UN'AGORA PER L'ACQUA PUBBLICA
di Angelo Mastrandrea
Movimenti. Due giorni di dibattito a Roma tra comitati, militanti ed esperti, anche internazionali Per delineare le alternative di gestione dei beni comuni e opporsi alle privatizzazioni
<Appena tre giorni fa, il Tar del Lazio ha dato torto al sindaco di Cassino che aveva ordinato di riallacciare l’acqua a un cittadino moroso, accogliendo un ricorso dell’Acea. I giudici amministrativi hanno stabilito che «il sindaco non può intervenire con un’ordinanza» perché «in questo caso si realizza uno sviamento di potere, che vede il Comune estraneo al rapporto contrattuale gestore-utente» e quindi non può impedire «al medesimo gestore di azionare i rimedi di legge tesi a interrompere la somministrazione di acqua nei confronti di utenti non in regola con il pagamento della tariffa, e ciò a prescindere dall’imputabilità di siffatto inadempimento a ragioni di ordine sociale». Si tratta di un precedente significativo, che testimonia quanto sia importante non lasciare nelle mani degli amministratori (e dunque dei giudici amministrativi) la patata bollente delle sofferenze sociali, e l’importanza di avere leggi chiare al proposito. Una di queste (ne abbiamo parlato a più riprese sul manifesto) è quella approvata dalla Regione Sicilia, che prevede il minimo garantito di 50 litri giornalieri a testa, che per l’Oms sono «il quantitativo minimo per vivere una vita dignitosa». Basterebbe, se applicata sull’intero territorio nazionale, a evitare che le persone in difficoltà possano trovarsi da un giorno all’altro con i rubinetti a secco.
Quello di Cassino è solo uno degli effetti collaterali, non diretti, della mancata applicazione del referendum che ha detto no alla privatizzazione dei servizi idrici nel nostro Paese. Fosse stato realmente applicato, anche il costo del servizio e la gestione dei distacchi sarebbe stata diversa. In realtà, in questo caso sarebbe bastato che l’Ato5 (cui fa riferimento Cassino) avesse istituito il Fondo per le persone indigenti previsto dalla legge Galli e finanziato con i proventi delle bollette, cosa che non è mai accaduta. Di Cassino e delle vicende messinesi (e pure Gela, in questi giorni pure rimasta a secco), delle mancate ripubblicizzazioni e di come difendere i diritti e i servizi essenziali in questa stagione di «privato è bello», ma pure di come immaginare delle alternative realizzabili alle forme di governo dei beni comuni si parlerà, oggi e domani a Roma, nell’Agorà organizzata dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua al coworking Millepiani a Garbatella. Il movimento per i beni comuni si confronterà con ospiti internazionali come l’europarlamentare irlandese Lynn Boylan e l’ex presidente della società Eau de Paris (tornata in mani interamente pubbliche) Anne Le Strat, con giuristi, ricercatori, sindaci e attivisti (tra i partecipanti, padre Alex Zanotelli e il segretario della Fiom Maurizio Landini).
«Immaginiamo questo incontro come un passaggio utile a focalizzare le tematiche e la definizione del diritto all’acqua e la difesa dei beni comuni mediante una loro gestione diretta e partecipativa; a capire dove i beni comuni, naturali ed immateriali, costruiscono una connessione con un nuovo welfare; ad affermare la necessaria fuoriuscita dalla finanziarizzazione dell’economia e della società; ad intendere un sistema naturale in maniera olistica, di cui siamo parte e che va tutelato, trovandoci di fronte ad una crisi ambientale senza precedenti», scrivono gli organizzatori.
Più difficile a farsi che a dirsi, se è vero che a quattro anni dal referendum le ripubblicizzazioni si contano sulla punta delle dita. Dov’è accaduto, come in Sicilia, la battaglia è appena cominciata e gli esiti non sono scontati, come dimostra la vicenda di Messina. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenzi ne ha infatti approfittato per sostenere la necessità di «cambiare musica sulla gestione del servizio idrico» e il Forum gli ha ricordato che è stata proprio la gestione di Siciliaque (spa al 75 per cento nelle mani dei francesi di Veolia) a provocare questa situazione e a dimostrare il fallimento delle privatizzazioni.
Che il vento spiri in tutt’altra direzione rispetto a quella auspicata dai movimenti lo dimostra pure il caso Campania di questi giorni: è cambiata la maggioranza politica (dal centrodestra al centrosinistra), ma la legge sul riordino del servizio idrico in discussione in consiglio regionale è contestata dai comitati. Motivo: prevede la costituzione di un Ambito territoriale unico per i 550 comuni della regione, «delegando le scelte fondamentali in materia di acqua, quali la definizione della tariffa, il piano d’ambito e la forma di gestione a un comitato esecutivo composto da soli venti membri». In buona sostanza, escludendo le comunità locali.
