila studenti a Roma, duemila a Bari, mille a Milano e altrettanti a Palermo, tra gli altri. Ieri l’autunno di piombo della scuola governata dagli algoritmi che decidono le sorti di un docente mentre le prove Invalsi perfezionano la valutazione della vita produttiva degli studenti si è acceso all’improvviso. Sessantamila studenti hanno manifestato contro la riforma della scuola, il Jobs Act, le politiche migratorie della «Fortezza Europa» e il diritto allo studio azzoppato (ancora) dalla riforma dell’Isee.
Non è mancato il riferimento ai precari della scuola esclusi dalle assunzioni di Renzi, pur avendo maturato il diritto. Una mobilitazione «sociale» che ha cercato un’interlocuzione con i movimenti esistenti: il «No Ombrina» contro le trivellazioni dello «Sblocca Italia», il 14 ottobre a Roma, ricordano i collettivi autonomi napoletani «Kaos». Gli studenti non vogliono sentirsi soli e sono alla ricerca di connessioni. Ieri hanno schierato numeri imponenti, e non scontati, dopo giorni di silenzio dei maggiori sindacati della scuola impegnati a discutere se, come o quando fare uno sciopero generale (Unicobas lo farà il 23 ottobre, i Cobas il 13 novembre, mentre sono previste mobilitazioni il 24 ottobre). Tutto procede in sordina dopo la «notte bianca» della scuola del 23 settembre scorso. Al clima non ha giovato il fallimento della raccolta firme sul referendum contro il «preside manager» promosso da «Possibile» di Civati che ha segnato una spaccatura con il movimento della scuola che all’assemblea di Bologna del 5 settembre scorso ha deciso di studiare la possibilità di farne un altro nel 2017, con raccolta firme nel 2016. Nel frattempo continuano le procedure delle assunzioni dei 55 mila docenti previsti in «fascia C» affidati a un algoritmo che costringe gli interessati a un’attesa solitaria e preoccupata.
Ancor prima che contro la propaganda del governo, le reti studentesche nazionali dei medi e degli universitari (Rete della Conoscenza, Uds, coordinamento Link, Udu, StudAut), senza contare i collettivi cittadini o metropolitani da Sud a Nord, si sono attivate contro la spaventosa normalità di un paese ingrigito e sofferente. Gli studenti, ciascuno per la propria parte, hanno elaborato una loro agenda e cercano di scuotere le foglie sull’albero. Link e Udu portano avanti la battaglia sul diritto allo studio. La riforma dei parametri dell’Isee ha creato un’emergenza sociale nel malandato diritto allo studio italiano: per responsabilità di un nuovo indicatore decine di migliaia di studenti sono stati esclusi dalle borse di studio, come se fossero diventati più ricchi. Ieri sono stati ricevuti al ministero dell’Istruzione. L’incontro non ha soddisfatto Link («manca ancora una proposta concreta» sostiene il coordinatore Alberto Campailla); «Vogliamo interventi legislativi e fondi supplementari» ha detto Jacopo Dionisio (Udu).
Una trentina di universitari di «Studenti Indipendenti» e «Alterpolis» ieri a Torino hanno occupato alle 7,30 del mattino il gasometro dell’Istalgas in corso Regina Margherita a Torino. In questo edificio dovrebbero essere costruite residenze universitarie gestite da privati. Per gli studenti è un’«operazione propagandistica che spaccia una speculazione edilizia per un’attività a beneficio degli studenti». Molti dei quali, oggi, non potrebbero nemmeno vivere nella «casa dello studente» privatizzata, dato che il governo ha cambiato all’improvviso le regole per beneficiare delle borse di studio. Alle undici i ragazzi sono stati sgomberati malamente dalla celere. Nell’intervento è rimasta contusa Ilaria Manti, ex presidente del Senato degli Studenti dell’Università di Torino, e ha prodotto la protesta della Fiom e degli studenti contro «l’uso spropositato della forza da parte della polizia».
Un’altra questione è «l’alternanza scuola-lavoro» prevista dalla «Buona scuola», dal «Jobs Act» e approvata dalla conferenza Stato-Regioni. Per gli studenti il potenziamento dell’apprendistato sperimentale «è uno sfruttamento». «Prospettiva inaccettabile per gli studenti in stage — afferma Danilo Lampis (Uds) — L’apprendistato è un contratto di lavoro, qui si equiparano ore di lavoro sottopagato con quelle di formazione in classe». «é un salto nel vuoto — spiega Gianna Fracassi (Cgil) — non c’è modo per individuare imprese con un’adeguata capacità formativa». Francesca Puglisi, responsabile Pd scuola rispolvera le argomentazioni classiche sui «choosy» che non vogliono lavorare: «È un po’ da snob pensare che la cultura del lavoro non debba “contaminare” la scuola — sostiene — Le esperienze possono essere fatte anche nelle istituzioni culturali». In realtà gli studenti criticano il «modello tedesco», la professionalizzazione senza diritti e lo snaturamento dell’obbligo scolastico, oltre al precariato e al lavoro gratis mascherato da formazione. Argomenti troppo complessi per rientrare nel format paternalistico renziano, ma spunti per un modello alternativo di istruzione pubblica.