LA GALASSIA DEI BENI COMUNI
di Corrado Oddi
i riparte dal basso. Le nostre battaglie nel progetto di nuove connessioni con tutti i soggetti che lavorano per i diritti sociali
A più di 4 anni di distanza dalla straordinaria vittoria referendaria del giugno 2011 e dalla sua successiva manomissione, il movimento per l’acqua riprende il cammino e rilancia la sua iniziativa sul bene comune primario per la vita del pianeta e dell’umanità.
E stretta è la relazione tra preservazione dell’acqua e cambiamento climatico. Non solo perché quest’ultimo accresce fortemente lo stress idrico in vaste aree del mondo, ma, ancor più, perché rende l’acqua risorsa sempre più scarsa, e dunque sempre più appetibile dalle logiche del mercato e del profitto causando conflitti e guerre. Per questo il tema della costituzionalizzazione del diritto all’acqua e dei diritti della natura supera un’idea puramente aggiuntiva dell’elencazione dei diritti per diventare fondativa di una lettura contemporanea e ricca dell’attività umana nella vita nel nostro pianeta.
Dall’altra parte, diventa ancora più ravvicinato il rapporto tra la risposta neoliberista alla crisi economica e sociale e le logiche di privatizzazione e finanziarizzazione che investono il servizio idrico e tutti i servizi pubblici, snaturandone le radici di fondo ( basta guardare, per stare all’attualità, la vicenda delle Poste).
Il nuovo ciclo di privatizzazione/finanziarizzazione del servizio idrico si connota sia sul versante dell’inserimento a pieno titolo nell’ “economia del debito”, sia nell’incrementare la water poverty, cioè l’incidenza della spesa per l’accesso all’acqua sul reddito delle persone. C’è una chiara relazione tra il riassetto in corso nel settore, affidandolo alle 4 “grandi sorelle” quotate in Borsa (le multiutilities Iren, A2A, Hera e Acea) la cui finalizzazione è sempre più orientata alla distribuzione dei dividendi ai soci sempre più privati (basta pensare al fatto che, negli ultimi 5 anni hanno erogato dividendi addirittura superiori agli utili che hanno realizzato!) con un indebitamento progressivo, e il fatto che, come testimoniato da una recente ricerca della Confartigianato, le tariffe dell’acqua nel nostro Paese dal 2004 al 2014 sono aumentate mediamente del 95,8%, il triplo del rincaro medio dei prezzi nei Paesi dell’Eurozona, che si aggira, per lo stesso periodo, attorno al 35%.
Continueremo a contrastare queste scelte, come abbiamo fatto in tutti i questi anni: con la mobilitazione, avanzando proposte alternative. La riflessione di queste due giornate potrà arricchire e rafforzare la prospettiva della tutela e della preservazione dell’acqua e quella della ripubblicizzazione del servizio idrico.
Vogliamo farlo sapendo che non sarà possibile se non si acquisisce la consapevolezza che quello in corso è un tentativo generale, sia pure illusorio, di “modernizzazione”, di cui il governo Renzi è il più fedele interprete. Ovvero l’importazione coerente del modello neoliberista di stampo anglosassone nel nostro Paese. La compressione dei diritti del lavoro, che toglie la tutela dai licenziamenti. I colpi al contratto nazionale di lavoro, attaccando scuola e sanità, con l’intenzione non solo di ridimensionare l’intervento pubblico ma ancor più di proporre un modello aziendalista. La devastazione ambientale dei territori, di cui il rilancio delle trivellazioni petrolifere costituisce l’elemento più eclatante, accompagnata non casualmente dal rilancio della privatizzazione dei beni comuni naturali, a partire dall’acqua e dal servizio idrico. Tutti tasselli di un disegno che mira a riaffermare la centralità del mercato come unico regolatore sociale.
Siamo perciò chiamati a rimanere fedeli alle nostre battaglie ma soprattutto a realizzare nuove connessioni tra i soggetti e i movimenti, a partire da quelli sociali, per superare separatezze e individuare percorsi e obiettivi convergenti. Non a caso abbiamo pensato di concludere le nostre due giornate di lavoro chiamando a confrontarsi con noi il movimento per la scuola pubblica, quello contro lo Sblocca Italia, la Fiom, la coalizione che si riunisce attorno allo sciopero sociale. Non semplicemente per un riconoscimento reciproco del ruolo e della funzione che ogni realtà esercita, ma provando ad esplicitare i terreni su cui, nella prossima fase, può essere possibile mettere in campo iniziative che coinvolgano l’insieme di questi e altri soggetti.
Certamente, l’opposizione alla legge di stabilità del governo lo è, visto il carattere classista e regressivo che la ispira e che investe l’insieme della condizione sociale e della cittadinanza. Ma non si potrà sfuggire dalla necessità di cancellare, con gli strumenti opportuni, anche di carattere referendario, e in modo coordinato, la legislazione che in quest’ultimi anni – dallo Sblocca Italia al Jobs Act, dalla “buona scuola” all’incentivo alle privatizzazioni– sta facendo venire meno diritti fondamentali e, ancor più, prova a mettere da parte qualunque idea di progettare un modello sociale più solidale ed inclusivo.
* Forum Italiano Movimenti per l’Acqua